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La gestione del servizio idrico integrato dopo le misure urgenti in materia ambientale.
di Federico Baccolini 8 aprile 2015
Materia: acqua / servizio idrico integrato

 

LA GESTIONE DEL SERVIZIO IDRICO INTEGRATO DOPO LE MISURE URGENTI IN MATERIA AMBIENTALE

 

 

Sommario: 1. Premessa sistematica: i servizi pubblici locali e la dimensione territoriale della loro organizzazione. 2. La scelta delle forme di gestione e le modalità di affidamento del servizio pubblico. 3.  Le novità introdotte dal decreto “Sblocca Italia” per la organizzazione del Servizio Idrico Integrato. 4. La procedura di scelta del modello di gestione (individuazione del modello di gestione, costituzione della società ed affidamento del servizio). 5. (segue): il ruolo della motivazione nel momento di scelta del modello di gestione.

 

1.Premessa sistematica: i servizi pubblici locali e la dimensione territoriale della loro organizzazione. 

Il servizio idrico integrato è costituito dall’insieme dei servizi pubblici di acquedotto, fognature e depurazione, che sono stati – nel corso del tempo – organizzati dai Comuni, anzitutto per fare fronte alle esigenze di ordine sanitario delle popolazioni (1).

La normativa, sulla base della quale tali servizi pubblici furono organizzati dai Comuni (2), rimetteva alla facoltà dei Comuni stessi di riunirsi in consorzio (3) per procedere in forma associata alle scelte concernenti i servizi stessi.

La situazione che si era così determinata faceva registrare gestioni talora isolate (nel singolo Comune magari di modeste dimensioni) e talora associate, con l’ulteriore variabile che – per lo più – i tre servizi pubblici (acquedotto e, rispettivamente, fognature e depurazione) erano organizzati sulla base di distinti rapporti intercorrenti con soggetti differenti.

                    Al riguardo, è importante, altresì, sottolineare che i rapporti di affidamento dei servizi pubblici presentavano durate assai lunghe (talvolta anche superiori a 30 anni) e venivano, molto spesso, rinnovati alla prima scadenza al gestore uscente.

                    Tutto ciò determinava una frammentazione delle gestioni ed un difficile coordinamento delle attività tra i segmenti rispettivi.

Anche sulla base della normativa europea sulla qualità delle acque e la tutela dagli inquinamenti (4), il legislatore italiano degli anni novanta si determinò a sollecitare e successivamente ad imporre una riorganizzazione sul territorio dei servizi pubblici qui considerati. Le prescrizioni che sollecitavano la riorganizzazione furono introdotte con gli artt. 8-9 della legge 5 gennaio 1994, n.36 (“Disposizioni in materia di risorse idriche”); quelle che, invece, imponevano tale riorganizzazione furono dettate dagli artt. 147-158 e 172 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (“Norme in materia ambientale”).

 

2.La scelta delle forme di gestione e le modalità di affidamento del servizio pubblico.

Una recente sentenza del T.A.R. Lombardia (sez. III, 12 gennaio 2015, n. 98) offre lo spunto per approfondire le dinamiche e le procedure che devono essere seguite dalla pubblica amministrazione nel momento in cui questa sia chiamata a scegliere la forma di gestione con la quale sarà fornito un servizio pubblico. In particolare la sentenza riguarda la fattispecie dell’organizzazione del servizio idrico integrato, alla luce delle recenti modifiche normative introdotte, nella materia, dal d.l. 12 settembre 2014, n. 133 convertito con modificazioni dalla l. 11 novembre 2014, n. 164 (che integrano la disciplina di base in materia, novellando il d.lgs 3 aprile 2006, n. 152).

La vicenda giuridica esaminata dal giudice amministrativo riguarda la posizione di una società con partecipazione pubblica, operante per il servizio idrico integrato presso alcuni Comuni, a fronte di atti con i quali l’Ente di governo dell’Ambito territoriale ottimale – assai più vasto del territorio di quei Comuni - ha deciso l’affidamento del servizio pubblico ad una gestione unica di Ambito, con conseguente superamento delle attuali plurime forme di gestione operanti nelle varie zone dell’Ambito.

Queste, nei loro punti essenziali, le considerazioni svolte dal T.A.R. Lombardia nella richiamata sentenza: <<a differenza delle decisioni in materia di affidamento dei servizi, la scelta del modello di gestione non è procedimento destinato a produrre effetti diretti nei confronti delle società che gestiscono attualmente parte dei servizi idrici, ai sensi dell’art. 7 della legge 241/90>>.

<<Il terzo motivo di ricorso è infondato nella parte in cui contesta l’anteriorità della scelta della forma di gestione rispetto all’individuazione di un soggetto idoneo, in quanto la forma di gestione è atto logicamente prodromico rispetto all’individuazione del gestore, che appartiene alla procedura di costituzione della società>>.

<<A sua volta l’autonomia e la posteriorità dell’affidamento del servizio rispetto alla costituzione della società è stata ampiamente affermata dalla giurisprudenza (Cons. Stato, sez. V, 6 maggio 2003 n. 2380), secondo la quale la distinta soggettività giuridica della società costituita ai sensi dell'art. 113 lett. e) d.lgs. n. 267/00 (rispetto all'Ente locale — socio) esige, invero, che l'affidamento del servizio, ancorché esuli dallo schema giuridico della concessione, venga formalizzato in un provvedimento che manifesti e consacri la volontà dell'Ente di avvalersi, in concreto, di quel peculiare modulo di gestione e di assegnare, quindi, la titolarità del servizio pubblico alla società e che precisi, al contempo, i termini e l'oggetto dell'affidamento (che resterebbero inammissibilmente indeterminati se si ritenesse che la gestione del servizio consegua automaticamente alla costituzione della società e che non ci sia bisogno di un atto che ne costituisca il titolo)>>.

<<A ciò si aggiunge che secondo la giurisprudenza comunitaria l’in-house providing è una forma ordinaria di svolgimento di lavori servizi e forniture, per cui non richiede una motivazione particolare (Corte Giust. delle Comunità europee, sentenza Teckal, 18 novembre 1999, causa C-107/98)>>.

 <<Il nuovo art. 147 comma 1 del D. Lgs. 152/2006, come modificato dal Decreto-Legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito con modificazioni dalla L. 11 novembre 2014, n. 164 prevede il trasferimento ex lege di tutte le competenze degli anti locali territoriali in materia di gestione delle risorse idriche all'ente di governo dell'ambito, con la conseguenza che nessuna forma di gestione del servizio idrico e del relativo patrimonio può rimanere in capo ai singoli enti.

La norma risolve in radice anche i problemi relativi alla mancata partecipazione di un ente locale alla società costituita dall’ente di governo del servizio idrico, non avendo più il singolo ente la titolarità del servizio>>.

Si deve però valutare la coerenza di siffatte affermazioni, poiché l’acquisizione della dimensione di ambito territoriale ottimale è certamente doverosa, ma la scelta della forma di gestione da insediare nell’Ambito deve essere il risultato di un processo adeguatamente ponderato e di una motivazione non meramente enunciativa. In sintesi, la motivazione alla base della scelta di una forma di gestione piuttosto che un’altra deve essere incentrata su ragioni tecnico-economiche connesse alla qualità del servizio ed alle finanze pubbliche, secondo quanto ora efficacemente sintetizzato nell’art. 1, commma 609 della l. 23 dicembre 2014, n. 190: <<gli enti di governo danno conto della sussistenza dei requisiti previsti dall'ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta e ne motivano le ragioni con riferimento agli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio. Al fine di assicurare la realizzazione degli interventi infrastrutturali necessari da parte del soggetto affidatario, la relazione deve comprendere un piano economico-finanziario che, fatte salve le disposizioni di settore, contenga anche la proiezione, per il periodo di durata dell'affidamento, dei costi e dei ricavi, degli investimenti e dei relativi finanziamenti, con la specificazione, nell'ipotesi di affidamento in house, dell'assetto economico-patrimoniale della società, del capitale proprio investito e dell'ammontare dell'indebitamento da aggiornare ogni triennio. Il piano economico-finanziario deve essere asseverato da un istituto di credito o da società di servizi costituite dall'istituto di credito stesso e iscritte nell'albo degli intermediari finanziari, ai sensi dell'articolo 106 del testo unico di cui al decreto legislativo 1º settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, o da una società di revisione ai sensi dell'articolo 1 della legge 23 novembre 1939, n. 1966>>. A prescindere dall’adeguamento dell’asseverazione finanziaria, si tratta di elementi giustificativi e fondamenti motivazionali che sempre si sarebbero dovuti rispettare, come – del resto – si evince dal confronto con il previgente art. 10, comma 2 del t.u. n. 2578/1925: “La deliberazione deve indicare, mediante apposito progetto di massima tecnico e finanziario, i mezzi con cui s'intende far fronte alle spese per l'impianto e per la gestione del servizio che vuolsi assumere”.

            Per queste ragioni lascia molto perplessi l’affermazione del giudice amministrativo sulla distinzione tra scelta della forma di gestione ed affidamento del servizio, che non possono essere concettualmente distinti a meno di voler (inaccettabilmente) ritenere la scelta della forma di gestione come un atto politico insindacabile.

 

3. Le novità introdotte dal decreto “Sblocca Italia” per la organizzazione del Servizio Idrico Integrato.

La normativa in materia di gestione del servizio idrico integrato è stata interessata da un recente intervento normativo (5), introdotto con il d.l. n.133/2014 (c.d. “Sblocca Italia”) che, modificando l’art. 147 e l’art. 172 del d.lgs. 152/2006, ha stabilito in materia di affidamento del servizio il principio dell’unicità di gestione del servizio idrico integrato (6).

Nonostante i numerosi tentativi operati dal legislatore volti ad orientare la gestione del servizio idrico integrato verso criteri di efficienza ed economicità (7), si registra ancora oggi un elevato numero di soggetti operanti nel sistema di gestione del Servizio Idrico Integrato: tale situazione fattuale ha portato ad avere un’elevata frammentazione in riferimento sia ai diversi tipi di modalità di gestione sia ai concreti operatori che erogano il servizio. La conseguenza strutturale di ciò è costituita dal verificarsi di numerose diseconomie di gestione che, seppur in passato risultassero tollerate, anche se a fatica, oggi, in virtù della complessa situazione economico-finanziaria non appaiono più sostenibili.

Il legislatore, quindi, allo scopo di evitare sprechi di risorse e di approdare ad una gestione del Servizio Idrico Integrato più oculata e valida in termini di efficienza, ha proceduto alla modifica del d.lgs. 152/2006, confermando la centralità dell’istituto dell’unicità di gestione per ciascun ambito territoriale ottimale.

Il primo e più diretto effetto conseguente questa modifica normativa, consiste nella sopravvenuta impossibilità di affidamento del Servizio Idrico ad una pluralità di gestioni che, eventualmente, siano coordinate tra loro sulla base di quanto anteriormente disposto dall’art. 9 della l. 36/1994 (8).

Sotto questo profilo, del tutto correttamente, il giudice amministrativo si sofferma sul punto evidenziando come l’eventuale esistenza, di una pluralità di gestioni pregresse del Sistema Idrico Integrato operanti nello stesso territorio, non possa essere utilizzata come argomentazione a sostegno dell’illegittimità degli atti amministrativi volti a creare un gestore unico, emanati dalle amministrazioni competenti. Tale pluralità di gestioni può, al più, condizionare esclusivamente il momento dell’affidamento dei servizi al gestore unico, così come previsto dal d.lgs. 152/2006 all’art.172 comma 2 nuovo testo.

            Dunque, certamente, la scelta di addivenire al gestore unico di ambito non può essere sostanzialmente contestata, fermo restando che deve essere adeguatamente motivata la scelta della forma di gestione tra i vari modelli per legge possibili (9).

 

4.La procedura di scelta del modello di gestione (individuazione del modello di gestione, costituzione della società ed affidamento del servizio).

Giunti a questo punto della trattazione è opportuno concentrarsi sui principali punti di diritto affrontati dal T.A.R.: da un lato, infatti, nel ricorso giurisdizionale era stata contestata la procedura seguita per l’adozione della forma di gestione in house; dall’altro, il ruolo che la motivazione della scelta del modello di gestione ha realmente avuto all’interno di tale procedura.

Per quanto concerne il primo punto, l’Ufficio di Ambito territorialmente competente ha approvato un atto con il quale veniva scelto di gestire il servizio mediante il modello in house (10) rinviando, tuttavia, ad un momento e ad atti successivi l’individuazione (o addirittura la costituzione) del soggetto concretamente chiamato a gestire il servizio.

Nel merito i giudici si sono però pronunciati respingendo le pretese del ricorrente in quanto l’anteriorità della scelta della forma di gestione sarebbe giustificata dal fatto che essa risulta essere un atto “logicamente prodromico” rispetto all’atto di individuazione concreta del gestore (che – nel caso della scelta in house providing - fa parte della procedura di costituzione della società).

La ricostruzione operata dal Collegio si basa quindi sulla apparente esistenza di una duplicità di procedure, tangenti tra loro ma allo stesso tempo ritenute autonome. Da un lato si pone la procedura di scelta della forma per modellare la gestione del servizio idrico, dall’altro si configura il procedimento di individuazione ed eventuale costituzione del gestore al quale affidare il servizio: tale ultima fase, viene ritenuta quasi non correlata alla prima sul piano motivazionale, dal momento che il giudice amministrativo afferma che la scelta della forma di gestione si può deliberare e si regge anche se non vi è ancora certezza della seconda nei suoi caratteri concreti. Questa peculiare ricostruzione si coglie dal modo con cui il giudice amministrativo ricostruisce l’atto di affidamento del servizio pubblico: tale momento viene definito come autonomo e posteriore rispetto alla costituzione della società, sulla base di una richiamata giurisprudenza del Consiglio di Stato (11) che riconosce la distinta soggettività giuridica della società costituita rispetto all’Ente locale che affida il servizio; pertanto, affinché il servizio sia validamente affidato sarebbe stato necessario un provvedimento formale nel quale siano consacrate espressamente sia la volontà dell’Ente di avvalersi del peculiare modello di gestione scelto, sia la decisione di affidare tale servizio alla società a tal scopo costituita.

Dalla ricostruzione effettuata dai Giudici del T.A.R. Lombardia emergerebbe, dunque, una procedura di scelta del modello di gestione e di affidamento del servizio alquanto disarticolata: l’individuazione del modello di gestione risulterebbe antecedente alla procedura di costituzione della società (nello specifico al momento di individuazione del gestore); a sua volta, la costituzione della società si porrebbe come procedimento autonomo e temporalmente anteriore al momento di concreto affidamento del servizio.

Una siffatta interpretazione presta però il fianco ad alcuni rilievi critici.

Ferma restando la pacifica e più volte affermata distinzione concettuale tra assunzione di un servizio e determinazione della forma di gestione, è il caso di sottolineare che accanto alla ricostruzione qui criticata se ne potrebbe prospettare una, almeno in parte, differente: è infatti con la costituzione (o, in certi casi, con l’individuazione) della società alla quale verrà affidato il servizio, che si manifesta la volontà dell’Ente locale di avvalersi dell’affidamento diretto quale modulo gestorio del servizio. Stante la mera consequenzialità dell’atto di assegnazione della gestione del servizio (12), è nell’atto di costituzione della società da parte degli Enti locali che deve essere individuato il momento in cui si realizza la situazione giuridica da poter tutelare nel processo amministrativo: gli atti di costituzione della società sono quindi provvedimenti concretamente idonei a sottrarre l’attribuzione della titolarità del servizio alle regole concorrenziali (13). Una ricostruzione quindi che, se da un lato riprende la separazione tra scelta del modulo gestorio e assegnazione del servizio dall’altro, tratta la procedura di individuazione del modello gestione in house e di costituzione (o individuazione) del gestore come due aspetti dello stesso momento. Di conseguenza la possibilità di valutare globalmente e separazione motivazionale e deliberativa i due momenti sopra richiamati non può che essere d’ausilio per l’Ente pubblico, stante il dovere gravante su di esso di scelta della forma di gestione del servizio pubblico che più corrisponde, nel caso concreto, alle esigenze della collettività.

Infine, si potrebbe addirittura prospettare una procedura di scelta del modello gestorio del Servizio Idrico Integrato imperniata sul solo provvedimento amministrativo di delibera della costituzione della società.

La legge mette a disposizione degli Enti locali che devono fornire nei rispettivi territori i servizi pubblici una pluralità di modi di gestione del servizio e, tra questi, rientra anche l’affidamento in house. Tale affidamento risulta essere un modello organizzativo perfettamente alternativo a quello della concessione; conseguentemente, la delibera dell’Ente di costituzione di una società per la gestione del servizio comporta che la società -una volta costituita- possa automaticamente produrre il servizio, essendo questo l’oggetto sociale della suddetta. Partendo da queste premesse sembra, quindi, lecito ritenere che l’attribuzione della titolarità del servizio sia un effetto giuridico conseguente al provvedimento amministrativo che esterna la volontà di costituire una società per la gestione di un servizio pubblico. Perciò, risulterebbe addirittura superflua l’adozione del provvedimento amministrativo che, a seguito della costituzione della società, assegna la titolarità del servizio alla società stessa (14).

            Ma anche in questo caso la motivazione non può mancare o essere differita a momenti successivi. In sostanza si vuole dire che non vi può essere scelta della forma di gestione sulla base di un assunto politico e motivazione postuma nell’atto di affidamento, perché in questo caso la motivazione servirebbe a sanare una scelta già fatta ed irreversibile.

 

5. (segue): il ruolo della motivazione nel momento di scelta del modello di gestione.

Ancor più enigmatica risulta essere la sentenza da cui hanno tratto spunto queste note quando l’attenzione si sposta sul dovere, gravante in capo alla pubblica amministrazione, di motivazione della scelta della forma di gestione del servizio.

Dalla ricostruzione operata in sentenza, infatti, sembrerebbe doversi ritenere che nel momento in cui l’Ente locale è chiamato a rendere conto dei motivi posti alla base della scelta di uno specifico modello di gestione, sarebbe sufficiente l’aver preventivamente commissionato uno studio dei criteri sui quali basare la futura scelta.

Il T.A.R. per la Lombardia aggiunge inoltre che <<secondo la giurisprudenza comunitaria l’in-house providing è una forma ordinaria di svolgimento di lavori servizi e forniture, per cui non richiede una motivazione particolare>>.

Una siffatta affermazione è sicuramente da considerarsi vera nella misura in cui afferma che l’ordinamento italiano, così come quello comunitario, è imperniato sulla equiordinazione delle forme di gestione dei servizi pubblici, nel senso che tutte le scelte sono in astratto possibili.

La soluzione introdotta dal legislatore italiano, effettuata nel 2008, volta ad introdurre un principio di favore per la gestione privatizzata dei servizi pubblici locali a rilevanza economica -incluso quindi anche il Servizio Idrico Integrato- è stata oggetto del referendum abrogativo del giugno 2011, all’esito del quale si è proceduto all’abrogazione dell’art. 23-bis del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, ripristinando così implicitamente una l’equiparazione di principio delle gestioni (15).

Sul punto, è poi intervenuto il d.lgs. 138/2011 il quale tuttavia, all’art.4, pur escludendo dal proprio ambito di operatività il Servizio Idrico Integrato, reintroduce disposizioni nel contenuto analoghe a quelle abrogate con il Referendum: per queste  ragioni il summenzionato decreto legislativo è stato oggetto dell’attenzione della Corte Costituzionale (16) che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 in quanto “viola il divieto di ripristino della normativa abrogata dalla volontà popolare desumibile dall’articolo 75 della Costituzione”.

Ferma è infine la presa di posizione del giudice delle leggi nel considerare l’affidamento di un servizio pubblico ai privati come una facoltà e non un obbligo: è anche sulla base di tale assunto che la Corte, in mancanza di una legislazione statale sul punto, richiama l’applicabilità dei principi comunitari, nei quali si ritrova l’esplicita equiparazione delle forme di gestione dei servizi pubblici.

Tornando all’affermazione del giudice amministrativo, essa è tuttavia non veritiera nella misura in cui non viene richiesta una specifica motivazione a sostegno della scelta del modello di gestione del sevizio.

Vero è che la scelta dello schema organizzativo dei servizi pubblici rientra all’interno della sfera di autonomia organizzativa concessa alla Pubblica Amministrazione; purtuttavia ciò non deve portare a pensare che nell’ambito della propria discrezionalità la Pubblica Amministrazione possa agire slegata da ogni tipo di vincolo tecnico-economico. La motivazione diventa dunque uno strumento attraverso il quale provare che la scelta di uno specifico modello di gestione non risponda ad esigenze meramente politiche ma sia ancorata a presupposti tecnici ed economici che giustifichino il modello scelto sulla scorta di valutazioni legate, tra le altre, all’efficienza e all’economicità.

Ancora, è importante sottolineare come l’istituto della motivazione tecnico-economica sia richiesto per ogni scelta di organizzazione (forma di gestione) dei servizi pubblici: ciò che muta è il modo in cui essa si coniuga in relazione ai diversi tipi di organizzazione.

Se per la concessione la motivazione può essere composta dalla valutazione dei soli presupposti fattuali e dei soli elementi essenziali che hanno portato all’affidamento del servizio attraverso lo schema della concessione, per l’in house, espressione dell’auto-organizzazione dell’Ente, la motivazione deve essere completa in virtù della distorsione del principio di concorrenza che si verifica a causa della mancanza di una procedura pubblica selettiva ex ante.

Pur riconoscendo la natura di forma ordinaria del modello in house per quel che attiene la fornitura di servizi, è doveroso, quindi, considerare l’importanza che un istituto come quello della motivazione dei provvedimenti assume nell’ordinamento italiano.

In linea di principio, si può affermare che l’istituto in questione presenti una duplice finalità: da un lato infatti, esso serve ad ancorare l’adozione di un determinato provvedimento al ragionamento logico-giuridico che vi sta alla base, in modo tale che il provvedimento adottato sia coerente con i presupposti fattuali e di diritto considerati; dall’altro, la motivazione consente un controllo a posteriori sulla validità logica e razionale del ragionamento stesso.

Più nello specifico, in materia di servizi pubblici, è stato più volte ribadito in dottrina (17) che l’individuazione del modo in cui un servizio deve essere erogato è indissolubilmente legato ad una valutazione dell’interesse pubblico sottostante; in altri termini, la scelta di un certo modello di gestione piuttosto che un altro è sempre subordinata alla cura e al soddisfacimento dell’interesse pubblico al cui perseguimento è rivolto il servizio da erogare. Pertanto, il modello di gestione scelto dovrà risultare essere quello che permette il pieno raggiungimento di tale interesse.

Risulta, dunque, di difficile comprensione l’affermazione del T.A.R. Lombardia della sufficienza di una motivazione generalizzata quale può essere quella ricavata dalla giurisprudenza comunitaria.

A sostegno della tesi qui enunciata si richiama un orientamento oramai consolidato del Consiglio di Stato (18), in virtù del quale, nel momento in cui la Pubblica Amministrazione si trova a dover decidere quale modello organizzatorio di gestione di un servizio pubblico adottare, la scelta “deve essere rivestita da particolari cautele e deve derivare da una adeguata ponderazione di tutti gli interessi coinvolti da tale scelta; segnatamente deve evidenziare la convenienza economica per le finanze dell’ente locale di tale soluzione rispetto a quelle, per così dire tradizionali.

In particolare occorrerà redigere una relazione che confronti i risultati economici prevedibilmente derivanti dalle varie possibili forme di gestione tenendo conto della qualità del servizio erogato e del diverso grado di efficienza nello svolgimento attraverso l’uno e l’altro strumento, mediante un calcolo dettagliato dei costi e benefici di ciascuno di essi”.

Da ultimo è doveroso ricordare che la stessa sezione III del T.A.R. per la Lombardia, poche settimane prima della pronuncia qui analizzata richiedeva una concreta e specifica motivazione a sostegno della scelta di un particolare modello di gestione; si legge infatti nella sentenza del T.A.R. Lombardia, sez. III, 10 dicembre 2014, n. 3005, che <<a fronte della perfetta equivalenza delle forme di gestione dei servizi pubblici […] diventa imprescindibile non soltanto il supporto motivazionale posto a fondamento della scelta nel caso concreto, ma anche la fase istruttoria che consente di rapportare e verificare la coerenza della scelta finale con i presupposti fattuali e giuridici presenti nel caso di specie>> (19): non solo quindi una motivazione precisa e puntuale da individuarsi caso per caso(e quindi non generalizzata), ma anche un grande rilievo attribuito alla fase istruttoria che ha creato i presupposti per l’adozione di un determinato modello di gestione tra i vari ed equiordinati previsti dalla legge.

 

***

 

(1)  Cfr. ad esempio gli artt. 248, 249 e 253 del t.u. delle leggi sanitarie, r.d. 27 luglio 1934, n. 1265.

 (2) Ci si riferisce, in particolare, al t.u. sull’assunzione diretta dei pubblici servizi da parte dei Comuni e delle Province, r.d. 15 ottobre 1925, n. 2578 ed agli artt. 265-267 del r.d. 14 settembre 1931, n. 1175 sulle concessioni all’industria privata.

(3)  Cfr. in particolare, l’art. 21 del cit. t.u. del 1925.

(4) Cfr., ad esempio, la direttiva 80/778/CEE, sulla qualità delle acque destinate al consumo umano, e cfr. la direttiva 75/440/CEE relativa alla qualità delle acque superficiali destinate alla produzione di acqua potabile; la direttiva 76/464/CEE concernente l’inquinamento provocato da certe sostanze pericolose scaricate nell’ambiente idrico; la direttiva 79/869/CEE relativa ai metodi di misura, alla frequenza dei campionamenti e delle analisi delle acque superficiali destinate alla produzione di acqua potabile; la direttiva 80/68/CEE relativa alla protezione delle acquee sotterranee dall’inquinamento provocato da certe sostanze pericolose.; la direttiva 91/271/CEE riguardante il trattamento delle acque reflue urbane.

(5) La legislazione relativa al servizio idrico integrato, a partire dalla fine degli anni Novanta del secolo scorso è stata più volte interessata da interventi di novella normativa (basti pensare al d.lgs 31 marzo 1998, n. 112 e al d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e ss. mm. ii.).  Le modifiche introdotte dal d.l. n. 133/2014 sono dettate oltre che dall’esigenza di conformare il servizio idrico integrato ai criteri di efficienza ed efficacia, anche dalla necessità di adeguare la legislazione vigente agli obblighi comunitari, al fine di superare le procedure di infrazione che vedono l’Italia protagonista (2014/2059, 2004/2034, 2009/2034, sentenze C-565-10 del 19 luglio 2012 e C-85-13 del 10 aprile 2014).

(6) Il principio dell’unicità di gestione è andato a sostituire il pregresso regime dell’unitarietà di gestione. Per una valutazione relativa la principio di unitarietà: v. Corte Cost., sent. 20 novembre 2009, n. 307 in www.cortecostituzionale.it; Corte Cost., sent. 24 luglio 2009, n. 246 in www.cortecostituzionale.it .

(7) Già con la legge 5 gennaio 1994, n. 36, all’art. 8 si esprimeva la volontà di superare la frammentazione gestionale del Servizio Idrico Integrato; abrogata tale norma, il principio è stato prima richiamato e poi, con successive modifiche legislative, ampliato dall’art. 147 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152.

(8) A ben vedere, la pluralità di gestioni previste dall’art. 9 della c.d. legge Galli risulta essere non più operante già dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 152/2006 che, all’art. 175 lett. u) prevede espressamente l’abrogazione dell’intera l. 5 gennaio 1994, n. 36, ad esclusione dell’art. 22, comma 6.

(9) Al riguardo, si esprime con molta chiarezza l’art. 149-bis del d.lgs. n. 152/2006: “L'ente di governo dell'ambito, nel rispetto del piano d'ambito di cui all'articolo 149 e del principio di unicità della gestione per ciascun ambito territoriale ottimale, delibera la forma di gestione fra quelle previste dall'ordinamento europeo provvedendo, conseguentemente, all'affidamento del servizio nel rispetto della normativa nazionale in materia di organizzazione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica. L'affidamento diretto può avvenire a favore di società interamente pubbliche, in possesso dei requisiti prescritti dall'ordinamento europeo per la gestione in house, comunque partecipate dagli enti locali ricadenti nell'ambito territoriale ottimale. Alla successiva scadenza della gestione di ambito, al fine di assicurare l'efficienza, l'efficacia e la continuità del servizio idrico integrato, l'ente di governo dell'ambito dispone l'affidamento al gestore unico di ambito entro i sei mesi antecedenti la data di scadenza dell'affidamento previgente. Il soggetto affidatario gestisce il servizio idrico integrato su tutto il territorio degli enti locali ricadenti nell'ambito territoriale ottimale.

 (10) Per la definizione giurisprudenziale di modello di gestione in-house  v. Cons. Stato, sez. VI, 3 aprile 2007, n. 1514 in www.giustizia-amministrativa.it ; Cons. Stato, sez. V, 22 gennaio 2015, n. 257 in www.giustizia-amministrativa.it ; Cons. Stato, sez. II, 30 gennaio 2015, n. 298 in www.giustizia-amministrativa.it ; T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, sez. I, 19 dicembre 2014, n. 929 in www.giustizia-amministrativa.it ; T.A.R. Puglia, Lecce, sez. II, 1 dicembre 2014, n. 1986 in www.giustizia-amministrativa.it .

(11) Cons. St.,  sez. V, 6 maggio 2003 n. 2380 in www.giustizia-amministrativa.it

(12) La funzione fondamentale dell’atto di assegnazione del servizio consiste infatti nel perfezionamento dell’attribuzione della titolarità del servizio: quest’ultimo infatti è inquadrabile nello schema delle fattispecie a formazione progressiva e l’atto di assegnazione della gestione risulta essere l’atto che conclude il procedimento di formazione della fattispecie.

(13)  Sul punto, v. T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. I, 11 luglio 2009, n. 774 in www.giustizia-amministrativa.it; cfr. anche T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, 5 dicembre 2012, n.2911 in www.giustizia-amministrativa.it ;

(14) V. Cons. Stato, Ad. Plen., parere 16 maggio 1996 n.90 in www.giustizia-amministrativa.it; Cass. Civ., Sez. Un., 6 maggio 1995, n. 4989 in Foro it., 1996, I, p. 1363; sent. Cass. Civ., Sez. Un., 29 ottobre 1999, n. 754 in Foro it., 2000, I, p. 802.

(15) Cfr. D.P.R. 18 luglio 2011, n. 113.

(16) V. Corte Cost., 20 luglio 2012, n. 199 in www.cortecostituzionale.it . La Corte prosegue poi ribadendo come l’art. 4 del d.lgs. 138/2011  sia una norma dalla quale “nonostante l’esclusione dall’ambito di applicazione della nuova disciplina del servizio idrico integrato risulta evidente l’analogia, talora la coincidenza, della norma impugnata rispetto a quella abrogata dal voto popolare, nonché l’identità della ‘ratio’ ispiratrice”.

(17) CAIA G., Municipalizzazione dei servizi pubblici, in Enc. Giur. Trecc., vol. XX, Roma, 1990 .

(18) Cons. St., sez. VI, 12 marzo 1990 n. 374 in Foro it., 1991, III,  p. 270. Tale orientamento è confermato anche dalla recente giurisprudenza amministrativa: cfr. T.A.R. Puglia, Lecce, sez. II, 1 dicembre 2014, n. 2986 in www.giustizia-amministrativa.it ; Cons. Stato, sez. II, 11 febbraio 2013, n. 762 in www.giustizia-amministrativa.it ; T.A.R. Liguria, Genova, sez. II, 1 febbraio 2012, n. 225 in www.giustizia-amministrativa.it ; Cons. Stato, sez. V, 8 febbraio 2011, n. 854 in www.giustizia-amministrativa.it .        

(19) T.A.R. Lombardia, Milano, 10 dicembre 2014, n. 3005 in www.giustizia-amministrativa.it

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