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I servizi pubblici locali e le partecipate pubbliche nelle leggi di stabilità
di Bruno Spadoni 8 aprile 2015
Materia: società / partecipazione pubblica

 

I SERVIZI PUBBLICI LOCALI E LE PARTECIPATE PUBBLICHE

 NELLE LEGGI DI STABILITA’

 

 

Le politiche industriali e di liberalizzazione: l’esperienza del passato

La politica dei servizi pubblici locali ha registrato negli ultimi anni un significativo mutamento. Fino alla fine dello scorso decennio l’elemento che maggiormente la caratterizzava era costituito dall’obiettivo dell’apertura dei mercati alla concorrenza superando i sistemi di affidamento dei servizi che ne ostacolavano il conseguimento. Le misure a tal fine poste in essere sul piano normativo consistevano in prevalenza in prescrizioni di obblighi e divieti non di rado rivolte all’intero universo dei servizi pubblici locali di rilevanza economica a prescindere dalla specificità delle situazioni territoriali e spesso anche delle diversità settoriali. Accanto e giustapposto a questo orientamento se ne poneva un altro, più tipico delle legislazioni settoriali (in particolare servizi idrico e dei rifiuti), volto al superamento della frammentazione tramite la ricomposizione del ciclo integrato dei servizi e l’allargamento della scala territoriale di organizzazione degli stessi. I risultati di queste politiche, soprattutto nella prima fase, non sono stati incoraggianti, sia per gli obiettivi di politica industriale, sia per quelli di liberalizzazione dei mercati. Da un lato i processi di aggregazione hanno molto stentato, tanto nei servizi idrici quanto nei rifiuti. Gli ambiti territoriali ottimali sono stati in larga parte perimetrati ma la loro effettiva operatività è stata molto condizionata sia dai ritardi da parte delle Regioni nella costituzione degli enti di governo degli ambiti (anche per effetto delle incertezze normative culminate nella soppressione delle Autorità d’ambito, a seguito dell’articolo 2, comma 186-bis della legge 191/2009),  sia dalla resistenza  degli enti locali all’adesione agli enti suddetti. Di fatto in numerosi casi i servizi hanno continuato a essere esercitati per singoli segmenti della filiera e limitatamente ai confini comunali (non di rado, soprattutto nel Mezzogiorno, facendo ricorso a gestioni dirette in economia). Anche la liberalizzazione ha segnato il passo: il ricorso alle gare è stato costantemente procrastinato e quelle bandite hanno registrato una scarsa partecipazione e la sistematica prevalenza degli incumbent.

Tra le cause di questi esiti insoddisfacenti sono da ascrivere sia l’assenza di coordinamento tra politiche industriali e di liberalizzazione, distinte ma fortemente correlate l’una con l’altra, sia il ricorso a misure rigide e unilaterali.  Le disposizioni adottate per il perseguimento di entrambe tali politiche, in effetti, hanno avuto carattere prevalentemente impositivo, a prescindere dalle situazioni specifiche dei servizi e delle infrastrutture, nonché degli assetti dei mercati e regolatori  che definiscono i sistemi di convenienza degli operatori. Le funzioni di reazione dei diversi protagonisti del sistema decisionale, di fronte alla difficoltà (se non addirittura alla reale impercorribilità) delle misure loro imposte hanno determinato non di rado la loro procrastinazione sine die e comunque risultati molto al di sotto delle aspettative. In particolare la modesta partecipazione alle gare per la gestione dei servizi e anche per la selezione dei partner di minoranza delle società a capitale misto, è da ricondurre non solo a incertezze normative e regolatorie, ma anche alla situazione organizzativa e gestionale e a quella delle reti infrastrutturali. I maggiori ostacoli, insomma sono da ricondurre alla diffusa frammentazione dei servizi sul territorio e nei diversi segmenti della filiera, allo stato precario delle infrastrutture, sia dal punto di vista della manutenzione che della interconnessione sul territorio e alla dimensione gestionale insufficiente. L’esito di queste esperienze conferma l’esigenza di approcci pragmatici e coordinati fondati su politiche e strumenti adeguati alla specificità dei contesti settoriali, territoriali e industriali in cui si collocano. Sia i processi di integrazione orizzontale e verticale, sia le politiche di liberalizzazione, insomma, possono essere perseguiti anche mediante lo strumento normativo ma a condizione di evitare disposizioni meramente impositive bensì ricorrendo a misure di promozione e di incentivazione.

 

 

Una nuova impostazione

Come si vedrà l’approccio seguito recentemente dal Governo si fonda su questi presupposti e tende a privilegiare disposizioni volte ad orientare il comportamento degli enti locali e degli operatori tramite un mix di obblighi e sistemi di incentivi e sanzioni. Tale mutamento, del resto, è stata anche sollecitato dagli accadimenti succedutesi in questi anni. Ci si riferisce, in particolare, alle abrogazioni, dapprima dell’articolo 23-bis della legge 133/2008 a seguito del referendum del giugno 2011, poi dell’articolo 4 della legge 148/2011 per effetto della pronuncia di incostituzionalità della Corte. Ciò ha determinato una significativa correzione di rotta sul terreno della promozione della concorrenza, in particolare per il venire meno dei vincoli alla gestione pubblica che rendevano pressoché impercorribile l’affidamento in house. Dopo tali abrogazioni il quadro di riferimento normativo risulta costituito dall’insieme della disciplina europea e dalle norme settoriali in vigore a cui si aggiungerà, quando sarà recepita nel nostro ordinamento, la recente Direttiva europea sull’aggiudicazione dei contratti di concessione. Per le forme di affidamento riconducibili alla concorrenza (la gara per la gestione del servizio e la società mista con gara cosiddetta “a doppio oggetto”) l’applicazione della normativa europea non presenta particolari problemi. Per gli affidamenti diretti, invece, oltre all’osservanza dei requisiti dell’in house providing, occorre comunque conformarsi ai principi del Trattato, tenendo presente che esso, all’articolo 106, ammette la gestione diretta e quindi la sottrazione alla concorrenza solo quando il conseguimento di obblighi di servizio pubblico lo renda necessario.

L’approccio seguito dalla legislazione italiana è stato quello di coniugare il rispetto dei principi europei con l’esigenza di attenersi alla specificità dei contesti in cui essi devono applicarsi. Rileva, al riguardo, l’articolo 34 del d.l. 179/2012 (soprattutto a seguito di quanto disposto dalla Legge di Stabilità 2015 che si illustrerà in seguito)  il quale riconduce agli enti locali le decisioni relative alle modalità di gestione dei servizi sulla base di un’apposita relazione che dia conto non solo della conformità dell’affidamento alla disciplina europea, ma anche delle motivazioni della scelta gestionale in riferimento agli specifici obiettivi pubblici da conseguire e alle condizioni di efficienza ed economicità. Un approccio fondato su analoghi presupposti costituisce anche la base di riferimento delle misure contenute nell’articolo 3-bis del dl 138/2011 (anche esso, come si vedrà,  integrato e arricchito dalla legge di Stabilità 2015), orientate a promuovere e incentivare politiche di aggregazione e di liberalizzazione. Con riferimento al tema del superamento della frammentazione si prevede, in particolare,  che  le Regioni organizzino lo svolgimento dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica in ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei, di dimensione non inferiore al territorio provinciale, istituendo o designando enti di governo degli stessi e prevedendo, in caso di inerzia, l’esercizio di poteri sostitutivi da parte del Consiglio dei Ministri. Con riferimento alla promozione della concorrenza la norma stabilisce che l’affidamento tramite gara costituisca elemento di valutazione della virtuosità degli enti locali nell’applicazione del patto di stabilità interno e che nella distribuzione dei finanziamenti pubblici sia data priorità ai gestori selezionati tramite procedure ad evidenza pubblica; inoltre vengono poste ulteriori condizioni per il ricorso all’affidamento diretto a  società in house riguardo al loro assoggettamento a regole e vincoli per gli acquisti di beni e servizi, per il reclutamento del personale e per le politiche retributive e assunzionali. Con questi articoli, dunque, ci si è mossi nella direzione di definire percorsi di mutamento di assetti organizzativi, produttivi e di mercato mediante misure diverse volte a creare le condizioni di convenienza per  il conseguimento degli obiettivi di politica industriale e di liberalizzazione, inducendo in tal modo il comportamento dei protagonisti del sistema decisionale.

Un'altra importante novità che ha caratterizzato la politica dei servizi pubblici locali negli anni più recenti è il suo collegamento con la revisione della spesa pubblica e con la razionalizzazione delle partecipazioni pubbliche. Tale strategia, elaborata nell’ambito della Commissione presieduta dal Commissario straordinario per la revisione della spesa ed esplicitata nel “Programma di razionalizzazione delle partecipate locali”, si propone sostanzialmente di ridurre drasticamente il numero delle partecipazioni (da 8000 a 1000 secondo la suggestione del noto slogan del Governo), di aumentarne l’efficienza e di contenerne le spese. Senza entrare nel merito delle articolate analisi condotte in seno alla “Commissione Cottarelli” e contenute nel suddetto documento è sufficiente, ai nostri fini, mettere in evidenza che gli indirizzi prospettati vengono declinati in una duplice direzione: da un lato quelli relativi a partecipate pubbliche esercitanti servizi cosiddetti strumentali o funzioni pubbliche esternalizzate, dall’altro quelli riferiti a società di gestione di servizi pubblici. Per la prima categoria l’obiettivo, in estrema sintesi, è riconducibile alla riduzione del loro numero tramite dismissioni per i servizi strumentali e “reinternalizzazioni” in caso di esercizio esternalizzato di funzioni pubbliche. Per i servizi pubblici locali la finalità della riduzione del numero delle partecipate prevede politiche di superamento della frammentazione mediante aggregazioni gestionali.

 

La legge di stabilità 2014

Le disposizioni succedutesi nell’ultimo biennio, contenute nelle leggi di stabilità per il 2014 (Legge 147/2013) e per il 2015 (Legge 190/2014) hanno riguardato, per un verso misure generali riferite all’universo delle partecipate pubbliche, per altro verso norme distinte per le due suddette categorie di società.

Nelle misure previste nella legge di stabilità per il 2014, concernenti aziende speciali, istituzioni e società partecipate dalle Amministrazioni pubbliche (ad esclusione delle società emittenti strumenti finanziari quotati nei mercati regolamentati e loro controllate), si supera il tradizionale approccio fondato su divieti e sanzioni per seguirne prevalentemente uno alternativo imperniato su sistemi di disincentivazione rivolti agli enti locali. A conferma di ciò rileva l’abrogazione della norma (contenuta nell’articolo 14 del DL 78/2010) che vietava ai Comuni con popolazione inferiore ai 30.000 abitanti di detenere partecipazioni e imponeva a quelli con popolazione compresa tra i 30 e i 60 mila abitanti di detenerne non più di una (comma 561). Vengono inoltre abrogate (comma 562) le disposizioni contenute negli articoli 4 e 9 del DL 95/2012 (c.d. Spending Review)  in cui si prevedeva sia lo scioglimento o la vendita delle partecipazioni nelle società strumentali (articolo 4), sia l’obbligo per Regioni ed enti locali di sopprimere o accorpare enti, agenzie e organismi che esercitassero anche in via strumentale le funzioni fondamentali individuate dalla Costituzione o funzioni amministrative spettanti ai Comuni (articolo 9). Contemporaneamente (al comma 569) viene opportunamente ribadito e reso cogente il precetto di cui all’articolo 3 della Legge 244/2007 (Finanziaria 2008) secondo il quale le Amministrazioni pubbliche non possono costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi (esclusi i servizi di interesse generale) non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali. Si rammenta, al riguardo, che resta anche in vigore l’articolo 13 del DL  223/2006 (c.d. Decreto Bersani) che, al fine di evitare distorsioni della concorrenza, impone alle società partecipate pubbliche esercenti servizi strumentali di operare esclusivamente con gli enti affidanti; ad esse quindi si inibisce lo svolgimento di prestazioni a favore di altri soggetti e la partecipazione ad altre società o enti prevedendo che in questi casi le società in questione cessino o cedano le attività non consentite tramite procedure ad evidenza pubblica o le scorporino costituendo società separate.

Le misure di mero divieto e obbligo vengono in larga parte sostituite da disposizioni di disincentivazione e di resposabilizzazione rivolte direttamente agli Enti locali. In particolare ci si riferisce a quella contenuta nel comma 551 (riguardante l’intero arcipelago delle partecipazioni), in cui si prevede che per le partecipate che presentano un risultato di esercizio o saldo finanziario negativo le Amministrazioni partecipanti accantonino pro quota  un importo pari al valore delle perdite non immediatamente ripianate, da conferire ad un apposito fondo vincolato e recuperabile esclusivamente al ricorrere di definite condizioni (ripianamento delle perdite, dismissione della partecipazione o liquidazione della società). Nella medesima norma (comma 552) viene indicato il percorso di applicazione degli  accantonamenti che inizierà a partire dal 2015 e avrà un andamento crescente (in termine di percentuale di perdita da accantonare) per entrare a regime nel 2017.

Per i soggetti partecipati in via maggioritaria dalle pubbliche Amministrazioni locali la norma in esame (comma 553) stabilisce che essi debbano concorrere alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica perseguendo una sana gestione secondo criteri di economicità ed efficienza. A tal fine per i servizi strumentali i parametri standard di riferimento sono costituiti dai prezzi di mercato, mentre per i servizi pubblici locali si dovrà fare ricorso a indicatori di costo e di rendimento costruiti nell’ambito della banca dati delle Amministrazioni pubbliche.

Dal punto di vista delle sanzioni rivolte a società cronicamente deficitarie rilevano le misure previste dai commi 554 e 555. Nel primo è fatto obbligo ai soggetti titolari di affidamenti diretti di procedere alla riduzione del 30%  dei compensi degli amministratori in caso di risultato economico negativo nei tre esercizi precedenti, stabilendo anche che una perdita per due anni consecutivi costituisca giusta causa per la revoca degli amministratori; nel secondo si dispone che, a decorrere dall’esercizio 2017, in caso di risultati negativi in quattro dei cinque esercizi precedenti, le società (diverse da quelle che svolgono servizi pubblici locali) vengano poste in liquidazione entro sei mesi dall’approvazione dell’ultimo bilancio di esercizio, pena la nullità dei successivi atti di gestione e la responsabilità erariale dei soci.

 

Le disposizioni in materia di personale

La legge di stabilità 2014 comprende anche importanti disposizioni in materia di personale, sia relative ad assunzioni e retribuzioni (commi 557-560), sia alla mobilità tra le società controllate dalla pubblica Amministrazione (commi 563-568).

Nel primo gruppo di disposizioni, concernenti assunzioni e retribuzioni, rileva in particolare la modifica del comma 2-bis dell’articolo 18 del DL 112/2008 la cui lettura aveva dato adito a interpretazioni divergenti soprattutto in merito alla sua applicazione alle società di servizio pubblico locale. Nel comma 557 viene opportunamente operata una distinzione tra due categorie di soggetti:

  • da una parte quelli ai quali si applicano in via diretta sia le disposizioni che stabiliscono a carico delle Amministrazioni divieti o limitazioni alle assunzioni di personale in relazione al regime previsto per l’Amministrazione controllante, sia le disposizioni che pongono alle rispettive Amministrazioni obblighi al contenimento degli oneri contrattuali e delle altre voci di natura retributiva;
  • dall’altra parte i soggetti esclusi dall’applicazione diretta dei vincoli previsti per le pubbliche Amministrazioni, identificati nelle società che gestiscono servizi pubblici locali di rilevanza economica. Per tali soggetti spetta al competente ente di riferimento, nell’esercizio delle sue funzioni di indirizzo e controllo, stabilire modalità e applicazione dei citati vincoli assunzionali e retributivi da adottarsi poi con provvedimento della società interessata.

Successivamente, con l’articolo 3, comma 5-quinques del DL 90/2014, questa disciplina è stata resa ulteriormente meno rigida prevedendo che le aziende speciali, le istituzioni e le società a partecipazione pubblica totale o di controllo, a prescindere dai servizi svolti, si attengano al principio della riduzione dei costi del personale attraverso il contenimento degli oneri contrattuali e delle assunzioni. A tal fine compete ad un atto di indirizzo dell’ente controllante definire i criteri e le modalità di attuazione di questo principio e ai gestori suddetti adottare tali indirizzi con propri provvedimenti.

Per quanto riguarda le disposizioni concernenti le procedure di mobilità del personale tra le società controllate dalla pubblica Amministrazione (con esclusione delle società emittenti strumenti finanziari quotati nei mercati regolamentati e loro controllate), contenute nei commi da 563 a 568, i punti principali possono essere così sintetizzati:

  • le società controllate da un medesimo ente possono accordarsi al fine di attivare processi di mobilità del personale, senza necessità del consenso del lavoratore, ma solo previa informativa  alle OO.SS firmatarie il contratto collettivo applicato; in questi processi è preclusa la mobilità tra le società e la pubblica Amministrazione;
  • al ricorrere di esigenze di riorganizzazione dei servizi esternalizzati, di razionalizzazione delle spese e di risanamento economico-finanziario secondo appositi piani industriali, la pubblica Amministrazione controllante adotta atti di indirizzo volti a favorire l’acquisizione di risorse umane tramite la mobilità tra società prima di avviare procedure di reclutamento di personale;
  • in presenza delle esigenze di cui al punto precedente o in caso di incidenza delle spese di personale al di sopra del 50% della spesa corrente, le società, che contestualmente rilevino eccedenze di personale, debbono comunicare alle rappresentanze sindacali, alle OO.SS firmatarie il contratto collettivo e al Dipartimento della Funzione Pubblica i dati principali inerenti il personale in esubero; l’ente controllante procede entro dieci giorni alla riallocazione, per quanto possibile, del personale oggetto dell’informativa;
  • al fine di favorire queste forme di mobilità le società cedenti possono corrispondere a quelle cessionarie il 30% del trattamento economico del personale trasferito per un massimo di tre anni; dette somme non sono assoggettate alle imposte sul reddito delle società e all’IRAP.

 

La legge di stabilità 2015

Un’impostazione largamente analoga è stata seguita nella Legge di stabilità per il 2015. Anche in questo caso si è operata una netta distinzione tra norme relative alla riorganizzazione e alla riduzione delle partecipazioni pubbliche e misure volte specificamente alla promozione delle aggregazioni organizzative e gestionali dei servizi pubblici locali di rilevanza economica.

La prima categoria di disposizioni (commi 611-614) presenta prevalentemente natura di indirizzo politico, largamente mutuato dal “Programma di razionalizzazione delle partecipate locali” elaborato in seno alla “Commissione Cottarelli”. Rileva in particolare quanto contenuto nel comma 611 in cui si prevede l’attivazione da parte delle pubbliche Amministrazioni locali (segnatamente Regioni, Province autonome di Trento e Bolzano, Enti locali, Camere di commercio, Università e Autorità portuali), a partire dall’1/1/2015,  di un processo di razionalizzazione delle partecipazioni che porti a una riduzione delle stesse entro il 31/12/2015. Lo stesso comma indica anche i criteri generali a cui tale processo dovrà attenersi:

  • eliminazione (anche tramite liquidazione o cessione) delle partecipazioni non indispensabili ai fini istituzionali; al riguardo il comma fa esplicito riferimento all’articolo 3 della Legge finanziaria 2008 (illustrato precedentemente) che vieta la costituzione e il mantenimento  di partecipazioni non strettamente necessarie al perseguimento delle finalità istituzionali; si precisa che per il combinato disposto di quest’ultimo articolo con il comma 569 della Legge di stabilità 2014 il termine ultimo per la dismissione delle partecipazioni non conformi è fissato al 31/12/2014;
  • soppressione delle società composte di soli amministratori o in cui il numero degli amministratori supera quello dei dipendenti;
  • eliminazione delle partecipazioni esercitanti attività analoghe ad altre partecipate;
  • aggregazione di società di gestione di servizi pubblici locali a rilevanza economica;
  • contenimento dei costi di funzionamento, anche tramite la riorganizzazione delle strutture o degli organi di controllo, nonché mediante la riduzione delle remunerazioni.

Al fine di definire il suddetto processo la norma (comma 612) prescrive alle Amministrazioni di approvare entro il 31/3/2015 un piano operativo di razionalizzazione recante un cronoprogramma attuativo e il dettaglio dei risparmi da conseguire; l’anno successivo, entro il 31/3/2016, dovrà essere predisposta una relazione contenente i risultati conseguiti; entrambi i documenti, oltre ad essere pubblicati nel sito internet delle Amministrazioni interessate, dovranno essere trasmessi alle competenti sezioni regionali della Corte dei Conti.

Si sottolinea che nella norma (comma 614) è anche previsto che alle operazioni di attuazione dei piani di razionalizzazione si adotteranno le misure relative alla mobilità del personale contenute nella Legge di stabilità 2014 (su cui ci si è precedentemente soffermati), che tali operazioni saranno esenti da imposizione fiscale (esclusa IVA) e che le imposte di registro, ipotecarie e catastali  saranno applicate in misura fissa.

Occorre rilevare che le disposizione in esame non recano indirizzi specifici circa la riduzione del numero delle partecipate o il contenimento delle spese, né in esse si prevedono sanzioni in caso di inadempimenti al piano di razionalizzazione o alla riduzione delle spese in esso prevista. Tuttavia l’invio obbligatorio alla Corte dei Conti del piano di razionalizzazione e dei risultati conseguiti fa ritenere che ciò possa costituire un presupposto per eventuali giudizi di responsabilità amministrativo-contabile.

 

I servizi pubblici locali

Per quanto riguarda i servizi pubblici locali di rilevanza economica la Legge di stabilità per il 2015, ancor più di quella dello scorso anno, prevede una netta distinzione rispetto a quanto disposto per le partecipazioni esercenti servizi strumentali o funzioni pubbliche decentrate. Per questa categoria di servizi, infatti, si riconosce che il problema principale consiste nel superamento della frammentazione organizzativa e gestionale in base anche al presupposto che la stessa liberalizzazione dei mercati non può concretamente realizzarsi se non creando i necessari presupposti industriali e imprenditoriali. Le disposizioni, di conseguenza, sono largamente orientate a introdurre misure volte a favorire tali processi, sia mediante specifici obblighi rivolti a Regioni ed Enti locali, sia, soprattutto, tramite incentivazioni per Amministrazioni pubbliche e gestori.

Come si è precedentemente sottolineato le politiche di aggregazione della domanda e dell’offerta dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, sebbene previste dalla legge, stentano a decollare per le resistenze che si manifestano ai diversi livelli istituzionali. Rilevano, in particolare,  i ritardi e la non ottemperanza delle Regioni, degli Enti di governo degli ambiti e degli Enti locali alle norme che prevedono la perimetrazione degli ambiti territoriali ottimali (Regioni), l’istituzione degli Enti di governo degli ambiti (Regioni), l’adesione dei Comuni agli Enti di governo degli ambiti, gli affidamenti su scala d’ambito (Enti di governo degli ambiti). E’ evidente che il collegamento degli adempimenti da parte dei diversi enti è stretto e che dunque i ritardi si susseguono a catena. Uno degli ostacoli principali è costituito dalle resistenze dei Comuni  a superare l’attuale assetto costituito, ancora diffusamente in alcuni settori, da affidamenti diretti all’interno dei confini amministrativi dei Comuni  stessi. Non di rado questi affidamenti, prevalentemente quelli di piccole dimensioni, non sono neanche conformi alla disciplina europea sull’in house (ma in numerose circostanze anche a quella sul PPP). Al fine di superare questa impasse la norma in esame ha previsto una serie di misure (contenute nel comma 609) le quali modificano in più punti l’articolo 3-bis del DL 138/2011, precedentemente illustrato, che tratta appunto la materia degli ambiti territoriali e degli enti ad essi preposti.

Nello specifico nella lettera a) del citato comma si aggiunge all’articolo 3-bis (comma 1-bis) l’obbligo generalizzato per gli Enti locali di aderire agli Enti di governo degli ambiti prevedendo, in caso di mancata adesione al 1° marzo 2015 o entro sessanta giorni dall’istituzione o designazione dell’Ente d’ambito, l’esercizio di poteri sostitutivi da parte del Presidente della Regione, previa diffida ad adempiere. Come si è detto il superamento delle resistenze dei Comuni è una condizione necessaria ai fini della concreta operatività degli Enti di governo degli ambiti a cui la legge (lo stesso comma 1-bis dell’articolo 3-bis) assegna l’esercizio di funzioni di organizzazione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica, di scelta della forma di gestione, di determinazione delle tariffe all’utenza, di affidamento della gestione e relativo controllo. Al riguardo nel comma 609 si chiarisce anche che a tali enti, proprio in quanto titolari degli affidamenti su scala d’ambito, spetta la redazione della relazione la quale, ai sensi dell’articolo 34 del DL 179/2012, costituisce un atto prodromico all’affidamento del servizio e che le loro deliberazioni sono validamente assunte senza necessità di ulteriori deliberazioni da parte degli Enti locali.

Circa i contenuti della citata relazione la legge in esame introduce alcune rilevanti novità che ne chiariscono la portata e il ruolo. Al riguardo si stabilisce che essa, oltre a dare conto delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall’ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta e a definire i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e servizio universale e le relative eventuali compensazioni economiche, rechi le motivazioni relative alla scelta della forma di affidamento. Viene infatti stabilito che la relazione debba esplicitare le ragioni di tale scelta con riferimento agli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza ed economicità e di qualità del servizio. In effetti la portata di questa motivazione è da considerare in rapporto alla disciplina europea applicabile in materia. Tale disciplina, come è noto, prevede come modalità di affidamento sia la gara (compresa quella “a doppio oggetto” per la selezione del partner privato di una società mista), sia la gestione in house conforme ai requisiti per essa stabiliti. E’ tuttavia da ribadire, come si è precedentemente sottolineato, che l’articolo 106 del TFUE ammette l’affidamento diretto solo quando l’applicazione della concorrenza ostacoli la “speciale missione” dell’ente pubblico. In caso di scelta dell’in house, quindi, le relazioni dovrebbero esplicitare le condizioni del servizio e del mercato di riferimento che non rendono percorribile o conveniente il ricorso alla gara. Su questo punto si rammenta anche che, in base a quanto stabilito dall’articolo 13 comma 25-bis del DL 145/2013, gli enti affidanti, oltre ad essere tenuti a pubblicare le relazioni sul proprio sito internet  devono inviarle all’Osservatorio per i servizi pubblici locali, istituito presso il Ministero dello Sviluppo Economico, che provvederà a pubblicarle nel proprio portale telematico. Con ciò non solo si favorisce la trasparenza delle decisioni e delle motivazioni delle scelte degli Enti locali e la possibilità di eventuali ricorsi sul piano giurisdizionale, ma si creano i presupposti per confronti di benchmarking e  quindi per l’esercizio di una forma comparativa di concorrenza. L’Osservatorio, infatti, mette a disposizione degli enti locali e degli operatori una banca dati aggiornata recante non solo le norme europee, nazionali e regionali organizzate per settore e per materia, ma anche i dati economici tratti dai bilanci delle società operanti in questi settori suddivisi per cluster territoriali e dimensionali.

Con riferimento alla motivazione dell’efficienza e dell’economicità della scelta gestionale la norma  stabilisce che la relazione comprenda un piano economico-finanziario, asseverato da un soggetto abilitato, con la proiezione, per il periodo di durata dell’affidamento (aggiornata a cadenza triennale), dei costi e dei ricavi, nonché degli investimenti e dei relativi finanziamenti e con la specificazione, nell’ipotesi di affidamento in house, dell’assetto economico-patrimoniale della società, del capitale proprio investito e dell’ammontare dell’indebitamento. Al fine, poi, di responsabilizzare gli enti locali che optano per la gestione in house la norma stabilisce in capo agli Enti locali proprietari l’obbligo di accantonare, di triennio in triennio, una somma pari all’impegno finanziario corrispondente al capitale proprio come indicato nel piano economico-finanziario. Nell’ipotesi di in house, infine, i soggetti affidatari sono tenuti a redigere il bilancio consolidato.

Come si è anticipato la Legge di stabilità 2015, al fine di promuovere le aggregazioni, prevede una serie di incentivazioni (contenute nelle lettere da b) a d) del comma 609). Innanzitutto (nella lettera b) inserisce il comma 2-bis all’interno dell’articolo 3-bis nel quale si sancisce la possibilità di prosecuzione delle concessioni, assentite in conformità alla normativa europea, quando ad un operatore economico ne succede un altro a seguito di operazioni societarie (acquisizioni, fusioni, ecc.) effettuate con procedure trasparenti e fermo restando il rispetto dei criteri qualitativi stabiliti inizialmente. Tale disposizione, occorre precisare, è la trasposizione di norme presenti nell’ordinamento sovranazionale; infatti la possibilità di proseguire nella gestione è espressamente sancita dall’articolo 43 della Direttiva 2014/23/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione (rubricato “Modifica di contratti durante il periodo di validità”). L’ente affidatario è tenuto ad accertare la persistenza di detti requisiti qualitativi e inoltre dovrà verificare la permanenza delle condizioni di equilibrio economico-finanziario in modo da poter procedere, ove necessario, alla rideterminazione di tale equilibrio anche tramite l’aggiornamento del termine di scadenza di tutte o alcune delle concessioni in essere. Da sottolineare che quest’ultima decisione è rimessa alla valutazione di merito dell’Autorità di regolazione ove istituita o dell’Ente di governo dell’ambito.

Dal punto di vista delle incentivazioni finanziarie alle aggregazioni rilevano le lettere c) e d). Nella prima si prevede la possibilità di attribuire finanziamenti pubblici esclusivamente agli Enti di governo degli ambiti territoriali o ai relativi gestori, in luogo dei singoli Enti locali, a condizione che tali risorse siano aggiuntive o a garanzia  dei piani di investimento approvati dagli Enti di governo degli ambiti. Tali risorse, inoltre è previsto vengano assegnate in via prioritaria a gestori selezionati tramite gara ad evidenza pubblica o per i quali sia stata comunque attestata l’efficienza gestionale e la qualità del servizio e a quelli che abbiano deliberato operazioni di aggregazione. Nella lettera d) si introducono incentivi economici per gli Enti locali proprietari che procedano a dismissioni di partecipazioni, i quali potranno escludere dai vincoli del patto di stabilità interno le spese di investimento finanziate con i proventi delle dismissioni.

 

La sistematizzazione del quadro normativo

Il complesso sforzo qui condotto per presentare in forma organica e conseguente le più recenti norme relative alle partecipazioni pubbliche e ai servizi pubblici locali è l’evidente dimostrazione della situazione normativa che caratterizza queste materie: da un lato un’estesa mole  di disposizioni succedutesi nel tempo in modo quasi sempre non coordinato e con frequenti sovrapposizioni, dall’altro la diffusa presenza di norme desuete e non esplicitamente abrogate. In entrambe le materie si pone il problema di una sistematizzazione tale da rendere le norme intellegibili e più agevolmente applicabili. Il problema, poi, è divenuto ancora più complesso e, nel medesimo tempo, più urgente per effetto sia del crescente peso della disciplina europea, sia dell’intreccio tra disposizioni generali e settoriali, sia della coesistenza di leggi nazionali e regionali con evidenti ricadute sul terreno della legittimità costituzionale. L’incertezza normativa che ne deriva ostacola i processi di cambiamento in corso rendendone più arduo, lungo e macchinoso l’iter  e richiama l’esigenza, non più a lungo procrastinabile, di riorganizzare in modo ordinato e sistematico queste materie. E’ dunque da ritenere della massima importanza la delega al Governo, contenuta nel Disegno di legge 1577 concernente la riorganizzazione delle Amministrazioni pubbliche, per predisporre specifici testi unici, uno relativo al “Riordino della disciplina delle partecipazioni societarie delle pubbliche amministrazioni” (articolo 14), l’altro concernente il “Riordino della disciplina dei servizi di interesse economico generale di ambito locale” (articolo 15). La condizione necessaria per l’efficacia di dette disposizioni è che esse non costituiscano un ennesimo tentativo di riforma organica di queste materie dopo le già innumerevoli esperienze di questi anni (in particolare nei servizi pubblici locali) ma esercitino la funzione di riprodurre in forma coerente e organica le numerose misure contenute in norme diverse succedutesi negli anni abrogando esplicitamente quelle non più attuali e colmando eventuali vuoti.

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