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L’ambito dell’evidenza pubblica nelle concessioni autostradali: i servizi di ristorazione e commerciali (nota a margine dell’ordinanza n. 1543 del 21 gennaio 2019 delle sez. Unite Civili della Corte di Cassazione)
di Maurizio LUCCA 20 gennaio 2019
Materia: concessioni / giurisdizione e competenza

L’ambito dell’evidenza pubblica nelle concessioni autostradali: i servizi di ristorazione e commerciali (nota a margine dell’ordinanza n. 1543 del 21 gennaio 2019 delle sez. Unite Civili della Corte di Cassazione)

(Avv. Maurizio LUCCA, Segretario Generale Amministrazioni Locali e Manager di rete)

 

1. Inquadramento generale. 2. Beni in concessione. 3. I servizi non oil. 4. Considerazioni minime.

 

1. Inquadramento generale

In generale, le concessioni sono uno strumento autoritativo particolarmente adatto per soddisfare l’esigenza di “governo” di determinati interessi pubblici (concessione di un bene, cittadinanza, status), distinguendosi dalle autorizzazioni che sono considerate come rimozioni di un limite posto dall’ordinamento al libero esercizio di un diritto, ovvero di un potere preesistente in capo al soggetto richiedente del provvedimento (permessi, nulla osta, licenze, patenti, abilitazioni).

L’autorizzazione costituisce, pertanto, non solo una rimozione di un limite, ma l’eliminazione di un divieto posto dall’ordinamento all’esercizio di un’attività generalmente vietata, segnando la sostanziale differenza dalle concessioni che costituiscono la manifestazione di una volontà pubblica (autoritativa provvedimentale) con la quale si attribuisce un nuovo diritto, di cui il soggetto destinatario non era titolare prima dell’emanazione dell’atto concessorio.

La concessione di questo nuovo diritto (di sfruttamento di un bene o di un servizio pubblico) si ricollega al potere pubblico di esclusiva spettanza dell’Amministrazione agente, titolare della cura di un determinato interesse pubblico, attraverso il quale viene esercitato un potere pubblico da parte di un soggetto terzo: il concessionario.

In tutte le concessioni, si può lecitamente sostenere, vi sono due fasi procedimentali:

¾                un momento traslativo, con la verifica dell’interesse e determinazione del potere;

¾                un momento costitutivo, con la disciplina sulle modalità di esercizio della concessione mediante il contratto di servizio[1].

Va annotato, quindi, che la concessione della gestione dei servizi pubblici, sia di rilevanza economica che privi di rilevanza economica, necessitano di un contratto di servizio in grado di rispondere alle esigenze dell’Amministrazione pubblica in termini di qualità di servizio erogato, di prestazioni da rendere all’utenza, di investimenti programmati nel perseguimento dell’interesse pubblico, insito in un’attività proiettata a garantire i bisogni generali e collettivi: una regola attinente alla realizzazione di un servizio destinato ad una universalità di soggetti, tipica espressione del servizio pubblico in ambito comunitario[2].

È ben noto che i servizi pubblici (locali) sono quelli aventi per oggetto produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali, fondandosi su due elementi:

¾                la preordinazione dell’attività a soddisfare in modo diretto esigenze proprie di una platea indifferenziata di utenti;

¾                la sottoposizione del gestore ad una serie di obblighi, tra i quali quelli di esercizio e tariffari, volti a conformare l’espletamento dell’attività a regole di continuità, regolarità, capacità tecnico- professionale e qualità[3].

Ne discende che il rapporto tra il soggetto affidatario del servizio e l’Amministrazione concedente viene a conformarsi all’interno del negozio contrattuale (concessione–contratto)[4], stabilendo una serie di condizioni e clausole contrattuali in grado di governare il rapporto per tutta la durata dello stesso ed in base ai risultati attesi e perseguiti, rilevando che qualora l’affidamento non integri un grado di concorrenza e trasparenza vi è una lesione dei principi costituzionalmente tutelati dagli artt. 41 e 97 (e dalla legge n. 241 del 1990), realizzando un il c.d. “danno alla concorrenza[5].

In effetti, un simile confronto, del resto si rende necessario aderendo ai basilari principi in materia di concorrenza e libera prestazione dei servizi, di cui agli artt. 81 e ss. e 49 e ss. del Trattato CE, che si impongono al rispetto degli Stati membri, indipendentemente dall’ammontare delle commesse pubbliche: le Direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, annoverano tra i principi fondamentali dei contratti pubblici anche il “principio concorrenza”, ed è evidente che ogni accertamento di “convenienza”, sotto il profilo pubblicistico, deve necessariamente avvenire in un sistema di negoziazione concorrenziale[6].

Si osserva, allora, che l’affidamento del servizio pubblico deve avvenire attraverso il contratto di servizio, ancorché esuli dallo schema giuridico della concessione vera e propria, dovendo formalizzarsi, come detto, in un affidamento mediante un provvedimento amministrativo che manifesti e consacri la volontà della P.A. di avvalersi, in concreto, di quel peculiare modulo di gestione (società, consorzio, azienda speciale, istituzione) e di assegnare la titolarità del servizio pubblico al gestore, precisandone i termini e l’oggetto dell’affidamento che, in caso contrario, resterebbero indefiniti ove si accedesse alla tesi che la gestione del servizio consegue automaticamente all’eventuale costituzione di un modello gestionale e che non vi è bisogno di un atto che ne costituisca il titolo[7].

Il contratto di servizio rappresenta, dunque, il documento nel quale sono definiti i rapporti tra la proprietà e il gestore, contenente tutte le norme indicate dalla singola disciplina di settore, ben potendo aggiungere condizioni integrative a favore dell’Amministrazione appaltante per assicurare un servizio in condizioni ottimali, per ogni singolo bacino d’utenza, compresa la facoltà di inserire servizi aggiuntivi rispetto al servizio principale.

Si comprende, nella sua essenzialità e per quanto interessa, che l’affidamento del servizio in concessione di autostrade dovrà seguire una procedura concorrenziale, trovare le modulazioni all’interno del contratto di servizio, anche con riferimento a tutte le aree demaniali affidate, anche per quelle non destinate al traffico (fornitura carburante, sosta e ristorazione), con le precisazioni che seguono.

È rilevante, conseguentemente, il sistema di affidamento diretto o attraverso selezione competitiva, non tralasciando che qualora le autorità pubbliche intendano assegnare una concessione che non rientra nell’ambito di applicazione delle direttive relative alle diverse categorie di appalti pubblici, sono tenute a rispettare le regole fondamentali del Trattato FUE, in generale, e il principio di non discriminazione, in particolare, specie quando il bene sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili[8].

 

2. Beni in concessione

Appare utile, altresì, precisare la distinzione tra bene demaniale (ex art. 822 c.c.), bene del patrimonio indisponibile e disponibile con riferimento alla gestione e al ricorso allo strumento della concessione amministrativa o del contratto di locazione, secondo distinte regole del diritto pubblico o comune.

I beni demaniali e quelli appartenenti al patrimonio indisponibile sono caratterizzati da un nesso inscindibile con la finalità pubblica, non potendo essere sottratti alla loro destinazione pubblica che ne caratterizza la regolamentazione a matrice pubblicistica (ex artt. 823 e 828 c.c.); mentre i beni appartenenti al patrimonio disponibile (non finalizzati ad un’utilità pubblica) sono strumentali ad assolvere il fine pubblico in modo indiretto, attraverso la loro utilizzabilità a scopi economici (c.d. reddittività), secondo le regole del diritto privato.

La gestione, in relazione alla natura giuridica del bene, si distingue (poi) per lo strumento giuridico pubblicistico della concessione (per i beni demaniali o del patrimonio indisponibile) o privatistico della locazione (per i beni del patrimonio disponibile, fattispecie tipica di negozio di godimento di un bene per un dato periodo di tempo)[9], ferma restando la procedura ad evidenza pubblica per l’assegnazione[10].

A completamento, inoltre, si può affermare che le “concessione autostradali”, così come tutte le concessioni amministrative di affidamento dei servizi pubblici[11], dovrebbero essere soggette alle regole della trasparenza e del perseguimento dell’interesse pubblico, dove dovrebbe prevalere la qualità del servizio, in cui rientra principalmente la sicurezza dalle insidie (ex art. 2051 c.c.), le logiche di investimento degli utili sul miglioramento del servizio concessionato, più che una logica utilitaristica del profitto privato, anche se è pur sempre lecito.

Gli atti concessori (o contratti di servizio) dovrebbero trattare e contenere clausole negoziali chiare sugli obblighi di sicurezza stradale, sugli obblighi di manutenzione, sugli obblighi di investimento rapportati alle tariffe riscosse, sulle penali da applicare in caso di ritardo o di inadempimento, sui casi di risoluzione o recesso immediato (ad libitum o ad nutum) in presenza di fatti gravi che minano le relazioni, prima che economiche e sociali, quelle ordinarie di correttezza e buona fede, in ambito civilistico (ex artt. 1175 e 1375 c.c.), quelle di buona amministrazione (ex art. 97 Cost.) in ambito pubblico, sempre assicurando il contraddittorio e il giusto procedimento, nonché la trasparenza informativa verso gli utenti finali.

Le concessioni autostradali rientrano in un modo di gestione dei beni pubblici, ai sensi del secondo comma dell’art. 822 c.c. (che recita «le autostrade sono aree ad uso pubblico destinate alla circolazione dei pedoni, dei veicoli e degli animali»)[12], affidato a terzi rispetto alla gestione diretta dello Stato, che deve sempre sottostare alla finalizzazione dell’interesse generale (quello pubblico), ovvero il perseguimento del bene della vita che si appresta ad essere considerato in funzione del benessere collettivo.

La concorrenza, insita nell’assegnazione delle tratte autostradali, dovrà dimostrare un risparmio sui costi del servizio e allo stesso tempo aumenti della qualità degli stessi, in una visione democratica (o etica) rispettosa del patrimonio pubblico e dell’interesse collettivo, evitando «la commistione/confusione fra cariche pubbliche e interessi privati nonché l’uso delle prime per proteggere e promuovere i secondi»[13].

L’asimmetria informativa tra l’Autorità pubblica e cliente (utente, se si considera in un’ottica di “servizio pubblico”) finale è solo un indice di questa sfasatura, la prospettiva europea spinge a incrementare l’efficienza e l’offerta di servizi pubblici a prezzi competitivi piuttosto che la creazione di spazi di indeterminata autonomia, funzionali non all’erogazione del servizio ma alla creazione di un plus valore direttamente collegato ad aumenti tariffari senza un corrispondente aumento della qualità del servizio: il contratto di servizio, conseguentemente, riveste un ruolo primario sul bilanciamento dell’interesse pubblico e quello privato.

La concorrenza, potenzialmente assicurabile con l’evidenza pubblica, è divenuta sinonimo di liberalizzazione e privatizzazione del “Sistema Paese”, per riformulare gli obiettivi strategici della politica non solo industriale ma organizzativa dell’apparato pubblico, nei suoi diversi ambiti istituzionali, per uno sviluppo sostenibile (durevole), per una Amministrazione pubblica sempre più orientata ad erogare servizi e prodotti più che a produrre atti e provvedimenti per rimanere in Europa.

Le liberalizzazioni e le privatizzazioni hanno portato, sin dai primi anni novanta, a riformulare la disciplina dei servizi pubblici per separare la proprietà delle reti e delle infrastrutture dalla gestione, per affidare i servizi in concorrenza e con procedure aperte (ictu oculi con gara): qualora emergessero margini di deroga all’evidenza pubblica, si potrebbe ingenerare il convincimento di situazioni patologiche (fuori norma) che oblitererebbero i principi di legalità e del giusto procedimento[14].

 

3. I servizi non oil

Ciò posto, le sez. Unite Civili della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 1543 del 21 gennaio 2019, intervengono per distinguere il rapporto tra affidamento mediante gara della gestione del servizio autostradale (concessionato con gara) e la gestione delle aree demaniali (servizio ristorazione e commerciali), non inserite all’interno del rapporto concessionato, donde non soggette agli obblighi di evidenza pubblica.

Nel caso esaminato, si affronta l’affidamento diretto, da parte dell’amministratore delegato di una società concessionaria di un tratto di autostrada[15], di un contratto di gestione del “servizio di ristoro ed attività commerciali connesse” (i c.d. non oil, per distinguerli da quelli di gestione del servizio di distribuzione di prodotti carbolubrificanti e attività collaterali, c.d. oil) nell’area di servizio, collocata sul tracciato autostradale.

La Corte richiama immediatamente i precedenti[16], affermando che i servizi di natura commerciale svolti in area demaniale trovano origine in un rapporto derivato fra il concessionario e il terzo, cui l’Amministrazione concedente sia rimasta estranea e che risultino privi di collegamento con l’atto autoritativo concessorio, che ne costituisce un mero presupposto, non soggiacciono alle regole del procedimento ad evidenza pubblica, ma si risolvono in contratti di diritto privato, devoluti alla giurisdizione ordinaria civile.

In termini diversi, l’assegnazione di spazi (sia pure aree demaniali) al di fuori del rapporto concessorio non rientrano nella disciplina pubblicistica: l’affidamento è libero.

L’approdo inevitabile non trova fondamento nel rapporto tra la P.A. concedente ed il concessionario del pubblico servizio, ma in un rapporto fra privati fondato su specifiche e distinte pattuizioni negoziali, che esulano dal contratto di servizio.

Si comprende che quando viene meno l’esercizio dell’auctoritas i rapporti devono essere valutati alla stregua dell’esercizio del potere negoziale civilistico, tra parti in un piano di parità e non soggezione (alias contratti di diritto privato), con la connessa devoluzione di ogni controversia al giudice ordinario, non essendo l’autorità giurisdizionale chiamata a valutare l’esercizio del potere autoritativo della P.A.[17].

Diversamente, qualora i beni siano trasferiti nella disponibilità di privati perchè ne facciano determinati usi mediante concessione amministrativa, che costituisce il solo strumento con cui tale trasferimento può essere realizzato, restano devolute al giudice amministrativo le controversie connesse al rapporto concessorio, per tali dovendosi intendere anche quelle nelle quali siano in contestazione i limiti delle facoltà da riconoscersi alle parti in base all’atto di concessione[18].

Il gestore delle autostrade potrà liberamente disporre degli spazi demaniali in concessione, affidando i servizi c.d. non oil, secondo le regole del mercato, senza ricorrere ad una procedura di gara, ma direttamente secondo logiche e strategie d’impresa.

Per le società concessionarie autostradali, in particolare, ai sensi dell’art. 11, commi 5 (nel testo applicabile ratione temporis, poi abrogato e sostituito) e 5 bis, della Legge 23 dicembre 1992, n. 498, la soggezione alla disciplina dei contratti pubblici è circoscritta all’affidamento a terzi di lavori, sicché per l’affidamento della gestione dei servizi resi nelle aree di servizio non sono tenute a seguire le procedure ad evidenza pubblica.

 

4. Considerazioni minime

Dal quadro di lettura, si potrebbe argomentare, secondo le indicazioni ANAC, di cui alle Linee Guida approvate con determinazione n. 1134/2017, che il soggetto pubblico concedente possa stabilire, in sede di concessione, delle indicazioni cogenti sulle modalità di gestione dei servizi strumentali alla gestione delle vie di traffico, non potendo non rilevare che gli spazi di ristoro e di merchandising presentano un’utilità indiretta, economicamente valutabile o suscettibile di quantificazione, parametro rilevante sulla qualità del servizio pubblico erogabile (la tratta autostradale) e sul precipitato canone concessorio.

Non va dimenticato che il canone d’uso per utilizzo delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali, ovvero per la determinazione del prezzo o valore del contratto di servizio è connesso intimamente (e direttamente) con il potere del concessionario di stabilire i piani tariffari e degli investimenti: il sistema tariffario a carico dell’utenza e le metodologie di variazione e/o integrazione sono determinate dai parametri di servizio erogati.

Inoltre, per completezza espositiva, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale (conforme peraltro al paradigma comunitario di riferimento) la concessione si caratterizza quando l’operatore assume in concreto i rischi economici della gestione del servizio, rifacendosi essenzialmente sull’utenza per mezzo della riscossione di un qualsiasi tipo di canone o tariffa o diritto, mentre si ha appalto quando l’onere del servizio stesso viene a gravare sostanzialmente sull’Amministrazione, confermando la centralità del contratto di servizio per la determinazione della tariffa: nella concessione di servizi s’instaura un rapporto trilaterale, tra l’Amministrazione, il concessionario e gli utenti finali, gravando il costo del servizio su questi ultimi[19].

È incontestabile, quindi, che nel servizio autostradale con il pagamento di un biglietto di ingresso si possa percorrere un tratto viario, e durante il viaggio non è infrequente sostare per una serie di esigenze, anche collegate alla sicurezza (anzi è un obbligo, in certi casi), pensare che i servizi di ristorazione e delle attività commerciali connesse non siano funzionali alla viabilità/trasporto appare alquanto imprescindibile: nell’affidamento della concessione, oltre a garantire la sicurezza delle infrastrutture stradali, vanno valutati anche questi servizi, e i connessi introiti per stabilire equamente un canone concessorio (al di là dell’affidamento concreto).

A ben vedere, tuttavia, se gli investimenti in sicurezza (anche dei ponti) rientrano nei contratti di servizio collegati al canone concessorio e alle tariffe autostradali, la gestione dei servizi “non oil” sono liberi, esulano dal contratto di servizio - come indicato nella sentenza - pur definendo gli standard di qualità per l’utenza finale.

Il tutto giustificabile (sembra di comprendere) per il fattore di rischio traslato nel concessionario, anche se l’affidamento della concessione avviene con gara, mentre i servizi in discussione (che pure hanno un utilitas economica e decor) non seguono il medesimo trattamento (migliore offerente, esulando dal perimetro dell’evidenza pubblica).



[1] Cfr. l’art. 3 «Definizioni», comma 1, lettera vv), «concessione di servizi», del D.Lgs. n. 50/2016, ove si definisce la concessione di servizi un «contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto in virtù del quale una o più stazioni appaltanti affidano a uno o più operatori economici la fornitura e la gestione di servizi diversi dall'esecuzione di lavori… riconoscendo a titolo di corrispettivo unicamente il diritto di gestire i servizi oggetto del contratto o tale diritto accompagnato da un prezzo, con assunzione in capo al concessionario del rischio operativo legato alla gestione dei servizi».

[2] Cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 30 gennaio 2014, n. 7. Vedi, anche, l’art. 2 «Definizioni», comma 1, lettera h) e i) del D.Lgs. n. 175/2016, «Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica».

[3] Cons. Stato, sez. VI, 22 novembre 2013, n. 5532.

[4] Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 3 dicembre 2015. n. 5492, ove si chiarisce che le concessioni-contratto non ricadono in modo immediato, e tanto meno integrale, nell’ambito di applicazione delle disposizioni del codice civile, le quali, se possono certamente trovare applicazione in quanto applicabili ovvero se espressamente richiamate, tuttavia non costituiscono la disciplina ordinaria di tali convenzioni, ai sensi dell’art. 11 della Legge n. 241/1990, con conseguente necessità di adattamento, nella immanente presenza dell’esercizio di potestà pubbliche e nelle finalità di pubblico interesse cui le stesse sono teleologicamente orientate, Cons. Stato, sez. V, 5 dicembre 2013, n. 5786.

[5] Corte Conti, sez. giurisdiz. Abruzzo, 20 gennaio 2011, n. 23.

[6] Al riguardo la violazione della concorrenza è apprezzabile sia sotto il profilo soggettivo che per l’aspetto oggettivo; per il primo profilo, viene in rilievo la lesione arrecata ai possibili concorrenti nella medesima gara per l’acquisizione di quote di mercato, per la seconda accezione, emerge il danno all’Amministrazione committente per aver ignorato di applicare il principio della concorrenza nell’intrapresa attività contrattuale, Corte Conti, sez. giur. Umbria, sent. nn. 122/2009 e 256/2007.

[7] Cons. Stato, sez. V, 6 maggio 2003, n. 2380.

[8] Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sez. V, sentenza 14 luglio 2016, n. C-458/14.

[9] Il regime dei beni rileva anche sotto il profilo processuale: in materia di concessioni amministrative di beni pubblici, costituisce jus receptum il principio di diritto secondo cui l’art. 133, comma 1, lett. b), cod. proc. amm., nell’attribuire la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, fa espressamente salve le controversie aventi ad oggetto indennità, canoni od altri corrispettivi, che restano assoggettati al regime generale, a seconda che involgano diritti soggettivi a contenuto patrimoniale o l’esercizio di poteri discrezionali inerenti alla determinazione dei canoni od alla debenza del rimborso. Ne consegue che le controversie sull’an e sul quantum del canone come corrispettivo della concessione appartengono alla giurisdizione ordinaria, avendo ad oggetto diritti soggettivi a contenuto patrimoniale senza involgere la validità degli atti amministrativi che hanno condotto alla stipula della convenzione o regolano la stessa, Cass. Civ., sez Unite, ordinanza 31 dicembre 2018, n. 33688.

[10] Cfr. ANAC (ex AVCP), Deliberazione n. 75, Adunanza del 1° agosto 2012 e Delibera n. 48 del 17 giugno 2015, dove si è osservato che «la scelta di un concessionario o di un soggetto cui attribuire un diritto reale su un bene di proprietà comunale deve (…) avvenire nel rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento comunitario (articoli 43 e 49 trattato CE) e dei principi generali in materia di contratti pubblici che richiedono lo svolgimento di procedure di selezione del contraente». Vedi, anche, Cons. Stato, sez. V, 11 giugno 2018, n. 3588 e 14 giugno 2017, n. 2914; Cass. Civ., sez. Unite, 8 luglio 2015, n. 14185.

[11] Le società autostradali possono qualificarsi come un “organismo di diritto pubblico”, in quanto soggette alla direzione e coordinamento di altro organismo di diritto pubblico, Cons. Stato, sez. IV, 3 ottobre 2014, n. 4949.

[12] Cfr. l’art. 2, comma 1 del D.Lgs. n. 285/1992, c.d. Codice della strada.

[13] PASQUINO, La classe politica, Bologna, 1999, pag. 69.

[14] Cfr. LUCCA, Il paradosso degli affidamenti in house nei servizi pubblici locali, tra meccanismi di incompiuta liberalizzazione e incompatibilità comunitaria, LexItalia.it., 2004, n. 9.

[15] Cfr. Cons. Stato, sez. V, 26 luglio 2016, n. 3345, ove sono stati chiariti i contorni per l’inquadramento dell’«organismo di diritto pubblico», con riferimento alle autostrade, rilevando tale difetto quando il soggetto non persegue i propri obiettivi con “carattere non industriale o commerciale”, difettando del c.d. requisito “teleologico”; rilevando, altresì, che non è sufficiente che sia «istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale» quando opera con rischio d’impresa, Cons. Stato, sez. V, 30 gennaio 2013, n. 570. Vedi, anche, Cons. Stato, sez. V, 12 dicembre 2018, n. 7031; sez. I, parere 26 giugno 2018, n. 1645.

[16] Cass. Civ., sez. Unite, 27 febbraio 2017, n. 4884; con riguardo a spazi di ristorazione in aree aeroportuali, Cass. Civ., sez. Unite, sentenze nn. 7663/2016, 8623/2015, 9233/2002, 9288/2002.

[17] Cass. Civ., sentenze nn. 24875/2008,. 28549/2008; Cass. Civ., sez. Unite, 20 gennaio 2017, n. 1549.

[18] Cfr. Cass. Civ., sez Unite, ordinanze 9 agosto 2018, n. 20682; 24 luglio 2017, n. 18168 e 20 aprile 2015, n. 7959, da dove si ricava che rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo la controversia in cui si discuta su posizioni soggettive il cui riconoscimento postuli l’identificazione del contenuto del rapporto concessorio.

[19] Cons. Stato, sez. VI, 4 settembre 2012, n. 4682; sez. V, 9 settembre 2011, n. 5068 e 6 giugno 2011, n. 3377.

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