Le problematiche inerenti il rapporto tra l’Ente Locale socio e gli amministratori di una s.p.a. partecipata.
1. Riforma del diritto societario e revisione del ruolo dell’assemblea negli assetti societari.
Il necessario adeguamento degli statuti delle società partecipate degli Enti Locali in funzione di quanto previsto dal d.lgs. n. 6/2003 e dal d.lgs. n. 37/2004 (correttivo del primo) pone all’attenzione il delicatissimo tema delle modalità di regolazione dei rapporti tra le stesse ed i soci, particolarmente nelle s.p.a., alla luce del ruolo largamente ridimensionato dell'assemblea a favore del consiglio di amministrazione (dato chiaramente desumibile negli elementi dettati dalla riforma del diritto societario).
Si pone come presupposto la considerazione della sede assembleare come naturale ambito di confronto tra i soci e l’organismo giuridico di cui essi detengono azioni, in varia misura.
Risulta di tutta evidenza, nel disegno prodotto dal legislatore delegato, il ridimensionamento dei poteri di gestione in precedenza attribuiti all’assemblea, con ampliamento netto, invece, delle competenze degli amministratori delle società, posta la definizione indubbia dell’art. 2380-bis cod. civ., il quale sancisce che la gestione dell'impresa spetta esclusivamente agli amministratori, i quali compiono le operazioni necessarie per l'attuazione dell'oggetto sociale.
Il quadro delle competenze assembleari varia, peraltro, a seconda del modello di “governance” prescelto (tradizionale e monistico con molti elementi comuni, dualistico con alcune peculiarità correlate al sistema di amministrazione).
Volendo comporre un’analisi accurata, è opportuno focalizzare l’attenzione sugli assetti riferibili alle s.p.a. con modello tradizionale, nelle quali l’assemblea (ordinaria) è deputata a (art. 2364 cod. civ.):
1) approvare il bilancio;
2) nominare e revocare gli amministratori; nominare i sindaci e il presidente del collegio sindacale e, quando previsto, il soggetto al quale è demandato il controllo contabile;
3) determinare il compenso degli amministratori e dei sindaci, se non è stabilito dallo statuto;
4) deliberare sulla responsabilità degli amministratori e dei sindaci;
5) deliberare sugli altri oggetti attribuiti dalla legge alla competenza dell'assemblea, nonché sulle autorizzazioni eventualmente richieste dallo statuto per il compimento di atti degli amministratori, ferma in ogni caso la responsabilità di questi per gli atti compiuti;
6) approvare l'eventuale regolamento dei lavori assembleari.
Il modulo delle competenze (*) (a numero chiuso, con un limitato margine di sviluppo ex punto 5) è configurato in modo completamente diverso dalla formulazione precedente dell’art. 2364, particolarmente con esclusione della “formula aperta” data al punto 4 di quella stessa disposizione, la quale ammetteva che questioni attinenti alla gestione della società fossero riservate, con norma statutaria, alla competenza dell’assemblea, determinando pertanto un sostanziale depauperamento degli spazi di autonomia del consiglio di amministrazione.
Non era infrequente rinvenire negli statuti di società per azioni partecipate da Enti Locali clausole statutarie che, facendo leva proprio sul contestato art. 2364 punto 4 cod.civ., riservavano all’assemblea ordinaria, tra gli oggetti attinenti alla gestione societaria, anche la fissazione degli indirizzi generali per la gestione della Società medesima e lo sviluppo dei servizi, ai quali il Consiglio di amministrazione si sarebbe dovuto attenere per il perseguimento delle finalità sociali.
Simili previsioni, in realtà, erano delineate al fine di “tradurre” nell’ambito della vita societaria gli “indirizzi da osservare da parte delle aziende pubbliche e degli enti dipendenti, sovvenzionati o sottoposti a vigilanza”, previsti tra gli atti fondamentali del Consiglio dell’Ente Locale dall’art. 42, comma 2, lett. g) del d.lgs. n. 267/2000 (TUEL) nel quale era confluita corrispondente norma dettata nell’art. 32 della legge n. 142/1990.
Si aveva, in sostanza, una linea di sviluppo delle strategie che partiva dall’organo assembleare del Comune o della Provincia, veniva ad essere trasposta nelle strategie della società partecipata dagli atti di “gestione” dell’assemblea societaria e quindi era tradotta in misure concrete.
La disposizione del TUEL permane nel quadro di riferimento dell’ordinamento delle Amministrazioni Locali, ma non vi sono più previsioni normative, nel diritto societario, che consentano la trasfusione “immediata” delle valutazioni di strategia dell’Ente Locale azionista nelle società partecipate.
2. Indirizzi, strategie e moduli di traduzione.
La norma dettata dall’art. 42, comma 2, lett. g) del d.lgs. n. 267/2000 mantiene, aldilà di ogni possibile considerazione nel confronto tra i sistemi in evoluzione, una sua valenza peculiare, quasi di norma di legge speciale, che permette al socio pubblico di definire la sua posizione “particolare” rispetto al soggetto societario “sviluppatore” di alcuni o molti suoi servizi.
Si tenga conto che un’Amministrazione Locale azionista di una s.p.a. avrà probabilmente definito con i patti parasociali (art. 2341-bis cod. civ.) anche elementi aventi per oggetto o per effetto l'esercizio anche congiunto di un'influenza dominante su tali società, con evidente presupponenza della sussistenza di intese forti con gli altri soci, in qualche modo determinanti per la vita dell’organismo societario.
Si hanno anche nel diritto societario, quindi, elementi illustrativi di linee di sviluppo potenziale della relazione tra azionista e s.p.a., non necessariamente e sempre secondo moduli perfettamente formalizzati, comunque in rispondenza ad esigenze di assicurazione della linea di soddisfazione delle attese dei soci.
Sul piano delle società partecipate dagli Enti Locali la questione assume contorni ancor più singolari.
E’ ben nota la giurisprudenza amministrativa che evidenzia le possibilità di scelta delle Amministrazioni in ordine alle forme di gestione di servizi pubblici locali (ma non solo, anche di servizi complementari esternalizzabili, secondo quanto prefigurato dall’art. 29 della legge n. 448/2001): tra queste rientrano ed ormai hanno diffusione amplissima le società di capitali.
E’ tuttavia necessario evidenziare come l’elemento determinante la costituzione della s.p.a. o della s.r.l. da parte di un Comune o di una Provincia sia individuabile nella soddisfazione di un bisogno “pubblico” (lo sviluppo delle attività o del servizio): tale elemento viene a caratterizzare il processo costitutivo (si pensi, per le società miste, all’obbligo di scelta del socio privato con procedura ad evidenza pubblica), l’oggetto sociale, le interazioni operative (si pensi alla necessaria formalizzazione delle stesse mediante un contratto di servizio) e, soprattutto, i percorsi di congiunzione amministrativa tra Ente Locale conferente e soggetto gestore potenziale.
Tale ultimo profilo ha sollecitato la giurisprudenza amministrativa a molteplici analisi (correlate a quelle prodotte dalla giurisprudenza comunitaria) in ordine al meccanismo del rapporto “in house”: di certo lo stesso non sarebbe possibile (rectius, non ne trarrebbe alcun vantaggio la parte conferente, non assumerebbe alcun favor la parte ricevente) se non si ammettesse de facto il peso straordinario del socio pubblico nella vita della società. Il primo, infatti, definisce, struttura ed alimenta il “core business” della seconda, con i servizi affidati.
La riforma del diritto societario ha connotato modelli di amministrazione della s.p.a. corrispondenti a situazioni nelle quali i soci azionisti investono nell’organismo, mentre gli amministratori dello stesso ne rendono l’attività redditiva in termini di massima soddisfazione (massimizzazione degli utili).
E’ di tutta evidenza l’impossibilità di replicare tale interazione nel raccordo tra socio pubblico e amministratori della partecipata, ammesso che i secondi sono chiamati a guidare l’organismo societario nella produzione e nell’erogazione di servizi pubblici locali o, al più, di servizi di “facilities” per il proprio referente principale.
E’ ipotizzabile, dunque, che gli indirizzi strategici definiti dal Consiglio per il servizio pubblico locale gestito dalla partecipata debbano trovare attenzione da questa:
a) nell’eleborazione e nello sviluppo delle strategie;
b) nella gestione.
La situazione (forse paradossale) conduce alla declinazione di linee di indirizzo da parte di un organo politico (ovviamente “ragionate”, rispetto a contesto e sue note di evoluzione), formalmente non trasponibili dall’assemblea dei soci, molto più probabilmente concretizzate dal consiglio di amministrazione in atti specifici (es. schema di piano industriale e relativo budget), rammentando come l’art. 2381, comma 3 prevede che lo stesso “sulla base delle informazioni ricevute valuta l'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società; quando elaborati, esamina i piani strategici, industriali e finanziari della società; valuta, sulla base della relazione degli organi delegati, il generale andamento della gestione”.
Un margine, tuttavia, per la ricognizione della coerenza tra le linee di indirizzo strategico modulate dal Consiglio dell’Ente Locale e le “traduzioni” delle stesse in atti strategici da parte del c.d.a. della società per azioni partecipata può aversi in base a quanto sancito dal punto 5 dell’art. 2364, il quale stabilisce che l’assemblea può deliberare anche sulle autorizzazioni eventualmente richieste dallo Statuto per il compimento degli atti degli amministratori, ferma, in ogni caso, la responsabilità di questi per gli atti compiuti.
Ancora una volta lo Statuto della società partecipata può definire uno spazio di intervento degli azionisti, seppure limitato ad un riconoscimento autorizzativo di atti particolari.
La composizione di adeguate clausole statutarie può quindi consentire la rimessione alla deliberazione assembleare dell’autorizzazione di atti afferenti scelte strategiche per la s.p.a., intese come scelte di grande respiro, comportando pertanto anche il riconoscimento del “peso” dell’Ente Locale socio.
3. Interazioni tra socio pubblico e società partecipata con riferimento agli amministratori nominati.
Gli indirizzi definibili da un’Amministrazione Locale in forza di quanto disposto dal TUEL in merito alle strategie delle proprie partecipate possono, in un’ottica di ottimizzazione operativa, essere destinati agli amministratori nominati nei consigli di amministrazione in rappresentanza della parte pubblica.
Qualora da parte degli amministratori non vi sia cura nel tenere in considerazione gli indirizzi strategici, è ipotizzabile che l’Ente Locale socio possa far valere tutti i mezzi a sua disposizione previsti dall’ordinamento societario, anche e soprattutto per salvaguardare la “funzionalità” in chiave di soddisfazione di bisogni pubblici dell’azione della società partecipata.
Il rapporto tra l’azionista pubblico e gli amministratori da esso designati appare forse più sfumato se la nomina avviene in base all’art. 2383 cod. civ. (normalmente con elezione per liste e con esercizio del sindacato di voto definito nei patti parasociali per garantire la scelta degli amministratori preindividuati), posto che la c.d. “nomina diretta” garantita dall’art. 2449 cod. civ. (in ogni caso da esplicitarsi necessariamente nello statuto societario) prefigura un rapporto apparentemente più immediato.
In ognuna delle due ipotesi segnalate (data comunque la disposizione statutaria adeguatamente illustrativa delle modalità di scelta degli amministratori) è comunque interessante rilevare come il legame tra amministratore ed Ente Locale di riferimento, formalizzato dalla nomina, costituisca, de facto, uno degli elementi essenziali per la connotazione della società nella prospettiva della “in house construction”.
(*) Il quale non può essere esteso nemmeno in relazione all’attività eccezionale, posto che l’art. 2365 cod.civ. stabilisce che l’assemblea straordinaria:
a) delibera sulle modificazioni dello statuto, sulla nomina, sulla sostituzione e sui poteri dei liquidatori e su ogni altra materia espressamente attribuita dalla legge alla sua competenza;
b) fermo quanto disposto dagli articoli 2420-ter e 2443, lo statuto può attribuire alla competenza dell'organo amministrativo o del consiglio di sorveglianza o del consiglio di gestione le deliberazioni concernenti la fusione nei casi previsti dagli articoli 2505 e 2505-bis, l'istituzione o la soppressione di sedi secondarie, la indicazione di quali tra gli amministratori hanno la rappresentanza della società, la riduzione del capitale in caso di recesso del socio, gli adeguamenti dello statuto a disposizioni normative, il trasferimento della sede sociale nel territorio nazionale. Si applica in ogni caso l'articolo 2436. |