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Il contratto di servizio nella regolazione e nella liberalizzazione dei servizi pubblici locali.
di Bruno Spadoni 23 novembre 2004
Materia: servizi pubblici / contratto

IL CONTRATTO DI SERVIZIO NELLA REGOLAZIONE E NELLA LIBERALIZZAZIONE DEI SERVIZI PUBBLICI LOCALI

 

Il tema del contratto di servizio rappresenta il punto focale della riflessione in materia di regolazione dei pubblici servizi e, in particolare, dei servizi pubblici locali.

Esso, per un verso rappresenta lo sbocco di un lungo processo di evoluzione di questo settore, lungo omai quasi un secolo, volto ad una progressiva e crescente emancipazione della gestione dal tradizionale legame di organicità con l’ente locale nella sua duplice figura di proprietario e regolatore.

Per altro verso si configura come lo strumento cardine di una politica di apertura dei mercati alla concorrenza o, più precisamente, di creazione dei mercati dei servizi pubblici locali attraverso la regolazione.

Senza entrare nel merito delle vicende storiche che hanno caratterizzato i servizi pubblici locali è sufficiente rammentare che lo stesso processo di municipalizzazione dell’inizio dello scorso secolo scaturì proprio da un forte fabbisogno di regolazione a fronte di una situazione in cui gli operatori privati mantenevano comportamenti monopolistici per la produzione e l’erogazione di servizi caratterizzati da elevati livelli di essenzialità e meritorietà. Con la municipalizzazione il problema fu affrontato in modo, per così dire, estremo; con essa, infatti, la regolazione si sovrapponeva alla gestione e i suoi contenuti si configuravano a tutti gli effetti come elemento costitutivo e sostanza stessa del nuovo soggetto gestore pubblico. Nel contesto istituzionale frutto della riforma dell’inizio del secolo scorso, dunque, scaturì un sistema decisionale le cui parti principali, vale a dire gestione, proprietà, governo e regolazione tendevano a coincidere e a confondersi. Anche le caratteristiche industriali delle aziende municipalizzate risentirono di questa loro natura strettamente pubblicistica. Esse assunsero infatti la forma di unità produttive monoservizio, operanti generalmente in ambiti territoriali corrispondenti a quelli amministrativi dei comuni. Le loro connotazioni, insomma, si configurarono più vicine a quelle di soggetti di erogazione di servizi, che a vere e proprie imprese.

In una prima fase questa situazione produsse effetti nel loro insieme positivi, proprio perché con il nuovo assetto fu possibile superare i guasti del precedente sistema di monopolio privato, sia dal punto di vista della sostenibilità sociale, sia consentendo un più adeguato sviluppo di infrastrutture e servizi a sostegno della crescita industriale e demografica.

Nel secondo dopoguerra, in particolare a partire dalla fine degli anni sessanta, il sistema scaturito dal processo di municipalizzazione e dalle norme che lo avevano disciplinato manifestò in modo sempre più evidente i propri limiti e il modello di regolazione su cui esso era fondato finì per costituire un ostacolo al conseguimento di efficienza e di economicità. Le più evidenti manifestazioni di tale involuzione furono la crescita incontrollata dei costi e dei disavanzi associata ad insufficienti risultati qualitativi e di efficienza.

Cominciò, insomma, a diffondersi l’opinione che sarebbe stato indispensabile promuovere una più trasparente delimitazione di ruoli tra i soggetti presenti nel sistema decisionale. La gestione, infatti, concepita come era in un rapporto di stretta organicità con le funzioni di governo, regolazione e proprietà, facenti tutti capo all’ente locale, non era posta in grado di esprimere la necessaria imprenditorialità in quanto sottoposta ad un sistema di direttive e controlli specifici e capillari che ne limitava drasticamente l’autonomia. A partire da quegli anni prese le mosse un processo di vera e propria emancipazione dell’azienda pubblica locale volto ad affermare crescenti margini di indipendenza e responsabilità e a dare ad essa una veste più aderente alla forma di impresa.

Un tale processo è stato scandito da numerose tappe che si sono susseguite nel tempo.

Per ciò che più direttamente ci riguarda è rilevante soffermarci sulla legge 95 del 1995 che ha segnato un importante momento di passaggio dal vecchio al nuovo sistema di relazioni tra ente locale e gestore segnando l’evoluzione dalla tradizionale logica amministrativa a quella negoziale.

Già con la legge 142/90 il sistema dei controlli era stato profondamente modificato rispetto al passato. Pur essendo confermato il potere comunale di vigilanza e verifica dei risultati, infatti, era stato attenuato quello di controllo, esercitatile esclusivamente sugli “atti fondamentali” dell’azienda. Con la citata Legge 95 la definizione degli atti fondamentali fu formulata in modo tale da consentire una elevata discrezionalità gestionale, entro linee guida definite e verificate dall’ente locale. In altri termini il rapporto tra i due soggetti ha teso a spostarsi dal precedente piano di sovraordinazione del controllore sul controllato a un piano più paritetico fondato su logiche negoziali e incardinato sul nuovo strumento del Contratto di servizio.

Le norme di riforma generale e settoriali succedutesi in questi ultimi anni (che peraltro non hanno ancora garantito un assetto del tutto definitivo) si sono collocate su questo solco e, a partire proprio dal processo di evoluzione in corso, hanno teso a svilupparne e amplificarne le conseguenze in un’ottica di apertura dei mercati.

Per i servizi di rilevanza economica l’ente locale, come è noto, ha a disposizione tre diverse alternative per l’affidamento e la gestione del servizio: la gara, l’affidamento ad una società mista pubblico-privato (in cui il  partner privato sia selezionato mediante gara) libera di operare senza limiti territoriali, la società interamente pubblica “in house”.

In armonia con le direttive comunitarie è peraltro da ritenere che le residue forme di gestione diretta debbano considerarsi transitorie e che il criterio “a regime” di affidamento sia quello costituito dalla concorrenza “per” il mercato (ove naturalmente non sussistano le condizioni per la concorrenza “nel” mercato).

In fase di transizione e di coesistenza di forme di affidamento diverse la scelta degli enti locali sarà influenzata dai diversi costi di transazione connessi alla regolazione nelle due ipotesi  (gara e affidamento diretto) confrontati con i benefici attesi della liberalizzazione. Oltre al grado di contendibilità dei mercati tali scelte sono fortemente condizionate dall’efficacia degli strumenti e delle strutture di regolazione.

Questi ultimi, dunque, presentano una duplice importanza: non solo garantire il conseguimento delle finalità pubbliche assegnate ai servizi, ma anche definire le prospettive e l’agenda dell’allargamento dell’area della liberalizzazione.

Per i servizi privi di rilevanza economica (quindi prevalentemente servizi assistenziali, sociali e culturali), secondo la formulazione originaria della norma non si escludeva, sia pure in termini di eccezione alla regola, la gestione in economia; per essi, invece, non era previsto il ricorso alla gara ma soltanto l’affidamento diretto a tre possibili soggetti gestori (istituzioni, aziende speciali e fondazioni, società a totale capitale pubblico).

Occorre tuttavia sottolineare che la Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi a seguito dei ricorsi promossi da alcune Regioni (in relazione al contrasto con gli articoli 117 e 118 della Costituzione), ha emesso nel luglio scorso una sentenza in cui, tra l’altro, esprime un giudizio di illegittimità costituzionale dell’intero articolo 113 bis in quanto lo stesso è riferito a servizi non rientranti nella materia della “disciplina della concorrenza” assegnata alla competenza esclusiva dello Stato. Di conseguenza spetterà alla normativa regionale definire la disciplina concernente i servizi appartenenti a questa categoria che potrà essere anche sostanzialmente diversa rispetto a quella prevista dal soppresso articolo 113 bis. A tale riguardo, non può escludersi che alcune regioni possano prevedere la possibilità di ricorso alle gare (possibilità peraltro non negata nella disciplina antecedente l’articolo 14 del d.l. 269/2003 che tuttavia si riferiva a servizi definiti “a rilevanza industriale”). Se ciò avvenisse è da ritenere che sarebbe in contrasto con i motivi stessi alla base della sentenza della Corte la quale ha motivato la soppressione dell’articolo 113 bis proprio in quanto i servizi che esso disciplinava non rientravano nell’ambito della concorrenza. E’ dunque da presumere che le norme regionali faranno riferimento all’affidamento diretto mediante strumenti gestionali non troppo diversi rispetto a quelli indicati dal soppresso articolo 113 bis.

Il policy maker, così, ha a disposizione una diversa gamma di possibilità a seconda della categoria di servizi: per quelli di rilevanza economica può scegliere tra la concorrenza “per” il mercato e le varie possibilità di affidamento diretto; per i servizi privi di rilevanza economica la disciplina è affidata alla competenza delle Regioni che potranno definire modalità e forme diverse di gestione.

Per quanto riguarda i servizi di rilevanza economica, quale che sia lo stadio del percorso di transizione e, dunque, quale che sia la scelta operata dall’ente locale in ordine alla soluzione gestionale (gara o affidamento diretto), i rapporti tra ente locale e gestore sono di tipo negoziale, regolati tramite il Contratto di servizio.

Nell’ipotesi di concorrenza “per” il mercato il modello di regolazione è pertanto fondato sull'operare congiunto della gara e del Contratto di servizio. Dalle disposizioni contenute nei commi 7 e 11 dell’art. 113 del Testo Unico sull’Ordinamento degli Enti locali (come modificato dall’articolo 14 del DL 269/2003) si evince infatti il seguente modello di riferimento: i contenuti generali del rapporto negoziale sono definiti in sede di gara, mentre il Contratto di servizio, il cui schema viene allegato ai capitolati di gara, disciplina e aggiorna periodicamente le specifiche modalità di esercizio di tale rapporto.

Più in particolare in occasione dell’indizione della gara vengono fissati gli obiettivi qualitativi, quantitativi, ambientali, di equa distribuzione sul territorio e di sicurezza in relazione ai quali la gara dovrà poi essere aggiudicata.

Nel rispetto di tale cornice, possono presentarsi diverse alternative circa i termini concreti di erogazione del servizio che richiedono di essere concordate tra le parti attraverso il Contratto di servizio che, pertanto, deve contenere i medesimi elementi fondamentali in base ai quali la gara viene indetta e poi aggiudicata. Quest’ultimo, quindi, specifica le concrete configurazioni gestionali compatibili con i termini di aggiudicazione della gara. Analogamente, nel corso del periodo di affidamento, il Contratto di servizio aggiornerà a intervalli regolari tali specificazioni. In questo modo si rende possibile una relativa flessibilità dei rapporti negoziali tra i soggetti a condizione che vengano rispettati i termini generali del rapporto riguardo alle compatibilità economico-finanziarie e ai requisiti quali-quantitativi del servizio.

Diversi, per molti aspetti, sono il ruolo e i contenuti del Contratto di servizio quando esso disciplina i rapporti tra l’Ente locale e un gestore affidatario diretto del servizio. In questo caso il Contratto di servizio rappresenta l’esclusivo strumento di regolazione nel quadro di una disciplina negoziale. In tale ipotesi ci si trova, dunque, in una situazione che, per i servizi di rilevanza economica è definibile di transizione alla liberalizzazione, per i servizi privi di rilevanza economica è di disciplina permanente. Per la verità, in seguito alla sopra richiamata sentenza della Corte Costituzionale, la soppressione dell’intero articolo 113 bis priva quest’ultima categoria di servizi di una specifica disciplina nazionale. A rigore, dunque, viene meno anche la previsione del Contratto di servizio come strumento di regolazione dei rapporti tra Ente locale e gestore salvo che ciò non sia previsto dalle normative regionali. Occorre tuttavia ritenere – o meglio auspicare – che l’assenza di un’esplicita disposizione di legge non significhi tornare al tradizionale rapporto di organicità tra governo e gestione e che comunque le relazioni tra le due funzioni vengano disciplinate in una logica di rigorosa separazione degli ambiti di competenza e responsabilità. Nell’affidamento diretto, a prescindere dalla categoria dei servizi (con o senza rilevanza economica), il problema del regolatore non può comunque limitarsi, come nell’affidamento mediante gara, a definire un insieme di obiettivi e di standard qualitativi e di prestazione rimanendo del tutto estraneo al tema dell’efficienza e dell’economicità della gestione. Nelle circostanze in esame, infatti, quest’ultimo aspetto assume un rilievo primario. Nei servizi di rilevanza economica il gestore (impresa pubblica) temporaneamente al riparo dalla concorrenza, dovrà attrezzarsi per realizzare condizioni di competitività tali da porlo in condizione di far fronte all’apertura dei mercati. Ciò significa che il regolatore, che in tal caso assomma anche la figura di proprietario, dovrà porre in essere indirizzi regolatori tali da promuovere e incentivare recuperi di efficienza. In effetti una tale estensione dei contenuti regolatori presenta un’altra rilevante finalità, quella cioè di assicurare ai cittadini servizi le cui tariffe e i cui standard di qualità non siano condizionati e pregiudicati da una situazione di inefficienza. Quest’ultimo aspetto, evidentemente, è fondamentale anche per i servizi privi di rilevanza economica affidati in forma diretta in base alle norme regionali e sottratti dunque al confronto concorrenziale. In questi casi è necessario che il Contratto di servizio contempli una parte dedicata alla promozione di politiche di miglioramento dell’efficienza interna prevedendo anche sistemi di incentivi e sanzioni. Occorre al riguardo sottolineare che generalmente nei servizi privi di rilevanza economica (ma in alcuni settori e in specifiche circostanze anche nei servizi di rilevanza economica) il finanziamento dei costi avviene solo in parte mediante tariffe; un’altra parte, più o meno consistente, è coperta da trasferimenti pubblici. In questi casi la definizione di un sistema regolatorio fondato sul funzionamento di un meccanismo incrociato di price cap (per le tariffe) e di subsidy cap (per i sussidi) potrebbe aiutare ad affrontare il problema. In altri termini occorrerebbe quantificare ab inizio e in modo trasparente l’area corrispondente agli oneri di servizio pubblico e definirne un profilo di mutamento collegato all’andamento delle seguenti variabili: innanzitutto i costi per i quali prevedere una dinamica decrescente in quanto scontata di un prefissato coefficiente di incremento di produttività, poi le tariffe per le quali definire mutamenti volti a mantenere o modificare il loro grado di copertura dei costi, infine i trasferimenti la cui dinamica sarà indicata anche in funzione della situazione del Bilancio dell’Ente locale. Naturalmente a seconda degli obiettivi assunti per le tariffe e per i trasferimenti andrebbero conseguentemente definiti i coefficienti del price cap e del subsidy cap. Una volta stabiliti e indicati nel Contratto di servizio i suddetti valori si potrebbe ipotizzare che le risorse liberate da incrementi di efficienza superiori a quanto negoziato nel contratto possano essere impiegate in funzione di incentivo e quindi messe a disposizione del gestore che potrebbe distribuirle, mediante propri criteri, al management e ai lavoratori. Nel caso opposto (minori risorse a causa di standard di efficienza più bassi di quanto concordato) il risultato negativo verrebbe interamente attribuito alla responsabilità del gestore con conseguenze diverse: da quelle estreme (ad esempio dopo un certo numero di anni e superata una certa soglia la rimozione dei vertici aziendali), a quelle sanzionatorie (il deficit di risorse potrebbe essere portato a debito e conteggiato nell’anno o negli anni successivi in detrazione degli eventuali premi incentivanti).

L’ultima notazione riguarda le politiche e gli strumenti della qualità, destinati ad assumere un ruolo cruciale nella regolazione e nella creazione dei mercati dei servizi pubblici locali. A questo proposito occorre tornare brevemente alle caratteristiche della procedura di gara indicata nel citato articolo 113 novellato. Secondo la formulazione originaria in esso adottata gli standard qualitativi e di prestazione venivano indicati come base di riferimento per la gara, che poi sarebbe stata aggiudicata in relazione all'offerta economica più vantaggiosa e al programma di investimenti. La Corte Costituzionale, nella sentenza citata nelle parti precedenti, ha giudicato illegittima la seconda parte del comma 7 dell’articolo 113 in cui si specificavano i criteri per l’aggiudicazione della gara, ritenendo che tali aspetti di dettaglio siano di competenza delle norme regionali.

In effetti la parte soppressa della norma presentava una certa rilevanza in quanto segnava un ribaltamento di priorità rispetto alle prassi tradizionalmente in uso nelle concessioni. In esse, infatti, gli aspetti economico-finanziari assumevano di solito il rango di obiettivi e le componenti qualitative quello di vincoli. Secondo la procedura indicata nella parte soppressa del comma 7, al contrario, l'offerta economicamente più vantaggiosa veniva valutata in rapporto a ben definiti standard di qualità. In questa logica la qualità e l’insieme coordinato degli strumenti ad essa connessi avrebbero potuto porsi efficacemente in una procedura “multistadio” di aggiudicazione delle gare: ad esempio assumendo la disponibilità della carta dei servizi (redatta secondo modalità e contenuti definiti) come chiave di accesso alla competizione, la certificazione volontaria come elemento premiante, e gli standard qualitativi e di prestazione come base di riferimento delle offerte tra cui scegliere quella economicamente più vantaggiosa. Data l’importanza di disporre di un criterio di selezione del gestore coerentemente fondato su criteri volti a valorizzare i diversi aspetti in cui si configura l’offerta del servizio con particolare riguardo agli strumenti e agli standard di qualità e di prestazione, nonché alle prospettive di sviluppo e di investimento, occorre augurarsi che i contenuti della norma soppressa vengano presi comunque a riferimento dalle legislazioni regionali e divengano una regola non normata ma generalmente seguita per l’aggiudicazione delle gare.

Per concludere occorre brevemente tornare sulla necessità che la regolazione presenti un assetto organico e che gli strumenti di cui si avvale siano tra loro strettamente coordinati. I Contratti e le Carte di servizio, in particolare, presentano, come si è visto, una valenza generale e vengono adottati sia in un contesto di liberalizzazione sia nel caso di affidamenti diretti assumendo a seconda delle circostanze forme e contenuti in parte diversi. Essi, a prescindere dalle forme di affidamento, si presentano comunque come elementi di collegamento tra i diversi protagonisti del processo decisionale che sottende l’erogazione dei servizi pubblici locali: l’Ente locale, i cittadini-utenti, il gestore. Nella “triangolazione” tra questi soggetti, in cui ciascuno pone le proprie specifiche istanze, si avverte, infatti, l’esigenza di disporre di strumenti in grado di tradurre tali orientamenti in specifici impegni e di monitorarne il conseguimento. Condizione necessaria affinché un tale processo decisionale funzioni in modo razionale è che questi strumenti siano coerenti e coordinati tra loro. In altri termini in un sistema orientato alla qualità è necessario che i bisogni e le preferenze dei cittadini, rilevati e monitorati costantemente mediante ricognizioni di customer focus e tramite indagini di customer satisfaction, vengano assunti come base di riferimento nella definizione degli obiettivi del servizio. A partire da tali elementi, l’Ente locale potrà predisporre specifici standard di prestazione e di qualità e indicarli al gestore, sia nel caso affidamento tramite gara che di affidamento diretto. Nella prima ipotesi tali elementi verranno adottati in sede di indizione e aggiudicazione della gara, in entrambe le circostanze essi saranno acquisiti nel Contratto di servizio e si configureranno come obblighi contrattuali del gestore nei confronti dell’Ente locale. Al fine di garantire la coerenza dell’intero impianto regolatorio e decisionale occorre che questi standard vengano contenuti anche nelle Carte di servizio divenendo così impegni nei confronti del terzo fondamentale soggetto della “triangolazione”, cioè il cittadino. Rileva a tale riguardo sottolineare che nelle Carte di servizio gli standard possono assumere due diverse forme: da un lato “standard generali” e in tal caso si configurano come la definizione delle prestazioni quali-quantitative che il gestore si impegna, in media, ad assicurare; dall’altro lato “standard specifici”, definiti come soglie minime garantite agli utenti che, se oltrepassate, danno luogo a penali e rimborsi.

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