LA DISCIPLINA DEL DIVIETO DI PARTECIPAZIONE EX ART. 75 D.P.R. N. 445/2000 RIFERITA ALLE IPOTESI DI DICHIARAZIONI FALSE O MENDACI RELATIVE A REATI CHE INCIDONO SULL’AFFIDABILITÀ MORALE E PROFESSIONALE, CON PARTICOLARE RIGUARDO AI REATI CONTRAVVENZIONALI INERENTI I RIFIUTI.
Sommario:
- Premessa.
1. La prova del possesso dei requisiti.
2. La problematica della non menzione.
3. I reati che incidono sull’affidabilità morale.
4. I reati contravvenzionali inerenti i rifiuti.
Premessa.
Come è noto, l’art. 75, comma 1, lett. h), del D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 prevede che siano esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento degli appalti e delle concessioni e che non possano stipulare i relativi contratti i soggetti che nell'anno antecedente la data di pubblicazione del bando di gara hanno reso false dichiarazioni in merito ai requisiti e alle condizioni rilevanti per la partecipazione alle procedure di gara, risultanti dai dati in possesso dell'Osservatorio dei lavori pubblici.
1. La prova del possesso dei requisiti.
In particolare, la lettera c), dell’art. 75, comma 1, del D.P.R. n. 554/1999 – riferita all’assenza, in capo al legale rappresentante dell’impresa, di sentenze di condanna passate in giudicato, oppure di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per reati che incidono sull'affidabilità morale e professionale – è stata oggetto di numerosi interventi dell’Autorità di Vigilanza e della giurisprudenza amministrativa diretti a definirne i contorni.
Anzitutto, è opportuno sottolineare come la suddetta prescrizione sia stata introdotta nell’ordinamento italiano in attuazione dell’art. 24 della direttiva CE 93/37. Data la differente formulazione dell’articolo in questione, è utile riportarne il dettato in questa sede vista la sua innegabile valenza interpretativa del D.P.R. n. 554/1999:
“Può essere escluso dalla partecipazione all'appalto ogni imprenditore:
… c) nei confronti del quale sia stata pronunziata una condanna con sentenza passata in giudicato, per qualsiasi reato che incida sulla sua moralità professionale;
… Quando l'amministrazione aggiudicatrice chiede all'imprenditore la prova che egli non si trova nei casi di cui alle lettere … c) … essa accetta come prova sufficiente:
- per … c) … la produzione di un estratto del casellario giudiziale o, in mancanza di questo, di un documento equipollente rilasciato da un'autorità giudiziaria o amministrativa competente del paese d'origine o di provenienza, da cui risulti che tali esigenze sono soddisfatte”.
La formulazione della norma comunitaria, indubbiamente, pone in stretta correlazione l’esistenza della causa ostativa alla partecipazione con la risultanza della stessa dal certificato del casellario giudiziale.
Sul punto, il comma 2 dell’art. 75 del D.P.R. 554/99 usa una formulazione sensibilmente differente: “i concorrenti dichiarano ai sensi delle vigenti leggi l'inesistenza delle situazioni di cui al comma 1, lettere a), d), e), f), g) e h) e dimostrano mediante la produzione di certificato del casellario giudiziale o dei carichi pendenti che non ricorrono le condizioni prescritte al medesimo comma 1, lettere b) e c)”.
A seguito dell’entrata in vigore del D.P.R. n. 445/2000 (normativa sull’autocertificazione) è stato ritenuto che l’assenza delle condanne penali passate in giudicato, ovvero di sentenze ex art. 444 c.p.p., potesse essere fornita degli interessati mediante dichiarazione sostitutiva evitando la produzione del certificato del casellario giudiziale.
Tuttavia, la giurisprudenza, intervenendo in più di un’occasione, ha chiarito che “in tema di documentazione da presentare alle gare per l'affidamento di appalti di lavori pubblici, l'art. 75 comma 1 d.P.R. 21 dicembre 1999 n. 554, come modificato dal d.P.R. 30 agosto 2000 n. 412, è norma speciale e non è stato abrogato implicitamente dal d.P.R. 28 dicembre 2000 n. 445; pertanto, nelle gare in cui è applicabile l'art. 75 d.P.R. n. 554 del 1999, non è consentita la presentazione di autocertificazioni in luogo dei certificati originali”.(cfr.: T.A.R. Abruzzo L'Aquila, 5 novembre 2003, n. 907; TAR Sardegna, 5 giugno 2003, n. 688).
Pertanto, la disciplina speciale della materia deroga alla disciplina generale inerente le dichiarazioni sostitutive e, di conseguenza, gli interessati dovranno presentare necessariamente il certificato del casellario giudiziario.
2. La problematica della non menzione.
La disciplina della estinzione del reato prevede che, ricorrendone le condizioni, sia promosso un procedimento innanzi al Giudice penale di esecuzione, ex art. 689 c.p.p., diretto ad estinguere il reato e le sue conseguenze.
Pertanto, la cancellazione del reato dal casellario necessita della pronuncia del Giudice dell’esecuzione.
Tuttavia, notoriamente, a numerose condanne penali accede il beneficio della non menzione della stessa nel certificato del casellario giudiziale. Di tale beneficio gode anche colui che patteggia la condanna ai sensi dell’art. 444 c.p.p.
Nelle ipotesi di non menzione, il reato è effettivamente iscritto presso il Casellario, tuttavia:
- attualmente, dopo l’entrata in vigore del D.P.R. n. 313/2002 (“T.U. Casellario giudiziario”) l’iscrizione risulta esclusivamente qualora la certificazione sia richiesta dal Pubblico Ministero ovvero dall’Autorità Giudiziaria Penale;
- in precedenza, invece, l’iscrizione del reato non risultava nel certificato richiesto dall’interessato ma – diversamente – compariva se la richiesta era effettuata da una p.a. per verifiche istituzionali.
Dunque, era ben possibile che il privato-concorrente estraendo copia della certificazione non trovasse menzione della sentenza di patteggiamento, mentre la p.a. – ottenendo un certificato integrale – ne aveva contezza.
Tale situazione deve necessariamente essere riferita a quanto esposto circa l’onere probatorio relativo al possesso dei requisiti richiesti dall’art. 75, comma 1, lett. c), del D.P.R. 554/99.
Sul punto, dato l’obbligo di produrre il certificato del Casellario Giudiziale, è intervenuta la giurisprudenza del Consiglio di Stato. Tenendo conto che:
“- ai sensi dell’art.75, co. 2, d.p.r. n.554/1999, per provare il requisito dell’assenza di reati incidenti sulla idoneità morale e professionale (art.75, co. 1, lett. c), l’unico onere posto a carico dei concorrenti è la produzione del casellario giudiziale e dei carichi pendenti;
- l’unico certificato generale del casellario giudiziale che i privati possono ottenere, e dunque produrre in una gara di appalto, è quello di cui all’art.689 c.p.p., in cui non sono iscritte le condanne estinte e quelle conseguenti a sentenza di patteggiamento”;
ha, correttamente, ritenuto “che non rende false dichiarazioni sulle condizioni rilevanti per la partecipazione a gare di appalto il concorrente che produce il certificato del casellario giudiziale rilasciatogli ai sensi dell’art.689 c.p.p., anche ove dal certificato integrale rilasciato all’amministrazione ai sensi dell’art.688 c.p.p. emergano ulteriori reati che l’amministrazione ritenga incidenti sulla moralità e professionalità dell’impresa” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 14 ottobre 2003, n. 6279).
Tuttavia, viene parimenti riconosciuta alle Stazioni appaltanti la facoltà di aggravare gli oneri dei concorrenti richiedendo, oltre la produzione legislativamente imposta del certificato del Casellario, una dichiarazione relativa all’assenza di reati che incidano sull’affidabilità morale dell’impresa.
Allora, se la legge di gara espressamente prescrive tale onere, l’interessato dovrà:
- produrre il casellario;
- dichiarare la presenza di reati incidenti sull’affidabilità morale anche qualora gli stessi non siano menzionati nella certificazione penale.
Pertanto, in assenza di una specifica richiesta della p.a. la falsa dichirarazione non rileverebbe.
Ad ogni modo, è quanto mai necessario tenere a mente che la dichiarazione – ove richiesta – può avere ad oggetto non un fascio generico ed indistinto di reati ma, esclusivamente, quei reati che incidono sull’affidabilità morale.
3. I reati che incidono sull’affidabilità morale.
La normativa comunitaria e la legislazione nazionale non hanno tipizzato detti reati.
Pertanto, il criterio – unanimemente accolto – è quello di lasciare alla discrezionalità della Stazione appaltante la valutazione di un dato reato, stabilendo se, in concreto, questo mina l’affidabilità morale dell’impresa in relazione alla aggiudicazione di un dato contratto.
Tuttavia, sia l’allora Ministero dei Lavori Pubblici, sia l’Autorità di Vigilanza hanno avvertito la necessità di indicare, seppure non in modo tassativo, determinate categorie di reati come incidenti sull’affidabilità morale.
Sia la circolare del Ministero dei Lavori Pubblici 1° marzo 2000 n. 182/400/93, che la Determinazione n. 56/2000 dell’Autorità, concordano nel definire come reati che incidono sulla moralità professionale, ai sensi dell’articolo 17, comma 1, lettera c), del D.P.R. 34/2000:
- i reati contro la pubblica amministrazione (libro secondo, titolo II, del codice penale);
- i reati contro l’ordine pubblico (libro secondo, titolo V, del codice penale);
- i reati contro la fede pubblica (libro secondo, titolo VI, del codice penale);
- i reati contro il patrimonio (libro secondo, titolo XIII, del codice penale);
- i reati relativi a fatti la cui natura e contenuto sono idonei ad incidere negativamente sul rapporto fiduciario con la stazione appaltante per la inerenza alla natura delle specifiche obbligazioni dedotte in contratto.
Data l’evidente mancanza di tassatività dell’elencazione riportata, residua una notevole discrezionalità in capo alle Stazioni appaltanti.
Queste, comunque, dovranno – coerentemente con i principi generali che governano l’azione amministrativa ed, in particolare, con il canone di ragionevolezza – motivare compiutamente, volta per volta, in relazione alla situazione concreta relativa all’appalto, le ragioni della ritenuta incidenza sulla moralità.
Dunque, tutte le volte in cui una Stazione appaltante ritiene di qualificare come incidente sulla moralità del concorrente un reato diverso da quelli contro la p.a., contro l’ordine pubblico, contro le fede pubblica o contro il patrimonio, avrà l’obbligo di motivare compiutamente. L’assenza di motivazione, ovvero una motivazione carente o lacunosa determineranno, inevitabilmente, l’illegittimità del provvedimento assunto.
Quello appena esposto è l’ordine di idee cui si rifà la più recente giurisprudenza. Questa, trovandosi innanzi alla denunzia di difetto di motivazione ha, al riguardo, ritenuto che “Si tratta … di accertamento che presuppone valutazioni chiaramente di natura discrezionale così che la conseguente decisione finale non può prescindere, soprattutto quando negativa per il soggetto interessato, da una specifica ed adeguata motivazione e dal preventivo contraddittorio”. Con la conseguenza che se “nel caso specifico nessuna motivazione è stata addotta a giustificazione della ritenuta negativa incidenza sull’affidabilità morale e professionale dei reati di che trattasi … la dedotta violazione della legge n.241/1990 e l’eccesso di potere per difetto di motivazione sono, dunque fondati” (cfr. TAR Marche, 4 febbraio 2005, n. 114).
4. I reati contravvenzionali inerenti i rifiuti.
Inoltre, la discrezionalità delle Stazioni appaltanti non può essere assoluta. Se così fosse, si giungerebbe al paradosso di escludere un soggetto dalla contrattazione con la p.a. anche in presenza di reati lievi e, soprattutto, riguardanti materie aliene alla sfera delle commesse pubbliche.
Posta di fronte a provvedimenti abnormi di esclusione, recentissima giurisprudenza amministrativa non ha mancato di chiarire senza equivoci come “diversamente opinando, soggetti come l'attuale ricorrente, ad esempio, vedrebbero automaticamente e definitivamente precluso, a causa di una pregressa infrazione formale non particolarmente grave, l'esercizio di attività contrattuale con la Pubblica amministrazione, con conseguente compromissione della libera esplicazione della propria iniziativa economica” (cfr. TAR Basilicata, 1° dicembre 2004, n. 806).
La suddetta decisione, peraltro, non è isolata ma si pone nel solco di un orientamento inaugurato dal giudice amministrativo d’appello sempre in riferimento a reati contravvenzionali in tema di rifiuti: “Nel caso all’esame del Collegio il rappresentante della capogruppo Co.Proget era stato condannato con sentenza ex art. 444 cod. proc. pen. per il reato di cui all’art. 51, primo comma, lett. a), D.L.vo 5 febbraio 1997 n. 22 ( per aver raccolto e trasportato rifiuti di materiali inerti da demolizione edile su terreno di proprietà di soggetto committente di lavori edilizi) e, quindi, per una fattispecie che non incide in modo evidente sulla moralità professionale dell’aggiudicatario. Nella sua ampiezza ed elasticità il concetto di moralità professionale presuppone infatti la realizzazione di un reato pienamente idoneo a manifestare una radicale e sicura contraddizione coi principi deontologici della professione, tenendo presente che la valutazione de qua non deve cristallizzarsi in criteri astratti e automatici ma si deve invece adattare alle peculiarità del caso concreto, riferite tanto alle caratteristiche dell'appalto, quanto al tipo di condanna ed alle concrete modalità di commissione del reato”. Va evidenziato che, oltretutto, nel caso or ora riportato, il reato aveva effettivamente una qualche attinenza all’oggetto della gara d’appalto ma, tuttavia, “in questo caso, in definitiva, pur dovendosi riconoscere la sussistenza di un legame oggettivo tra fattispecie penale e materia oggetto dell’appalto, non poteva accedersi ad una valutazione di compromissione della moralità professionale della società ricorrente postulata del tutto acriticamente (e immotivatamente) dalla stazione appaltante, senza che cioè si desse conto, nel dettaglio, della fattispecie punita, della sanzione irrogata e dell’atteggiamento soggettivo colposo che, come minimo, doveva aver contraddistinto la condotta realizzante la fattispecie contravvenzionale (art. 42, ultimo comma, cod. pen.)”. (cfr. Cons. Stato, V Sez., 1 marzo 2003 n. 1145).
In conclusione, con riferimento ai reati relativi ai rifiuti la Stazione appaltante ha l’obbligo di motivare compiutamente tenendo conto:
- della eventuale natura contravvenzionale del reato;
- della attinenza con l’oggetto dell’appalto;
- dell’entità della condanna inflitta;
- dell’eventuale atteggiamento colposo del reo;
- delle circostanze del reato.
E, come visto, la giurisprudenza ritiene illegittime esclusioni disposte in fattispecie analoghe a quella di cui si tratta.
In conclusione, l’eventuale omissione dell’esistenza di tali reati – consistente nella affermazione di non trovarsi nelle situazioni descritte dall’art. 75, comma 1, lett. c) del D.P.R. 554/99 – non rileva ai fini di eventuali esclusioni o, soprattutto, per le conseguenti annotazioni presso il Casellario informatico. |