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Commento alla decisione del Consiglio di Stato, sezione V, n. 2294/02, in tema di distinzione tra appalto pubblico di servizi e affidamento o concessione di servizi pubblici
di Leila Tessarolo  (leila@tessarolo.it) 27 maggio 2002
Materia: servizi pubblici / definizione

Commento alla decisione del Consiglio di Stato, sezione V, n. 2294/02, in tema di distinzione tra appalto pubblico di servizi e affidamento o concessione di servizi pubblici

 

La decisione n. 2294 del 30/4/2002 della quinta Sezione del Consiglio di Stato affronta un tema di particolare interesse e attualità, ossia la definizione delle concessioni dei servizi pubblici e la loro distinzione dagli appalti pubblici di servizi. La questione non ha rilevanza unicamente a fini descrittivi, ma acquista una particolare importanza per la determinazione della disciplina applicabile alle due fattispecie. Il problema di fondo è, infatti, quello di stabilire se alle concessioni di servizi sia applicabile la normativa prevista in tema di appalti, e se, quindi, nella scelta dell’affidatario del servizio pubblico, l’amministrazione sia tenuta ad applicare una procedura di evidenza pubblica.

Tale argomento è stato, tra l’altro, trattato anche dalla Commissione Europea, nella Comunicazione interpretativa del 12 aprile 2000, e, ancor più di recente, dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, con la circolare n. 3944/2002 del 1 marzo 2002.

Più in particolare la Presidenza del Consiglio dei Ministri con la circolare n. 3944/2002, persegue esplicitamente la finalità di fornire elementi interpretativi che chiariscano la normativa comunitaria applicabile nella materia alla luce della comunicazione interpretativa della Commissione europea sulle concessioni del 12 aprile 2000 e della più recente giurisprudenza comunitaria (Corte di giustizia, sentenza 7 dicembre 2000, causa C-324/98, Teleaustria c. Post & Telekom Austria).

Nella circolare viene innanzitutto definito il concetto di concessione sia con riferimento alle concessioni di lavori, sia con riferimento alle concessioni di servizi.

Il tratto distintivo delle concessioni di lavori pubblici rispetto agli appalti di lavori consiste nel conferimento di un diritto di gestione dell'opera che permette al concessionario di percepire proventi dall'utente a titolo di controprestazione della costruzione dell'opera (ad esempio, in forma di pedaggio o di canone) per un determinato periodo di tempo. Il diritto di gestione implica anche il trasferimento della responsabilità di gestione che investe gli aspetti tecnici, finanziari e gestionali dell'opera. In una concessione di lavori, quindi, l'alea relativa alla gestione viene trasferita al concessionario che si assume il "rischio economico", nel senso che la sua remunerazione dipende strettamente dai proventi che può trarre dalla fruizione dell'opera.

Si è, invece, in presenza di un appalto pubblico di lavori quando il costo dell'opera grava sostanzialmente sull'autorità aggiudicatrice e quando il contraente non si remunera attraverso i proventi riscossi dagli utenti.

La distinzione tra concessione e appalti di lavori pubblici non rileva, comunque, ai fini della tutela giurisdizionale poiché l’art. 31-bis, comma 4, della legge n. 109 del 1994 equipara le due figure sotto tale profilo di tutela. Nella circolare è, infine, precisato che l’art. 19, comma 2, della legge Merloni contempla anche la possibilità di fattispecie di carattere misto nelle quali il conferimento del diritto di gestione e' accompagnato dal riconoscimento di una controprestazione pecuniaria in favore del costruttore in misura in ogni caso non superiore al 50% dell'importo totale dei lavori.

Un criterio analogo è stabilito nella citata circolare per distinguere le concessioni di servizi pubblici dagli appalti di servizi in quanto anche al concessionario di servizio non viene riconosciuto un prezzo ma solo il diritto ad ottenere la remunerazione dell'attività svolta attraverso la possibilità di gestire il servizio per un determinato periodo. Proprio in considerazione di ciò la Corte di giustizia ha recentemente escluso che le concessioni di servizi rientrino nella sfera di applicazione della direttiva in materia di appalti, ed in particolare della direttiva n. 93/38 CE, qualora la controprestazione fornita dall'amministrazione all'impresa privata consista nell'ottenimento da parte di quest'ultima del diritto di sfruttare, ai fini della sua remunerazione, la propria prestazione (Corte di giustizia, sentenza 7 dicembre 2000, causa C-324/98, cit., punto n. 58).

Applicando tale criterio, quindi, si ha concessione di servizi quando l'operatore si assume i rischi di gestione del servizio (sua istituzione e gestione) rifacendosi sull'utente, essenzialmente attraverso la  riscossione di qualsiasi canone. Le modalità di remunerazione dell'operatore e', come nel caso della concessione di lavori, un elemento che permette di stabilire l'assunzione del rischio di gestione. Come la concessione di lavori anche la concessione di servizi e' caratterizzata da un trasferimento della responsabilità di gestione. Infine, la concessione di servizi riguarda di solito attività che, per la loro natura, l'oggetto e le norme che le disciplinano, possono rientrare nella sfera di responsabilità dello Stato ed essere oggetto di diritti esclusivi o speciali.

Ai fini del diritto interno, la circolare specifica, altresì, che, mentre negli appalti pubblici di servizi l'appaltatore presta il servizio in favore della pubblica amministrazione, la quale utilizza tale prestazione ai fini dell'eventuale erogazione del servizio pubblico a vantaggio della collettività, nella concessione di pubblico servizio il concessionario sostituisce la pubblica amministrazione nell'erogazione del servizio, ossia nello svolgimento dell'attività diretta al soddisfacimento dell'interesse collettivo.

Come detto, la circolare si preoccupa non soltanto di definire le concessioni di servizi, ma anche di verificare quale possa essere in concreto la disciplina applicabile.

In primo luogo, viene affermata l’applicabilità a tale materia della disciplina comunitaria, essendo ciò riconosciuto anche nel diritto interno.

Si fa, in proposito, riferimento innanzitutto ad una recente pronuncia del Consiglio di Stato (decisione n. 253 del 17 gennaio 2002 la IV Sezione del Consiglio di Stato) nella quale, pronunciando in ordine all'affidamento di concessione di gestione di rete autostradale, è stato osservato che le concessioni di pubblici servizi, pur se non regolate da direttive specifiche, soggiacciono ai principi generali dettati in materia dal trattato costitutivo, come esplicitati dalla  comunicazione interpretativa del 12 aprile 2000.

In una precedente circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri (circolare n. 12727 in tema di affidamento a società miste della gestione di servizi pubblici locali, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, n. 264 del 13 novembre 2001), poi, con riferimento al regime di gestione dei servizi pubblici locali anteriore alle modifiche apportate all'art. 113 del decreto legislativo del 18 agosto 2000, n. 267 dall'art. 35 della legge finanziaria per il 2002 (legge 28 dicembre 2001, n. 448), era stata precisata la normativa applicabile in tema di affidamento della gestione di servizi pubblici locali a società miste (pubblico-privato), e, più in particolare, era stato chiarito che la normativa europea in tema di appalti pubblici, in particolare di servizi, non trova applicazione (e pertanto l'affidamento diretto della gestione del servizio e' consentito anche senza ricorrere alle procedure di evidenza pubblica prescritte dalle norme comunitarie) solo quando manchi un vero e proprio rapporto giuridico tra l'ente pubblico e il soggetto gestore, come nel caso, secondo la terminologia della Corte di giustizia, di delegazione interorganica o di servizio affidato, in via eccezionale, "in house" (cfr. Corte di giustizia, sentenza 18/9/1999, causa C-107/98, Teckal).

La necessità del rispetto delle prescrizioni comunitarie in materia di evidenza pubblica e' stata altresì sottolineata ancor più di recente dal decreto 22 novembre 2001 dal Ministero dell'Ambiente e dalla connessa circolare applicativa 17 ottobre 2001, n. GAB/2001/11559/B01, concernenti le modalità di affidamento in concessione a terzi della gestione del servizio idrico integrato, a norma dell'art. 20, comma 1, legge 5 gennaio 1994, n. 36.

Infine, è opportuno considerare che l'art. 35 della legge finanziaria per l'anno 2002 ha ridisegnato in profondità il sistema dell'affidamento dei servizi pubblici locali, prevedendo, per un verso, il principio della separazione tra proprietà delle reti e delle infrastrutture rispetto al compito di gestione del servizio e, dall'altro, subordinando l'affidamento della gestione del servizio pubblico di rilevanza industriale all'espletamento di procedure selettive ispirate ai principi comunitari (cfr., in particolare, i commi 5 e 7 dell’art. 113 del T.U. n. 267/2000, come sostituito dall'art. 35 della legge 28 dicembre 2001, n. 448).

Per quanto riguarda la specifica disciplina applicabile alle concessioni, la circolare chiarisce che, la direttiva lavori (93/37/CEE) trova applicazione solo per le concessioni di lavori, ma non per le concessioni di servizi. Nonostante questo, però, è indispensabile rispettare sempre i principi del diritto comunitario, che possono essere desunti dal Trattato e dalle pronunce della Corte di Giustizia. Il ricorso all'istituto concessorio da parte degli Stati, perciò, seppur non incontra limiti puntuali, non rende libera la scelta del soggetto a cui affidare la concessione. A prescindere infatti dall'applicabilità di specifici regimi, tutte le concessioni ricadono nel campo di applicazione delle disposizioni degli articoli da 28 a 30 (ex articoli da 30 a 36), da 43 a 55 (ex articoli da 52 a 66) del trattato o dei principi sanciti dalla giurisprudenza della Corte. Si tratta in particolare dei principi di non discriminazione, di parità di trattamento, di trasparenza, di mutuo riconoscimento e proporzionalità così come risultano dalla costante tradizione giurisprudenziale della Corte europea.

Le amministrazioni aggiudicatrici risultano, quindi, vincolate al rispetto di detti principi. Conseguentemente, anche nell'eventualità di concessioni non assoggettate alle prescrizioni dettate da specifiche direttive o norme interne, la scelta del concessionario deve di regola essere conseguente a una procedura competitiva e concorrenziale ispirata ai principi dettati dal trattato istitutivo, in modo da consentire, anche attraverso idonee forme di pubblicità, la possibilità da parte delle imprese interessate di esplicare le proprie chances partecipative. Nel sistema comunitario, infatti, il ricorso alla scelta diretta del concessionario, in deroga ai summenzionati principi, costituisce evenienza eccezionale, giustificabile solo in caso di specifiche ragioni tecniche ed economiche che rendano impossibile in termini di razionalità l'individuazione di un soggetto diverso da quello prescelto. Le stesse considerazioni sono estensibili all'ipotesi di proroga delle concessioni già rese, essendo  sancita dal diritto comunitario l'equiparazione tra il rilascio di nuova concessione e proroga della concessione in scadenza.

La decisione n. 2294/02 del Consiglio di Stato segue in effetti un percorso logico e interpretativo del tutto conforme a quello delineato dalla circolare, e ciò è chiaramente comprensibile se si tiene conto che essa fa esplicito riferimento alla citata Comunicazione interpretativa della Commissione.

La questione posta al vaglio del Consiglio di Stato concerne la legittimità del bando di gara nella parte in cui dispone che ogni impresa facente parte di un raggruppamento deve essere in possesso dei requisiti richiesti per le imprese singole (dimostrazione del fatturato richiesto per le imprese singole).

Nella decisione viene affrontato preliminarmente il problema della distinzione tra appalto di servizi e concessione di servizi, che, a parere del Consiglio di Stato, il quale, a tal fine, prende in considerazione la dottrina più recente, deve essere risolto facendo riferimento alla diversità dell’oggetto dei due contrapposti istituti. L’appalto di servizi concerne, infatti, prestazioni rese in favore dell’amministrazione, mentre la concessione di servizi riguarda sempre un articolato rapporto trilaterale, che interessa l’amministrazione, il concessionario e gli utenti del servizio. Ciò comporta, di regola, ulteriori conseguenze sulla individuazione dei soggetti tenuti a pagare il corrispettivo dell’attività svolta. Normalmente, nella concessione di pubblici servizi il costo del servizio grava sugli utenti, mentre nell’appalto di servizi spetta all’amministrazione l’onere di compensare l’attività svolta dal privato. Tale criterio integrativo, peraltro, assume un rilievo apprezzabile solo quando il servizio pubblico, per le sue caratteristiche oggettive, è divisibile tra gli utenti che, in concreto, ne beneficiano direttamente.

Problema consequenziale a quello della individuazione degli elementi distintivi dei due istituti è quello di stabilire se da ciò discenda l’inapplicabilità alla concessione di servizi delle regole specificamente contenute nel decreto legislativo n. 157/1995 (attuazione della direttiva 92/50/CEE in materia di appalti pubblici di servizi).

In via teorica sarebbe, in effetti, possibile giungere alla conclusione che nella scelta dell’affidatario del servizio pubblico, l’amministrazione non è tenuta ad applicare alcuna disciplina di evidenza pubblica, operando con maggiori possibilità di scelte discrezionali.

In realtà, è, però, opportuno considerare sia le norme di diritto interno, le quali affermano il principio di concorsualità anche per  la concessione di servizi pubblici, sia, in generale, i principi comunitari.

Soprattutto con riferimento alla disciplina comunitaria, il collegio sostiene l’applicabilità dei principi desumibili dalle norme del Trattato, e, in particolare, tra questi, del principio di proporzionalità.

Essendo necessario, in ogni caso, rispettare i principi del diritto comunitario, il collegio conclude circa la possibilità di risolvere la questione posta dinanzi al suo giudizio prescindendo dal profilo relativo all’applicazione diretta, o in via analogica, della disciplina contenuta nel decreto legislativo n. 157/1995, disponendo che la clausola del bando di gara che impone a ciascuna delle partecipanti al raggruppamento di imprese di dimostrare lo stesso fatturato richiesto alla impresa singola appare irragionevole e contrastante con il principio di proporzionalità.

Sentenza: Consiglio di Stato, Sez. V, 30/4/2002 n. 2294
Sulla distinzione tra appalto pubblico di servizi e affidamento o concessione di servizi pubblici

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