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Incarico professionale non sottoscritto dal Comune
di Maurizio Maria LUCCA 16 gennaio 2024
Materia: pubblica amministrazione / lavoro

Incarico professionale non sottoscritto dal Comune

 

Avv.Maurizio Maria LUCCA, Segretario Generale Enti Locali e Development Manager

 

In linea generale, la stipula con la Pubblica Amministrazione di un qualsiasi contratto privo della forma scritta è nulla[1], e tale nullità non può essere sanata attraverso il riconoscimento, da parte della Amministrazione committente, dell’utilità della prestazione ricevuta, segnalando, altresì, che con il nuovo Codice dei contratti pubblici vi è la piena autonomia negoziale, potendo la PA «nel perseguire le proprie finalità istituzionali… concludere qualsiasi contratto, anche gratuito, salvi i divieti espressamente previsti dal codice e da altre disposizioni di legge», ex comma 1, dell’art. 8 del d.lgs. n. 36/2023[2].

 

La forma necessaria

 

Sul punto ANAC[3] ribadisce che per i contratti della Pubblica Amministrazione vi è l’obbligo della forma scritta ad substantiam, con la conseguenza che la PA non può assumere impegni o concludere contratti se non in forma scritta, né può darsi rilievo al rinnovo tacito dei contratti.

 

In termini diversi, il vincolo negoziale non può che avvenire dall’incontro delle volontà espresse nella forma scritta a riprova della serietà degli accordi e per la stabilità delle condizioni attraverso le quali si raggiunge il risultato finale (ossia, il contenuto) della prestazione richiesta.

 

Orientamenti in evoluzione

 

La sez. III civ. della Cassazione con l’Ordinanza 21 novembre 2023, n. 32337, giunge ad una lettura estensiva della “forma scritta”, ammettendo il perfezionamento dell’obbligazione anche con la sottoscrizione di una sola parte (quella del professionista) senza l’intervento dell’Amministrazione, qualora la proposta negoziale sia riportata all’interno di un atto deliberativo del Comune: aspetto alquanto innovativo.

 

Il caso

 

Nella sua essenzialità, un tecnico ricorreva al Giudice civile ai fini di accertare il rapporto obbligatorio (alias l’incarico conferito) con Comune e l’inadempimento (di questo) dal pagamento delle prestazioni effettuate, in base al fatto che con deliberazione giuntale l’Amministrazione recepiva (senza riserve) l’offerta presentata (la convenzione di affidamento).

 

A sostegno delle pretese affermava (onere probatorio da documentazione prodotta) che il Comune, nella qualità di “parte committente”, aveva predisposto una “Convenzione” (dettagliata degli oneri a carico delle parti) con la quale affidava alla “parte commissionaria”, - espressamente identificata - l’incarico professionale, rilevando che «detta convenzione, dopo essere stata completata con l’aggiunta -vergata a mano- dei numeri di partita IVA …, era stata fatta firmare dal Segretario Comunale» e dall’incaricato, anche con l’apposizione in calce del timbro.

 

L’incarico al professionista, era incluso ad una serie di incarichi con altri professionisti per la realizzazione di un intervento, incarichi recepiti con deliberazione di giunta comunale e liquidati successivamente a tutti i tecnici, tranne che al ricorrente (aspetto questo al quanto singolare).

 

Il Comune in sede giudiziaria contestava la nullità del contratto per difetto della prova scritta e, in particolare, perché la convenzione, allegata alla deliberazione, non risultava sottoscritta dal Sindaco: in appello viene confermata la posizione del Comune.

 

I motivi del ricorso si concentrano sulla circostanza che l’offerta sottoscritta dal professionista come proposta sia stata formalizzata in unico contestuale atto: la deliberazione giuntale, quale accettazione della proposta, firmata dal Sindaco, soddisfacendo pienamente i requisiti di forma prescritti dall’art. 17 del RD 18 novembre 1923, n. 2440, conforme alla ratio legis perseguita della cit. norma.

 

In effetti, l’Amministrazione locale per gli altri professionisti nulla ha contestato, avendo provveduto alla liquidazione delle parcelle presentate.

 

Il pronunciamento

 

La Corte accoglie il ricorso con rinvio alla Corte di Appello, in diversa composizione.

Le motivazioni e i principi di riferimento sono i seguenti:

·         i contratti conclusi dalla PA richiedono la forma scritta ad substantiam e devono essere consacrati in un unico documento, ciò che esclude il loro perfezionamento attraverso lo scambio di proposta ed accettazione tra assenti (salva l’ipotesi eccezionale prevista ex lege di contratti conclusi con ditte commerciali), mentre tale requisito di forma deve ritenersi soddisfatto nel caso di c.d. elaborazione comune del testo contrattuale, e cioè mediante la sottoscrizione - sebbene non contemporanea, ma avvenuta in tempi e luoghi diversi - di un unico documento contrattuale il cui contenuto (con riferimento relativo ad un rapporto di locazione) sia stato concordato dalle parti;

 

·         il contratto d’opera professionale, quando ne sia parte una Pubblica Amministrazione e pur ove questa agisca iure privatorum, è richiesta, in ottemperanza al disposto del RD 18 novembre 1923, n. 2440, artt. 16 e 17 come per ogni altro contratto stipulato dalla PA stessa, la forma scritta ad substantiam, che è strumento di garanzia del regolare svolgimento dell’attività amministrativa nell’interesse sia del cittadino, costituendo remora ad arbitri, sia della collettività, agevolando l’espletamento della funzione di controllo, ed è, quindi, espressione dei principi d’imparzialità e buon andamento, ex art. 97 Cost.;

·         ne consegue che il contratto si perfeziona nel documento sottoscritto dalle parti (professionista e rappresentante del Comune), a pena di nullità, sicché «rimane del tutto irrilevante l’esistenza di una deliberazione con la quale l’organo collegiale dell’Ente abbia conferito un incarico ad un professionista, o ne abbia autorizzato il conferimento, in quanto detta deliberazione non costituisce una proposta contrattuale nei confronti del professionista, ma un atto con efficacia interna all’Ente che, almeno ai fini che ne occupano, ha solo natura autorizzatoria e quale unico destinatario il diverso organo legittimato ad esprimere la volontà all’esterno».

 

Il quadro dei principi dovrà essere traslato nei fatti accaduti dove la proposta del Comune, ossia la convenzione redatta da quest’ultimo, è stata sottoscritta dal professionista (con gli altri tecnici) e successivamente approvata dalla Giunta comunale, specie ove nel testo deliberativo espressamente si riportava «l’espressa dichiarazione che si trattava di parte integrante ed essenziale della delibera stessa» la convenzione sottoscritta.

 

In presenza di un fatto incontrovertibile di una convenzione redatta dal Comune e sottoscritta dalla parte che viene allegata ad un atto deliberativo il cui contenuto è l’approvazione della convenzione sottoscritta non si può che affermare che «è indubbio che la procedura di conclusione del contratto scritto, scelta dal Comune ha garantito: sia il “regolare svolgimento dell’attività amministrativa nell’interesse sia dei professionisti che della collettività”, senza impedire “l’espletamento della funzione di controllo” ed, anzi, perseguendo “i principi d’imparzialità e di buon andamento della pubblica amministrazione”; sia “la concreta instaurazione del rapporto con le indispensabili determinazioni in ordine alla prestazione da rendere ed al compenso da corrispondere”, tant’è che non vi è stata da parte dell'ente comunale la necessità di adottare altre delibere o di concludere altri contratti».

 

Il principio di diritto

 

In definitiva, il principio di diritto (una chiara apertura ad una lettura sostanziale e non formale) postula che, in «tema di contratti stipulati da un professionista con un Comune, il requisito della forma scritta ad substantiam è da intendersi rispettato nel caso in cui l’incarico da svolgere sia previsto in convenzione non sottoscritta dal Sindaco, sempre che detta convenzione disciplini i termini fondamentali del rapporto, sia stata sottoscritta dal professionista incaricato e sia stata allegata in originale quale parte integrante della delibera con la quale la giunta comunale, presieduta dal Sindaco, ha conferito l’incarico».

 

Appare evidente e corrispondente alla volontà deliberativa che il perfezionamento del consenso, ossia l’incontro tra offerta e accettazione (la causa tra prestazione del professionista e controprestazione del pagamento, c.d. sinallagma), sia stato validamente espresso: «forma un unico contestuale atto, costituito dalla proposta sottoscritta dal professionista (la convenzione, per l’appunto) e dalla relativa accettazione (la delibera di giunta, di conferimento dell’incarico)».

 

La sentenza - nella sua solare chiarezza espositiva - risulta coerente anche con l’evoluzione del quadro normativo teso al risultato utile, alla semplificazione, alla libertà delle forme negoziali (cit. in premessa), riconoscendo i principi di lealtà, libertà e eguaglianza, canonizzati sia in ambito civilistico (correttezza e buona fede, ex artt. 1175 e 1375 c.c.,) che nel diritto amministrativo, dove i rapporti tra privati e PA devono improntarsi «ai principi della collaborazione e della buona fede», ex comma 2 bis della legge n. 241/1990: anima del “valore pubblico”[4].

 

 

  

[1] Cfr. il comma 1, dell’art. 18, Il contratto e la sua stipulazione, del Codice dei contratti pubblici ove si stabilisce che «Il contratto è stipulato, a pena di nullità, in forma scritta ai sensi dell’allegato I.1, articolo 3, comma 1, lettera b), in modalità elettronica nel rispetto delle pertinenti disposizioni del codice dell’amministrazione digitale… in forma pubblica amministrativa a cura dell’ufficiale rogante della stazione appaltante, con atto pubblico notarile informatico oppure mediante scrittura privata. In caso di procedura negoziata oppure per gli affidamenti diretti, mediante corrispondenza secondo l’uso commerciale, consistente in un apposito scambio di lettere, anche tramite posta elettronica certificata o sistemi elettronici di recapito certificato qualificato».

 

[2] Sin rinvia, LUCCA, Vincolo negoziale, stipula del contratto e mancata sottoscrizione (alla luce del decreto semplificazioni), ildirittoamministrativo.it, 17 febbraio 2021, ove si relazionava sul rapporto obbligatorio che sorge con la sottoscrizione del contratto a forma vincolata, dovendosi escludere che la sussistenza del requisito formale possa essere ricavata aliunde, attraverso la produzione di altri documenti, come la deliberazione o determinazione, che non costituiscono o sostituiscono il contratto, ma lo presuppongono per essere documenti interni alla P.A., incapaci di perfezionare il negozio giuridico tra le parti.

 

[3] ANAC, delibera n. 119 del 15 marzo 2023 (Fascicolo Anac n. 1653/2022), nell’atto dell’Autorità si precisa che tale principio trova applicazione non soltanto alla conclusione del contratto, ma anche all’eventuale rinnovazione dello stesso, atteso che la forma scritta assolve una funzione di garanzia del regolare svolgimento dell’attività amministrativa, permettendo di identificare con precisione le clausole destinate a disciplinare il rapporto contrattuale (cfr. Cass. civ., sez. I, 13 ottobre 2016, n. 20690).

 

[4] Si rinvia, LUCCA, La visione del “Valore Pubblico”, LexItalia.it., n. 1, 1° gennaio 2024, dove i valori dell’etica pubblica costituiscono un’impronta dell’azione amministrativa, e di coloro che esercitano una funzione pubblica, dove l’elemento comune dovrebbe e deve essere un unico pensiero che si trasforma in azione: assicurare la realizzazione del bene collettivo, in tutte le sue forme, a beneficio di tutti (fare buona amministrazione).

 

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