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Part time e incarichi esterni nella PA
Avv. Maurizio Maria LUCCA, Segretario Generale Enti Locali e Development Manager
Inquadramento
Il regime vigente, codificato dall’art. 53, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (TUPI), pur individuando, al primo comma, situazioni di incompatibilità assoluta (sancite dagli artt. 60 e seguenti del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 per lo svolgimento di attività imprenditoriali, commerciali, libero-professionali, ed altri lavori pubblici o privati e per cariche sociali in società), il cui espletamento porta alla decadenza dall’impiego previa diffida, prevede anche, al comma 7, che l’attività occasionale espletabile dal dipendente pubblico sia preceduta da una previa autorizzazione datoriale ed anche le attività c.d. “liberalizzate” (ovvero, liberamente esercitabili senza previa autorizzazione, in quanto espressive di basilari libertà costituzionali, ex art. 53, comma 6, d.lgs. n. 165), esigono l’assenza del conflitto di interessi, anche potenziale (nei termini che seguiranno).
Ne consegue che l’attività esterna a favore di un altro soggetto può avvenire solo in via eccezionale (derogatoria) e attraverso un procedimento autorizzatorio definito dall’art. 53, Incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi, del TUPI, rivisto in chiave di prevenzione della corruzione, a seguito del comma 42, dell’art. 1 della legge n. 190/2012, con lo scopo di accertare l’assenza di un conflitto di interessi tra attività pubblica e incarico esterno, ed – in ogni caso – conseguire l’obiettivo di garantire l’imparzialità, l’efficienza ed il buon andamento della Pubblica Amministrazione nel rispetto dei principi sanciti degli artt. 97 (di buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa) e 98 (di esclusività dello svolgimento della prestazione lavorativa a favore del datore pubblico) Cost.: dall’impianto normativo emerge, quindi, una presunzione legale di carattere generale in relazione all’incompatibilità degli incarichi esterni con i doveri d’ufficio.
In altri termini, l’Amministrazione valuterà in astratto la prestazione extralavorativa, sul presupposto che la norma mira anche a salvaguardare le energie lavorative del dipendente al fine del miglior rendimento presso il datore di lavoro pubblico (la c.d. esclusività), indipendentemente anche dalla circostanza che questi abbia sempre regolarmente svolto la propria attività impiegatizia, rilevando una deroga per i rapporti di lavoro a “tempo parziale”: dove in ogni caso si dovrà accertare l’assenza del conflitto di interessi.
Giova evidenziare che si deve escludere che i dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale (part time) non superiore al 50 per cento possano essere implicitamente autorizzati, in via generale, allo svolgimento di attività extralavorativa retribuita, in quanto la normativa consente una deroga al principio di incompatibilità in caso di svolgimento di lavoro part time solo quando il lavoratore svolga una prestazione ad orario ridotto non superiore al 50 per cento e previa autorizzazione.
Le attività espletabili
Ciò posto, in linea generale, la sez. giur. Campania, con la sentenza n. 35 del 22 gennaio 2024, espone in chiaro la possibilità di assumere incarichi esterni, anche senza preventiva autorizzazione dell’Amministrazione di appartenenza, qualora il rapporto di servizio non è a tempo pieno (c.d. part time), con le precisazioni che seguono.
La questione verteva sulla possibilità o meno di un dipendente pubblico in part time al 50% di esercitare la funzione (il rapporto di lavoro) presso due distinte amministrazioni mediante il c.d. scavalco condiviso (cioè, a favore di più enti contemporaneamente).
È noto che con lo scavalco l’ordinamento consente ai dipendenti degli Enti locali di svolgere, previa autorizzazione, attività lavorativa a favore di altri Enti locali, di piccole dimensioni, ovvero associati tra loro che si trovano in particolari difficoltà nello svolgimento dei compiti istituzionali per carenza di personale, non solo ai titolari di un rapporto di lavoro a tempo parziale ma anche ai titolari di un rapporto di lavoro a tempo pieno: la seconda attività lavorativa del dipendente di altro Ente può avvenire sulla base sia di un nuovo contratto di lavoro subordinato (a tempo parziale) sia di un contratto di lavoro autonomo.
La Corte affronta dunque il cumulo di più rapporti di lavoro part time per 36 ore settimanali, pari al 100% del tempo pieno (full time) presso più Amministrazioni locali, nonché l’esercizio di altri incarichi (quali il revisore dei conti e il supporto all’ufficio finanziario): la prospettazione accusatoria riteneva la presenza di un illecito amministrativo dipeso dalla condotta del dipendente in violazione agli artt. 53, commi 7 e 7 bis, del TUPI e 92, comma 1, del TUEL., omettendo di riversare i compensi all’Amministrazione di appartenenza per l’attività extraistituzionale incompatibili.
La difesa del convenuto eccepiva la liceità della condotta trattandosi di prestazioni autorizzate in relazione all’avvenuta comunicazione (in assenza di diniego espresso) e altre di tipo fiduciario all’esito di procedure selettive.
Il Collegio giudicante non accoglie (per la loro infondatezza) le richieste della procura erariale, in relazione alla documentazione probatoria, sulle seguenti costatazioni:
· il dipendente prestava attività lavorativa part time presso l’Amministrazione di appartenenza;
· le attività extra time, tali da costituire di fatto un rapporto full time erano autorizzate e regolarmente disciplinate, nel senso che i rapporti tra le Amministrazioni stabilivano obblighi reciproci (l’Amministrazione datoriale ha consentito all’Amministrazione utilizzatrice di avvalersi delle prestazioni del proprio dipendente, nei limiti dell’orario massimo di servizio consentito);
· ne consegue la presenza di un espresso atto autorizzatorio, alla stregua di un legittimo incarico assentito, risulta inidoneo di per sé a trasformare il rapporto a tempo parziale in un formale ed unitario rapporto a tempo pieno;
· viene precisato, per rafforzare l’assunto che in tema di cumulo di impieghi, il regime della autorizzabilità trovi applicazione nei soli casi in cui il pubblico dipendente instauri con l’Amministrazione datoriale un rapporto di lavoro part time con prestazione lavorativa superiore al cinquanta per cento di quella a tempo pieno: solo in tali ipotesi il dipendente potrà legittimamente svolgere attività extraistituzionali in favore di terzi soltanto previa autorizzazione della Amministrazione di appartenenza;
· al contrario, ove il rapporto di lavoro a tempo parziale non risulti superiore al cinquanta per cento, viene ad applicarsi, ai sensi degli artt. 53, comma 6, d.lgs. n. 165/2001 e 92, comma 1, d.lgs. n. 267/2000, un regime di esenzione che consente al dipendente di instaurare, liberamente e senza autorizzazione, ulteriori rapporti a tempo parziale, ancorché in differenti fasce orarie, e di assumere, altresì, incarichi libero-professionali.
I profili elencati portano a ritenere che la configurabilità di un rapporto part time non superiore al 50% con l’Amministrazione datoriale consente al dipendente di prestare attività lavorativa o professionale presso altri soggetti, assumendo incarichi esterni, «anche se privi di autorizzazione, risultando quest’ultima non necessaria in presenza di plurimi ma autonomi rapporti di impiego a tempo parziale con» altri Comuni.
Condotte esigibili
Il dipendente, in ogni caso, qualora presti attività lavorativa a tempo parziale inferiore al 50% al fine di evitare ogni tipo di contestazione sull’obbligatorietà della preventiva autorizzazione (che non è richiesta dalla norma, secondo il presente orientamento giurisprudenziale) appare prudente (proprio per non giustificarsi in sede contenziosa) di informare l’Amministrazione di appartenenza sull’attività extralavorativa (informazione che il convenuto aveva puntualmente fatto, notiziando il Comune delle prestazioni extra orario):
· da una parte, al fine di evitare un potenziale conflitto di interessi (sempre possibile);
· dall’altra parte, indipendentemente dalla previsione di un obbligo di preventiva autorizzazione, in ragione di un dovere di trasparenza amministrativa e di lealtà nei rapporti con il proprio datore di lavoro, ex art. 2105 cod. civ., trattandosi di cumolo di impieghi e/o prestazioni professionali, alcune delle quali sono comunque incompatibili in via assoluta.
La sentenza chiarisce, altresì, l’esigenza della dovuta autorizzazione quando la prestazione a tempo parziale supera il 50%, ai sensi degli artt. 53, comma 6, del d.lgs. n. 165/2001 e 92, comma 1, del d.lgs. n. 267/2000 «circoscrivono alle ipotesi di part time con impegno superiore al 50% in quanto assimilabili alle ipotesi di full time».
In sintesi, l’attività extralavorativa va comunicata all’Amministrazione al fine di acquisire l’autorizzazione quando la prestazione supera il 50%, avendo cura di informare la stessa anche se il part time risultasse inferiore, giacché questa condotta risponde ad un’esigenza di natura negoziale rientrante tra i rapporti di fedeltà e correttezza tra lavoratore e datore di lavoro, ispirato al canone generale della buona fede, escludendo l’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave (coscienza e volontà o grave negligenza o imperizia).
Gli obblighi di correttezza
In questo senso, la comunicazione, da parte del dipendente interessato, dello svolgimento di incarichi extraistituzionali retribuiti costituisce un preciso dovere di servizio, espressione anche dei generali obblighi di correttezza e buona fede, di cui all’art. 1175 e 1375 cod. civ. (ex fide bona), irrorati dai canoni di fedeltà, disciplina e onore (ex art. 54 Cost.), ontologicamente connotati dal regime delle incompatibilità, la cui violazione consente di ritenere integrato “l’occultamento doloso” del danno, che può dirsi scoperto solo all’esito degli accertamenti investigativi all’uopo espletati: il predetto occultamento doloso può, infatti, consistere anche in un comportamento semplicemente omissivo del dipendente, che tralascia di compiere un atto dovuto, prescritto per legge.
La giurisprudenza di legittimità ha ribadito che in presenza di obbligo giuridico di informare e, quindi, di attivarsi, l’ulteriore condotta dolosa del debitore/dipendente pubblico, tesa ad occultare il fatto pregiudizievole, possa estrinsecarsi anche in una condotta omissiva, «quando chiaramente riguardi atti dovuti, ai quali, cioè, il debitore è tenuto per legge», sicché «il doloso occultamento è requisito diverso e più grave rispetto alla mera omissione di una informazione, omissione che assume rilievo solo ove sussista un obbligo della parte di informare».
L’eventuale mancato riscontro alle comunicazioni, da parte dell’Amministrazione di appartenenza, ovvero il mancato diniego, ingenera progressivamente un legittimo affidamento sul loro tacito accoglimento e, in ogni caso, sull’assenza di profili di incompatibilità o conflitto di interessi tra compiti d’ufficio ed incarichi esterni, in sintonia con la previsione del comma 10, dell’art. 53 del TUPI.
La mancata comunicazione e l’onere restitutorio
Il comma 7, dell’art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001, impone al dipendente pubblico di restituire automaticamente (un c.d. obbligo restitutorio) all’Amministrazione di appartenenza i compensi percepiti per incarichi extraistituzionali privi della prescritta autorizzazione, prescindendo dalla tipologia di attività svolta e dunque in maniera pressoché meccanicistica rispetto al dato oggettivo di ridetta mancanza.
La mancata autorizzazione acclara un inadempimento del funzionario che si perfeziona unu actu, a prescindere da un formale atto di messa in mora dell’Amministrazione di appartenenza che, d’altro canto, potrebbe essere all’oscuro dell’indebito svolgimento di attività esterna, in mancanza di richiesta di autorizzazione da parte dell’interessato.
È evidente, infatti, che solo allorquando il datore di lavoro “scopre” (il c.d. disvelamento) che il funzionario pubblico è dedito ad attività lavorativa extra, incompatibile ex lege e intenzionalmente celata, potrà adottare tutte le iniziative necessarie per il recupero dei compensi aliunde percetti e non riversati “automaticamente”, ex art. 53, comma 7, del TUPI, con il connesso procedimento di natura disciplinare.
L’atto che assurge a presupposto giuridico della responsabilità amministrativa, ex art. 53 commi 7 e 7 bis del d.lgs. n. 165/2001, non è tanto la diffida dell’Amministrazione, ma, esclusivamente, il mancato incameramento al bilancio pubblico delle somme indebitamente percepite aliunde dal dipendente infedele e dal medesimo non riversate “automaticamente”.
Le misure di prevenzione
A margine, pare giusto osservare che qualora il dipendente riceva incarichi extra da altre PA, queste ultime sono obbligate ad acquisire l’autorizzazione dall’Amministrazione di appartenenza, quanto meno per comunicare i compensi erogati o stabilire l’eventuale conflitto di interessi o altri elementi ostativi: si tratterebbe di una misura di prevenzione della corruzione e della trasparenza, stabilita tra quelle obbligatorie di controllo, nonché un dovere di leale collaborazione tra PA.
Cfr. il comma secondo, dell’art. 6, Lavoro straordinario – Incompatibilità, del DPCM 17 marzo 1989, n. 117, Norme regolamentari sulla disciplina del rapporto di lavoro a tempo parziale, ove si stabilisce che «Al personale interessato è consentito, previa motivata autorizzazione dell’amministrazione o dell’ente di appartenenza, l’esercizio di altre prestazioni di lavoro che non arrechino pregiudizio alle esigenze di servizio e non siano incompatibili con le attività di istituto della stessa amministrazione o ente». Vedi, anche, il comma 58, secondo periodo, dell’art. 1, Misure in materia di sanità, pubblico impiego, istruzione, finanza regionale e locale, previdenza e assistenza, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, Misure di razionalizzazione della finanza pubblica, dove può essere negata la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale «nel caso in cui l’attività lavorativa di lavoro autonomo o subordinato comporti un conflitto di interessi con la specifica attività di servizio svolta dal dipendente ovvero, nel caso in cui la trasformazione comporti, in relazione alle mansioni e alla posizione organizzativa ricoperta dal dipendente, pregiudizio alla funzionalità dell’amministrazione stessa»; il comma 58 bis, del cit. art. 1, dopo aver chiarito gli obblighi di verifica dell’assenza del conflitto di interessi, impone alle PA di «indicare le attività che in ragione della interferenza con i compiti istituzionali, … comunque non consentite ai dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale con prestazione lavorativa non superiore al 50 per cento di quella a tempo pieno». Il comma 58 bis termina il periodo disponendo che «i dipendenti degli enti locali possono svolgere prestazioni per conto di altri enti previa autorizzazione rilasciata dall’amministrazione di appartenenza». Tale ultima norma viene riproposta dall’art. 92, Rapporti di lavoro a tempo determinato e a tempo parziale, del d.lgs. n. 267/2000 (TUEL), dove si conferma al primo comma che «Gli enti locali possono costituire rapporti di lavoro a tempo parziale e a tempo determinato, pieno o parziale, nel rispetto della disciplina vigente in materia. I dipendenti degli enti locali a tempo parziale, purché autorizzati dall'amministrazione di appartenenza, possono prestare attività lavorativa presso altri enti».
Le ipotesi di incompatibilità assoluta, di cui all’art. 60 del d.P.R. n. 3/1957, vanno ricondotte, senza differenziazione alcuna, all’alveo applicativo dell’art. 53, commi 7 e 7 bis, del TUPI, Corte conti, sez. II Appello, sentenze n. 175/2019; n. 238/2020; n. 120/2021, n. 295/2022. Esercitare il ruolo di amministratore con abitualità e professionalità in un’impresa agricola, è motivo di incompatibilità assoluta, Corte conti, sez. giur. Emilia Romagna, 11 dicembre 2023, n. 124. Vedi, sull’attività agricola, TAR Basilicata, sez. I, 7 settembre 2023, n. 518.
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