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Il controllo pubblico congiunto nel Tuspp: aspetti ancora controversi
di Roberto Camporesi 13 maggio 2024
Materia: società / partecipazione pubblica

Il controllo pubblico congiunto nel Tuspp: aspetti ancora controversi

 

Roberto Camporesi dottore commercialista revisore legale dei conti – studio BP

 

La società partecipata da Comuni presenta ricorso al Tar Lazio avverso nota tramessa dal Ministero dell’Economia e delle Finanze – Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, Ispettorato Generale dei servizi ispettivi di finanza, avente ad oggetto la verifica amministrativo-contabile dalla quale sono emerse irregolarità, e successivi motivi aggiunti anche in relazione a successiva nota del medesimo ufficio del Ministero.

La società ricorrente deduce di non avere la natura giudica di “società a controllo pubblico” e, quindi, di non poter essere ritenuta destinataria dei vincoli imposti dalla normativa di riferimento, in particolare rappresentata dal d.lgs. 10 agosto 2016, n. 175, recante il Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica (Tuspp), sulla cui base i rilievi – perciò insussistenti – sono stati formulati.

La sentenza del Tar Lazio ( TAR Lazio Roma, sez. II, 11 aprile 2024, n. 6983) affronta un argomento che non ha trovato una sua definizione interpretativa definitiva e che attiene alla individuazione del controllo pubblico congiunto desumibile dal Tuspp; compendio normativo che si atteggia fonte di rango eccezionale e che pertanto attraverso il contenuto espresso delle proprie disposizioni va rintracciata la relativa interpretazione.

Gli elementi normativi che devono esser considerati sono riferiti alla definizione dettata dal d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175 recante il testo unico in materia di società a partecipazione pubblica e, in specifico, dalle lett. m) e b) del comma 1 dell'art. 2 che recitano così:

-                     alla lett. m), per (“società a controllo pubblico” si intende “le società in cui una o più amministrazioni pubbliche esercitano poteri di controllo» ai sensi della precedente lett. b)”;

-                     alla lett. b), per “controllo” si intende “la situazione descritta nell'articolo 2359 del codice civile”, con la precisazione che il “(…) controllo può sussistere anche quando, in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all'attività sociale è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo”.

Il citato art. 2, comma l, d.lgs. n. 175/2016, alla lett. b), per definire il concetto di controllo pubblico fa anzitutto riferimento alla “situazione descritta” nell'art. 2359 cod. civ., e segnatamente ai commi primo e secondo.

Tra i casi contemplati al comma primo dell'art. 2359 cod. civ. rilevano, ai fini della nozione di controllo pubblico, solo i casi di controllo c.d. “interno” discendenti dalla partecipazione al capitale sociale, descritti ai nn. l) e 2) di tale comma, e cioè i casi in cui una pubblica amministrazione:

-                     dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria» della società partecipata (controllo interno c.d. “di diritto”);

-                     pur non detenendo tale maggioranza, nondimeno “dispone di voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria” della società partecipata, ossia è in grado, con una certa stabilità nel tempo (e non in maniera meramente occasionale), di far prevalere la propria volontà in tale assemblea, ad esempio a causa del frazionamento della compagine sociale e/o dell'assenteismo degli altri soci o comunque in forza di previsioni statutarie o di patto parasociale che comunque assegnino a un socio non di maggioranza il governo delle decisioni assembleari strategiche, attraverso sindacati di voto dal medesimo dominati o quorum funzionali che gli conferiscano un potere di interdizione ecc. (controllo interno c.d. “di fatto”");

-                      Va osservato che ai fini della fattispecie del controllo pubblico non viene in rilievo il caso descritto al comma primo, n. 3) dell'art. 2359 cod. civ in quanto si esplica senza la partecipazione al capitale (c.d. “controllo esterno”) come invece richiedono le disposizioni del Tuspp.

 

L’art. 2359 Cod. civ. esprime l’intenzione del Legislatore di modulare l’intervento normativo a seconda dell’intensità del legame rinvenibile tra società, distinguendo tra le due ipotesi del controllo e del collegamento. In particolare, è controllata la società che si trova sotto l’influenza dominante di altra società, che è perciò in grado di indirizzarne l’attività nel senso da essa voluto. Il concetto di influenza dominante rappresenta l’essenza di ogni ipotesi di controllo prevista dall’art. 2359 Cod. civ., compreso il controllo interno di diritto. Si ritiene che sia dominante l’influenza di chi ha il potere di porre la propria volontà come presupposto causale assoluto e positivo sulle decisioni della controllata e, in ultima analisi, il potere di nominare l’organo amministrativo. (Cfr. Notari, Bertone, Azioni, Comm. Marchetti, sub art. 2359, pag. 710).

Appare consolidato l’orientamento in base al quale le situazioni di controllo considerate dall'art. 2359 cod. civ. sono esclusivamente quelle di controllo solitario" (o “monocratico" o "individuale"), ossia le situazioni in cui la dominanza, interna o esterna, sulla società spetta a un solo soggetto (e non a più soggetti d'accordo tra loro) (Trib. Milano, 24 luglio 2018. In dottrina cfr., per tutti, F. Galgano, Diritto civile e commerciale, vol. III, t. 2, IV ed., Cedam, Padova, 2004, pag. 159).

Il secondo periodo dell'art. 2, comma 1, lett. b) Tuspp dà invece rilevanza a situazioni di controllo pubblico c.d. “congiunto", prevedendo che il controllo pubblico sussiste non solo nelle situazioni, sin qui descritte, di controllo solitario ex art. 2359 cod. civ., ma anche quando - come sopra riportato - “in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all'attività sociale è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo”.

Non sfugge al riguardo che si è indotti quindi a ritenere che sussista una sovrapposizione di piani interpretativi del fenomeno del “controllo” delle società a partecipazione pubblica che viene a distinguersi sotto il profilo funzionale in base all’obiettivo che si pone il compendio normativo in cui ricade: ognuno con caratteri propri. Si può allora affermare che sussista:

-           Un controllo basato secondo la disciplina generale prevista dal cod. civ. che ha la propria fonte primaria nell’art. 2359 cod. civ.. Norma che rimane ferma al principio interpretativo in base al quale non è ipotizzabile un controllo congiunto di diritto, in quanto un solo socio deve avere la maggioranza dei voti assembleari affinché possa esercitare un’”influenza dominate” per l’esercizio del controllo;

-           Un controllo “pubblico” secondo le disposizioni del “Testo Unico” – nella interpretazione sopra riportate;

-           Un controllo analogo (anche congiunto) che, sebbene riportato nelle stesse definizioni di cui all’art. 2 del “Testo Unico”, trova la propria fonte normativa nel codice dei contratti e delle relative direttive comunitarie in materia di appalti e concessione, ed è finalizzato al controllo del servizio (in modo “analogo” a quello che la PA eserciterebbe sui propri servizi) quale requisito necessario per l’affidamento in house, (non rilevante al caso in esame);

-           Un controllo “pubblico congiunto” che tuttavia non trova una sua espressa definizione nell’art. 2 del Tuspp e che è stato oggetto di una ricostruzione esegetica con approdi differenti e oggetto della sentenza del Tar Lazio di cui si tratta.

La dottrina si è soffermata anche sulla necessità che le forme organizzative che possono dare luogo ad un controllo congiunto in forma scritta.

Con riferimento alla forma richiesta per gli strumenti di organizzazione, si può sostenere che la sussistenza di un controllo pubblico congiunto richiede che gli atti vincolanti siano redatti in forma scritta. A sostegno tale impostazione si è pronunziata anche la giurisprudenza amministrativa, di cui si possono richiamare le decisioni del TAR del Veneto e del Friuli-Venezia Giulia e, in appello, del Consiglio di Stato. Tali sentenze si riferiscono al caso di una società partecipata da diversi soggetti pubblici (nel caso di specie, comuni), i quali, non solo detenevano collettivamente circa il 90% del capitale sociale ma, per anni, hanno esercitato i loro diritti di voto in modo da offrire orientamenti univoci e concordi. Nonostante tale situazione, i due TAR e il Consiglio di Stato non hanno ritenuto sussistente un controllo congiunto di tali enti sulla società, in quanto risultava assente una documentazione scritta contenente gli elementi formali e vincolanti su cui fondare il controllo. Tale orientamento in merito alla forma scritta stato confermato anche dal TAR Lazio, Roma, 19 aprile 2019, n. 5118, il quale ha ritenuto non sufficiente desumere il controllo pubblico né da una mera e astratta possibilità per i soci pubblici di far valere una maggioranza azionaria in assemblea, né dalla configurabilità di comportamenti concludenti in assenza di una formalizzazione scritta di tali accordi. Aderisce al presente orientamento anche la già citata sentenza del TAR Emilia-Romagna n. 5118/2020, in cui il Collegio ha ritenuto incontestabile che “il dato fattuale della assoluta mancanza di disposizioni statutarie o pattizie che impongano ai soci pubblici l’assunzione di decisioni unanimi per le scelte strategiche della società” impone di considerare non sussistente un controllo pubblico. Una conferma di ciò può essere ravvisata nella natura di confine della disciplina che regola le società a controllo pubblico. Infatti, se da un lato le società costituiscono enti appartenenti al diritto civile, dall’altro, i soci che la compongono sono soggetti di diritto pubblico.” ( Paolo Valensise, “Un punto sul dibattito relativo alla nozione di “società a controllo pubblico” ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. “b” e “m” del Tuspp  “ in  Il controllo delle imprese nella legislazione italiana alla ricerca di una nozione comune” a cura di Luciano Acciari, Francesco Salerno, Gustavo Visentini - Pacini editore Pisa 2023).

Nello stesso segno altro autore afferma come l’interpretazione del controllo pubblico prevista dal Tuspp debba esser coerente con lo spirito dell’art. 2359 c.c., il quale, ai fini di un controllo, presuppone un’influenza concreta (si ricordino i tre casi previsti del controllo di diritto, di fatto e il controllo contrattuale), ossia la presenza di strumenti giuridici negoziali di coordinamento, che consentano la formazione di un centro organizzato, anche plurimo, di decisione strategica. Pertanto, sulla base del coordinamento giuridicamente vincolante, per i soci coinvolti, previsto dal 2359 c.c., si ritiene di escludere un orientamento che fondi il controllo pubblico sulla mera sommatoria algebrica di partecipazioni azionarie, in quanto in disarmonia con la natura della disciplina civilistica a cui il Tuspp rimanda. (Cfr. Vittorio Occorsio, Roberto Ranucci: “Società pluripartecipate: controllo pubblico, controllo analogo congiunto e partecipazioni “pulviscolari” in Rivista Corte dei conti n. 5/2019)

Rispetto tali orientamenti si discostano plurime sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, le sezioni riunite in sede di controllo ed un orientamento del Mef reso ai sensi dell’art. 15 del Tuspp che rispettivamente affermano la rilevanza della semplice somma delle partecipazioni o la verifica del controllo per “fatti concludenti”.

Si registrano recenti nuove interpretazioni della giurisprudenza

Il Consiglio di Stato, con sentenza 3880/2023 del 9/02/2023 ha riformato la precedente decisione del TAR e Emilia-Romagna Sezione Prima n. 00858/2020 ed entra nel merito anche del controllo in forma congiunta.

Secondo il Tar sarebbe stato necessario un accordo in forma scritta sottoscritto dai soci mentre non era bastevole ricavare il controllo «dalla mera astratta possibilità per i soci pubblici di far valere la maggioranza azionaria in assemblea».

Diversamente per il Consiglio di Stato, sono sufficienti i “comportamenti concludenti paralleli, oltre alla composizione societaria”, e osserva che “né a fronte di tali elementi concordanti è stata offerta una prova contraria (come, riprendendo le indicazioni di Anac, nella delibera n. 859 del 25.9.2019, sarebbe stato onere di controparte fare”, tanto più che i soci sono tutti pubblici. E aggiunge «che poi, in caso di società le cui partecipazioni sono possedute tra plurimi soci enti pubblici, un simile controllo per essere qualificabile come congiunto debba fondarsi e tradursi per forza in atti formali appare più che dubbio. Nessuna disposizione del TUSP lo prevede (…) e in assenza di una previsione ad hoc dovrebbe valere semmai il principio della libertà delle forme».

A fronte di tale sentenza del Consiglio di Stato, il Tar Emilia-Romagna sez. prima n. 434/2023 del 24/05/2023 conclude ancora in modo coerente con i propri precedenti orientamenti così motivando “Il collegio - pur consapevole dell’esistenza di un precedente difforme (Cons. Stato n. 3880/2023) – non intende allo stato, in attesa di un consolidamento giurisprudenziale della materia, discostarsi dal proprio orientamento espresso in numerose sentenze, con cui questo Tribunale (Sez. I, nn. 858/2020, 950/2020, 951/2020, 952/2020n 78/2023), ha respinto, sulla base di articolate argomentazioni da intendersi qui integralmente richiamate, precedenti impugnative proposte dalla parte ricorrente in relazione ad analoghe questioni, evidenziando in estrema sintesi.

Ora il Tar Campania richiamando la sentenza del Consiglio di Stato ultimo afferma” come l’elemento del controllo pubblico sulla società medesima sia, peraltro, desumibile, oltre che dalla partecipazione pubblica totalitaria, anche dall’esame dei quorum deliberativi delle delibere assembleari relative a decisioni strategiche dell’attività sociale, adottate pressoché sempre all’unanimità, a conferma di come le pubbliche amministrazioni (enti locali) che detengono partecipazioni azionarie abbiano in concreto influito sulle decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale anche ai sensi dell’art. 2, lett. b), del d.lgs. n. 175 del 2016.”

Pertanto, il controllo congiunto, nel caso di specie e secondo l’interpretazione della sentenza del Consiglio di Stato come richiamata dal Tar Lazio,  deriva da due elementi che debbono essere concomitanti:

a)      La partecipazione totalitaria pubblica;

b)      Il riscontro che le delibere assembleari relative a decisioni strategiche dell’attività sociale, sono state adottate pressoché sempre all’unanimità che configurano i c.d. “comportamenti paralleli” di cui fa riferimento come elemento necessario il massimo giudice amministrativo.

Di tal che ex adverso dovrebbe risultare che, qualora le due caratteristiche non siano concomitanti non si perfezionerebbe il controllo pubblico congiunto.

Di particolare interesse il caso in cui non si registrino delibere assembleari all’unanimità sulle decisioni strategiche, fra le quali necessariamente devono annoverarsi anche quelle per l’approvazione del bilancio di esercizio  ovvero si verifichino astensioni o addirittura voti contrati e perfino richieste di revoca di amministratoti di nomina pubblica.

Ciò denota che, se in via astratta, gli enti soci pubbliche amministrazioni dovrebbero perseguire un identico fine pubblico – rinvenibile ontologicamente dalla stessa natura degli stessi  – è altrettanto vero che nel caso dell’esercizio dei diritti di azionisti tale presunta unità di finalità pubbliche si declina sovente in atteggiamenti contrapposti lasciando trasparire interessi di altra natura ( fra i quali ad esempio quelli particolari dell’interesse economico patrimoniale) che divengono espressione plastica di una carenza di unita e quindi conseguentemente del venire meno in radice della possibilità di una direzione unitaria costante e coordinata nel tempo sulla società partecipate. Ne consegue il venire meno della possibilità di un controllo congiunto quale mero esercizio dei diritti derivanti dalla somma delle partecipazioni frazionate fra loro tanto che nessuno di esse detiene isolatamente la maggioranza.

Paradossalmente anche nelle società in cui non sono presenti soggetti privati (a cui eventualmente attribuire un controllo diverso da quello pubblico) e la partecipazione fosse totalitaria in mano pubblica con un socio di maggioranza, si otterrebbe un controllo non congiunto ma meramente isolato di solo quella pubblica amministrazione che nella sua declinazione pratica – come detto – porterebbe ad escludere l’interesse delle minoranze.

Da tali considerazioni riemerge come anche nel caso di partecipazione totalitaria pubblica ma frazionata fra più socio, per “indurre” esercizio dei diritti di azionisti ( di fatto rappresentati dal voto unanime in assemblea) necessiterebbe degli accordi o in seno allo statuto ovvero accordi di natura parasociale.

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