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Sulla revoca e sulla nomina degli amministratori di società pubbliche da parte dei Sindaci neoeletti
di Andrea Arduini e Roberto Camporesi 26 giugno 2024
Materia: enti locali / sindaco

Sulla revoca e sulla nomina degli amministratori di società pubbliche da parte dei Sindaci neoeletti.

 

A cura di Avv. Andrea Arduini e Dott. Roberto Camporesi – Studio BP & Associati

A pochi giorni dall’esito delle elezioni amministrative 2024 e a poche ore dall’esito dei ballottaggi, per i Sindaci neoeletti è di centrale rilevanza il tema delle eventuali revoche e quello delle nomine degli amministratori delle società a partecipazione pubblica comunale.

Pertanto, in questo breve articolo si cercherà di tracciare un vademecum in merito, che tiene conto della più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione, del Consiglio di Stato e della Corte Costituzionale in materia.

Sul potere di revoca.

Principiando dal potere di revoca che, salvo scadenza naturale dei mandati o differenti cause interruttive dei rapporti gestori in essere, precede quello di nomina, va rilevato che, a livello generale, il Sindaco può revocare gli amministratori delle società partecipate dal Comune, ove previsto dai relativi statuti, ai sensi dell’art. 2449 c.c., laddove sussista una giusta causa di revoca.

Va precisato che l’eventuale sindacato sulla sussistenza o meno di una giusta causa di revoca è ad oggi pacificamente devoluto alla giurisdizione ordinaria, in quanto l’atto di revoca è ritenuto espressione di capacità e di poteri di diritto privato.

Va altresì precisato che, laddove tale sindacato accerti l’insussistenza di una giusta causa di revoca, gli amministratori avranno diritto, non già alla reintegrazione, ma al risarcimento dei danni.

In merito si rinvia a Cass., Sez. Un., n. 29078/2019[1].

Con riferimento alla tematica in esame, ovverosia con riferimento alla fase di insediamento dei nuovi Sindaci e dei nuovi Consigli Comunali, quanto alla revoca degli amministratori delle società partecipate dai Comuni, va rilevato il progressivo superamento dell’orientamento che riteneva che, anche in tali situazioni, fosse comunque necessaria la sussistenza di una giusta causa di revoca che andava individuata in carenze dimostrate dagli amministratori nell’espletamento dei loro compiti e/o nella loro incapacità di mutare indirizzo secondo le nuove linee indicate dall’Ente.

La Corte di Cassazione infatti, a Sezioni Unite, con la sentenza n. 16335 del 18.6.2019 ha affermato che “L'elezione di un nuovo Sindaco e di un nuovo consiglio comunale, ex art. 50[2], commi 8 e 9, T.u.e.l. rappresenta ex sé “giusta causa” oggettiva di revoca della carica degli amministratori nella società partecipata dal comune, e non sussiste, quindi, il diritto degli amministratori revocati al risarcimento del danno ai sensi dell'art. 2383, comma 3, c.c. L'art. 50, commi 8 e 9, T.u.e.l., prevede espressamente un meccanismo di spoils system, integra ex sé una giusta causa oggettiva di revoca degli amministratori ed è coerente all'art. 97 Cost., qualora riferito a soggetti titolari di organi di vertice dell'amministrazione e che debbano essere nominati intuitu personae, cioè sulla base di valutazioni personali coerenti all'indirizzo politico.”

Ne consegue, pertanto, che, entro i primi 45 giorni dall’insediamento, i Sindaci potranno revocare, ai sensi dell’art. 2449 c.c. eterointegrato dall’art. 50 del D.Lgs. n. 267 del 2000 (T.u.e.l.), gli amministratori delle società partecipate dal Comune, anche in assenza di una specifica giusta causa (soggettiva), senza che poi costoro possano richiedere il risarcimento dei danni.

Si precisa, peraltro, che tale arresto è stato recentemente richiamato e condiviso anche dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 4067 del 2023, ove si legge “In conclusione le Sezioni Unite (…) qualificano l’art. 50 T.u.e.l. come giusta causa oggettiva di revoca degli amministratori, per consentire al Sindaco di scegliere persone in linea con l’indirizzo politico e imprenditoriale dell’amministrazione comunale”.

In definitiva, i Sindaci neoletti, in questo breve arco temporale, potranno legittimamente revocare gli amministratori delle società partecipate dal Comune, anche in assenza di giusta causa (soggettiva).

Resta inteso che, ove sussistano carenze dimostrate dagli amministratori nell’espletamento dei loro compiti e/o loro incapacità di mutare indirizzo secondo le nuove linee indicate dall’Ente, è ad ogni modo opportuno che ne sia data debita evidenza negli atti di revoca.

 Sul potere di nomina. La recente sentenza della Corte Costituzionale n. 98 del 4.6.2024.

Venendo al potere di nomina degli amministratori di società pubbliche da parte dei Sindaci va rilevato che la sentenza in commento ha ampliato, rispetto al recente passato, il perimetro della conferibilità di tali incarichi.

Infatti, il Giudice delle Leggi, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il divieto di conferire l’incarico di amministratore di enti privati sottoposti a controllo pubblico da parte degli Enti locali (Comuni e Province) a coloro che nell’anno precedente hanno svolto un analogo incarico presso enti della medesima natura.

Segnatamente, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 1, c. 2, lett. f) e 7, c. 2, lett. d) del D.lgs. 8 aprile 2013, n. 39, “Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le Pubbliche Amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell'articolo 1, commi 49 e 50, della Legge 6 novembre 2012, n. 190[3], per eccesso di delega[4].

La Corte Costituzionale ha infatti precisato:

- che la Legge di delega (L. n. 190/2012) ha circoscritto la non conferibilità degli incarichi amministrativi di vertice solo alle ipotesi di provenienza politica del nominato, cioè solo ai casi in cui costui abbia svolto, nell'anno precedente, incarichi di natura politica;

- che tali non sono gli incarichi di amministratore di enti di diritto privato sottoposti a controllo pubblico, che la Legge di delega non ha incluso tra le posizioni di provenienza ostative;

- che le disposizioni del D.lgs. n. 39/2013 avrebbero dovuto prediligere un'interpretazione restrittiva delle cause di inconferibilità che si mantenesse entro i binari indicati dalla legge di delega;

- che esse invece hanno incluso, tra le ragioni di inconferibilità di nuovi incarichi, l'esercizio di pregresse esperienze di natura non politica, anche mediante l'introduzione della definizione di “componenti di organi di indirizzo politico” (art. 1, c. 2, lett. f), D.lgs. n. 39/2013) che, in modo improprio, si riferisce anche alle persone che abbiano preso parte a organi privi di rilevanza politica, quali, per quanto in questa sede interessa, quelli di indirizzo “di enti di diritto privato in controllo pubblico”;

- che, in tal modo si è operata una commistione tra incarichi politici e incarichi di mera gestione amministrativo-aziendale, che devono invece essere tenuti distinti[5].

In definitiva, il perimetro del potere di nomina dei Sindaci neoeletti, dopo tale sentenza, è più ampio, in quanto i Primi cittadini potranno contare anche sulla nomina di coloro che nel corso dell’ultimo anno hanno ricoperto la carica di amministratore unico o di consigliere di amministrazione di enti di diritto privato controllati da Amministrazioni locali.



[1] La cui massima afferma che: “In tema di società per azioni con partecipazione pubblica, spetta al giudice ordinario la cognizione della controversia relativa alla revoca dell'amministratore nominato ai sensi dell'art. 2449 c.c., trattandosi di atto posto in essere dall'ente pubblico "a valle" della scelta iniziale di avvalersi dello strumento societario, compiuto avvalendosi degli strumenti che il diritto comune attribuisce al socio e dunque interamente regolato dal diritto privato, come si evince chiaramente dal testo del richiamato art. 2449 c.c., il quale, da un lato, individua nello statuto sociale, e dunque in un atto fondamentale di natura negoziale, la fonte esclusiva dell'attribuzione al socio pubblico della facoltà di nominare un numero di amministratori proporzionale alla sua partecipazione, con la correlata facoltà di revocarli, e, dall'altro, precisa che gli amministratori così nominati hanno i medesimi diritti e i medesimi obblighi di quelli designati dall'assemblea, sicché, al pari di questi ultimi, godono dei soli diritti previsti dall'art. 2383, comma 3, c.c., tra i quali non può rientrare, senza violare il principio normativo di uguaglianza dei diritti, la pretesa alla reintegrazione a seguito del sindacato sulla legittimità del provvedimento di revoca, spettando loro solo il diritto al risarcimento dei danni, ove il giudice ritenga che la revoca non sia sorretta da giusta causa.”

 [2] “8. Sulla base degli indirizzi stabiliti dal consiglio il sindaco e il presidente della provincia provvedono alla nomina, alla designazione e alla revoca dei rappresentanti del comune e della provincia presso enti, aziende ed istituzioni.

9. Tutte le nomine e le designazioni debbono essere effettuate entro quarantacinque giorni dall'insediamento ovvero entro i termini di scadenza del precedente incarico. In mancanza, il comitato regionale di controllo adotta i provvedimenti sostitutivi ai sensi dell'art. 136.”

 [3]Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella Pubblica Amministrazione”. 

[4] Si precisa, peraltro, che il Giudice a quo (TAR per il Lazio) aveva ritenuto sussistenti anche altre violazioni, non meramente formali, della Costituzione.

Tra queste era stata evidenziata l'illegittima e sproporzionata restrizione dell'accesso agli Uffici pubblici (artt. 3 e 51 Cost.) e del diritto al lavoro del professionista interessato (artt. 3 e 4 Cost.). Ancora, dal punto di vista dell'Amministrazione, una lesione dei principi di buon andamento e di efficienza dell'azione amministrativa (art. 97 Cost.), declinato anche in rapporto al principio di autonomia dei piccoli comuni (artt. 114 e 118 Cost.), i quali sarebbero ostacolati nel reperimento di professionisti idonei a ricoprire gli incarichi di responsabilità amministrativa presso gli enti privati da loro controllati.

[5]  In tal senso si era espressa anche l'ANAC nell'ambito della sua attività istituzionale di segnalazione e di impulso al Parlamento e al Governo, evidenziano che nelle cariche di presidente e di amministratore, tanto degli enti pubblici, quanto degli enti privati in controllo pubblico, “non si riscontra [...] la titolarità di funzioni di indirizzo politico (in senso stretto come ipotizza la delega del comma 50), ma piuttosto di funzioni di indirizzo politico-amministrativo (per gli enti pubblici) e di indirizzo politico “aziendale” (per gli enti di diritto privato in controllo pubblico)” e, auspicando, pertanto, l'eliminazione di tali posizioni dal novero di quelle che comportano inconferibilità. Ciò, proprio al fine di ricondurre le previsioni del D.lgs. n. 39 del 2013 alla delega della Legge n. 190 del 2012 (così, il punto n. 6 della “Relazione finale sulla revisione della disciplina vigente in materia di inconferibilità e incompatibilità degli incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico”, redatta, nel mese di luglio 2015, dalla Commissione di studio, istituita in seno ad ANAC, per la revisione della disciplina vigente in materia di prevenzione della corruzione e di trasparenza).

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