HomeSentenzeArticoliLegislazionePrivacyRicercaChi siamo
Il rinnovo dei contratti pubblici di appalto dopo la sentenza del Consiglio di Stato n. 6458 del 31.10.2006
di Fernando Falco 14 dicembre 2006
Materia: appalti / contratti

IL RINNOVO DEI CONTRATTI PUBBLICI DI APPALTO DOPO LA SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO n. 6458 del  31.10.2006

 

Il Consiglio di Stato, Sezione IV, in data 31 ottobre 2006, con sentenza n. 6458 nonché con altre pronunce in pari data, ha messo la parola fine sulla questione relativa alla permanenza o meno dell’istituto del rinnovo espresso nell’ordinamento ed alla sua applicazione.

L’art. 23 della legge 62/2005 nel disporre “l’eliminazione della possibilità di provvedere al rinnovo dei contratti di appalto scaduti”, avrebbe assegnato una valenza generale ed una portata preclusiva di opzioni ermeneutiche ed applicative di altre disposizioni dell’ordinamento che si risolvono, di fatto, nell’elusione del divieto di rinnovazione dei contratti pubblici.

In effetti ne discende che l’art. 23 imporrebbe l’applicazione restrittiva dell’art. 7, comma 2°, lett. f), d.lgs. 157/1995, abrogato dal d.lgs. 163/2006, e riprodotto dal medesimo d.lgs. all’art. 57, comma 6, lett. b, per cui la norma si riferisce al caso di richiesta di nuovi affidamenti, aventi ad oggetto la ripetizione di servizi analoghi da parte del privato contraente e non alla richiesta di rinnovo, ipotesi diversa, e non potrebbe essere applicata se non in presenza, tra l’altro, di un unico progetto di base.

D’altra parte se il rinnovo di diritto interno cadrebbe nel dettato del rinnovo europeo, non avrebbe ragione d’essere la procedura di infrazione contro l’Italia avviata dall’Unione Europea, né si spiegherebbe il motivo che ha condotto il legislatore nazionale ad adottare l’articolo 23 della legge 62/2005.

Entrando nel dettaglio l’Alto Consesso ha rilevato che l’articolo 23 della legge 62/2005 non ha fatto altro che eliminare radicalmente e definitivamente l’istituto del rinnovo dall’ordinamento, abrogando l’ultima parte dell’articolo 6, comma 2, della legge 537/1993, che prevedeva, sia pure a determinate condizioni, il rinnovo espresso dei contratti.

La normativa vigente ante legge 62/2005 regolamentava il rinnovo espresso all’articolo 6, comma 2, ultima parte, della legge 537/1993, che prevedeva :

1) il divieto del rinnovo tacito;

2) la possibilità di rinnovare il contratto in modo espresso e motivato, anche in assenza di   specifiche clausole di rinnovo all’interno dei capitolati, dei bandi o dei contratti, visto che il rinnovo era consentito direttamente dalla legge e che le condizioni generali per addivenirvi erano sempre legislativamente stabilite.

Ora, quando il legislatore con la legge 62/2005 ha abrogato detto istituto, ha chiaramente sradicato dall’ordinamento giuridico anche  il rinnovo espresso.

Difatti, procedendo a ritroso, non si può omettere di constatare che la procedura di infrazione n. 2110/2003, avviata dalla Comunità Europea nei confronti dell’Italia, faceva esplicito riferimento alle disposizioni dettate dall’art. 44 della legge 724/1994 e dall’art. 6 della legge 537/1993, che consentivano alle pubbliche amministrazioni di attribuire nuovi appalti senza alcuna procedura di messa in concorrenza. Ed è questa la chiave di lettura dell’introduzione dell’art. 23 della legge 62/2005, formulato senza porre distinzione fra contratti già stipulati e contratti da stipulare, fra contratti dotati di clausola di rinnovo e contratti privi di siffatta clausola, che abrogando ogni qualsivoglia norma antecedente che consentiva il rinnovo, ha modificato in maniera chirurgica assoluta il sistema normativo vigente.

Quindi, secondo quanto argomentato dal Consiglio di Stato,  il rinnovo espresso non è più possibile ed ammissibile e ciò non perché la norma riferita ai “contratti scaduti o in scadenza” abbia portata retroattiva, bensì perché ha natura imperativa e prevale sulle clausole ad esso difformi. La non osservanza di tale norma sarebbe fonte di responsabilità amministrativa.

Sul punto è intervenuto anche il Tar Abruzzo Sez. di Pescara  in data 18.11.2006 che, nel richiamare il divieto di rinnovo assoluto dei contratti pubblici deciso dal giudice di appello, in merito al rinnovo di un contratto di lavanderia presso la Asl di Chieti, in cui la parte ricorrente aveva contestato la legittimità della decisione della pubblica amministrazione di non indire una pubblica gara, ha giudicato leso l’interesse sostanziale della ricorrente a competere, non essendo stata indetta una pubblica gara, per cui il comportamento dell’amministrazione era piu’ inteso a dilazionare “sine die” la piena soddisfazione dell’interesse giuridicamente protetto azionato in giudizio, che a rispettare il predetto dettato normativo.

Il codice De Lise, non reintroducendo l’istituto del rinnovo espresso, affida alla dizione “ripetizione di servizi analoghi” di cui all’articolo 57, l’unica opzione che consente di riattivare un rapporto tra medesima stazione appaltante e medesimo appaltatore, ma un rapporto del tutto diverso da quello del rinnovo espresso e, comunque, condizionato dalla progettazione di base che sta a monte e, di conseguenza, considerare detta norma come “copertura giuridica” del rinnovo espresso risulterebbe del tutto fuori luogo.

In particolare, una cosa è il rinnovo espresso, ben altra cosa è la ripetizione di servizi analoghi, e l’unico modo per far sopravvivere la prosecuzione di obbligazioni commerciali poste in essere prima e dopo la legge 62/2005, come nuova ipotesi di trattativa privata, è il rispetto dei seguenti requisiti :

1) la possibilità della ripetizione dei servizi deve essere già contenuta nel bando di gara e quindi di conseguenza deve essere espressamente prevista in contratto;

2) i servizi analoghi devono rispondere ad un progetto di base elaborato dall'impresa appaltatrice e non definito dall'amministrazione unilateralmente;

3) i costi complessivi dell’appalto, al momento del lancio della gara e di conseguenza l’impegno della spesa, devono necessariamente comprendere anche i costi del riaffidamento;

4) il nuovo contratto deve avere una durata fissata per legge in non più di tre anni  oltre quello iniziale.

Concludendo, il rinnovo vero e proprio, quello di cui all’articolo 6, comma 2, della legge 537/1993 è illegittimo e non può più essere applicato, né sono ammesse interpretazioni difformi, e si riferisce sia ai contratti scaduti che a quelli ancora in itinere.

In materia di ripetizione di servizi analoghi, gli stessi sono possibili unicamente ove gli atti amministrativi della gara di riferimento abbiano ricalcato i 4 punti sopra delineati.

 

Sentenza: Consiglio di Stato, Sez. IV, 31/10/2006 n. 6458
Sull'applicazione dell'art. 23 l. n. 62/05 che vieta la rinnovazione di contratti di appalto scaduti.

HomeSentenzeArticoliLegislazioneLinksRicercaScrivici