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Nuovi modelli organizzativi, con particolare riguardo all'in house providing ed alla possibilità di configurare l'organismo in house a tutto l'apparato centrale.
di Giuseppe Chiantera - Daniela Pettinato 4 marzo 2008
Materia: servizi pubblici / affidamento e modalità di gestione

NUOVI MODELLI ORGANIZZATIVI, CON PARTICOLARE RIGUARDO ALL’IN HOUSE PROVIDING ED ALLA POSSIBILITÀ DI CONFIGURARE L’ORGANISMO IN HOUSE DI UN MINISTERO COME ORGANISMO IN HOUSE A TUTTO L’APPARATO CENTRALE

 

1. PREMESSA

2. IL MODELLO DELLE AGENZIE

2.1 L’Agenzia del Demanio

3. GLI AFFIDAMENTI IN HOUSE NEL QUADRO NORMATIVO COMUNITARIO E NEL NUOVO ASSETTO NORMATIVO NAZIONALE.

4. REQUISITI DI LEGITTIMITÀ

a) Criteri di individuazione dei requisiti del controllo analogo (giurisprudenza comunitaria)

b) Criteri di individuazione dei requisiti del controllo analogo (giurisprudenza italiana)

c) Differenti orientamenti giurisprudenziali

d) Ultimi interventi:in particolare, sentenza Corte di Giustizia dell’11 maggio 2006, n. C-340/04 e Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana - sez. giurisdizionale, del 4/9/2007 n. 719

5. CONSIP S.P.A. E SOGEI S.P.A. – ORGANISMI IN HOUSE

6. CIRCA LA POSSIBILITÀ DI CONSIDERARE L’ORGANISMO IN HOUSE DI UN MINISTERO COME IN HOUSE A TUTTO L’APPARATO STATO CENTRALE.

6.1 tesi positiva

6.2 tesi negativa.

6.2.1 CONSIDERAZIONI SULLA NATURA GIURIDICA DEI MINISTERI.

6.2.2 LA TEORIA DELL’ORGANO

6.2.3. L’ORGANIZZAZIONE PUBBLICA ITALIANA.

6.3 Conclusioni

7. CIRCA LA POSSIBILITÀ CHE LA CLAUSOLA DI SUSSIDIARIETÀ COSTITUISCA UN OSTACOLO ALL’IN HOUSE PROVIDING.

8. CONSIDERAZIONI FINALI

1. PREMESSA

All’espressione organizzazione amministrativa si attribuiscono due significati distinti: con essa, infatti, si indicano sia il complesso delle strutture che svolgono attività di Pubblica amministrazione, sia l’esercizio della funzione organizzativa dei pubblici poteri.

Nella prima accezione l’organizzazione è concepita come un apparato, in termini meramente soggettivi; nella seconda, invece, vengono in evidenza i caratteri funzionali, sulla base di una impostazione di tipo oggettivo.

Le strutture organizzative condizionano la realizzazione degli interessi alla tutela dei quali sono preordinate, assumendo una posizione attiva nel processo di soddisfazione dei fini pubblici, sino a giungere a indirizzare l’azione amministrativa, ovvero, l’adozione di uno specifico regime organizzativo condiziona l’esercizio dell’attività amministrativa.

Di recente, in conseguenza dell’espansione delle forme e delle modalità di intervento dei pubblici poteri, si assiste, sempre più di frequente, al ricorso a formule organizzative non tradizionali.

Sul piano degli indirizzi legislativi, la centralità della questione dell’organizzazione dell’Amministrazione pubblica ha comportato, in particolare negli ultimi anni, una attenzione specifica, rivolta in una duplice direzione: da un lato, riorganizzazione delle amministrazioni già esistenti; dall’altro, introduzione di nuovi paradigmi organizzativi per le strutture di nuova istituzione.

Sebbene l’organizzazione pubblica si articoli in una pluralità di modelli e tipi, oggi i modelli strutturali prevalenti sono quattro: quello del Ministero, quello dell’ente pubblico, quello dell’autorità indipendente e quello del soggetto privato controllato.

A partire dalla legge di riforma del 1993, n. 29, il legislatore, consapevole dello stretto rapporto che deve intercorrere tra riorganizzazione delle amministrazioni centrali e analisi delle funzioni, ha varato un disegno di semplificazione, che investe in toto l’organizzazione dell’Amministrazione statale, teso a conseguire la sburocratizzazione dell’organizzazione e dell’azione amministrativa, per realizzare un modello di apparato agile e flessibile, in grado di garantire la realizzazione degli obiettivi programmati attraverso strumenti operativi che ne assicurino celermente, efficacemente ed economicamente l’attuazione.

Si è delineato, pertanto, un nuovo assetto dell’organizzazione ministeriale, muovendo in tre diverse direzioni: riduzione degli apparati ministeriali; istituzione di agenzie, con funzioni tecnico-operative; concentrazione degli uffici periferici.

Relativamente agli altri modelli strutturali deve osservarsi che quello dell’ente pubblico è in via di dispersione, perché è destinato a svuotarsi per effetto delle privatizzazioni; quello delle autorità indipendenti si sta rafforzando; quello del soggetto privato in controllo pubblico tende ad ampliarsi.

Il modello organizzativo societario di diritto comune si è diffuso in diversi settori dell’Amministrazione centrale e locale, soppiantando aziende ed enti pubblici, anche economici, introducendo nel settore pubblico logiche di flessibilità organizzative e funzionali idonee a far fronte ad un ambiente dinamico, in continua trasformazione, influenzato da multiforme sviluppo sociale, economico e tecnologico.

Come si è accennato, varie leggi hanno previsto numerose privatizzazioni in senso giuridico (c.d. formali o tecniche), cioè trasformazioni di enti pubblici in forme organizzative tipiche del diritto privato, soprattutto in società per azioni ed in fondazioni. In particolare, sono stati trasformati in s.p.a. i principali enti pubblici economici (IRI, ENI, INA, ENEL). Obiettivo ultimo dell’operazione di privatizzazione era quello della cessione ai privati delle imprese in questione attraverso la dismissione delle azioni, ovvero la privatizzazione in senso giuridico (c.d. sostanziale).

Altre leggi hanno invece previsto la istituzione di società per azioni da parte dello Stato per lo svolgimento in via ordinaria di attività di interesse pubblico.

Peraltro, l’art.1, c.1-ter, LPA (1) contempla l’ipotesi che dei soggetti privati possano essere preposti all’esercizio di attività amministrative.

L’ordinamento comunitario ammette, quale espressione dei poteri di auto-organizzazione delle pubbliche amministrazioni, la possibilità dell’affidamento diretto, cioè senza gara pubblica, a società, dotate di propria personalità giuridica, controllate dalla stessa Pubblica amministrazione.

La Corte di Giustizia conferma il principio di alternatività o di equivalenza nella scelta dei moduli organizzativi per la cura degli interessi pubblici: avvalimento di proprie strutture organizzative (in house) ovvero di soggetti giuridici esterni, ricorrendo al mercato (outsourcing) (2).

In sostanza, l’in house providing evidenzia un modello di organizzazione in cui la Pubblica amministrazione provvede al perseguimento dell’interesse pubblico o alle risorse ad essa necessarie mediante lo svolgimento di un’attività interna. Questo modello è contrapposto al modello di outsourcing (o contracting out) in cui, invece, l’Amministrazione si rivolge al privato esternalizzando l’esercizio dell’attività amministrativa ovvero la produzione ed il reperimento delle risorse necessarie al suo svolgimento.

2. IL MODELLO DELLE AGENZIE

Il principale intervento organizzativo è rappresentato dal ridisegno degli apparati ministeriali e della Presidenza del Consiglio (rispettivamente, D.Lgs. 30.7.1999, n. 300, e D.Lgs. 30.7.1999, n. 303).

Esso ha disegnato per gli apparati statali un più chiaro ruolo di indirizzo, programmazione, controllo e definizione delle politiche, rimettendo l’adempimento dei compiti operativi ad altre strutture (livelli di governo inferiori, enti o agenzie); ma anche, nella logica della sussidiarietà orizzontale, al mercato.

L’idea-guida è quella della distinzione tra apparati ministeriali più snelli che debbono essere responsabili solo della elaborazione delle politiche, e agenzie dotate di forte autonomia operativa, incaricate di svolgere le attività esecutive, in base a precisi standard di rendimento e con diretta responsabilità nei confronti del Ministero di riferimento.

Dapprima, le agenzie hanno iniziato a sorgere in maniera episodica, al di fuori di una modellizzazione sistematica, presso livelli di governo differenti e con caratterizzazioni disomogenee. A questa fase possono essere ricondotte le principali agenzie regionali.

Una seconda fase, che si è sviluppata sul finire degli anni ’90 ed ha riguardato principalmente le agenzie fiscali, è caratterizzata per il tentativo di introdurre un modello generale dell’istituto agenzia.

Infine, la stabilizzazione della figura dell’agenzia è coincisa con una attività di adattamento dei modelli alle specifiche diverse necessità operative. Espressione di questa terza fase è la riorganizzazione dell’Agenzia del Demanio (D.Lgs. 3.7.2003, n. 173), che sviluppa il modello delle agenzie fiscali caratterizzante la seconda fase.

Le agenzie sono vigilate e controllate dai Ministeri competenti e godono di piena autonomia operativa e di bilancio nell’ambito degli indirizzi politici generali e degli obiettivi concreti, assegnati loro dai Ministri e formalizzati in apposite convenzioni stipulate con i rispettivi direttori generali. Alcune agenzie hanno personalità giuridica ed agiscono, pertanto, jure privatorum, altre agiscono come organi delle amministrazioni di riferimento. Tutte, in ogni caso, svolgono funzioni operative di tipo strumentale all’Amministrazione statale.

A differenza delle autorità indipendenti sono soggette al controllo governativo e non godono di totale autonomia dall’Esecutivo, tanto che i loro vertici sono individuati dai Ministri e nominati con decreto del Presidente della Repubblica, previa apposita deliberazione del Consiglio dei Ministri.

Con la riforma, per la prima volta, nel nostro ordinamento, l'organizzazione di un Ministero viene fondata non sul principio gerarchico o su altre tradizionali formule organizzative, ma sulla distinzione netta fra il momento della direzione politica e quello della gestione amministrativa.

Ai criteri uniformi dettati per la generalità di tali strutture dagli articoli 8 e 9 del d. lgs. n. 300/1999, si sottraggono le Agenzie fiscali, che sono disciplinate da norme per esse appositamente dettate dal decreto di riforma.

Infatti, l'art. 10 del d. lgs. n. 300/99 prevede che le Agenzie fiscali siano disciplinate, anche in deroga agli artt. 8 e 9 (che disciplinano in generale le agenzie amministrative), dalle disposizioni del Capo II del Tit. V del decreto medesimo, negli artt. da 61 a 74.

I princìpi generali riguardanti le Agenzie fiscali sono fissati all'art. 61: dopo aver affermato che tali Agenzie "hanno personalità giuridica di diritto pubblico" (comma primo), esso dispone inoltre che le Agenzie fiscali abbiano "autonomia regolamentare, amministrativa, patrimoniale, organizzativa, contabile e finanziaria" (comma secondo).

Pur nell'ambito dei poteri di indirizzo e vigilanza dei ministri competenti (art. 8, comma 2, del d. lgs n. 300/99), l’autonomia (gestionale, regolamentare, amministrativa, patrimoniale, organizzativa, contabile, finanziaria e tecnica) diventa la chiave di volta di un nuovo sistema della fiscalità, fondato non più su rapporti di tipo verticale fra il Ministro e le strutture del suo dicastero, bensì su rapporti di tipo orizzontale fra il Ministero, da un lato, e le Agenzie fiscali, dall'altro.

Il raccordo fra responsabilità ministeriale ed autonomia delle Agenzie è rappresentato dalle convenzioni, intorno alle quali ruota tutto il sistema della fiscalità rinnovato.

All'art. 56, comma 1, lett. c) del decreto legislativo citato, afferma che il Ministero svolge le funzioni di "indirizzo, vigilanza e controllo sui risultati di gestione delle Agenzie fiscali, nel rispetto dell'autonomia gestionale ad esse attribuita"; il successivo l'art. 59 (commi 2, 3 e 4) individuando ciò che Ministro ed Agenzie devono regolare con le convenzioni, individua al tempo stesso anche le concrete modalità di esercizio della funzione di indirizzo, di vigilanza e di controllo.

2.1 L’Agenzia del Demanio

L’Agenzia del Demanio nasce nel 2000 nell’ambito dell’ampio processo di riforma dell’Amministrazione centrale che ha nel d.lgs. n. 300 del 1999 il principale testo di riferimento; qust’ultimo subisce una importante modifica per effetto del d.lgs. n. 173 del 2003, che trasforma l’Agenzia da amministrazione dotata di personalità giuridica di diritto pubblico a ente pubblico economico, intervenendo in tal senso a modifica dell’art. 61 del d.lgs. n. 300/1999.

La Convenzione, documento che come si è visto disciplina i rapporti tra le Agenzie e i Ministeri afferenti secondo gli artt. 8 e 59 del d.lgs. n. 300/1999, viene ad essere sostituita, nel caso dell’Agenzia, da un Contratto di servizi.

Non esistono propriamente poteri di controllo sulla gestione dell’attività, quanto piuttosto sul rispetto di quanto stipulato nel Contratto di servizi che disciplina i rapporti tra Agenzia e Ministero dell’economia e delle finanze.

Il rapporto tra Ministero dell’economia e delle finanze e Agenzia assume maggiori connotati di autonomia e distinzione dei ruoli, con un Ministero avente piena ed esclusiva competenza rispetto alla definizione delle politiche economiche, finanziarie e fiscali ed un’Agenzia impegnata nell’espletamento delle attività operative a tali politiche connesse.

Il finanziamento dell’attività istituzionale dell’agenzia è interamente a carico del Ministero dell’economia e delle finanze e viene disciplinato dal Contratto di servizi.

Principale interlocutore resta, infatti, il Ministero dell’economia e delle finanze in quanto controparte del Contratto di servizi.

Per quanto attiene il rapporto con i soggetti terzi privati, l’Agenzia opera di fatto come una impresa di servizi di gestione immobiliare.

3. GLI AFFIDAMENTI IN HOUSE NEL QUADRO NORMATIVO COMUNITARIO E NEL NUOVO ASSETTO NORMATIVO NAZIONALE.

L’espressione in house contract è stata per la prima volta utilizzata, in ambito comunitario, nella Comunicazione della Commissione (98) 143, Libro Bianco sugli appalti pubblici nell’Unione Europea. In tale documento, successivo al Libro Verde sulla stessa materia presentato nel 1996, la Commissione definisce gli in house contracts come "contratti aggiudicati all’interno della Pubblica amministrazione, ad esempio tra un’Amministrazione centrale e le Amministrazioni locali ovvero tra un’Amministrazione ed una società da questa interamente controllata".

La controversa figura degli affidamenti in house è stata successivamente sviluppata dalla Corte di Giustizia, la quale ha dato un decisivo contributo alla definizione dell’istituto.

Ciò premesso, gli affidamenti diretti, cosidetti in house, si possono intendere sia in senso stretto, che in senso lato.

Rientrano nei primi le procedure con cui una Pubblica amministrazione affida un servizio ad un suo ente strumentale non dotato di una distinta personalità giuridica; nei secondi la stipula di contratti con società, dotate di propria personalità giuridica, controllate dalla stessa Pubblica amministrazione stipulante (Conclusioni dell’Avvocato Generale Juliane Kokott, 1/3/2005 n. C-458/03).

Nell’ipotesi di affidamento in house in senso lato, tre sono i criteri cumulativi elaborati dalla giurisprudenza comunitaria atti a giustificare la sottrazione di un servizio all’ambito di operatività delle regole dell’evidenza pubblica: la totale partecipazione pubblica, la circostanza che l’affidamento abbia luogo in favore di soggetti che, sebbene giuridicamente distinti dall’Amministrazione affidante, costituiscano elementi del sistema che a tale Amministrazione fanno capo essendo soggetti a controllo analogo e il fatto che le società svolgano la parte più importante della propria attività in favore dell’Amministrazione che le controlla.

Trattasi, quindi, come accennato, di un modello organizzativo: la Pubblica amministrazione si avvale di propri organismi che pur appartenenti all’organizzazione amministrativa che fa loro capo, non costituiscono necessariamente un’articolazione interna della stessa.

Ai sensi di questo orientamento giurisprudenziale, si deve verificare, sostanzialmente, " una sorta di amministrazione "indiretta", nella quale la gestione del servizio, in un certo senso, resta saldamente nelle mani dell’ente concedente, attraverso un controllo assoluto sull’attività della società affidataria la quale, a sua volta, è istituzionalmente destinata in modo assorbente a operazioni in favore di questo" (TAR Campania, Sez. I, 30/3/2005 n.2784).

Sulla questione il Consiglio di Stato, con l’ordinanza n. 2316 del 22.4.2004, V Sez., con la quale ha sospeso il giudizio e rimesso gli atti alla Corte di Giustizia, ha espresso l’avviso che, in merito alle condizioni in presenza delle quali è possibile per la Pubblica amministrazione ricorrere all’affidamento in house, in deroga alle disposizioni di matrice comunitaria, l’Amministrazione deve esercitare sulla società controllata un assoluto potere di direzione, coordinamento e supervisione dell’attività del soggetto partecipato, che non possiede alcuna autonomia decisionale in relazione ai più importanti atti di gestione e che, in concreto, costituisce parte della stessa Amministrazione, con la quale deve trovarsi in una condizione di dipendenza finanziaria ed organizzativa.

In merito alla disciplina dell’istituto in argomento, si rileva che la direttiva 2004/18/CE non prevede l’istituto del rapporto in house. A ciò deve aggiungersi che nel corso dei lavori preparatori del d.lgs. n. 163/2006 (codice appalti) è stata eliminata una disposizione in materia di società in house nei settori ordinari.

Al momento, pertanto, per quanto riguarda il diritto interno, la figura dell’affidamento in house ha trovato positivizzazione con il d.l. n. 269/2003, convertito dalla legge n. 326/2003, il quale ha modificato l’articolo 113 del T.u.e.l. e fa riferimento all’affidamento diretto, a livello locale, limitatamente in materia di servizi pubblici; nonché con l’articolo 13 del d.l. n. 223/2006, convertito dalla legge n. 248/2006, volto a disciplinare a livello regionale e locale l’affidamento diretto della produzione di beni e servizi strumentali e, nei casi consentiti dalla legge, di funzioni amministrative (3), sebbene le espressioni in house o affidamento interno non siano presenti.

Il Consiglio di Stato, nel parere n. 456 del 18 aprile 2007, sez. II, ricorda come il citato art 13 del d.l. n. 223 del 2006 abbia equiparato i due diversi modelli delle società in house e del partenariato pubblico-privato.

Si evidenzia che, relativamente ai servizi pubblici locali, è all’esame del Parlamento il disegno di legge (S772), di iniziativa governativa, recante delega al Governo per il riordino della normativa nazionale che disciplina l’affidamento e la gestione degli stessi.

Come può leggersi nella relazione tecnica, "L’architrave della nuova disciplina è costituita dal generale ricorso a procedure competitive ad evidenza pubblica di scelta del gestore, per l’affidamento delle nuove gestioni e per il rinnovo delle gestioni in essere…"; il ricorso a forme di affidamento a società miste o a società in house è consentito con riferimento a situazioni eccezionali, da motivare e sottoporre al controllo dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato o delle Autorità di regolazione di settore, ove costituite.

4. REQUISITI DI LEGITTIMITÀ

Come si è accennato, le società in house sono quelle con capitale interamente pubblico, sulle quali l’Amministrazione/i titolare/i del capitale esercitano un controllo analogo a quello esercitato su un proprio servizio e che realizzano la parte più importante della loro attività con quest’ultimi.

Relativamente al requisito della totale partecipazione pubblica, la Corte di Giustizia (C-26/03, sentenza Stadt Halle dell’11 gennaio 2005) ha stabilito che la partecipazione seppure minoritaria di una impresa privata esclude in ogni caso che l’Amministrazione aggiudicatrice(4) possa esercitare sulla società partecipata un controllo analogo a quello che la stessa esercita sui propri servizi. La presenza di un terzo privato presuppone sempre da parte della Pubblica amministrazione un minimo di considerazione dei suoi interessi economici e questo potrebbe ostacolarla nella concreta realizzazione dell’interesse pubblico. Analogamente, la sentenza 6/4/2006, causa C-410/04, con la quale la Corte di Giustizia ha anche affermato (punto 39) che detto requisito deve risultare soddisfatto stabilmente, atteso che la successiva apertura del capitale sociale ad azionisti privati concretizzerebbe l’affidamento di un servizio pubblico ad una società mista senza procedura concorrenziale, in contrasto con gli obiettivi perseguiti dal diritto comunitario. Non sembra che possa essere data eccessiva rilevanza alla selezione del socio privato attraverso gara, atteso che per i giudici comunitari è la commistione tra pubblico e privato che esclude in radice la possibilità di affidamento diretto. Esistono, però, isolati diversi indirizzi giurisprudenziali nazionali: si è affermato, infatti, che se il socio è scelto mediante gara, i soli servizi conformi allo scopo originario della società mista possono essere affidati direttamente alla società; la mancata osservanza della procedura concorsuale nell'affidamento del servizio è compensata dal rispetto di una procedura di evidenza pubblica per la scelta del socio privato. Altrimenti opinando, la costituzione da parte degli enti locali di società per azioni a capitale misto al precipuo scopo di affidare loro i servizi pubblici di propria competenza non avrebbe alcuna pratica utilità, mentre la procedura ad evidenza pubblica per l’affidamento dei singoli servizi costituirebbe un’inutile duplicazione di un procedimento già esperito(5).

Sull’argomento, ultimamente, è intervenuto il Consiglio di Stato, sez. II, 18 aprile 2007 n. 456. A parere dell’Organo consultivo, è "possibile l’affidamento diretto ad una società mista che sia costituita appositamente per l’erogazione di uno o più servizi determinati, da rendere almeno in via prevalente a favore dell’autorità pubblica che procede alla costituzione, attraverso una gara che miri non soltanto alla scelta del socio privato, ma anche – tramite la definizione dello specifico servizio da svolgere in parternariato con l’Amministrazione e delle modalità di collaborazione con essa – allo stesso affidamento dell’attività da svolgere e che limiti, nel tempo, il rapporto di parternariato, prevedendo allo scadere una nuova gara.

In altri termini, laddove vi siano giustificate ragioni per non ricorrere ad un affidamento esterno integrale, appare legittimo configurare, quantomeno, un modello organizzativo in cui ricorrano due garanzie: 1) che vi sia una sostanziale equiparazione tra gara per l’affidamento del servizio pubblico e gara per la scelta del socio, in cui quest’ultimo si configuri come un "socio industriale od operativo", che concorre materialmente allo svolgimento del servizio pubblico o di fasi dello stesso; 2) che si preveda un rinnovo della procedura di selezione "alla scadenza del periodo di affidamento" (in tal senso, soccorre già una lettura del comma 5, lett. b), dell’art. 113 t.u.e.l. in stretta connessione con il successivo comma 12), evitando così che il socio divenga "socio stabile" della società mista, possibilmente prevedendo che sin dagli atti di gara per la selezione del socio privato siano chiarite le modalità per l’uscita del socio stesso (con liquidazione della sua posizione), per il caso in cui all’esito della successiva gara egli risulti non più aggiudicatario."

Conforme a detto orientamento appare l’emendamento del Governo n. 1.2000 al citato d.d.l. n.772, dove all’art. 1.comma 1, lett. b), è stabilita la possibilità di affidamento del servizio pubblico locale a società mista nella quale la partecipazione privata non sia inferiore al 30% ed a condizione che il socio privato "sia scelto mediante procedure ad evidenza pubblica, nella quali siano già stabilite le condizioni, le modalità e la durata della gestione del servizio, che sia vietata la proroga o la rinnovazione dell’affidamento alla sua scadenza e che siano previste le modalità di liquidazione del socio, al momento della scadenza dell’affidamento del servizio".

A livello normativo, gli affidamenti diretti alle società miste sono consentiti dal citato d.l. n. 223/2006 (c.d. decreto Bersani), convertito dalla legge n. 248/2006, purché siano rispettate le condizioni dettate all’articolo 13, tese a porre un limite all’attività delle società costituite dagli enti locali. Il decreto legge Bersani dispone che le società strumentali di Regioni ed enti locali debbono operare esclusivamente con gli enti costituenti ed affidanti; non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, né in affidamento diretto né con gara; non possono partecipare ad altre società o enti. Al fine di superare eventuali obiezioni in sede comunitaria, la disposizione statale ha concepito le società in house come società fuori mercato, in ordine alle quali non possono prodursi interessi privati in conflitto con quelli pubblici: dette società, infatti, non hanno collegamenti con il mercato, né in termini di partecipazioni, né in termini di prestazioni, peraltro imponendo l’osservanza dell’esclusività in luogo del criterio comunitario della prevalenza dell’attività con l’autorità o le autorità pubbliche controllanti.

Il Consiglio di Stato(6) ritiene di escludere, in via generale, la riconducibilità del modello organizzativo della "società mista" a quello dell’in house providing.

L’assenza della partecipazione pubblica totalitaria esclude, infatti, in radice la possibilità di configurare il requisito del controllo analogo, richiesto dalla giurisprudenza comunitaria per gli affidamenti in house.

Inoltre, la necessità di una gara per la scelta del socio ha condotto a ritenere non corretto annoverare tale figura di affidamento tra quelli "diretti".

Recentemente, il Consiglio di Stato (Sez. V, 23/10/2007, n. 5587), al fine di assicurare univoci orientamenti giurisprudenziali, ha rimesso alla valutazione dell’ Adunanza Plenaria l’individuazione delle condizioni per il legittimo affidamento in house nonché per l’affidamento diretto di un servizio a società miste, nell’ambito delle quali la selezione dei soci privati di minoranza sia stata effettuata mediante gare ad evidenza pubblica. A tale ultimo riguardo, la Sezione ha ritenuto di chiamare l’ Adunanza Plenaria a valutare la necessità di deferire alla Corte di Giustizia la questione "se sia compatibile o meno con il diritto comunitario la regola di diritto interno che permette l’affidamento diretto di un servizio rientrante nell’ambito applicativo della direttiva n. 18/2004 effettuato da una amministrazione aggiudicatrice in favore di una società mista, costituita dalla stessa amministrazione e da altri soci privati, individuati mediante apposita gara ad evidenza pubblica".

Il criterio dell’esclusività è ribadito nel citato emendamento 1.2000 al disegno di legge delega n. 772, dove all’articolo 1, comma 4, è stabilito che i soggetti titolari della gestione di servizi pubblici locali non affidati mediante gara non possono svolgere, né in via diretta, né partecipando a gare, servizi o attività per altri enti pubblici o privati.

Per quanto concerne il predetto criterio della prevalenza dell’attività di una società con l’ente pubblico che la detiene, l’articolo 113, comma 5, lettera c), del T.U.E.L. (d. lgs. n. 267/2000), non indica la misura di detta prevalenza. Il requisito della prevalenza dell’attività sta a significare che la società partecipata non è attiva sul mercato, in concorrenza con altri soggetti economici, rivolgendo in via esclusiva le sue prestazioni all’ente partecipante; attività diverse da quella principale devono essere di carattere marginale (7).

Il requisito del controllo analogo ha particolarmente affannato dottrina e giurisprudenza: sia a livello comunitario, che a quello nazionale, le istituzioni sono intervenute assegnando un significato pregnante al requisito.

a) Criteri di individuazione dei requisiti del controllo analogo (giurisprudenza comunitaria)

In merito al requisito che in concreto deve assumere il controllo analogo la Commissione Europea con la comunicazione 26 giugno 2002, diretta al Governo italiano per sollecitare le modificazioni all’art. 113 del Testo Unico degli Enti Locali, come modificato dall’art. 35 l. n. 448/2001, nell’ambito della procedura di infrazione comunitaria aperta per contrasto della disposizione con la normativa e i principi comunitari in materia di appalti e di concorrenza, ha escluso che la sola partecipazione totalitaria dell’Amministrazione aggiudicatrice nella società aggiudicataria del servizio possa garantire la situazione di dipendenza organica che normalmente si realizza nell’organizzazione burocratica di una Pubblica amministrazione e quindi un "controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi".

Sempre nella stessa nota l’Istituzione Europea ha precisato, infatti, che "affinché tale tipo di controllo sussista non è sufficiente il semplice esercizio degli strumenti di cui dispone il socio di maggioranza secondo le regole proprie del diritto societario"(punto 34). La Commissione ritiene che per aversi controllo analogo occorre verificare che l’Amministrazione controllante eserciti "un assoluto potere di direzione, coordinamento e supervisione dell’attività del soggetto partecipato e che riguarda l’insieme dei più importanti atti di gestione del medesimo".

In seguito, la Corte di Giustizia, con la sentenza 11.1.2005 C. 26/2003 (Stadt Halle), relativamente ad una fattispecie riguardante l’affidamento diretto a società mista pubblico-privata di un appalto di servizi avente ad oggetto attività di smaltimento rifiuti, ha ribadito che "qualora un’Amministrazione aggiudicatrice intenda concludere con un’entità giuridicamente distinta un contratto a titolo oneroso…l’appello alla concorrenza non è obbligatorio…nel caso in cui l’autorità pubblica eserciti sull’entità distinta in questione un controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi e tale entità realizzi la parte più importante di attività con l’autorità o le autorità pubbliche che la controllano". Ha escluso il controllo analogo qualora nella società aggiudicataria del servizio una o più imprese private detengano una partecipazione anche minoritaria insieme con l’Amministrazione aggiudicatrice.

Successivamente, la Corte di Lussemburgo con la sentenza 21.7.2005 C. 231/03 ha confermato il proprio orientamento affermando che "una società aperta, almeno in parte, al capitale privato…impedisce di considerarla una struttura di gestione "interna" di un servizio pubblico nell’ambito dei comuni che ne fanno parte". Ha inoltre escluso che una partecipazione "esigua" dell’ente locale nella società affidataria diretta del servizio pubblico possa configurare una forma di controllo tale da "giustificare un eventuale differenza di trattamento" nell’osservanza della normativa comunitaria in materia di appalti.

b) Criteri di individuazione dei requisiti del controllo analogo (giurisprudenza italiana)

Sul contenuto da assegnare al requisito del "controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi" la giurisprudenza amministrativa nazionale (Consiglio di Stato, sez VI, n. 168/2005; TAR Campania, sez. I, n. 2784/2005; TAR Friuli Venezia Giulia 15.7.2005 n. 634 e il TAR Sardegna, 2.8.2005 n. 1729) ha esplicitato le condizioni affinché il controllo esercitato dalle amministrazioni aggiudicatrici sulle società pubbliche presenti le caratteristiche richieste.

In definitiva, ai sensi della richiamata giurisprudenza, il controllo analogo sulla società pubblica affidataria del servizio può ritenersi garantito dalla previsione espressa nell’atto costitutivo e nello statuto della società di stringenti poteri di controllo finanziario e gestionale a favore dell’Amministrazione aggiudicatrice. Il controllo deve riguardare le attività fondamentali e di straordinaria amministrazione, il perseguimento degli obiettivi di interesse pubblico assegnati nonchè gli organi della società.

In pratica, a mente della Circolare del Presidente della Giunta Regionale Piemonte del 3 ottobre 2005, n. 4/AMB, tale tipo di controllo si esplicita, in via esemplificativa:

1. nell’obbligo di trasmissione e di preventiva approvazione dei documenti di programmazione e del piano industriale; nella facoltà di modifica degli schemi tipo di Contratto di servizio; nel potere di verifica dello stato di attuazione degli obiettivi assegnati anche sotto il profilo della efficacia, efficienza ed economicità.

2. nell’approvazione da parte dell’Amministrazione delle deliberazioni societarie di amministrazione straordinaria e degli atti fondamentali della gestione (il bilancio, la relazione programmatica, l’organigramma, il piano degli investimenti, il piano di sviluppo).

3. nella nomina e revoca di componenti del Consiglio di amministrazione e del collegio sindacale della società da parte del soggetto controllante.

c) Differenti orientamenti giurisprudenziali

Si devono segnalare sul tema oscillazioni giurisprudenziali da parte della Corte di Giustizia e dei giudici nazionali, che hanno dato luogo a nuovi orientamenti, individuando in modo diverso i requisiti del controllo analogo.

Su tale criterio si è soffermato l’Avvocato Generale J. Kokott nelle conclusioni presentate nella causa C-458/03 1/3/2005. Nelle conclusioni si legge che il controllo della Pubblica amministrazione sui propri servizi è caratterizzato in prevalenza da poteri di direzione e di vigilanza. All’interno dell’ente spetta di regola al dirigente il potere di impartire ordini ed istruzioni agli uffici subordinati. Con l’espressione "un controllo analogo", la sentenza Teckal vuole invece sottolineare che i mezzi di influenza utilizzati su imprese pubbliche non sono necessariamente coincidenti con quelli utilizzati sui propri servizi, in quanto determinante " ai fini dell’equiparazione di una impresa ad un servizio amministrativo………..è piuttosto il fatto che all’interno di tale società l’Amministrazione aggiudicatrice sia in qualunque momento concretamente in grado di realizzare pienamente gli obiettivi fissati nell’interesse pubblico………l’affermazione dell’interesse pubblico all’interno della società è garantita……già con gli strumenti del diritto societario e, in particolare, per mezzo della presenza all’interno degli organi societari del rappresentante nominato esclusivamente dalla Pubblica amministrazione (8)".

In linea con detto orientamento il TAR Campania, nella citata sentenza n. 2784 del 30/3/2005, ha incentrato la sua indagine sull’esame dell’atto costitutivo e dello statuto della società a capitale pubblico, ritenendo sufficiente: 1) l’esistenza di attività che, in quanto rientranti nei compiti istituzionali propri dell’Ente pubblico, non possono che essere rivolte esclusivamente a vantaggio di quest’ultimo; 2) di un penetrante controllo economico e gestionale dell’Ente, in considerazione della composizione e nomina degli organi sociali. Infatti, l’Ente, essendo l’assemblea della società - cui spetta il potere di approvare il bilancio e la nota integrativa nonchè di decidere sulla destinazione degli utili sociali - costituita dal solo socio pubblico, il Consiglio di amministrazione e il collegio sindacale composti in maggioranza da membri nominati dall’Amministrazione, può controllare interamente la gestione societaria.

In particolare, poi, deve evidenziarsi che il Consiglio di Stato, con sentenza n.7345/05 V Sez., depositata in segreteria il 22 dicembre 2005, nello specificare i requisiti che in concreto deve assumere il controllo analogo ha cambiato il suo precedente orientamento. Il Supremo Consesso ha ritenuto, per esigenze fondamentali di logica interpretativa, che l’adozione nel diritto comunitario della figura societaria, come strumento alternativo alla prestazione diretta dei servizi pubblici, impone di risolvere il problema del controllo analogo secondo un criterio coerente con la peculiarità dell’istituto in questione. Se si effettua l’affidamento diretto ad una società, il servizio dovrà essere gestito da una persona giuridica separata e distinta dall’Amministrazione aggiudicatrice, un ente, cioè, che determina la propria azione mediante gli organi di cui è dotato. Esclude, quindi, l’applicazione di un modulo che riproduca, tra Amministrazione e società affidataria, quella forma di dipendenza che è tipica degli uffici interni all’ente.

Pertanto, per il Consiglio di Stato, l’Ente pubblico, o gli Enti pubblici, proprietari dell’intero pacchetto delle azioni, sia mediante la nomina degli organi, sia mediante l’approvazione di opportune deliberazioni, sono in condizione di imporre, o meglio, di svolgere, ogni tipo di verifica e di rendiconto, in modo che sia operante la sostanziale identificazione riscontrabile tra il soggetto societario agente e la mano pubblica che le affida il servizio.

E’ tale identificazione che rende compatibile con le regole comunitarie di tutela della concorrenza l’affidamento di un servizio pubblico ad una società privata senza l’adozione delle procedure ad evidenza pubblica.

Il Consiglio di Stato, a sostegno del nuovo orientamento, richiama la sentenza 11 gennaio 2005, n. 2603 in C-26 della Corte di Giustizia, la quale afferma che il possesso dell’intero pacchetto azionario della società da parte della mano pubblica garantisce lo svolgimento del servizio secondo "esigenze proprie del perseguimento di obiettivi di interesse pubblico".

Per i giudici di Palazzo Spada appare palese, dunque, che, secondo questa giurisprudenza comunitaria, il problema della sussistenza del controllo analogo si risolve in senso affermativo se la mano pubblica possiede il solo requisito della totalità del pacchetto azionario della società affidataria.

d) Ultimi interventi:in particolare, sentenza Corte di Giustizia dell’11 maggio 2006, n. C-340/04 e Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana - sez. giurisdizionale, del 4/9/2007 n. 719

Recentemente, i giudici comunitari sono ritornati sul tema dell’affidamento diretto dei servizi pubblici. La Corte di Giustizia, evidentemente mossa dal bisogno di fissare dei paletti in materia di in house providing, in linea con quanto già stabilito nelle sentenze "Stadt Halle" e "Parking Brixen" (C-458/03 del 13/10/2005), nella sentenza n. C-410/04 del 6 aprile 2006 ha espresso l’avviso che le condizioni per l’affidamento diretto devono essere interpretate in modo restrittivo. I giudici, con la decisione in questione, non si discostano dal solco della propria consolidata giurisprudenza.

La Corte, con la successiva sentenza dell’11 maggio 2006, n.C-340/04, torna a ricondurre la nozione di controllo alla possibilità da parte dell’Amministrazione affidante di esercitare una influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti della società partecipata, considerando elemento non sufficiente e decisivo la detenzione in mano pubblica dell’intero capitale sociale. In sostanza, il controllo dell’ente pubblico - proprio perché circoscritto all’esercizio dei semplici poteri riconosciuti dal diritto societario ai soci di maggioranza, senza alcuna previsione aggiuntiva a beneficio della Pubblica amministrazione - non garantisce al soggetto affidante alcuna significativa influenza, anche in ragione dell’ampiezza dei poteri attribuiti al Consiglio di amministrazione della società. In particolare, a tenore della sentenza in parola, il fatto che l'Amministrazione eserciti la sua influenza sulla società affidataria per il tramite di una società holding può incidere negativamente sulla sussistenza del controllo analogo ai fini della legittimità di un affidamento in house. Trattandosi di un controllo esercitato in via indiretta, nessuna influenza significativa può essere esercitata dall’Amministrazione aggiudicatrice sugli obiettivi strategici e sulle decisioni importanti dell’affidataria.

In definitiva gli strumenti del diritto privato, essendo basati su una sostanziale autonomia gestionale del management, da soli non assicurerebbero quella rispondenza dell’operato del Consiglio d’amministrazione all’interesse del socio che è invece necessaria perché si possa ritenere che questa società non abbia nessuna autonomia sostanziale, restando soltanto una propaggine organizzativa non distinguibile dell’ente pubblico.

Il controllo analogo evocato dalla Corte di giustizia va quindi parametrato rispetto a quello effettuato sugli organi delle pubbliche amministrazioni ricavabile dal d.lgs. 165/2001 (T.U. sul pubblico impiego), oltre che dal d.lgs. 267/2000 (TUEL). Con la privatizzazione è stato ridimensionato il vincolo di subordinazione gerarchica tra gli organi di indirizzo politico e gli organi di gestione amministrativa, per cui è stato eliminato il potere di ordine così come quello di revoca, di avocazione e di decisione dei ricorsi gerarchici. Sono stati invece mantenuti poteri compatibili con una relazione di indirizzo e di coordinamento e permane in via residuale il potere di annullamento degli atti per vizi di legittimità così come un potere di sostituzione in ipotesi delimitate.

Da ultimo, il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana - sez. giurisdizionale, 4/9/2007 n. 719 ha ribadito l’insufficienza degli usuali poteri di vigilanza e controllo e la necessità della creazione di una struttura interna all'ente, ad hoc, che costituisca l'interfaccia con l’impresa partecipata e che eserciti i poteri di direzione, coordinamento e supervisione dell’attività del soggetto partecipato, giungendo alla conclusione che essenziali ai fini del controllo analogo sono: a) il possesso dell’intero capitale azionario; b) il controllo del bilancio; c) il controllo sulla qualità della amministrazione; d) la spettanza di poteri ispettivi diretti e concreti, sino a giungere al potere del controllante di visitare i luoghi di produzione; e) la totale dipendenza dell’affidatario diretto in tema di strategie e politiche aziendali.

Per il Consiglio di Giustizia Amministrativa è necessario, quindi, che si realizzi quello che è definito un "controllo strutturale".

5. CONSIP S.P.A. E SOGEI S.P.A. – ORGANISMI IN HOUSE

Il Ministero dell’economia e delle finanze, per lo svolgimento delle attività informatiche in materia di finanza e di contabilità pubblica, riservate allo Stato ai sensi del d. lgs. n. 414/1997 ed individuate con D.M. 17 giugno 1998, si avvale dell’organismo a struttura societaria CONSIP S.p.A..

Il Dicastero, con DD. MM. 24.2.2000 e 2.5.2001, ha successivamente conferito alla stessa l’incarico di stipulare convenzioni e contratti quadro per l’acquisto di beni e servizi per conto delle Amministrazioni dello Stato (previste dagli articoli 26, legge n. 488/1999, e 58, legge n. 388/2000).

L’attribuzione di detti compiti alla CONSIP S.p.A., società totalmente partecipata dal Ministero dell’economia e delle finanze, a dispetto della originaria ragione sociale (Consip-Concessionaria Servizi Informativi Pubblici S.p.A.) configura un affidamento in house.

Infatti, ai sensi della direttiva 2004/18/CE del 31.3.2004, che introduce la definizione di concessione di servizi (art. 1, par. 4), salvo poi escludere per detta figura l’assoggettamento alla sua normativa (art. 17), il criterio della gestione costituisce una caratteristica essenziale per determinare se si è in presenza di una concessione di servizi. Nella concessione di servizi l'imprenditore assume il rischio di gestione del servizio in dipendenza del carattere non certo della remunerazione, remunerandosi per una parte significativa presso l'utente, in particolare mediante la riscossione di canoni, sotto qualsiasi forma.

Per quanto concerne il diritto interno, la dottrina tradizionale, come peraltro ricordato nella circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le politiche Comunitarie n. 3944 del 1° marzo 2002, allo scopo di tracciare la distinzione tra l’appalto di servizi e la concessione di servizi pubblici, ha individuato dei criteri utilizzabili, quali:

a) il carattere surrogatorio dell'attività svolta dal concessionario di pubblico servizio contrapposta all'attività di mera rilevanza economica svolta dall'appaltatore nell'interesse del committente pubblico;

b) la natura unilaterale del titolo concessorio di affidamento del servizio pubblico, che si contrappone al carattere negoziale dell'appalto;

c) il trasferimento di potestà pubbliche in capo al concessionario;

d) l'effetto accrescitivo tipico della concessione.

Nella predetta circolare si osserva, tra l'altro, che l'appalto di servizi concerne prestazioni rese in favore dell'Amministrazione, mentre la concessione di servizi riguarda sempre un articolato rapporto trilaterale, che interessa l'Amministrazione, il concessionario e gli utenti del servizio, sui quali grava il costo dello stesso.

Fatta eccezione per la natura unilaterale del titolo di affidamento (decreti ministeriali), nel rapporto giuridico Ministero-CONSIP, regolamentato da Convenzione, sono assenti tutti gli altri criteri distintivi sopra menzionati, primo fra tutti la trilateralità del rapporto e la correlata alea connessa alla gestione del servizio, atteso che la Convenzione in essere tra il Ministero e la CONSIP S.p.A. prevede a carico dell’Amministrazione affidante la remunerazione delle attività svolte per conto della stessa.

La CONSIP è un organismo a struttura societaria che opera al di fuori del mercato con unica ed esclusiva funzione di servizio per lo Stato, secondo indirizzi strategici stabiliti dall’Amministrazione (art. 1, comma 2, d.lgs. n. 414/1997); è sottoposta ad un controllo specifico da parte del Ministero, sia sotto il profilo civilistico-societario, attraverso l’esercizio dei diritti tipici dell’azionista, che quello amministrativo-gestionale (il collegio sindacale, peraltro, ha il compito di riferire direttamente al Ministro in ordine allo svolgimento effettivo dei compiti affidati alla Società dalla normativa primaria e secondaria di settore); è equiparata alle PP.AA. agli effetti di cui al d.lgs. n. 39/1993 che reca norme in materia di sistemi informativi automatizzati delle Pubbliche Amministrazioni; è sottoposta al controllo della Corte dei conti.

Il modello organizzativo dell’in house providing ha trovato applicazione anche da parte dell’Amministrazione fiscale, la quale annovera tra le sue articolazioni la Società Generale d’Informatica (SO.GE.I.) S.p.A..

Nel caso di specie, per il combinato disposto degli articoli 59, comma 5, e 56, comma 1, lettera e), del decreto legislativo n. 300 del 1999, la SOGEI S.p.A. risulta destinata ad operare, nel contempo, come società strumentale all’esercizio delle funzioni attribuite al Ministero e quale struttura unitaria per l’attuazione delle strategie di integrazione dell’intero Sistema informativo della fiscalità, nella quale è compresa, come componente più rilevante, l’Anagrafe Tributaria.

La Società, partecipata al 100% dal Ministero dell’economia e delle finanze, attributaria di attività funzionalizzate alla cura di un interesse pubblico (struttura unitaria per l’attuazione delle strategie di integrazione dell’intero Sistema informativo della fiscalità, ai sensi dell’art. 56, c.1, let. e, del d.lgs. n. 300/99) realizza la parte più importante della propria attività con l’Amministrazione fiscale (dai bilanci d’esercizio si evince, infatti, che il fatturato connesso a tale attività ha sempre superato l’80% del totale) ed è sottoposta ad un controllo analogo a quello esercitato dal Dicastero su un proprio servizio. Ai sensi del D.P.R. 26 marzo 2001 n. 107, infatti, il Dipartimento per le Politiche Fiscali - ufficio preposto alla direzione e controllo - assicura il coordinamento, l’indirizzo ed il controllo della Società in quanto ente della fiscalità.

In coerenza con detto potere di direzione e coordinamento la SOGEI S.p.A.:

- è oggetto di direttive per la definizione di linee di azione industriale e per l’implementazione del piano aziendale;

- è destinataria delle linee guida per la formulazione del piano triennale di automazione dell’Amministrazione finanziaria nonché delle direttive in materia di sicurezza del Sistema informativo della fiscalità emanate dal Dipartimento per le Politiche Fiscali;

- predispone il proprio piano strategico triennale in conformità al piano triennale per l’informatica redatto dall’Amministrazione fiscale;

- ha un Consiglio di amministrazione in cui è presente il Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Generale, del Personale e dei Servizi del Tesoro, ed al Ministero compete la proposta per la designazione dei componenti del Consiglio di amministrazione;

sottopone il bilancio di esercizio al Dipartimento per le Politiche Fiscali;

- è destinataria di specifiche richieste formulate da detto Dipartimento.

Inoltre, nel Contratto di servizi quadro, recante le regole del rapporto per la gestione del sistema informativo della fiscalità, trova formale esplicitazione il sistema di responsabilità all’interno dell’Amministrazione finanziaria, delineato dal decreto legislativo n. 300/99 e dal DPR n. 107/2001, distinguendo: il governo strategico del Sistema informativo della fiscalità in capo al Dipartimento per le politiche fiscali; il governo dello sviluppo e della gestione delle aree di propria competenza in capo alle Strutture Organizzative; l’azione strumentale in capo alla Società partecipata.

Le decisioni più importanti sulla gestione della Società non sono assunte, quindi, dal Consiglio di amministrazione in piena autonomia nei confronti del Ministero azionista.

Non configurano, invece, organismi in house realtà quali la Società Sviluppo Italia Spa, ovvero fattispecie in cui leggi hanno previsto la istituzione di società per azioni da parte dello Stato per lo svolgimento in via ordinaria di attività di interesse pubblico; ipotesi diversa dall’amministrazione indiretta del modello in house, in cui una Pubblica amministrazione provvede al perseguimento dell’interesse pubblico o alle risorse necessarie avvalendosi di propri propaggini organizzative.

La Società Sviluppo Italia Spa, a capitale interamente pubblico, infatti, è stata istituita con il d.lgs. n. 1/1999 per promuovere, accelerare e diffondere lo sviluppo produttivo e imprenditoriale, aumentando la competitività del Paese, tramite la creazione e lo sviluppo d’impresa, l’attrazione degli investimenti e il supporto alla Pubblica amministrazione.

La Società nasce dalla fusione di sei società pubbliche che si occupavano della gestione di strumenti agevolativi e di attività finalizzate allo sviluppo imprenditoriale e locale; si avvale di 17 società regionali e di 10 società-progetto focalizzate su business specifici, dando vita ad un gruppo piramidale, ovvero ad un sistema di partecipazione "a cascata", con 10 società partecipate, ognuna delle quali possiede partecipazioni in altre società. Una delle società-progetto è Innovazione Italia S.p.A., la società strumentale costituita grazie ad una partnership con il Dipartimento per l’Innovazione e le Tecnologie (detiene il 20% del capitale sociale), per dare attuazione ai programmi del Governo relativi allo sviluppo della Società dell’Informazione e al piano di e-government.

Si evidenzia che la legge finanziaria per il 2007, ai commi 460-463, ha disposto il riassetto della Società Sviluppo Italia Spa, mutandone la denominazione in Agenzia Nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa Spa e prevedendo l’adozione, entro il 31.3.2007, di un piano di riordino e di dismissione delle sue partecipazioni azionarie nei settori non strategici di attività; è inoltre previsto che entro il 30.6.2007 il numero delle società controllate sia ridotto a non più di tre e che siano cedute, anche tramite una società veicolo, le partecipazioni di minoranza; per le società regionali si procederà d’intesa con le regioni interessate anche tramite la cessione a titolo gratuito alle regioni stesse o altre pubbliche amministrazioni delle relative partecipazioni.

Il 27/3/2007, il Ministro dello Sviluppo Economico ha emanato la direttiva, prevista nella finanziaria, che indica per l’Agenzia priorità, obiettivi e indirizzi.

L’azione dell’Agenzia nazionale, impegnata nella ripresa di competitività , in particolare del Mezzogiorno, si concentra su tre interventi principali: favorire l’attrazione di investimenti esteri, sviluppare l’innovazione e la competitività industriale e imprenditoriale nei settori produttivi e nei sistemi territoriali, promuovere la competitività e le potenzialità attrattive dei territori.

Premesso quanto sopra, alla Società in discorso deve riconoscersi una natura sostanzialmente pubblica.

La Corte Costituzionale (sent. n. 466/1993) ha ricordato come la dicotomia tra ente pubblico e società di diritto privato sia andata, tanto in sede normativa che giurisdizionale, sempre più stemperando, in relazione, da un lato, all’impiego crescente dello strumento della società per azioni per il perseguimento di finalità di interesse pubblico e, dall’altro, agli indirizzi emersi in sede di normazione comunitaria, favorevoli all’adozione di una nozione sostanziale di soggetto pubblico.

Ai fini dell’identificazione della natura pubblica di un soggetto la forma societaria è neutra (Cons. Stato, VI, n. 1478/98).

Ciò posto, non può non rilevarsi come l’ Agenzia Nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa Spa, già Sviluppo Italia Spa, pur avendo forma societaria, è sottoposta ad una disciplina derogatoria rispetto a quella codicistica e sintomatica della strumentalità rispetto al conseguimento di finalità pubblicistiche.

La costituzione in s.p.a. è avvenuta ad opera di un intervento legislativo; con Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri si è provveduto alla costituzione del capitale e della struttura societaria nonché a dettare gli indirizzi e le priorità della Società e delle società operative da essa costituite; l’unico azionista (Ministero dell’economia e delle finanze) non esercita i propri diritti autonomamente, ma d’intesa con il Ministero dello sviluppo economico; il Ministro dello sviluppo economico, d’intesa con il Ministro dell’economia e delle finanze, nomina gli organi della Società e ne riferisce al Parlamento. Inoltre, con apposite convenzioni sono disciplinati i rapporti con le amministrazioni statali interessate, utili per la realizzazione delle attività proprie della Società, nonché delle attività a queste collegate, che le predette amministrazioni ritengano di affidare; il contenuto minimo delle convenzioni è stabilito con direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentita la Conferenza unificata Stato-regioni-autonomie locali; un magistrato della Corte dei conti assiste alle sedute degli organi di amministrazione e di revisione della Società.

Il titolare delle azioni è, pertanto, fortemente condizionato nell’esercizio dei diritti dell’azionista da regole di funzionamento che costituiscono un’alterazione del modello societario tipico e rivelano la completa attrazione nell’orbita pubblicistica della Società.

6. CIRCA LA POSSIBILITÀ DI CONSIDERARE L’ORGANISMO IN HOUSE DI UN MINISTERO COME IN HOUSE A TUTTO L’APPARATO STATO CENTRALE.

6.1 tesi positiva

In merito alla questione della possibilità di considerare l’organismo in house di un Ministero come soggetto in house a tutto l’apparato Stato centrale, il Dipartimento per le Politiche e lo Sviluppo del Ministero dell'economia e delle finanze, nel documento Sud News del 9 maggio 2004, ha evidenziato le conclusioni dell’Avvocato Generale Léger nella causa Arge (causa C-94/99 in cui la Corte di Giustizia, peraltro, con la relativa sentenza non si è pronunciata sul punto). L’Avvocato Generale pone in evidenza che la disciplina generale sull’affidamento si fonda "sull'idea di un'autonomia effettiva dell'ente con il quale l'Amministrazione aggiudicatrice stipula il contratto. Come risulta dalla citata sentenza Teckal, l'ente deve essere distinto da essa sul piano formale e autonomo rispetto ad essa sul piano decisionale, affinché la direttiva sia applicabile" (punto 54).

L’assenza di autonomia sembra, pertanto, essere l’elemento che ha portato la Corte di Giustizia ad esentare gli organismi in house dall’applicazione delle direttive sugli appalti pubblici, ai sensi delle quali, infatti, un appalto è "un contratto a titolo oneroso…", dove affinché vi sia un contratto è indispensabile, appunto, l’incontro di due volontà autonome e distinte tra loro.

Pertanto, essendo l’assenza di terzietà tra i due soggetti il fulcro attorno al quale ruotano le argomentazioni sviluppate dalla Corte, allo stesso modo potrebbe affermarsi che una relazione in house tra un organismo ed il proprio soggetto detentore vale altresì tra il medesimo organismo ed i soggetti che non sono terzi rispetto al suo soggetto detentore. Nel caso delle Amministrazioni dello Stato, ad esempio, inteso come ente Stato, presupposto che non esiste terzietà tra Ministero e Ministero, è possibile considerare l’organismo in house di un Ministero come organismo in house di tutto l’apparato Stato centrale e, quindi, anche di altri Ministeri o Amministrazioni centrali dello Stato.

Una volta, infatti, appurata la sussistenza degli elementi giurisprudenziali costituenti una relazione in house nei confronti di un determinato organismo rispetto ad una singola Amministrazione centrale, tale organismo potrà essere ritenuto in house a tutto l’ente-Stato considerato nel suo insieme come un’unica persona.

Questa tesi non sembra si possa condividere per le ragioni appresso esposte.

6.2 tesi negativa.

6.2.1 CONSIDERAZIONI SULLA NATURA GIURIDICA DEI MINISTERI.

Atteso che i Ministeri costituiscono le grandi branche nelle quali si ripartisce l’organizzazione amministrativa dello Stato, appare opportuno chiarire preliminarmente le caratteristiche di queste entità dello Stato-apparato (Stato-ente).

Com’è noto, l’organo è uno strumento di imputazione e cioè sono organi gli uffici che le norme positive indicano come idonei ad operare l’imputazione giuridica dell’ente.

Nei diritti positivi contemporanei lo Stato si presenta o come un ente con personalità giuridica ovvero come un complesso coordinato di enti, ove la personalità giuridica è conferita a più organi costituzionalmente rilevanti, l’attività dei quali è congegnata secondo un disegno unitario. Mentre quest’ultima soluzione trova il suo archetipo nello Stato inglese, nell’Europa continentale, così come in Italia, prevale la figura dello Stato-persona giuridica, il cui archetipo è costituito dallo Stato francese.

6.2.2 LA TEORIA DELL’ORGANO

Nella cultura giuridica italiana, per un lungo periodo è prevalsa una concezione dell’organizzazione amministrativa che identifica l’apparato organizzativo dei pubblici poteri con gli organi dell’Amministrazione.

Secondo questo orientamento, la Pubblica amministrazione viene considerata in modo unitario, come un soggetto unico. Questa, però, per poter svolgere concretamente la propria attività, essendo una persona giuridica, ha bisogno della figura dell’organo.

Pertanto, la Pubblica amministrazione altro non è che un insieme di organi che operano come organi dello Stato.

La costruzione giuridica della Stato come persona unitaria è stata espressione soprattutto di motivazioni politiche, culturali e sistematiche.

Di fronte all’esigenza di consolidamento dell’unione nazionale, divenne naturale concepire lo Stato come persona giuridica di riferimento dell’intera fenomenologia dei poteri pubblici, che consentisse di ricondurre ad unità qualsiasi manifestazione di autorità.

La teoria dell’organo, quindi, favorendo la riflessione intorno all’ente-Stato, ha assolto il compito di fornire un elemento di unificazione (9).

In seguito, però, agli inizi del secolo ventesimo, con l’affermazione dello Stato pluriclasse e, dunque, con la necessità di tutelare nuovi interessi, le forme organizzative dei pubblici poteri si sono diversificate. Ne è risultato un forte sviluppo degli studi anche sugli apparati interni dell’organizzazione amministrativa, ai quali venne riconosciuta rilevanza: sviluppo che, negli anni successivi, ha trovato pieno riconoscimento con l’affermazione del pluralismo dei soggetti pubblici(10).

6.2.3. L’ORGANIZZAZIONE PUBBLICA ITALIANA.

Nel secondo dopoguerra, il pluralismo va gradualmente accentuandosi, sino a divenire un carattere peculiare dell’ordinamento contemporaneo. La molteplicità dei fini da perseguire e la necessità di assicurare la partecipazione dei numerosi e vari interessi di una società fortemente differenziata provocano nell’Amministrazione pubblica una tendenza alla diversificazione (11).

In definitiva, con il passare degli anni, lo Stato perde gradualmente l’unitarietà originaria e si trasforma in un ente ad amministrazioni disaggregate. Vi è non un unico organo destinato ad esprimere la volontà in sede amministrativa, bensì una pluralità; cosicché, oggi, le figure di riferimento sono numerose ed anche i processi di riferimento si sono differenziati.

Si è, quindi, passati da uno Stato ad organizzazione compatta ad uno Stato ad organizzazione reticolare; così, prevalendo il pluriformismo, che si è sostituito all’iniziale uniformità, l’organizzazione amministrativa si è modificata ed ora si caratterizza per la estrema differenziazione (12).

Oggi, lo Stato-ente altro non è che una entificazione dell’organizzazione dell’ordinamento della comunità statale e, comunque, presenta caratteri tali per cui è persona giuridica del tutto speciale. Si suol dire, cioè, che lo Stato-ente ha caratteristiche tali che lo contraddistinguono da qualsiasi altro modello di ente pubblico. Ciò deriva dal fatto che lo Stato è un ente a pluralità indeterminata di fini ed è ente esponenziale di un ordinamento generale.

Ne consegue che i suoi organi sono centri di riferimento di interessi eterogenei, spesso notevolmente differenziati. In altri termini, la legittimazione, la quale nelle persone giuridiche comuni è unitaria, per lo Stato-ente, invece, si ripartisce fra gli organi in relazione all’interesse pubblico sostanziale che è affidato alle cure di ciascuno (13).

All’interno dello Stato apparato, le singole Amministrazioni (Ministeri) sono strutture organizzative aventi il compito di perseguire con strumenti giuridici la soddisfazione degli interessi della collettività. Esse sono punti o centri di riferimento di situazioni giuridiche soggettive, ovvero di quelle situazioni giuridiche che le rendono idonee ad operare giuridicamente, ponendo in essere atti giuridici.

Si tratta ora di illustrare in che modo ed in quale misura i Ministeri possano assumere rilievo soggettivo e possano presentarsi come operatori giuridici.

Considerando che non tutti gli operatori giuridici sono necessariamente persone fisiche o giuridiche e sono concepibili in astratto e che sussistono in concreto operatori i quali, pur acquisendo rilievo soggettivo, tuttavia non raggiungono il livello di soggettività piena proprio delle persone giuridiche, viene adoperata l’espressione figure soggettive per indicare cumulativamente sia i soggetti che assumono veste di persona, sia i soggetti che non assumono tale veste.

I soggetti non dotati di personalità giuridica hanno nel panorama delle figure soggettive pubbliche una importanza molto più marcata di quanto non si rilevi nell’ambito del diritto privato.

Se si considera l’intera organizzazione amministrativa dal punto di vista del suo rilievo soggettivo, essa apparirà come una serie di figure soggettive, diverse tra loro, oltre che per dimensioni, finalità, modi di operare e di finanziarsi, anche per essere, alcune, persone giuridiche ed altre entità soggettive prive di personalità.

Può essere opportuno esaminare sotto questo profilo l’elenco di Amministrazioni ricavabile dal d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165: esso include, in primo luogo, "Le amministrazioni dello Stato", utilizzando una espressione rivelatrice, da un lato, della complessità dello Stato, che, quale persona giuridica, si articola in più Amministrazioni (i Ministeri) e, dall’altro, della sussistenza di un rilievo soggettivo di queste Amministrazioni, ciascuna delle quali, nonostante la riferibilità ad un’unica persona giuridica (lo Stato), è dotata di una propria e separata soggettività.

Nel panorama delle Amministrazioni considerate come soggetti, sono frequenti le figure soggettive non personificate.

La maggior presenza di soggetti non personificati nella organizzazione amministrativa si spiega per il differente significato ed il differente rilievo, anche pratico, che la figura della persona giuridica assume nel diritto privato e nel diritto pubblico.

L’elemento fondamentale che contraddistingue la persona giuridica è l’essere un centro di imputazione giuridica, ossia il punto soggettivo di riferimento di atti e di effetti giuridici. Questo dato è peraltro comune a qualsiasi soggetto, anche ai soggetti che non assurgono alla figura della persona giuridica, la quale è caratterizzata da una disciplina speciale, rilevante soprattutto sul piano della responsabilità patrimoniale: la persona giuridica risponde delle sue obbligazioni nei limiti del suo patrimonio.

Siffatta peculiare disciplina della responsabilità patrimoniale ha un valore rilevante per quelle persone giuridiche che sono destinate ad operare nel mondo degli affari, in qualità di operatori economici; ha valore molto inferiore laddove la responsabilità patrimoniale ha minor rilievo, come nel campo dei rapporti di diritto pubblico, dove l’aspetto patrimoniale rimane sullo sfondo.

Nel settore pubblico, pertanto, mentre resta essenziale ed ineliminabile la nozione di soggetto giuridico, appare meno rilevante la nozione di persona giuridica: ciò che conta è che vi siano centri di imputazione dell’attività di cura degli interessi pubblici.

In definitiva, lo Stato, nel suo nucleo centrale, è costituito dai Ministeri. Essi hanno una loro legittimazione sostanziale e processuale. Il Ministero ha, inoltre, una rilevanza patrimoniale propria e ha in godimento e gestione beni immobili e in godimento perpetuo beni mobili; ha in assegnazione mezzi pecuniari, attraverso la suddivisione dei fondi operata dal bilancio dello Stato, e adotta i relativi provvedimenti di spesa.

Dal punto di vista finanziario e patrimoniale, esso presenta autonomia di spesa e di gestione, inoltre ha un proprio personale, con ruoli autonomi e distinti, ora anche dirigenziali.

Queste Amministrazioni entrano in rapporto tra di loro per questioni di natura amministrativa e patrimoniale.

La ragione di questo modo di essere è conseguente all’attribuzione ad ogni Ministero di una parte di potestà amministrativa per curare uno specifico interesse pubblico o un gruppo di interessi che possono presentarsi anche in conflitto tra loro.

La cura dell’interesse comporta un centro di riferimento predeterminato che è dotato della necessaria autonomia gestionale e di imputazione (14).

6.3 Conclusioni

La indubbia frammentazione dell’Amministrazione statale e, in particolare, la distinzione in Ministeri che fanno capo a vertici differenti, impongono, così, di adottare una soluzione più articolata, nel senso che occorre ammettere che, sotto certi profili, la unicità della personalità statale non sussiste.

Una riprova della fondatezza di questa tesi si rinviene nell’atteggiamento della giurisprudenza, che, ritenendo posto in essere in carenza di potere l’atto emanato da un Ministro nell’esercizio di un potere attribuito ad un altro Ministero, mostra di considerare i singoli Ministeri, e non lo Stato, come diretti destinatari di attribuzioni amministrative (15)

Quindi, l’attribuzione dei poteri può avvenire soltanto a favore delle organizzazioni che abbiano l’idoneità ad essere centri di riferimento di rapporti giuridici attivi e passivi, anche senza possedere le personalità giuridica.

Di qui le varie teorie che riconoscono ai Ministeri la qualifica di figure soggettive, intendendosi per tali i centri di imputazione di situazioni giuridiche (16)

Il Ministero, organo dello Stato, costituisce pertanto una figura soggettiva a sé, che può essere correttamente definita come organo a legittimazione separata. Ciò costituisce una singolarità dello Stato, perché i rapporti sia di diritto amministrativo sia di diritto privato intercorrono fra organi e altri soggetti.

Cosicché, per lo Stato-ente ricorre uno speciale regime di legittimazioni separate di organi. Nei rapporti esterni, la individualità degli organi è agevolmente riscontrabile: così, per es., la responsabilità civile grava sugli organi che hanno posto in essere gli atti illeciti.

In sede processuale, il principio che la capacità processuale spetta all’ente e non ai suoi organi è valido per tutti gli enti pubblici, non vale nei riguardi dello Stato che, attesa la complessità della sua struttura, vede attribuita la capacità ai suoi organi, aventi rappresentanza esterna (Ministeri).

Considerando che i fondamentali organi dello Stato sono i Ministeri, si può quindi affermare che nel nostro ordinamento si rinviene una persona giuridica unitaria (lo Stato) con figure soggettive della specie degli organi – i Ministeri – che integrano una pluralità di centri di legittimazione.

L’Amministrazione dello Stato si ripartisce così in Ministeri, ciascuno dei quali ha l’attribuzione di una parte della potestà amministrativa.

Concludendo, lo Stato-ente presenta delle vere atipie, con caratteristiche strutturali tali da non essere riconducibile ad alcun altro modello di persona giuridica, costituendo così i Ministeri degli organi con legittimazioni separate, di diritto sostanziale e di diritto processuale. La natura giuridica dei Ministeri è quella di essere delle figure giuridiche soggettive e, più esattamente, delle figure giuridiche soggettive immateriali, della specie degli organi, forniti di legittimazioni proprie (17). Ne consegue l’impossibilità di considerare l’organismo in house di un Dicastero come in house a tutto lo Stato-ente.

Si può pensare, ad esempio, ad una delle testimonianze più significative, per il rilievo delle attività svolte e l’estensione del rapporto giuridico corrente con l’Amministrazione affidante, di adozione dell’istituto dell’in house providing nell’ambito dell’organizzazione statale: la Società Generale di Informatica S.p.A. (SOGEI S.p.A.), Società partecipata al 100% dal Ministero dell’economia e delle finanze, che ai sensi dell’ art. 56, comma 1, lettera e) del decreto legislativo n. 300/99, risulta destinata ad operare quale struttura unitaria per l’attuazione delle strategie di integrazione dell’intero sistema informativo della fiscalità, nel quale è compresa, come componente più rilevante, l’Anagrafe tributaria.

In capo alla SOGEI S.p.A. non sembrano sussistere i requisiti atti a giustificare un affidamento in house da parte degli altri Dicasteri, soggetti terzi rispetto al Ministero dell’economia e delle finanze, in quanto distinte figure soggettive fornite di legittimazioni di diritto sostanziale e processuale proprie.

Come si è visto, il nodo centrale della figura giuridica dell'appalto in house è quello relativo alla individuazione delle condizioni in presenza delle quali è possibile per l'Amministrazione pubblica ricorrere all'affidamento diretto, in deroga a disposizioni di matrice comunitaria.

La Società affidataria deve essere attributaria di attività funzionalizzate alla cura di un interesse pubblico (art. 1 legge 241/90), ferma restando, ovviamente, la presenza degli altri requisiti di origine comunitaria più volte richiamati.

Atteso il diritto vigente, l’affidamento diretto tra gli altri Ministeri e la SOGEI S.p.A. non sembra pertanto possibile, né sembra ipotizzabile una applicazione in senso estensivo del concetto di affidamento in house, non potendo, nel caso di specie, essere richiamato l’assunto che ha consentito alle Strutture Organizzative dell’Amministrazione finanziaria di avvalersi delle prestazioni della SOGEI S.p.A., struttura unitaria per l’attuazione delle strategie di integrazione del Sistema informativo della fiscalità comprendente l’Anagrafe tributaria (art. 56, comma 1, lettera c), del d. gls. N. 300/1999).

Il Consiglio di Stato ha ritenuto (parere n. 525/2003) che le informazioni acquisite nell’Anagrafe tributaria attraverso gli ex Centri informativi del Ministero delle finanze – le cui funzioni sono ora confluite nelle Agenzie e nel Dipartimento per le politiche fiscali – non possono che essere patrimonio comune di tutta l’Amministrazione finanziaria. In presenza di un sistema informativo unitario come quello in discorso non sarebbe evidentemente rispondente a criteri di efficienza e di razionalità assumere iniziative per scindere il sistema stesso in rami diversi, a secondo dell’utilizzatore. Ciò posto, la fruizione dei servizi del Sistema informativo della fiscalità deve essere assicurata nei confronti di tutti i soggetti facenti parte dell’Amministrazione finanziaria.

Più in particolare, relativamente al rapporto della SOGEI S.p.A. con le Agenzie fiscali, atteso che nei confronti di esse non ricorre il requisito della dipendenza formale ed organizzativa, il Consiglio di Stato ha ipotizzato una applicazione in senso estensivo del concetto di affidamento in house, tenuto conto che le Agenzie fiscali pur se hanno personalità giuridica distinta e godono di piena autonomia, secondo quanto disposto dall’articolo 8 e dall’articolo 61 del decreto legislativo n. 300 del 1999, possono, tuttavia, qualificarsi come articolazioni dell’Amministrazione fiscale, funzionalmente collegate al Ministero, con il compito di operare quali strutture serventi del Ministero stesso.

Per analoghe ragioni ostative, la CONSIP S.p.A. non è un organismo in house a tutto l’apparato Stato centrale.

Come si è accennato, i compiti istituzionali della CONSIP fanno riferimento a due aree principali:

- gestione e sviluppo dei servizi informatici per il Ministero dell’economia e delle finanze (area economia);

- realizzazione, per conto del Dicastero, del programma di razionalizzazione della spesa pubblica per beni e servizi, attraverso l’utilizzo di tecnologie informatiche e di modalità innovative per gli acquisti.

In detto ultimo ambito la Società ha assunto il ruolo di centro unico di imputazione di appalti, che ha trovato riconoscimento e legittimazione nel diritto comunitario con la citata direttiva 2004/18/CE del 31.3.2004, che ha introdotto le "centrali di committenza".

Ciò posto, deve ritenersi che neanche in tale veste può configurarsi una relazione in house della Società con l’apparato centrale: la gestione, per conto dello Stato, delle procedure concorsuali finalizzate alla stipula delle convenzioni quadro è, infatti, una funzione che la legge ha attribuito alla competenza del Ministero dell’economia e delle finanze e che quest’ultimo ha affidato all’organismo partecipato.

Per completezza di trattazione, si rileva che la giurisprudenza comunitaria non esclude, a priori, la possibilità di affidamenti diretti da parte di più amministrazioni pubbliche, sempre che quest’ultime esercitino sull’impresa pubblica un controllo analogo a quello da esse esercitato sui propri servizi (risultando indicativa, se pur non decisiva, la detenzione da parte dei soggetti affidanti dell’intero capitale sociale) (18) e l’impresa in questione svolga la parte più importante della propria attività con tali amministrazioni complessivamente considerate (C-295/05, sentenza TRAGSA del 19 aprile 2007).

Inoltre, per il Consiglio di Stato Sez. VI, 6 maggio 2002, n. 2418), qualora la società sia partecipata da più enti pubblici aventi interessi omogenei, per la realizzazione in comune di servizi affidati in house, l’attività di controllo deve essere esercitata da detti enti collettivamente.

7. CIRCA LA POSSIBILITÀ CHE LA CLAUSOLA DI SUSSIDIARIETÀ COSTITUISCA UN OSTACOLO ALL’IN HOUSE PROVIDING.

Come sopra ricordato, l’istituto in parola rappresenta una deroga all’applicazione delle regole relative alle procedure ad evidenza pubblica che sono poste a tutela della concorrenza.

L’Amministrazione pubblica condiziona il gioco della concorrenza sotto una duplice prospettiva: in quanto soggetto che, a mezzo di proprie imprese, presta servizi e produce beni in un regime particolare; e in quanto operatore che detiene una quota di domanda di beni e servizi assai rilevante.

Con riguardo a quest’ultima prospettiva, la questione può essere così riassunta: l’Amministrazione, al fine di soddisfare esigenze collettive, non avendo mezzi e organizzazioni sufficienti, deve sovente ricercare contraenti sul mercato per affidare loro la realizzazione di opere o per richiedere prestazioni e beni di valore economico complessivo rilevatissimo.

L’Amministrazione costituisce un soggetto economico potenzialmente assai pericoloso nei confronti di una corretta concorrenza sui mercati e del rispetto della parità degli operatori interessati.

Nelle ipotesi in cui l’istituzione della società abbia come conseguenza quella di togliere mercato ai privati, la relativa disciplina deve essere attentamente vagliata alla luce della normativa comunitaria e nazionale, ad impedire che la costituzione di società diventi un espediente utilizzato dagli enti pubblici per sottrarsi alle regole del confronto concorrenziale.

Com’è noto, la disciplina comunitaria è fondamentalmente preordinata ad evitare che gli Stati membri possano operare nel settore degli appalti pubblici in modo da favorire le imprese nazionali, discriminando in questo modo quelle degli altri Paesi.

Nel diritto interno, la concorrenza è, più in particolare, preordinata a garantire un miglior livello qualitativo e quantitativo dei servizi pubblici nell’interesse degli utenti finali.

Il nostro ordinamento ha assunto nel patrimonio costituzionale detto valore, il quale non trova cogenza solo per effetto della sua tutela ad opera dell’ordinamento comunitario, ma anche a prescindere dallo stesso.

Potrebbe pertanto verificarsi la possibilità che un istituto, quale per esempio l’affidamento in house, pur trovando legittimazione a livello comunitario, non sia pienamente conforme ai supremi principi interni al riguardo.

Ciò premesso, un ostacolo all’in house providing ed, in particolare, alla teoria che una società in house di un Ministero è anche in house a tutto lo Stato-ente può essere rappresentato proprio dal principio di sussidiarietà sancito all’articolo 118, comma 4, della Costituzione.

Secondo la c.d. clausola di sussidiarietà, infatti, una Pubblica amministrazione è legittimata ad occupare spazi di mercato che altrimenti rimarrebbero aperti all’iniziativa privata solo se si dimostra che l’intervento pubblico sia più efficiente o efficace a realizzare obiettivi di interesse pubblico (in questi casi, non potendosi parlare di impresa, ma di Amministrazione, si accede alla sfera della libertà di organizzazione) (19); ovvero, in caso di assenza di imprese private disponibili ad assumersi l’obbligo di svolgere l’attività (20) o, per meglio dire, nell’ipotesi che nessun terzo può raggiungere lo scopo pubblico, assicurando la qualità e continuità dei servizi offerti.

8. CONSIDERAZIONI FINALI

Il risultato che si vuole conseguire con l’uso di forme organizzative privatistiche è la sottrazione di tutti gli atti al regime di diritto amministrativo: gli atti mediante i quali si perseguono le finalità della società nonché quelli con funzioni strumentali di tipo organizzativo quali provvista e gestione del personale, dei beni e del denaro.

Poi, agli atti inerenti al rapporto di strumentalità dell’apparato con i pubblici poteri (direttive, nomine di titolari degli organi, ecc.), si vogliono sostituire gli atti di diritto privato costituenti esercizio dei poteri dell’azionista (deliberazioni dell’assemblea e degli organi amministrativi della società). Infine, si vuole l’esclusione dei controlli previsti per le gestioni pubbliche e la tutela giurisdizionale del giudice amministrativo, sostituita da quella offerta dal giudice ordinario (21).

Deve però evidenziarsi che, la Corte Costituzionale ha ritenuto il controllo della Corte dei conti (art. 12 L. 259/58) esercitatile anche nei confronti delle S.p.A. a partecipazione pubblica esclusiva o prevalente (22); inoltre, le controversie relative alla responsabilità per danni arrecati dai dipendenti di dette società ricadono nella speciale giurisdizione della stessa Corte dei conti, venendo in rilievo la qualificazione oggettivamente pubblica delle risorse finanziarie gestite. Se poi tali società rientrano nella categoria, di origine comunitaria, degli organismi di diritto pubblico devono essere applicate in materia di appalti le regole dell’evidenza pubblica e le relative controversie ricadono nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

Infine, per il combinato disposto dell’art. 22, comma 1, lettera d, LPA e dell’art. 22, comma 1, lettera e, CAD (23), sono obbligati a consentire l’accesso a documenti in loro possesso anche i privati che svolgono un’attività disciplinata dal diritto nazionale o comunitario, in quanto di pubblico interesse, limitatamente a detta attività.

Alla luce di quanto appena osservato e se, come precedentemente visto, la Corte di Giustizia tende, con una operazione di interpretazione restrittiva delle condizioni per un affidamento diretto, a burocratizzare il modello in house, quest’ultimo viene a perdere di utilità, in quanto la società non avrebbe margine di autonomia decisionale e gestionale rispetto all’ente che la costituisce e la possiede.

Non manca chi (24) nel ricordare critiche nei confronti della Corte di Giustizia anche da parte della dottrina straniera, pone in evidenza come la giurisprudenza comunitaria, da un lato, riconosce in via generale la compatibilità dell’istituto con l’ordinamento comunitario, dall’altro, dà una interpretazione così restrittiva dei requisiti da rendere difficile se non impossibile il ricorso a tale istituto.

 

Le tesi e le argomentazioni sviluppate nello studio sono frutto di valutazioni personali riconducibili all’esclusiva responsabilità degli autori.

Note:

(1) Legge sul procedimento amministrativo 7 agosto 1990, n. 241, modificata con legge 11 febbraio 2005, n. 15, con d.l. 14 marzo 2005 n. 35, convertito dalla legge 14 maggio 2005, n. 80.

(2) Chiara Lacava, Giornale di diritto amministrativo , n. 8/2006

(3) L’amministrazione svolge attività amministrativa non solo quando esercita pubbliche funzioni e poteri autoritativi, ma anche quando persegue le proprie finalità istituzionali mediante attività disciplinate, in tutto o in parte, dalle norme di diritto privato (Corte di Cassazione – sez. unite civili sent. n. 4511 del 1° marzo 2006).

(4) Sono: le amministrazioni dello Stato; gli enti pubblici territoriali; gli altri enti pubblici non economici; gli organismi di diritto pubblico; le associazioni, unioni, consorzi, comunque denominati, costituiti da detti soggetti (art. 1, comma 25, d. lgs. n. 163/2006).

(5) Cfr., Consiglio di Stato, sez. V, 3 febbraio 2005 n. 272, Tar Catania, sentenza n. 671/2005, ma, in senso contrario, TAR lazio – Latina, 5 maggio 2006, n.310 (che ha ritenuto illegittimo l’affidamento di un servizio pubblico locale ad una società mista pubblico – privata, nonostante il socio di minoranza sia stato scelto all’esito dello svolgimento di una procedura concorsuale) e, da ultimo, il Consiglio di Stato, Sez. V, sent. 13 luglio 2006, n. 4440.

(6) Consiglio di Stato, sez. II, 18aprile 2007 n. 456

(7) Cfr., da ultimo, sentenza n. C-340/04 dell’11/5/06.

(8) Deve, però, rilevarsi che la Corte di giustizia, nella sentenza del 13/10/2005 relativa alla causa de qua, afferma, invece, che nel caso in cui il Consiglio di amministrazione possiede amplissimi poteri di gestione che può esercitare autonomamente, senza che in pratica venga esercitato alcun controllo gestionale da parte della proprietà, è escluso che l’autorità pubblica eserciti sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi, in quanto, seppure l’Ente pubblico ha la facoltà di designare la maggioranza dei membri del Consiglio di amministrazione, tuttavia il controllo esercitato "è in pratica limitato a quei provvedimenti consentiti ai sensi del diritto societario alla maggioranza dei soci". Questa giurisprudenza, pertanto, torna a considerare non sufficienti gli strumenti del diritto societario.

(9) M. S. Giannini, Organi (teoria generale), in Enc. Del dir., XXXI, Milano, Giuffrè, 1981, p. 40.

(10) M. S. Giannini, Il pubblico potere. Stati e amministrazioni pubbliche, Bologna, Il Mulino, 1986, p. 56 ss..

(11) G. Pastori, La pubblica amministrazione, in Manuale di diritto pubblico, a cura di G. Amato e A. Barbera, Bologna, Il Mulino, 1997, II, p. 305 ss..

(12) C. Franchini, L’organizzazione, in Trattato di diritto amministrativo a cura di S. Cassese, Milano, Giuffrè, 2003, pag. 266.

(13) M. Stipo, Ministero, Enc. Del diritto Treccani.

(14) E. Follieri, Quadro positivo dell’amministrazione statale, Diritto amministrativo, Monduzzi editore, 2005, p. 407.

(15) E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo,Milano, Giuffrè, 2005, p. 203 e ss.

(16) M S. Giannini, op.cit.

(17) .M. Stipo, op. cit..

(18) Nel caso in esame, l’impresa pubblica è obbligata ad eseguire l’incarico, non ha la possibilità di stabilire il costo dei suoi interventi ed i suoi rapporti con gli enti affidanti non sono di natura contrattuale, operando in qualità di strumento esecutivo interno e servizio tecnico.

(19) Corte di Giustizia, 23/4/1999, causa C-41/90 (Hofner) e 11/12/1997, causa C-55/96 (Job Centre).

(20) D. Sorace, diritto delle amministrazioni pubbliche – Una introduzione, il Mulino, 2005, p. 128.

(21) D. Sorace, cit., pag 241 e 242.

(22) Cfr. sentenza n. 466/1993

(23) Codice dell’amministrazione digitale: d.lgs 7 marzo 2005, n.82

(24) C. Lacava, cit..

 

 

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