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Le problematiche legate al riconoscimento del "canone" nelle concessioni del servizio di distribuzione gas all'Ente Locale concedente da parte dei Gestori in ottemperanza a quanto previsto nella Finanziaria 2008.
di Ilario Brugnettini - Giosuè Nicoletti 13 novembre 2008
Materia: gas / disciplina

Le problematiche legate al riconoscimento del “canone” nelle concessioni del servizio di distribuzione gas all’Ente Locale concedente da parte dei Gestori in ottemperanza a quanto previsto nella Finanziaria 2008.

 

 

L’art. 46 bis, comma 4, d.l. n. 159/2007, conv. in l. n. 222/2002, come modificato dall’art. 2, comma 175, l. n. 244/2007 (Finanziaria per il 2008), così recita: “A decorrere dal 1o gennaio 2008, i comuni interessati dalle nuove gare di cui al comma 3 possono incrementare il canone delle concessioni di distribuzione, solo ove minore fino al nuovo affidamento, fino al 10 per cento del vincolo sui ricavi di distribuzione di cui alla delibera dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas n. 237 del 28 dicembre 2000, pubblicata nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 4 del 5 gennaio 2001, e successive modificazioni, destinando prioritariamente le risorse aggiuntive all’attivazione di meccanismi di tutela relativi ai costi dei consumi di gas da parte delle fasce deboli di utenti”.

Detto provvedimento ha quindi previsto – senza porre ulteriori condizioni – la possibilità, per i Comuni, con decorrenza 1.1.2008, di incrementare i canoni relativi alle concessioni per la distribuzione del gas sino al 10% del VRD, ovvero del ricavo tariffario spettante al Gestore, con la previsione che queste risorse aggiuntive per i Comuni siano destinate (prioritariamente ma non esclusivamente) a meccanismi di tutela delle fasce deboli, relativamente ai consumi di gas.

Ebbene, con riguardo, a tale norma sono stati posti in concreto due ordini di questioni:

1)         se, addirittura, il previsto incremento di canone meriti di essere riconosciuto in tariffa, con conseguente traslazione sull’utenza;

2)         se detto incremento possa essere richiesto comunque a partire dal 1° gennaio  u.s. , in costanza del periodo transitorio (in conformità alla lettere della norma), ovvero soltanto dopo la scadenza dei contratti (sia essa derivante dall’esaurimento del periodo transitorio o, se anteriore, dalle scadenze naturali).

Si tratta di due questioni che, a ns. avviso, hanno risposte fin troppo semplici.

Tuttavia, le tesi che, sorprendentemente, stanno maturando al riguardo, anche in sede istituzionale (Ministero Sviluppo Economico e AEEG), meritano qui di seguito specifiche valutazioni critiche.

 

1)         “Canoni in tariffa”? Un’ipotesi contraddittoria sul piano logico e palesemente irragionevole sul piano della tutela dell’interesse generale: note critiche sul punto al recente Documento di Consultazione pubblicato dall’AEEG in ordine alla disciplina tariffaria del terzo periodo di regolazione

L’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas, ha proposto, nell’ambito dei documenti di consultazione propedeutici all’emanazione della nuova disciplina tariffaria per il terzo periodo regolatorio (decorrente, in relazione alla delibera n. 128/08, dall’1.1.2009), l’introduzione di una specifica voce tariffaria destinata a coprire gli incrementi di canone resi possibili dal citato art. 46 bis.

Si veda al riguardo il testo deliberativo prefigurato nell’ultimo Documento di consultazione pubblicato (DCO 30/08 del 22.9.2008), dove all’art. 58.2 si legge:

Qualora i Comuni concedenti abbiano incrementato il canone delle concessioni di distribuzione ai sensi di quanto previsto dal comma 4, articolo 46 bis del decreto legge 1 ottobre 2007, n. 159, le imprese distributrici interessate possono presentare apposita istanza all’Autorità per il riconoscimento dei maggiori oneri derivanti per effetto di tali disposizioni”.

L’Autorità riconosce i maggiori oneri, a sole due condizioni (cfr. comma 58.3):

a)         l’avvenuta attivazione dei meccanismi di tutela delle fasce deboli nel Comune di volta in volta considerato;

b)         che il Comune non abbia provveduto ad affidare una nuova concessione, ritenendo,  quindi, di attendere l’attuazione dei c.d. ambiti ottimali di gara previsti dallo stesso art. 46 bis.

Si legge ancora al punto 58.6: “L’impresa distributrice può istituire un’apposita componente tariffaria a copertura dei maggiori costi di cui al comma 58.1, denominata canoni comunale, di cui è data separata evidenza in bolletta”.

In buona sostanza, gli incrementi dei canoni di concessione vengono trasferiti direttamente in bolletta, con ulteriore aggravio per i cittadini, già molto provati da tariffe elettriche e del gas che, in Italia, come è noto, sono assai più elevate che altrove.

Il riconoscimento direttamente in bolletta dei maggiori canoni non trova alcuna giustificazione, tanto sul piano logico, quanto sul piano giuridico, alla luce delle considerazioni che seguono.

Come è noto, costituisce principio generale (v. al riguardo l’art. 265 del R.D. 14 settembre 1931, n. 1175, anche se oggi abrogato al momento della prima modifica dell’art. 113 del T.U.E.L.) che all’affidamento di un’attività in concessione corrisponda l’obbligo del concessionario di corrispondere un canone all’Ente concedente. Si tratta del corrispettivo per l’attribuzione del diritto di svolgere in esclusiva un’attività che rientra nelle prerogative dell’Ente pubblico; rappresenta la contropartita rispetto ai vantaggi economici che un tale diritto comporta.

La misura del canone deve essere naturalmente determinata in modo equo e compatibile con l’equilibrio economico-finanziario della gestione (così è espressamente previsto oggi in materia di concessioni di opere pubbliche ai sensi degli artt. 142 e ss., d.lgs. n. 163/2006 e ss.mm.ii.).

Nella materia della distribuzione del gas, l’Autorità aveva già precisato, in un documento ben noto nel settore (Relazione del 1.8.2003 formulata su specifico quesito del T.A.R. Lombardia Brescia), che la corresponsione di un canone di concessione è pienamente compatibile con il sistema tariffario vigente e con le esigenze di remuneratività delle gestioni, purché il canone stesso sia contenuto mediamente nel 35/40% del VRD (percentuale limite indicata per gli oneri concessori a carico del Gestore).

La misura può variare in concreto a seconda che il Comune detenga la proprietà degli impianti (nel qual caso si giustifica un canone più elevato, che può legittimamente coprire la componente tariffaria destinata a remunerare i costi di capitale, atteso che gli investimenti per la metanizzazione sono stati sostenuti dall’Ente locale), ovvero che detta proprietà sia in capo al concessionario (nel qual caso è giusto che quest’ultimo ottenga la remunerazione tariffaria degli investimenti sostenuti).

Non si comprende quindi, per quale ragione e a tutela di quale giusto interesse, il canone debba essere rimborsato al Gestore in tariffa, anche quando sia stato determinato in modo congruo e tale da rispettare i margini di utile che deve avere ogni attività economica.

La misura dell’incremento consentita dalla legge (sino al 10% del VRD) è ampiamente inferiore al limite fissato dalla stessa AEEG nella Relazione del 1.8.2003 che sopra si richiamava (35/40%, se non ci sono altri specifici oneri concessori), limite massimo che nel sistema tariffario vigente al momento, trovava giustificazione nell’ambito della componente patrimoniale della tariffa stessa.

Così come proposto, un generalizzato rimborso (escluso soltanto, parrebbe, in caso di totale proprietà comunale delle reti, caso questo  assai raro) appare scandaloso:

          sia perché non si spiega con un’eventuale esigenza di salvaguardare i margini di remuneratività e, quindi, di operatività delle imprese distributrici, le quali, al contrario, hanno goduto e continuano a godere di extra- profitti, in quanto gestiscono, spesso da decenni, con affidamenti avvenuti nella generalità dei casi senza alcuna gara, il servizio, quale quello del gas naturale, molto redditizio avendo già ampiamente ammortizzato gli investimenti fatti; l’incremento dei canoni voluto dal Legislatore tende a riequilibrare proprio questa situazione già così penalizzante per i Comuni e le collettività amministrate; riequilibrio che evidentemente non vi sarebbe affatto se il Gestore potesse traslare ogni maggiore onere ancora sugli utenti (!!);

          sia perché grava direttamente sui cittadini, i quali si vedrebbero aumentare significativamente tariffe già elevate, per di più in un periodo di grave crisi economica, con serie difficoltà, note a tutti, per i ceti medio-bassi.

 

E’ poi la stesso testo proposto dall’Autorità che, evidentemente malcelando qualche “pudore” nel proporre una soluzione così scandalosa, conferma l’irragionevolezza della stessa: al comma 58.1, infatti, si escludono riconoscimenti per canoni non previsti da disposizioni di legge, come se non si sapesse che il canone accede di norma ad ogni concessione e che, comunque, ciò che conta è se esso si giustifica (e in quale entità) dal punto di vista economico, a fronte dei margini di redditività della gestione, concessa in esclusiva, di un’attività di interesse pubblico.

Altrimenti si rischia – come nel caso di specie –  di porre a carico della collettività proprio quanto la collettività, per così dire, “chiede in cambio” ad un imprenditore che può fare profitti esattamente in quanto beneficiario di una pubblica concessione.

Ovvero il totale capovolgimento della logica e della realtà giuridica e fattuale!!

E’ infatti evidente come il Legislatore in maniera avveduta e a conoscenza dei benefici derivanti dalla Gestione del servizio gas, alla luce anche delle proroghe concesse al periodo transitorio, e quando ogni appiglio è risultato buono per i Gestori, per ritardare il regolare svolgimento delle gare, costringendo molto spesso gli Enti Locali a lunghi e dispendiosi contenziosi, abbia voluto anticipare, anche se in misura modesta, quel beneficio che gli Enti Locali potranno trarre dalle nuove gare, da svolgersi ai sensi del D.Lgs. 164/00, in relazione a quanto sancito dallo stesso decreto, art. 14 comma 4, dove è previsto che “Alla scadenza del periodo di affidamento del servizio, le reti, nonché gli impianti e le dotazioni dichiarati reversibili, rientrano nella piena disponibilità dell’ente locale“.

Da ultimo non va trascurata la considerazione che “scaricando “ in tariffa il canone di concessione si determina una ingiustificata sperequazione   tra gli utenti.

 

2)         Incremento dei canoni subordinata alla scadenza delle concessioni? Una condizione assolutamente non prevista dall’art. 46 bis, comma 4, d.l. n. 159/2007 e ss.mm.ii., oltre che del tutto irragionevole ed illegittima.

Il dettato normativo prevede, in modo molto chiaro, che i Comuni possano incrementare i canoni di concessione a partire dal 1° gennaio 2008 sino al 10% del VRD.

Nessuna particolare condizione è prevista se non quella, ovviamente, che il canone vigente sia inferiore a detta percentuale (condizione che ricorre, a maggior ragione ovviamente, anche se il canone manca del tutto).

Certamente l’incremento non è condizionato all’intervenuta scadenza (naturale o legale) dei contratti concessione.

Al contrario – come appare inevitabile logicamente – l’incremento del canone presuppone la piena vigenza e l’efficacia del contratto: a che titolo si potrebbe aumentare il canone nell’ambito di un contratto non più in vigore?

Alla scadenza contrattuale la legge impone, piuttosto, il nuovo affidamento, previa gara, del servizio.

Più precisamente, il “Decreto Letta” impone alle Amministrazioni di avviare l’espletamento della gara un anno prima della scadenza del precedente affidamento (art. 14, comma 7).

Alla scadenza, quindi, il Comune dovrà aver già individuato con gara il nuovo affidatario che subentrerà nella gestione del servizio.

Un problema di incremento dei canoni dopo la scadenza, dunque, non si pone proprio.

Chi lo ha posto (si tratta tesi propugnate da alcuni dei maggiori gestori, che purtroppo iniziano, incomprensibilmente ad avere qualche ascolto anche in sede ministeriale  : MSE) ha ritenuto di argomentare a partire dalle gare d’ambito previste dallo stesso art. 46 bis, che si potranno svolgere solo dopo la definizione dei bacini ottimali d’utenza.

Secondo questo modo di ragionare, l’incremento dei canoni sarebbe una compensazione a cui i Comuni avrebbero diritto solo per il periodo intercorrente tra le scadenza legali/contrattuali delle concessioni e il momento in cui, dopo la perimetrazione dei nuovi ambiti essi potranno andare a gara.

Si tratterebbe cioè di una sorta di “risarcimento” per la “attesa forzata” che i  Comuni dovrebbero subire, rispetto alla possibilità di indire nuove gare.

In altri termini, la tesi qui contestata si basa sull’assunto che l’art. 46 bis comporti il blocco generalizzato delle gare, sino alle definizione dei nuovi bacini.

Ebbene tale assunto è stato già smentito dalla giurisprudenza (TAR Lombardia - Sezione Brescia con le Ordinanze n. 410/2008 e n. 523/2008, con le sentenze n. 566/2008, n. 662/2008 e n. 730/2008, alle quali oggi si aggiunge l’Ordinanza del Consiglio di Stato n. 5213/08 dello scorso 30 settembre, che conferma l’Ordinanza TAR Lombardia - Sezione Brescia n. 523/08, e recita testualmente: “Reputato che l’interpretazione comunitariamente orientata dall’art. 46 bis della legge n. 244/2007 impedisce di accogliere la tesi della prorogatio sine die degli affidamenti diretti in essere nelle more della definizione delle procedure relative ai bacini ottimali d’utenza, con correlativa paralisi di ogni procedura competitiva”, con ciò respingendo l’istanza di sospensiva delle procedure di gara nel frattempo attivate).

Del resto è impensabile che non si possa più svolgere alcuna gara per un tempo del tutto indeterminato e incerto (i termini indicati per la definizione dei bacini sono – come è inevitabile –  meramente ordinatori) e che le gestioni possano continuare per anni dopo le scadenze, in via di puro “fatto”. Ciò a maggior ragione visto che l’art. 46 bis non contiene alcuna ulteriore proroga del periodo transitorio (la versione il Legislatore ha ritenuto di eliminare l’ulteriore proroga biennale inserita nel testo originario).

Peraltro, è successivamente intervenuto l’art. 23 bis, d.l. n. 112/2008 (convertito nella l. n. 133/2008), il quale, al comma 7, ha stabilito che “Le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle rispettive competenze e d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, possono definire, nel rispetto delle normative settoriali, i bacini di gara per i diversi servizi, in maniera da consentire lo sfruttamento delle economie di scala e di scopo e favorire una maggiore efficienza ed efficacia nell'espletamento dei servizi, nonché l'integrazione di servizi a domanda debole nel quadro di servizi più redditizi, garantendo il raggiungimento della dimensione minima efficiente a livello di impianto per più soggetti gestori e la copertura degli obblighi di servizio universale.

Ai sensi del comma 1 dello stesso articolo, è stato altresì stabilito che le disposizioni ivi contenute    compreso, quindi, il citato comma 7 – “si applicano a tutti i servizi pubblici locali e prevalgono sulle relative discipline di settore con esse incompatibili”.

Pertanto, la norma che affida la competenza in materia di definizione degli ambiti di gara a Regioni ed Enti locali prevale sulla diversa e incompatibile disposizione che, nel settore della distribuzione del gas, affida tale competenza alle autorità statali. Conseguentemente, risulta che l’entrata in vigore del citato art. 23 bis abbia determinato l’interruzione, a livello ministeriale e a livello di autorità di settore, di ogni attività propedeutica alla definizione degli ambiti di cui all’art. 46 bis, d.l. n. 159/2007 e ss.mm.ii.

Ad oggi, pertanto, la definizione degli ambiti in questione appare più che mai incerta nell’an e nel quantum.

In realtà, l’incremento dei canoni previsto dall’art. 46 bis (a partire dal 1.1.2008) è una minima (e pur insufficiente) misura di riequilibrio dei rapporti Comuni-Concessionari che si spiega proprio nell’ambito del periodo transitorio –  già prorogato di due anni, si ricorda, senza contropartita alcuna per i Comuni,  per effetto dell’art. 23 , l. n. 51/2006 – il quale ha comunque significativamente spostato nel tempo l’attuazione della riforma “Letta” e i relativi benefici per i Comuni e le collettività amministrate.

Si auspica, quindi, che in sede amministrativa (AEEG e Ministero per lo Sviluppo Economico), ci si attenga alla piana interpretazione dell’art. 46 bis, comma 4, senza cedere a ricostruzioni antiletterali, illogiche e fin troppo “interessate”, che sarebbero comunque destinate ad essere smentite dalla giurisprudenza (significativo è l’esempio della Circolare n. 0002355 del 10.11.2004, clamorosamente poi smentita in varie occasioni, sia dalla Giustizia Amministrativa, e quindi dalla Legge 23 febbraio 2006, n. 51, di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 273).

 

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