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I servizi pubblici locali tra le "rapide" della riforma.
di Bruno Spadoni 26 febbraio 2009
Materia: servizi pubblici / disciplina

I servizi pubblici locali tra le “rapide” della riforma

 

1. Con l’articolo 23 bis della legge 133/2008 si è assistito ad un nuovo, ma certamente non ultimo, episodio dell’interminabile serial della riforma dei servizi pubblici locali. Questo settore, in effetti, anche in passato ha registrato un prolungato e graduale processo di evoluzione istituzionale. A partire dalla Legge Giolitti del 1903, che ha introdotto nel nostro ordinamento l’azienda municipalizzata e che ha costituito la cornice normativa di riferimento per quasi un secolo, si è avuta una numerosa produzione di disposizioni di aggiornamento di tale assetto susseguitasi soprattutto a partire dagli anni ottanta. Non si è trattato, dunque, di un’organica riforma, bensì di misure introdotte di anno in anno, inserite in norme diverse, che hanno consentito di tenere la disciplina dei servizi pubblici locali al passo con le mutate esigenze. Tali misure, anche se apparentemente episodiche, sono state generalmente ispirate a favorire una maggiore autonoma imprenditoriale attenuando il legame di organicità tra le aziende e gli enti locali loro proprietari. A ben vedere si tratta di un approccio opposto rispetto a quello cui stiamo assistendo negli ultimi anni: nel primo caso si sono succedute norme che hanno seguito, agevolato e promosso il mutamento in corso; nel secondo caso, invece, è stato il momento normativo a voler indurre quello economico e industriale.

L’orientamento a sottoporre i servizi pubblici locali ad un più profondo e organico processo di riforma che andasse oltre quello realizzato con la legge 142/90 di riordino delle autonomie locali si affermò intorno alla metà degli anni novanta. I principali problemi da cui scaturiva una tale esigenza riguardavano, per un verso, l’assetto industriale, caratterizzato da una diffusa frammentazione gestionale, per altro verso il profilo del mercato che presentava connotazioni monopolistiche sotto forma sia di monopoli pubblici che di monopoli di fatto privati (per effetto di concessioni di estesa durata ripetutamente e tacitamente rinnovate e di una scarsa ed inefficace presenza di sistemi di monitoraggio e controllo). Al fine di far fronte a questa situazione si adottarono misure concentrate prevalentemente sul terreno normativo volte ad imporre, per un verso, l’adozione di modelli organizzativi e industriali e, per altro verso, sistemi di affidamento di tipo concorrenziale. Questa nuova stagione può sinteticamente ricondursi a due distinte fasi: la prima che ha caratterizzato le leggi di riordino dei servizi idrico (Legge Galli del 1994) e dei rifiuti (Decreto Ronchi del 1997), fondate su obiettivi di aggregazione territoriale e settoriale e su un approccio pianificatorio. La seconda fase, inaugurata con la legge di riassetto del trasporto pubblico locale (Legge Burlando del 1997),  proseguita con quella relativa alla distribuzione del gas naturale (Decreto Letta del 2000) e culminata nei progetti e nelle leggi di riforma generale dei servizi pubblici locali (succedutisi a partire dal 1999 e tuttora in corso) ha invece riguardato prevalentemente i temi della concorrenza e dell’apertura dei mercati. In queste disposizioni, infatti, si è inteso superare gli affidamenti diretti  prevedendo la gara come soluzione ordinaria.

I risultati di questa stagione di riforme non sono stati sempre positivi e ciò vale sia per le leggi fondate su obiettivi di politica industriale, sia per quelle finalizzate alla liberalizzazione dei mercati. Al riguardo si può rilevare che tanto nei servizi idrici che in quelli dei rifiuti a distanza, rispettivamente, di 15 e 12 anni dalla loro emanazione, le riforme risultano ancora incompiute e non hanno interamente conseguito le loro finalità. In particolare non è del tutto superata la frammentazione e, nonostante i più recenti progressi, molti comuni di piccole dimensioni continuano a gestire i singoli segmenti della filiera in forma diretta. Inoltre i sistemi pianificatori e i metodi tariffari adottati non hanno favorito l’economicità; di conseguenza, soprattutto nei servizi idrici, le gare per la selezione del gestore o anche del partner di minoranza delle società miste sono andate spesso deserte e la scelta di gran lunga prevalente è stata l’impresa pubblica. Analoghe valutazioni possono estendersi alle misure di liberalizzazione. Nel trasporto locale il periodo transitorio al termine del quale avrebbero dovuto cessare gli affidamenti diretti ha continuato ad essere prorogato di anno in anno e, anche nei rari casi in cui si sono effettuate le gare, esse sono state sempre aggiudicate dall’incumbent. Relativamente migliore è stato l’esito delle norme relative al gas naturale, grazie soprattutto alla separazione tra la fase della distribuzione da affidare con gara e quella della vendita lasciata alla concorrenza “nel” mercato.

 

2. Un discorso a parte va riservato ai ripetuti tentativi di riforma generale dei servizi pubblici locali. Con essi ci si è posti l’ambizioso obiettivo di ricondurre tutti i servizi, facenti parte di settori diversi, ad una disciplina comune quanto meno riguardo a materie che il nuovo testo del Titolo V della Costituzione assegna alla competenza statale esclusiva, vale a dire la concorrenza e la garanzia per tutti al livello essenziale delle prestazioni. Non è questa la sede per ripercorrere le tappe del lungo percorso, iniziato nel 1999 e non ancora concluso in cui si sono susseguiti, in ogni legislatura, disegni di legge e norme in cui si è prospettato un nuovo organico assetto istituzionale. Viene però da chiedersi come mai una produzione normativa così copiosa non sia riuscita a centrare il bersaglio comune a tutte queste disposizioni e cioè l’apertura alla concorrenza e il superamento, più o meno completo e rapido, degli affidamenti diretti.

A questo esito ha condotto, innanzitutto, l’eccessiva astrattezza delle norme, condizionate da impostazioni di stampo ideologico, che si è estrinsecata nella pretesa di ricondurre forzatamente ad un modello unico situazioni tra loro molto diverse tanto sul piano settoriale che territoriale. In effetti tra un settore e l’altro ci sono notevoli difformità concernenti sia gli assetti produttivi e di mercato, sia il rapporto con la funzione obiettivo pubblica. Sotto questo aspetto rileva, in particolare, la presenza o meno di monopoli naturali non contendibili o di oneri di servizio pubblico che impongono trasferimenti e/o sussidi incrociati ed  è anche significativa la possibilità o meno di separare la gestione della rete dall’erogazione del servizio. Occorre poi considerare che i servizi, anche se  appartenenti al medesimo settore, possono presentare differenze produttive e di mercato nei vari contesti locali. E’ evidente, quindi, che disciplinare con gli stessi criteri queste e altre specificità è votato all’insuccesso. A ben vedere il problema scaturisce anche da una sorta di “mitizzazione” dello strumento normativo. Con le leggi di riforma che si sono succedute negli ultimi anni, infatti, non ci si è limitati a definire un quadro generale di principi e di regole all’interno del quale gli operatori potessero sviluppare le loro strategie adottando, se mai, misure di incentivazione. Si è voluti andare oltre forzando per un verso le decisioni degli enti locali e, per altro verso, i comportamenti dei gestori.

Con ciò non si intende affermare che il legislatore non debba promuovere il “livellamento del terreno di gioco” a fini concorrenziali e garantire gli obiettivi pubblici assegnati ai servizi. Le difficoltà nascono quando queste finalità vengono declinate nell’imposizione di specifici comportamenti ai principali protagonisti del sistema decisionale. La liberalizzazione, peraltro, anche se costituisce un principio di riferimento degli orientamenti comunitari, non può considerarsi in sé un obiettivo, bensì uno strumento per accrescere l’efficienza, l’economicità e la qualità dei servizi a beneficio degli utenti e per rimuovere possibili discriminazioni a danno dei potenziali concorrenti.

Il problema, inoltre, va affrontato nelle diverse situazioni settoriali e territoriali in relazione alle quali stabilire come, quando e mediante quali politiche e strumenti l’orientamento alla liberalizzazione possa essere adottato. Si consideri, al riguardo, che il passaggio dall’affidamento diretto ad un’impresa pubblica ad un affidamento mediante gara, se consente un potenziale incremento di efficienza e di economicità  determina, d’altra parte, una maggiore complessità regolatoria e, pertanto, un aumento dei conseguenti costi di transazione. La misura di questo trade off , peraltro, non è determinabile a priori in modo uniforme ed una volta per tutte ma è funzione degli assetti competitivi dei mercati  (tanto più alto è il numero dei concorrenti tanto maggiori possono essere i miglioramenti di efficienza), della possibilità di specificazione dei contratti tra enti locali e gestori (tanto più complessa è la loro struttura tanto maggiori sono i costi di transazione) e dell’efficacia delle politiche e degli strumenti di monitoraggio e controllo degli enti locali (una minore efficacia produce maggiori costi di transazione). Quindi, anche sul solo terreno della convenienza economica, non è possibile stabilire in via definitiva e per ogni tipo di servizio la soluzione migliore che dipenderà sia dalla collocazione settoriale e territoriale, sia dallo spessore dei mercati e dai costi di transazione, sia, infine, dalle politiche adottate dagli enti locali. E’ pertanto possibile che, pur in una prospettiva di liberalizzazione, sia più opportuno, nel breve periodo, ricorrere temporaneamente ad un affidamento diretto.

Nel caso, poi, di situazioni di accentuata frammentazione con la diffusa presenza di gestioni in economia (in special modo nell’idrico e nei rifiuti) la scelta più opportuna potrebbe consistere in un percorso di transizione volto a unificare reti e servizi e a gestirli in forma aziendale mediante una società pubblica. Questa soluzione dovrebbe essere dunque delimitata nel tempo da impiegare per creare i presupposti di economicità e imprenditorialità per il  ricorso al mercato. Anche nell’ipotesi di un insufficiente numero di competitori (fino al caso limite di assenza di una pluralità di essi) e/o di un’evidente incapacità dell’ente locale di esercitare il ruolo di indirizzo e monitoraggio la scelta migliore può risultare il passaggio temporaneo per un affidamento in house nel corso del quale migliorare le capacità e gli strumenti degli enti locali nella prospettiva di un “ispessimento” del mercato.

Come si può notare le soluzioni prospettate non si discostano molto da quelle definite nelle norme recentemente emanate e in itinere (in attesa dei Regolamenti attuativi a cui rimanda il comma 10 dell’articolo 23 bis). Le differenze, in effetti, riguardano non tanto i contenuti generali delle disposizioni, quanto le modalità specifiche con cui essi vengono declinati. In particolare per quanto riguarda gli affidamenti è del tutto condivisibile prevedere due diverse opzioni, vale a dire gara e l’in house. Coerente con questa impostazione è l’assimilazione della società mista alla gara a condizione che vengano rispettati i requisiti fissati dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale, vale a dire che il partner privato sia selezionato mediante procedure ad evidenza pubblica che fissino già le condizioni e la durata della gestione del servizio, che sia vietata la proroga o il rinnovo dell’affidamento e che siano previste modalità di liquidazione del socio al termine dell’affidamento stesso. Ciò che occorre sottolineare con chiarezza è che, nell’ambito di  queste possibili soluzioni, le scelte, sia pure motivate, debbano competere alla piena responsabilità degli enti locali in relazione alla specificità del contesto di riferimento e in base a valutazioni di convenienza economica e di opportunità sociale e ambientale. In questo quadro, come si è detto, la gestione in house  è da considerare una misura transitoria con una durata definita alla scadenza della quale, alla luce dei risultati conseguiti, effettuare una nuova opzione di affidamento (gara o riproposizione dell’in house). In tale prospettiva, dunque, la gestione in house andrebbe liberata da condizionamenti di tipo pubblicistico che ne ostacolano l’evoluzione verso il mercato. Occorrerebbe di conseguenza superare l’indirizzo contenuto nel comma 10 dell’articolo 23 bis  che prevede l’assoggettamento delle società pubbliche al Patto di stabilità interno e a procedure ad evidenza pubblica per l’acquisto di beni e servizi e l’assunzione di personale.

Un’evidente lacuna di questa legge consiste nella mancanza di disposizioni concernenti la regolazione. Ciò determina un vuoto tra i due capisaldi della riforma, vale a dire la diffusione della concorrenza e la garanzia dell’universalità, che rischia di produrre conseguenze contraddittorie. In assenza di regolazione, infatti, il conseguimento degli obiettivi pubblici dovrebbe essere interamente garantito dall’esercizio del ruolo proprietario ricorrendo, necessariamente, ad una società pubblica o partecipata. Poiché, al contrario, l’intento dichiarato è estendere l’area della liberalizzazione in una logica di “neutralità” degli assetti proprietari, è necessario prevedere esplicitamente modalità e strumenti di disciplina dei rapporti tra enti locali e gestori e di tutela degli utenti quali i Contratti e le Carte dei servizi.

 

3. Mentre il legislatore si è affannato in questi anni a presentare uno o più disegni di riforma in ciascuna legislatura la situazione reale, come sempre avviene, non è restata immobile. In particolare gli operatori, navigando tra le “rapide” delle numerose norme succedutesi, hanno attivato strategie diverse. Nei servizi energetici e a rete localizzati soprattutto nel Centro-Nord la tendenza prevalente è stata l’aggregazione orizzontale e verticale concretizzatasi in fenomeni di acquisizioni e fusioni con la creazione di unità produttive operanti su area vasta. Queste politiche hanno comportato rilevanti dinamiche di sviluppo economico, produttivo e degli investimenti anche per effetto dell’estensione in ambiti di business contigui e, nelle imprese di maggiori dimensioni, sono state accompagnate dall’allargamento della compagine proprietaria soprattutto tramite la quotazione di Borsa. Negli altri servizi, in particolare nel trasporto locale, nell’idrico,  nei rifiuti e, più in generale, nel Mezzogiorno, la tendenza prevalente è stata “mantenere le posizioni” in attesa anche di un definitivo chiarimento normativo. A questi comportamenti hanno contribuito atteggiamenti di resistenza inerziale ma non vanno sottovalutate le “funzioni di reazione” degli operatori che non considerando gli obblighi di legge corrispondenti alle loro esigenze si sono adoperati a rinviarne o, quando possibile, a eluderne l’applicazione.

Per tenere conto di tale evoluzione e per fare tesoro delle esperienze di questi anni occorrerebbe che in occasione del completamento in corso del processo di riforma, per un verso si definisca un sistema normativo aderente ad una situazione assai diversa da quella della fine dello scorso decennio, quando è iniziata la nuova e incompiuta stagione di riassetto istituzionale e dall’altro verso si superi il fallimentare tentativo di ricondurre forzatamente ad un modello unico situazioni differenti e in costante mutamento.

Un’occasione, come si è anticipato, potrebbe essere costituita dall’emanazione dei Regolamenti attuativi della riforma sulla base degli indirizzi contenuti nel comma 10 dell’articolo 23 bis. Al momento in cui vengono licenziate queste note i Regolamenti non sono stati ancora presentati e data la ristrettezza dei tempi (180 giorni dalla data di entrata in vigore della legge) rispetto alla complessità delle procedure (i pareri della Conferenza unificata, delle competenti Commissioni parlamentari e del Consiglio di Stato) c’è da dubitare che si riuscirà ad evitare la decadenza dell’intero comma 10. Non è agevole ed esula dalle finalità di queste note soffermarsi sui riflessi di tale ipotetico esito negativo. Ai nostri fini è sufficiente rammentare che una parte degli indirizzi del citato comma riguardano argomenti affatto generali, poco idonei, peraltro, ad una disciplina regolamentare. Ciò riguarda, in particolare, il principio della separazione tra funzioni regolatorie e gestionali, l’esigenza di armonizzare la nuova disciplina e quelle di settore in materia di affidamenti,  l’applicazione del criterio della sussidiarietà orizzontale. Questi temi, in effetti, sono già affrontati esplicitamente o implicitamente nelle parti precedenti dell’articolo 23 bis e la soppressione del comma 10 non dovrebbe  produrre ricadute significative.

Altre materie demandate ai Regolamenti, invece, non sono agevolmente riconducibili alla competenza esclusiva dello Stato ai sensi del titolo V della Costituzione e si prestano a suscitare contestazioni da parte delle Regioni che potrebbero rivendicare a sé il potere regolamentare. Ci si riferisce, più di preciso, all’assoggettamento a procedure ad evidenza pubblica per l’assunzione di personale da parte delle società in house e miste e alla previsione di una gestione in forma associata dei servizi pubblici locali di minori dimensioni. La mancata emanazione dei Regolamenti, in questo caso, potrebbe mettere la legge al riparo da tali rischi.

I problemi più rilevanti derivanti dalla decorrenza dei termini, in effetti, si avrebbero soprattutto su due terreni cruciali: innanzitutto il periodo transitorio che nell’articolo 23 bis è trattato in modo non sufficientemente chiaro ed uniforme, poi la materia, altrettanto rilevante, relativa alla disciplina e alla durata degli affidamenti. I Regolamenti, inoltre, dovrebbero costituire l’occasione per specificare e affrontare in modo organico questi e altri temi contribuendo in tal modo a superare i limiti di genericità e indeterminatezza che pervadono un po’ tutto l’articolo 23 bis.

A tal fine si propone, di seguito, sia pure in forma del tutto provvisoria e incompleta, qualche spunto di riflessione e di proposta su alcuni dei principali nodi da affrontare nei Regolamenti. Al fine di semplificarne l’esposizione questi argomenti vengono ricondotti a specifiche  aree tematiche e illustrati in modo schematico.

 

Conferimento della gestione dei servizi pubblici locali e fase transitoria

I Regolamenti dovrebbero ribadire che, a regime, sono previste due modalità di affidamento: la gara e l’affidamento diretto in house in cui le procedure competitive ad evidenza pubblica costituiscono la regola e gli affidamenti diretti attinenti alla consolidata giurisprudenza comunitaria (relativa a proprietà pubblica, controllo analogo e attività prevalente realizzata con l’ente controllante) una deroga. In particolare si dovrebbe esplicitare che le società miste costituite nel rispetto della disciplina comunitaria per di selezione del partner (come descritta nelle parti precedenti) vengano equiparate alla gara. In queste società, infatti, la gara per la scelta del socio privato è contemporanea a quella per la gestione e sarebbe discriminante trattarle alla stregua di affidamenti diretti. Al fine di evitare comportamenti elusivi i Regolamenti dovrebbero indicare una soglia minima di capitale privato (ad esempio il 30%) affinché tale forma di affidamento possa essere omologato alla gara per l’erogazione del servizio.

Le disposizioni dell’articolo 23 bis relative ai limiti cui sono sottoposti gli affidamenti diretti (divieti di acquisire servizi ulteriori o in ambiti territoriali diversi, di svolgere direttamente o tramite società controllanti, controllate o partecipate servizi per altri enti pubblici o privati e di partecipare a gare) dovrebbero applicarsi dunque alle sole  società miste non rispondenti ai requisiti comunitari. Queste ultime società, quindi, potrebbero solo mantenere l’insieme delle attività in essere fino al termine dell’affidamento e, al pari degli affidatari diretti, concorrere alla prima gara per il servizio già loro affidato. Agli affidamenti diretti in house si dovrebbe consentire di proseguire fino alla fine dell’affidamento stesso con esclusione di ogni proroga o rinnovo salvo prevedere la scadenza al 31/12/2010 ove non sia fissato un termine. Per il servizio idrico integrato vale quanto previsto nella parte precedente dell’articolo 23 bis, cioè la cessazione automatica degli affidamenti assegnati senza gara il 31/12/2010 (senza bisogno di apposita deliberazione dell’ente locale) salvo gli affidamenti in house aderenti alla disciplina comunitaria che possono proseguire fino alla scadenza naturale. In occasione della fine degli affidamenti (al 31/12/2010 o alle scadenze naturali) gli enti locali dovrebbero avere la facoltà di scegliere tra le due forme previste dalla legge: vale a dire la gara (via ordinaria) o l’in house (deroga).

 

Principio di reciprocità

Secondo quanto indicato nell’articolo 23 bis la partecipazione alle gare per l’erogazione del servizio (e, in linea a quanto precedentemente affermato, per la partecipazione a società miste) è inibita ad affidatari diretti (in house e società miste non attinenti alle regole comunitarie). I Regolamenti dovrebbero esplicitare che la stessa inibizione si applichi ai soggetti esteri (in applicazione del principio di reciprocità previsto nel comma 10). Si dovrebbe prevedere, insomma, che non siano ammessi alle gare imprenditori o società che nel proprio o in altri Paesi siano titolari di affidamenti diretti anche tramite controllanti o società controllate o partecipate.

 

Reclutamento del personale

Per quanto concerne le assunzioni di personale (salvo quanto già sottolineato circa i dubbi sulla legittimità costituzionale di affidare questa materia ad un Regolamento statale) occorre adottare in sede regolamentare una disciplina non in contrasto con quanto disposto dalla stessa legge 133/2008 all’art. 18. Al riguardo si dovrebbero distinguere le società a totale capitale pubblico che gestiscono servizi pubblici locali (comma 1 art. 18) dalle società a partecipazione pubblica (comma 2) e da quelle quotate (comma 3). Per le prime, infatti, occorrerebbe attenersi ai principi relativi ai concorsi pubblici; per le seconde sarebbe sufficiente rispettare regole di trasparenza, pubblicità e imparzialità; le terze infine non dovrebbero applicare queste disposizioni.

 

Disciplina e durata degli affidamenti

Nel comma 10 dell’articolo 23 bis vengono indicati orientamenti di notevole importanza relativamente alle modalità e alla durata degli affidamenti con riferimento ai seguenti profili: definizione di idonee forme di ammortamento degli investimenti; collegamento tra la durata degli affidamenti e i tempi di recupero degli investimenti; procedure di subentro dei beni dal vecchio al nuovo gestore.

Per affrontare adeguatamente il problema occorrerebbe che in sede di definizione dei Regolamenti si tengano presenti i seguenti presupposti:

          innanzitutto è indispensabile precisare che in sede di bando di gara per l’affidamento del servizio si dovrebbe richiedere ai partecipanti un programma di investimenti che poi, a valle dell’aggiudicazione, dovrebbe essere specificato nel Contratto di servizio;

          in secondo luogo occorre rammentare che nel comma 5 dell’articolo 23 bis viene affermato il principio della proprietà pubblica delle reti (da intendere come incedibilità delle reti di proprietà pubblica e non come obbligo all’acquisto di quelle di proprietà privata).

A partire da tali premesse può indicarsi un percorso che consenta di conseguire un duplice ordine di risultati: evitare di innalzare “barriere all’ingresso” che ostacolino la liberalizzazione; incentivare investimenti e innovazioni al di fuori dei rischi di sovracapitalizzazione (effetto Averch-Johnson). A tal fine i passaggi di una procedura di subentro dal vecchio al nuovo gestore possono sinteticamente ricondursi ai seguenti punti:

1.         in occasione dell’affidamento l’ente locale concedente assegna in uso gli impianti di propria proprietà al conduttore che è tenuto a pagare un canone all’ente locale stesso per l’intera durata dell’affidamento;

2.         il gestore affidatario si impegna a realizzare il programma di investimenti fissato in sede di aggiudicazione della gara e specificato nel Contratto di servizio. Spese di investimento ulteriori e diverse rispetto a quanto stabilito non dovrebbero essere riconosciute in sede di subentro (per evitare effetti di tipo Averch-Johnson);

3.         alla scadenza dell’affidamento si valuta il valore residuo dei beni oggetto dell’investimento (nei limiti di quanto stabilito nel Contratto di servizio) in quanto tale valore costituisce la somma che il gestore subentrante è tenuto a riconoscere al gestore uscente;

4.         questo valore, salvo accordo tra le parti, dovrebbe essere fissato da un perito nominato dal Presidente del Tribunale;

5.         il nuovo gestore è autorizzato a portare questa somma a riduzione del monte canoni da riconoscere all’ente locale. In sostanza la somma stessa dovrebbe essere suddivisa in tante quote quanti sono gli anni di durata dell’affidamento e queste sottratte al canone annuale dovuto all’ente locale;

6.         nell’ipotesi che al termine dell’affidamento la gara confermi il medesimo gestore la procedura dovrebbe essere la stessa: al gestore, infatti, dovrebbe essere riconosciuto l’indennizzo del valore residuo degli investimenti realizzati nel corso del precedente affidamento e, quindi, il corrispondente sconto sull’importo del canone per l’affidamento successivo.

E’ del tutto evidente che una simile procedura di subentro consentirebbe di accorciare l’orizzonte temporale dell’affidamento che potrebbe essere sostanzialmente inferiore a quello dei programmi di ammortamento degli investimenti. Tale durata verrebbe pertanto stabilita dall’ente locale entro il limite massimo dei tempi eventualmente indicati dalle norme di settore. Queste durate, dunque, potrebbero essere ridotte in misura significativa fino ad un limite da definire in relazione all’ammontare del valore residuo degli investimenti realizzati nel corso dell’affidamento. Una durata eccessivamente breve, infatti, avrebbe come conseguenza un valore residuo degli investimenti elevato, tale da costituire una “barriera all’ingresso” per altri concorrenti.

L’ultimo aspetto, al riguardo, concerne il trattamento del personale in occasione del passaggio da un gestore all’altro. Ad una disciplina più rigida di trasferimento del personale ai sensi dell’art. 2112 del c.c. che rischierebbe di costituire anche essa una “barriera all’ingresso” (nell’ipotesi di eccesso di manodopera e/o di elevata onerosità dei costi del personale), sembra preferibile prevedere criteri più flessibili in base ai quali i termini e le modalità di acquisizione del personale dell’affidatario uscente dovrebbero essere prospettati dai concorrenti in sede di partecipazione alla gara e valutati in occasione dell’aggiudicazione divenendo impegni a carico del gestore subentrante.

 

PS. In questi giorni sta circolando una bozza di Regolamento redatta a cura del Ministero degli affari regionali. Da quanto risulta da alcune indiscrezioni questo testo dovrebbe essere presentato al Consiglio dei Ministri nella seduta del prossimo 27 febbraio. Tenendo conto anche che l’iter di approvazione del DPR recante tale disciplina regolamentare, come si è detto, è piuttosto complessa ci troviamo abbondantemente oltre il termine di sei mesi previsto nel comma 10 dell’articolo 23 bis. E’ dunque da ritenere che la suddetta scadenza venga considerata ordinatoria. Restano comunque le incognite costituite dalla delicatezza dei passaggi procedurali a cui il Regolamento dovrà essere sottoposto, con particolare riguardo al parere della Conferenza unificata, nonché dalle eccezioni di incostituzionalità per conflitto di competenze presentate da un certo numero di Regioni. Non è questa la sede per entrare nel merito dei contenuti del Regolamento, sia in quanto la bozza in circolazione viene considerata riservata, sia soprattutto perché occorre condurre un’analisi del testo più accurata di quella consentita da una prima rapida lettura. Da questo iniziale esame sommario emerge comunque l’impressione il Regolamento sia tale da soddisfare  una parte significativa delle osservazioni e delle proposte avanzate nelle parti precedenti. Ciò vale, in particolare, per l’esplicita assimilazione della società mista all’affidamento con gara a condizione che le procedure ad evidenza pubblica abbiano per oggetto contemporaneamente la qualità di socio e la gestione del servizio. Altri aspetti condivisibili, anche se ulteriormente precisabili e migliorabili concernono tanto le indicazioni a cui i bandi di gara dovrebbero attenersi al fine di garantire gli assetti concorrenziali dei mercati, quanto la disciplina concernente la cessione degli assets in occasione del subentro della gestione, quanto infine le regole per garantire una trasparente distinzione tra funzioni regolatorie e gestionali cercando di superare possibili conflitti di interessi degli enti locali nel caso di società partecipate. La parte più debole del Regolamento, in effetti, concerne la delicata materia del regime transitorio degli affidamenti. In questo caso, infatti, non sembrano venir superate le incertezze e le ambiguità presenti nell’articolo 23 bis. La circostanza, anzi, che si preveda che il progressivo allineamento delle gestioni in essere non affidate con gara alle disposizioni del 23 bis debba avvenire entro il 31 dicembre 2010 mediante l’adozione di procedure ad evidenza pubblica suscita notevoli perplessità circa l’effettiva percorribilità e coerenza della disposizione. A parte la difficoltà di predisporre le procedure di gara in tempi tanto ravvicinati e a parte il prevedibile affollamento delle gare in un così breve lasso di tempo, si pone il problema della reale possibilità da parte degli enti locali di adottare la soluzione in house prevista dall’articolo 23 bis. Si consideri, a tale proposito, che l’applicazione della norma riguarderà prevalentemente le gestioni in essere mentre saranno presumibilmente assai meno frequenti affidamenti ex novo. Per questi ultimi la scelta dell’in house è possibile, per i primi, invece, è inibita dalle disposizioni contenute nel Regolamento (salvo il caso delle attuali società in house per le quali non si applicherebbe la scadenza del 31 dicembre 2010 a condizione che entro tale data l’ente locale chieda un parere all’Antitrust o all’Autorità di regolazione, ove costituita, circa la sussistenza delle condizioni necessarie per adottare tale forma di gestione). Come si è detto non ci si sofferma ulteriormente sui contenuti del Regolamento se non per concludere con una considerazione affatto generale. La storia delle liberalizzazioni nel nostro Paese è assai complessa e per molti versi contraddittoria. Spesso, almeno nelle fasi in cui il pendolo è oscillato in direzione del mercato, si sono costruite architetture di liberalizzazione molto articolate e particolarmente accentuate e perentorie. Alla prova dei fatti tale impeto “mercatista”, in assenza di un percorso coerente di transizione, si è scontrato non solo con la prevedibile resistenza degli operatori, ma anche e soprattutto con l’astrattezza e l’impercorribilità delle misure prospettate che ha dato forza alle resistenze stesse. Il risultato è stato spesso un’apertura del mercato solo sulla carta che ha addirittura peggiorato la situazione in quanto in virtù dell’atteso meccanismo automatico di regolazione garantito dal mercato ci si è privati degli strumenti di indirizzo e di controllo che, per quanto antiquati, garantivano comunque il conseguimento delle finalità pubbliche. Ci si augura che l’articolo 23 bis e il Regolamento emanando non incorrano nei medesimi rischi in una situazione, tra l’altro, in cui per effetto della crisi mondiale e della recessione in corso, tendono a riaffermarsi impostazioni di stampo “statalista”.

 

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