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Il diritto di accesso agli atti delle società partecipate dall'ente locale
di Roberto Bardelle 27 aprile 2009
Materia: società / partecipazione pubblica

Il diritto di accesso agli atti delle società partecipate dall'ente locale

 

Il diritto di accesso nell'ambito dei servizi pubblici locali

 

Il processo di privatizzazione degli enti gestori di servizi pubblici e l'affermarsi del modello societario per la gestione e l'erogazione dei servizi, non ha interessato soltanto la struttura organizzativa statale ma anche il contesto dei servizi pubblici locali.

Gli enti territoriali, ed i Comuni in particolare, hanno tradizionalmente svolto un ruolo rilevante nella gestione dei servizi a favore della comunità di riferimento. I servizi pubblici locali (1) fino al 1990 sono stati regolati dalla legge n. 103 del 1903 (c.d. legge sulle municipalizzazioni o “legge Giolitti”) che prevedeva, oltre alle ipotesi alternative di gestione diretta e di affidamento in concessione a privati, la creazione di un soggetto – l'azienda municipalizzata – con lo scopo di gestire ed erogare il servizio. Si trattava di una figura priva di personalità giuridica, chiamata ad operare con una certa autonomia funzionale, ma tuttavia sottoposta a penetranti poteri di direzione e controllo da parte dell'ente locale di riferimento (2).

Con l'entrata in vigore della legge 8/6/1990, n. 142, oltre a modificare sostanzialmente il regime dell'azienda municipalizzata (che diventa “azienda speciale”) (3) viene riconosciuta espressamente la possibilità di ricorso al modello della società di capitali per la gestione dei servizi.

Peraltro, già prima della legge 142/1990 la materia della gestione dei servizi pubblici locali si era caratterizzata per l'ampia diffusione del fenomeno dell'azionariato locale, ove per tale era da intendersi la possibilità riconosciuta all'ente locale di costituire società commerciali o parteciparvi mediante l'acquisto di pacchetti azionari. A ben vedere, tale facoltà era contemplata, seppure non expressis verbis, dal T.U.L.C.P. del 1934, il cui art. 98 statuiva per Comuni e Province la possibilità di acquistare e vendere “azioni industriali”, nonché dal codice civile che all'art. 2458 (4) attribuiva allo Stato ed agli enti pubblici che “hanno  partecipazione in una società per azioni” la facoltà di “nominare uno o più amministratori o sindaci”, e, infine, più di recente, da numerose altre normative settoriali (5).

Il legislatore del 1990, quindi, non fa che recepire le tendenze che si erano di fatto affermate negli anni precedenti prevedendo, all'art. 22, cinque diverse forme di gestione, tra cui la società per azioni a prevalente capitale pubblico locale. L'art. 22 sarà poi trasfuso nell'art. 113 del D.Lgs. 18.8.2000, n. 267, senza sostanziali modifiche, salvo l'aggiunta dell'ipotesi (6) della gestione a mezzo di società per azioni senza il vincolo della proprietà pubblica maggioritaria.

Oggi la materia è regolata dalle disposizioni contenute nel Titolo V° del Testo Unico degli Enti Locali, che in questi anni è stata oggetto di frequenti interventi modificativi (7). In particolare, l'art. 113 del T.U.E.L. - che disciplina i servizi pubblici locali di rilevanza economica - nella formulazione precedente al d.l. 112/2008 prevedeva un articolato sistema di forme gestionali in cui il modello della società di capitali era presente in misura rilevante.

Nell'ambito dei servizi pubblici locali, così come nel contesto degli enti pubblici privatizzati, la presenza di soggetti formalmente privati ma con evidenti elementi di caratterizzazione pubblicistica, (8) variamente graduati, a seconda delle scelte organizzative degli enti locali di riferimento, impongono di verificare la sottoposizione della loro attività ai principi di trasparenza e di imparzialità e, conseguentemente, alla normativa sul diritto di accesso.

La giurisprudenza amministrativa ha da tempo rifiutato l'idea che la veste societaria sia di per sé idonea a sottrarre il gestore di un servizio pubblico alle regole pubblicistiche relative al diritto di accesso, e lo stesso legislatore ha accolto tale impostazione modificando opportunamente la legge 241/1990 e definendo in modo più appropriato i concetti di “pubblica amministrazione” e di “documento amministrativo”.

Detto ciò, la medesima necessità di circoscrivere l'ambito di attività dei privati gestori di servizi pubblici i cui atti debbano essere considerati ostensibili, si pone anche per i soggetti che erogano servizi pubblici a livello locale e che sono a vario titolo legati all'ente territoriale. Occorre infatti tener conto, anche in questo contesto, che le differenze relative all'assetto proprietario (partecipazione dell'ente locale minoritaria, maggioritaria o totalitaria), alle modalità di affidamento del servizio (a società mista pubblico – privato, con o senza gara ad evidenza pubblica; ipotesi dell'affidamento “in house”...) alla specifica attività che viene in rilievo (attività di gestione ed erogazione del servizio, attività di organizzazione, attività strumentale...) possono incidere significativamente sugli interessi in gioco e, di conseguenza, sulla modulazione dell'estensione di diritto di accesso.

Va poi tenuto presente che, con specifico riferimento agli enti territoriali, l'istituto dell'accesso presenta una particolare specificità costituita dalla presenza di soggetti funzionalmente qualificati (i consiglieri comunali e provinciali) a cui l'art. 43 del T.U.E.L. attribuisce diritti informativi più ampi e penetranti di quelli riconosciuti al privato cittadino (9).

Occorre considerare che la tendenza ad ampliare la sfera degli atti dei gestori di servizi pubblici soggetti all'accesso, in un'ottica di protezione degli utenti fruitori del servizio, significa da un lato conferire per certi aspetti minore efficacia alla scelta del legislatore di erogazione con strumenti e modelli di diritto privato e, dall'altro, sottovalutare le conseguenze negative che la conoscibilità degli atti potrebbe avere sulle opportunità imprenditoriali dei gestori e sulla posizione dei soci privati, se non opportunamente circoscritta a specifici ambiti gestionali. Si pensi, ad esempio, alle ipotesi di accesso ad atti o informazioni che attengono alle scelte strategiche di una società mista pubblica - privata che, se rese note anzitempo, potrebbero pregiudicarne la concreta realizzazione (10).

 

Il diritto d'accesso ai sensi della legge 241/1990 agli atti delle società partecipate dall'ente locale

 

L'art. 22, primo comma, lett. e) della legge 241/1990, nel definire il concetto di “pubblica amministrazione” come comprensivo dei “...soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse (11) disciplinata dal diritto nazionale o comunitario.” definisce normativamente l'ambito applicativo del diritto di accesso con riferimento ai soggetti di diritto privato,  riconnettendo gli obblighi di trasparenza ed imparzialità non alla natura del soggetto, ma alla natura dell'attività. La trasparenza costituisce regola dell'interesse pubblico ricollegato all'attività svolta, non della società in quanto partecipata da un soggetto di per sé assoggettato all'obbligo di trasparenza, e operante con un capitale in prevalenza pubblico (12).

Seguendo tale impostazione, è stato rilevato che se la trasparenza è funzionale al servizio e non all'organizzazione della società, si dovrebbe escludere l'accessibilità di atti quali quelli relativi alla gestione del personale, non essendo inerenti direttamente allo svolgimento del servizio pubblico (13). L'idea che gli atti relativi all'organizzazione dei mezzi (attività strumentale) dovessero essere sottratti all'accesso, a differenza degli atti riferibili al servizio ed alla sua erogazione (attività finale) era già stata sostenuta in dottrina (14) ancor prima dell'intervento normativo del 2005, sul rilievo che la mancata distinzione fra i due aspetti (esterno ed interno) finisce per far assorbire tutta l'attività del concessionario nella prima categoria, con la conseguenza di assimilarlo alla pubblica amministrazione e di perdere i vantaggi del ricorso a privati per la gestione (cosiddetta delegata) dei servizi pubblici.

Per quanto riguarda la giurisprudenza amministrativa, invece, va segnalato lo sforzo compiuto per individuare con maggior  precisione l'area riferibile alla c.d. attività residuale ed il criterio della strumentalità rispetto al momento gestionale. Si tratta in sostanza di quelle attività che si riflettono solo indirettamente sull'organizzazione del servizio pubblico. Con questo obiettivo i giudici di Palazzo Spada hanno considerato necessario valutare se il soggetto, formalmente privato, presenti anomalie di struttura e di funzionamento, rispetto al modello societario, tali da denotare lo stretto legame con l'ente pubblico e la reale capacità di quest'ultimo di incidere dall'esterno sull'attività del soggetto, in modo da garantirne la coerenza rispetto alle finalità pubbliche (15). Si tratta, in sostanza, di valutare se l'intensità di tali deviazioni dal modello societario, sotto il profilo genetico, organizzativo e funzionale, consentano una qualificazione del soggetto in termini privatistici o se, invece, debbano indurre a ritenere che si tratti di enti a struttura societaria, ma con natura pubblicistica (16).

Questo percorso argomentativo porta perciò il Consiglio di Stato ad affermare che “la strumentalità all'interesse pubblico sotteso alla gestione del servizio pubblico, quindi, se certo va  ridimensionata allorché il gestore sia un soggetto del tutto privato, tenuto, pur nel dovuto rispetto degli obblighi di servizio, al perseguimento di finalità sue proprie, non può non subire una scontata dilatazione quando la gestione è affidata a soggetti a forte impronta, se non addirittura a natura pubblica; si tratta, infatti, di soggetti per i quali il dovere di imparzialità rinviene non solo dalla natura dell'attività espletata, ma anche dal persistente collegamento strutturale con il potere pubblico” (17).

Tali considerazioni rilevano tanto più nel caso si riscontri “la persistenza di una situazione di sostanziale monopolio in materia” (18).

Anche in ambito locale, l'applicazione dei criteri delineati dal Consiglio di Stato già nelle sentenze nn. 4 e 5 del 1999 e successive, porta ad ammettere con sicurezza l'ostensibilità degli atti adottati nel contesto dell'attività di gestione del servizio e della sua erogazione agli utenti. Lo stesso può dirsi per ciò che riguarda i documenti relativi a procedimenti la cui attivazione sia imposta da norma di origine comunitaria (19) o nazionale. L'instaurarsi di un procedimento - che può comportare una più o meno intensa partecipazione, a vario titolo, di soggetti esterni; un'attività di valutazione comparativa; l'obbligo di motivazione dell'atto conclusivo -  è visto come elemento sintomatico della presenza di un interesse pubblico. L'attribuzione di un siffatto valore all'aspetto procedimentale è stata oggetto di critiche in dottrina (20), in quanto l'articolazione in sequenze non sarebbe una modalità esclusiva di chi esercita pubbliche funzioni, ben potendo essere attivata da soggetti privati per scopi del tutto privati (ad es., lo svolgimento di prove selettive per la scelta dei candidati). Laddove, però, la modalità procedimentale non sia frutto di una libera scelta compiuta nell'esplicazione dell'autonomia privatistica, ma sia invece imposta da una norma di diritto interno o comunitario, è da ritenersi che tale obbligo sia risultato di una valutazione già compiuta dal legislatore in ordine alla presenza di esigenze superiori (trasparenza, imparzialità, concorrenza...) agli interessi meramente privati.

Per quanto riguarda, poi, la cosiddetta attività residuale, la valutazione circa la prevalenza dell'interesse pubblico su quello imprenditoriale, va effettuata in concreto sulla scorta degli indici individuati dalla giurisprudenza amministrativa. Su tale valutazione può incidere l'assetto proprietario del soggetto passivo del diritto di accesso: l'attività residuale di una società di capitali totalmente partecipata da uno o più enti pubblici potrà in concreto essere valutata come più intensamente finalizzata alla cura di interessi pubblici (e quindi soggetta in misura più estesa al diritto di accesso) rispetto a società che vedono la presenza di una quota rilevante di capitale privato (21).

Dovrà inoltre considerarsi se l'attività in questione sia esercitata in regime di esclusività (che rende ravvisabile all'utenza un vero e proprio alter ego dell'amministrazione) o sia svolta in ambito concorrenziale, situazione quest'ultima che viene ritenuta idonea a restringere l'ambito di applicabilità delle norme sull'accesso (22).

Ciò che si rende necessario, è operare una distinzione tra attività privatistica finalizzata alla cura di interessi pubblici e attività privatistica non caratterizzata, viceversa dal vincolo di scopo. Il criterio sulla cui base effettuare tale differenziazione non può che essere ravvisato nella sottoposizione o meno del soggetto, in sede di esercizio dell'attività di cui si chiede l'ostensione, al dovere di imparzialità. A prescindere dalla natura privata del soggetto, a prescindere dalla natura degli atti da esso adottati e quindi dalla loro sottoposizione al diritto comune, ciò che consente di qualificare un soggetto come pubblico e di qualificare un'attività come servizio pubblico e non come comune attività economica e conseguentemente di assoggettare tale attività, nonché il soggetto che la svolge, alla disciplina dell'accesso, è che la prima sia espletata in ossequio del principio di imparzialità e che il secondo sia obbligato al rispetto del principio stesso (23).

Il principio di imparzialità, infatti, costituisce l'obiettivo ultimo del riconoscimento normativo del diritto di accesso e insieme l'elemento discretivo per stabilire se gli atti riferibili ad una determinata attività siano da considerarsi accessibili o meno.

Tale principio è destinato, inoltre, ad assumere una particolare conformazione allorché l'attività, anziché presentare i caratteri della funzione pubblica, consista nella prestazione di servizi (24). Come è stato osservato in dottrina (25) tale dovere di imparzialità si concreta in una serie di obblighi gravanti sul gestore del servizio pubblico, tra cui non solo quello di svolgere l'attività con carattere di continuità e regolarità, ma anche e soprattutto quello di non operare alcuna forma di favoritismo o discriminazione, ammettendo al servizio, o meglio alle prestazioni cui lo stesso è preordinato, tutti coloro che vi hanno titolo, nel rispetto peraltro del principio di uguaglianza dei diritti dell'utente.

Ciò che contraddistingue pertanto il pubblico servizio è la sottoposizione del gestore ad una serie di obblighi, di esercizio e tariffari, volti a conformare l'espletamento dell'attività a norme di continuità, regolarità, capacità e qualità, cui non potrebbe essere assoggettata, invece, una comune attività economica: tali obblighi di servizio pubblico – in specie quelli che impongono, da un lato la prestazione del servizio a condizioni tariffarie e qualitative uniformi e non inferiori a determinati standard, dall'altro, l'organizzazione dell'attività in modo che il suo svolgimento risponda a parametri di regolarità e continuità – sono riconducibili al dovere di imparzialità, consentendo di giustificare il collegamento tra la previsione normativa dei gestori di pubblici servizi tra i soggetti passivi dell'accesso e l'indicazione dell'esigenza che sia garantito lo svolgimento imparziale dell'azione amministrativa quale obiettivo perseguito con l'introduzione di un generale diritto di accesso.

 

L'accesso dei consiglieri comunali e provinciali agli atti delle società partecipate dall'ente locale

 

I diritti informativi previsti dall'art. 43 del D. Lgs. 267/2000 a favore dei membri del consiglio comunale e provinciale hanno natura e finalità profondamente diverse dal diritto di accesso disciplinato dal Capo V° della legge n. 241/1990 giacché, a differenza di quest'ultimo, non costituiscono esplicazione dei principi di trasparenza ed imparzialità riconducibili all'art. 97 della Costituzione, ma sono connessi alla funzione esercitata dall'amministratore locale, alle competenze che la legge attribuisce all'organo consiliare e, in ultima analisi, al corretto funzionamento del sistema di governo locale, secondo principi di rappresentatività politica e democrazia.

Tale diversità ontologica si riflette sull'estensione del diritto e sulle concrete possibilità di esercizio. Il diritto d'accesso riconosciuto dalla legge sul procedimento amministrativo risulta infatti essere più circoscritto quanto all'oggetto (documenti amministrativi, ma non informazioni, dati, notizie...) e condizionato (alla presenza di un interesse diretto, concreto e attuale...) rispetto all'ampia formulazione dell'art. 43 del T.U.E.L. . Perciò, l'accesso del privato cittadino agli atti di una società che gestisce un servizio pubblico può plausibilmente riferirsi per lo più al rapporto contrattuale che lega la società agli utenti o ai fornitori o ancora, su altro versante, al rapporto di lavoro con i suoi dipendenti. I diritti conoscitivi attribuiti agli amministratori locali dall'art. 43 T.U.E.L., invece, se ritenuti esercitabili anche nei confronti delle società partecipate dall'ente locale, appaiono per la loro ampiezza (26) come potenzialmente capaci di incidere su norme e principi dettati a tutela di interessi che sono specificamente riferibili alla natura societaria del soggetto passivo (parità di trattamento degli azionisti, efficienza dell'impresa azionaria, competitività del sistema economico...).

Trattandosi di situazioni soggettive poste da corpus normativi differenziati in relazione a esigenze diverse, non è possibile operare composizioni interpretative aprioristiche e assolute, ma occorre comunque effettuare delle ponderazioni che non sono suscettibili di essere generalizzate, non potendosi mai stabilire se una posizione soggettiva sia subordinata ad altre, in assoluto (27).

Per stabilire se nella locuzione “aziende ed enti dipendenti” che si rinviene nel secondo comma dell'art. 43 del T.U.E.L.  possano essere ricomprese, ed in quale misura, le società al cui capitale sociale partecipano le amministrazioni comunali o provinciali, è necessaria una lettura sistematica della disciplina che regola il funzionamento degli enti locali. Ciò impone di considerare che, tra i casi di ineleggibilità ed incompatibilità con le funzioni di consigliere comunale e provinciale, la legge (28) include l'ipotesi di chi ricopre cariche che attribuiscono poteri decisionali in società per azioni partecipate dall'ente. Ciò ad evitare che la coincidenza di amministratore dell'ente locale e di amministratore della partecipata influisca sull'esercizio, doveroso da parte dell'ente pubblico, del controllo sull'andamento della partecipata stessa (29). Inoltre, va considerato che la competenza decisoria circa l'assunzione di partecipazioni azionarie è stata attribuita dal legislatore al Consiglio comunale (30) .

Questo duplice ordine di aspetti induce a ritenere sussistente il diritto di informazione del consigliere comunale e provinciale nei confronti di tutti gli atti – non solo quelli strettamente inerenti il servizio – di una società controllata dall'ente locale (31).

La giurisprudenza del Consiglio di Stato sul punto ha affermato che dalla partecipazione totalitaria (32) o maggioritaria (33) del Comune al capitale sociale di una società per azioni, deriva che l'attività esercitata dalla società rientra certamente nella più generale attività del Comune, e che tale circostanza giustifica e legittima la richiesta di accesso del consigliere comunale.

Analogo rilievo all'attività svolta dalla società per azioni è stato dato dal T.A.R. Lombardia (34), che ha ammesso l'ostensibilità degli atti di una S.p.a. partecipata in via minoritaria dal Comune di Milano, sul rilievo che l'impegno finanziario da parte dell'amministrazione comunale in un'attività aziendale fa sì che l'attività cui è diretta l'ostensione acquisti rilevanza pubblica (35). Secondo il giudice amministrativo lombardo la società per azioni partecipata, anche non prevalentemente, dall'ente locale va considerata quindi azienda del Comune, in virtù dell'interesse patrimoniale da salvaguardare.

Di diverso avviso il T.A.R. Toscana (36), che ha negato ad un consigliere del Comune di Montecatini Terme l'accesso agli atti di una società per azioni partecipata in ugual misura dal Comune stesso e dalla Regione Toscana. In quel caso, la partecipazione al 50 per cento non è stata ritenuta idonea a far rientrare la società “integralmente nell'ambito istituzionale e amministrativo” del Comune e, pertanto, la società destinataria della richiesta di accesso non è stata considerata “ente dipendente” ai sensi dell'art. 43, secondo comma, del D. Lgs. 267/2000. Sembra inoltre che il T.A.R Toscana abbia voluto dare rilievo alla posizione dell'altro socio, laddove afferma che le ragioni ostative all'accesso possono essere superate dal previo assenso della Regione Toscana.

A parte ciò, va detto che le pronunce citate non mostrano, nelle loro argomentazioni, una particolare attenzione per le ragioni della componente privata del capitale sociale, o per la compatibilità del diritto di accesso così delineato con le norme di diritto societario che regolano il circuito informativo tra gli organi sociali, o ancora per la compatibilità con il principio comunitario della parità di trattamento degli azionisti (37).

In dottrina è stata proposta la tesi secondo cui il diritto informativo dell'amministratore locale nei confronti di una società partecipata dal Comune o dalla Provincia coinciderebbe con quello del socio comune, diversamente modulato a seconda del tipo di società. Se, com'è stato osservato, si accetta la prospettiva della residualità del diritto privato e si valorizza la scelta dell'ente di perseguire un dato obbiettivo con gli schemi civilistici, sembra difficile riconoscere al consigliere locale quel diritto d'avanzare richieste informative senza sostanziali limitazioni, come se si rivolgesse direttamente agli apparati burocratici del Comune (38).

Posto in questi termini, il diritto informativo dell'amministratore locale risulterebbe considerevolmente  circoscritto. Infatti, se la misura dell'estensione del diritto di cui trattasi va ricercata nella disciplina del codice civile assumono rilievo, per ciò che riguarda la società per azioni, gli artt. 2381 (39) e 2403-bis (40), da una lettura coordinata dei quali si può desumere un generale obbligo degli amministratori della società di preservare la riservatezza della gestione dell'impresa azionaria, a tutela dell'efficienza della stessa e a presidio della competitività del sistema economico, che ha in tale tipo societario la forma elettiva di esercizio delle più importanti attività imprenditoriali (41).

Le norme civilistiche sopra citate consentono agli amministratori di esercitare il proprio diritto – dovere di informazione unicamente nell'ambito dell'organo collegiale. Al di fuori delle riunioni del Consiglio di amministrazione i singoli consiglieri sono sprovvisti di poteri individuali di ispezione e di controllo (che sono invece attribuiti espressamente ai membri del Collegio sindacale dall'art. 2403-bis). Ciò porta ad escludere che gli amministratori di società per azioni possano rivolgersi direttamente agli amministratori delegati, o alla struttura aziendale dell'impresa, per ottenere informazioni relative alla gestione della società o, ancor meno, per svolgere indagini conoscitive o acquisire documenti su singoli fatti.

Ciò vale, a maggior ragione, per il socio azionista a cui l'art. 2422 cod. civ. attribuisce unicamente il diritto di esaminare e di ottenere estratti (a proprie spese) del libro dei soci e del libro delle adunanze e delle deliberazioni assembleari. Al di fuori di tale ipotesi, è solo nell'assemblea, e rispetto ai temi dell'ordine del giorno, che il socio ha diritto ad una piena disclosure (42).

Secondo tale impostazione, quindi, la funzione svolta dai consiglieri comunali e provinciali non porta ad attribuire loro un potere di accesso e di ispezione superiore a quello che l'attuale quadro normativo permette di riconoscere all'ente pubblico azionista e agli stessi consiglieri da questo nominati all'interno dell'organo amministrativo della società partecipata.

L'ipotesi contraria significherebbe, da un lato alterare la trama dettata dal codice civile, rivoluzionandone un principio cardine di cui si riconosce l'imperatività, in quanto posto a presidio dell'impresa azionaria, degli investimenti in essa effettuati dallo stesso ente pubblico, dei suoi dipendenti e del mercato al quale sono stati eventualmente offerti in sottoscrizioni titoli azionari o obbligazionari della società stessa; dall'altro, determinerebbe una disparità di posizioni tra azionista pubblico e privato, suscettibile di ledere il principio della parità di trattamento tra azionisti, enunciato per le società per azioni dalla Seconda Direttiva in materia societaria (e dunque da una fonte di rango superiore rispetto tanto al codice civile quanto al Testo Unico degli Enti Locali) (43).

Tale esigenza viene meno nell'ipotesi di società per azioni di cui l'ente locale possegga l'intero pacchetto azionario e pertanto, in tale circostanza, le conclusioni in tema di accesso informativo ex art. 43 T.U.E.L. dovrebbero essere sostanzialmente diverse. Soprattutto ove si tratti di società azionaria costituita ai sensi dell'art. 113, quinto comma, lett. c) del D. Lgs. 267/2000 (44), che stabilisce i requisiti per poter vedersi affidata la gestione di servizi pubblici locali in via diretta, senza ricorso a gara ad evidenza pubblica. Le condizioni poste dal legislatore, come delineate dalla giurisprudenza comunitaria partire dalla sentenza Teckal (45), conducono a configurare il rapporto tra società per azioni e ente pubblico proprietario in termini di stretta dipendenza. In ragione del “controllo analogo” e della “destinazione prevalente dell'attività”, l'ente in house non può ritenersi “terzo” rispetto all'Amministrazione controllante, ma deve considerarsi come uno dei servizi propri dell'Amministrazione stessa (46).

L'ipotesi della società in house, pertanto, sembra poter facilmente essere ricondotta tra gli “enti dipendenti” ai quali si riferisce il secondo comma dell'art. 43 del T.U.E.L. .

Proseguendo nell'ipotesi della coincidenza tra la posizione dell'amministratore locale e quella del socio comune, occorre considerare anche il caso in cui il modello societario utilizzato dall'ente locale sia quello della società a responsabilità limitata, che porta a conclusioni sostanzialmente diverse da quelle individuate per la società azionaria.

Nella società a responsabilità limitata i diritti attribuiti al socio che non partecipa all'amministrazione della società  comprendono l'acquisizione di notizie sullo svolgimento dei singoli affari sociali, la consultazione diretta – o attraverso professionisti di fiducia – dei libri sociali e dei documenti relativi all'amministrazione (47). Com'è evidente, si tratta di diritti conoscitivi certamente più ampi di quelli riconosciuti al socio azionista.

La Commissione per l'Accesso ai Documenti Amministrativi, chiamata ad esprimersi su una questione relativa appunto all'accesso agli atti di una società a responsabilità limitata partecipata prevalentemente dal Comune, ha affermato che non può essere negato al consigliere comunale il diritto di ottenere informazioni e documenti concernenti gli affari sociali. Secondo la Commissione il nuovo testo dell'art. 2476, secondo comma, del codice civile consente al socio non partecipante all'amministrazione un ampio potere di controllo, che può estendersi ad ogni documento concernente la gestione della società e che incontra come limitazione solo l'estrazione di copia e non l'accessibilità alle informazioni che vi sono contenute (48).

Per ciò che riguarda le modalità di esercizio del diritto d'accesso del consigliere comunale o provinciale, va precisato che l'estraneità alla società del consigliere gli impedisce di rivolgersi direttamente agli organi societari. Occorrerà pertanto che la domanda sia rivolta al rappresentante dell'ente socio, al quale spetta attivarsi per ottenere dalla partecipata quanto ritenuto utile dall'amministratore locale per l'espletamento del proprio mandato (49). Ciò vale anche nell'ipotesi della società a responsabilità limitata, dato che i più estesi poteri informativi riguardano pur sempre i soci, e non già chiunque abbia un interesse anche solo vagamente connesso all'attività della società (restando altrimenti vulnerato il rapporto più intensamente fiduciario presupposto dalla scelta di tale tipo societario, ove si permettesse anche ai terzi di accedere alla documentazione relativa all'amministrazione sociale) (50).

 

Note

1) La definizione di “servizio pubblico”, in assenza di una precisa indicazione normativa, è stata ampiamente dibattuta tra fautori della teoria del servizio pubblico in senso soggettivo e sostenitori della concezione oggettiva. Una definizione del legislatore, limitata però agli effetti della legge penale, è giunta solo nel 1990 con la novella al codice penale. La categoria concettuale del “servizio pubblico locale” non sfugge perciò a queste incertezze. Il Consiglio di Stato  (Sez. V° , n. 7369 del 13/12/2006) ha precisato che, ai fini della qualificazione di un'attività come servizio pubblico locale o meno, occorre prendere in considerazione l'art. 112 T.U.E.L., secondo il quale “gli enti locali, nell'ambito delle rispettive competenze, provvedono alla gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali”. Secondo C. FABRIZI, I servizi pubblici locali: inquadramento normativo, in www.luiss.it, pag. 435, quella contenuta nell'art. 112 T.U.E.L. è una nozione sostanzialmente mista tra le concezioni oggettiva e soggettiva. L'a. propone una ricostruzione attraverso l'individuazione dei tratti salienti della categoria, che consisterebbero nella: a) imputabilità del servizio all'amministrazione pubblica che lo ha istituito o a cui è stato assegnato dalla legge; b) soddisfacimento di interessi pubblici generali; c) organizzazione del servizio mirata ad assicurare modalità specifiche di gestione; d) imprenditorialità dell'azione volta alla produzione di utilità direttamente a favore della collettività; e) offerta indifferenziata dei servizi al pubblico.

2) In buona sostanza, le aziende erano sostanzialmente delle sezioni distaccate dello stesso ente locale, ad alta competenza tecnica e specialistica (così C. FABRIZI, op. cit., pag. 437)

3) La figura dell'azienda speciale viene dotata di personalità giuridica oltre che di autonomia gestionale ed imprenditoriale. Rispetto alla precedente figura della “municipalizzata”, inoltre, si caratterizza per un regime di controllo da parte dell'ente di riferimento più attenuato e limitato agli atti fondamentali, benché permangano poteri di indirizzo e vigilanza sulla gestione e di verifica dei risultati della stessa.

4) Dopo la riforma del diritto societario introdotta col D. Lgs. 17/1/2003, n. 6, la norma è ora contenuta nell'art. 2449 che recita: “Se lo Stato o gli enti pubblici hanno partecipazioni in una società per azioni, lo statuto può ad essi conferire la facoltà di nominare uno o più amministratori o sindaci ovvero componenti del consiglio di sorveglianza.

Gli amministratori e i sindaci o i componenti del consiglio di sorveglianza nominati a norma del comma precedente possono essere revocati soltanto dagli enti che li hanno nominati.

Essi hanno i diritti e gli obblighi dei membri nominati dall'assemblea. Sono salve le disposizioni delle leggi speciali.”.

Peraltro, la Corte di Giustizia C.E. ha già avuto modo di rilevarne il contrasto con il diritto comunitario, in quanto l'art. 2449 conferisce al soggetto pubblico un potere di controllo sproporzionato rispetto all'entità della propria partecipazione azionaria (sentenza 6/12/2007, cause C-463/04 e 464/04). Di conseguenza con l’art. 13 della l. 25.02.2008, n. 34 il testo dell’art. 2449 cod.civ. è stato integralmente riformulato.

5) SEMPREVIVA  M.T., Le società di gestione dei servizi pubblici locali, par. 1.1, in www.giustizia-amministrativa.it

6) Ripresa dall'art. 12 della legge 23/12/1992, n. 498.

7) V. l'art. 23-bis del decreto legge 112/2008, convertito con legge 6/8/2008, n. 133.

8) Lo stesso Consiglio di Stato, nella corposa sentenza Sez. V° n. 4586/2001, riconosce che  “al modulo privatistico della società per azioni (mista locale) continuano in effetti a corrispondere, in questo periodo di transizione, connotati tipicamente pubblicistici, che confermano il permanere della natura speciale e ibrida di questa figura societaria”.

9) L'art. 43, secondo comma, del  T.U.E.L. estende i diritti conoscitivi del consigliere comunale e provinciale anche alle “aziende ed enti dipendenti” dell'amministrazione comunale e provinciale.

10) Va considerato che l'art. 8, quinto comma, lett. d) del d.P.R. n. 352 del 1992, prevede che i documenti possano essere sottratti all'accesso quando “riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, di persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale e commerciale di cui siano in concreto titolari, ancorché i relativi dati siano forniti all'amministrazione dagli stessi soggetti cui si riferiscono”. L'astratta  possibilità di far ricorso alla suddetta disposizione è affermata dal Consiglio di Stato nelle sentenze nn. 4 e 5/1999, con riferimento all'attività “residuale” dei privati gestori di servizi pubblici. Secondo S. CASSESE, Il diritto di accesso ai documenti amministrativi dei concessionari di pubblici servizi (due recenti sentenze), in La testimonianza del giurista d’impresa, a cura di Corduas, Romei, Sapelli, ed. Giuffrè, 2001,  pag. 238 e 239,- i gestori di servizi pubblici, sebbene sprovvisti di potestà regolamentare, dovrebbero individuare le categorie di documenti sottratti al diritto di accesso.

11) Per  T. FENUCCI, L’evoluzione del concetto di pubblica amministrazione: il caso dell’accesso agli astti degli enti privatizzati, in www.giustamm.it, la locuzione “attività di pubblico interesse” è piuttosto vaga e rischia di includervi non solo le società sotto il controllo pubblico ma anche quelle le cui partecipazioni azionarie siano totalmente o prevalentemente in mano privata.

12) Così G. SALA, La società pubblica tra diritto privato e diritto amministrativo: la specialità delle società ad azionariato pubblico con particolare riferimento ai servizi pubblici locali - Atti del convegno La società pubblica tra diritto privato e diritto amministrativo - Padova, 8/6/2007.

13) SALA G., ivi.

14) CASSESE S., op. cit., pag. 237.

15) In tal senso v. sentenza Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 1303 del 5/3/2002.

16) DEL GATTO S., Accesso agli atti delle società privatizzate e imparzialità della pubblica amministrazione (ovvero sull’ostensibilità degli atti dell’ente Poste S.p.a), in Foro Amministrativo – C.d.S., 2002, pag. 1041. La questione della compatibilità tra le figure di ente pubblico e di società azionaria è stata risolta affermativamente dalla giurisprudenza, sul rilievo che ciò è stato ammesso anche legislativamente. La legge n. 887/1984, istitutiva dell'Agecontrol S.p.A. (Agenzia pubblica per i controlli in agricoltura) qualifica espressamente tale soggetto come “società per azioni con personalità giuridica di diritto pubblico” (cfr. Consiglio di Stato – Sez. VI°, n. 1303 del 5/3/2002). Nega invece la compatibilità delle due figure, G. CORSO, Impresa pubblica, organismo di diritto pubblico, ente pubblico,  in  Quaderni della Rivista Servizi Pubblici  e Appalti – ed. Giuffrè, n. 1 - 2004, pag. 95.

17) Sentenza Sez. VI, n. 1303 del 5/3/2002.

18) Così la recente sentenza del Consiglio di Stato sez. VI, n. 5569 del 23/10/2007. In detta pronuncia, che peraltro ripercorre e riafferma gli orientamenti ermeneutici compiuti sin dal 1999,  l'Alto Consesso arriva a ritenere attività strumentale alla gestione del servizio pubblico, e quindi soggetta all'accesso, l'attività di organizzazione del personale anche con riferimento ai dipendenti che non operano a contatto con gli utenti (nel caso in esame si trattava di dipendenti di Trenitalia S.p.a. con mansioni di addetti di macchina).

19) Il riferimento richiama la nozione di “organismo di diritto pubblico” elaborata in ambito comunitario nella disciplina dell'affidamento di appalti di lavori, servizi ¬e forniture.

20) S. CASSESE, op. cit.,  pagg. 236 e 237.

21) Sull'estensione della nozione di pubblica amministrazione a soggetti non solo formalmente ma anche sostanzialmente privati, v. F. COLAPINTO, L'accesso del Consigliere comunale agli atti e ai documenti di una società partecipata dal Comune: probabili scenari di una questione non ancora risolta, par. 5, in www.lexitalia.it,  secondo cui tale estensione contrasterebbe, innanzitutto, con i principi contenuti nelle direttive e nella giurisprudenza comunitarie che, per qualificare un organismo come pubblico, giudicano imprescindibile la persistenza su tali soggetti del controllo pubblico o, più precisamente, il requisito dell'influenza dominante da parte dei poteri pubblici, in secondo luogo, potrebbe contrastare con l'esercizio di un'attività imprenditoriale connotata anche da canoni di segretezza (si pensi alla disciplina del know-how, contenuta nel D. Lgs. 10/2/2005, n. 30).

22) Come affermato da S. CASSESE, op. cit., pag. 237 e 238, secondo cui “... la tutela dell'accesso è direttamente correlata e proporzionale al carattere monopolistico dell'attività. Nella misura in cui questo non ci sia o si riduca, diminuisce l'esigenza di garantire l'accesso.”. La giurisprudenza amministrativa, peraltro, non sempre sembra attribuire a tale criterio un rilievo determinante (cfr. sentenza Consiglio di Stato – Sez. VI° n. 4152 del 7/8/2002).

23) Così S. DEL GATTO, Il diritto di accesso nella giurisprudenza: oggetto e limiti, in Foro Amm. T.A.R., 2002, pagg. 1478 e 1479.

24) Sentenza Consiglio di Stato, Sez. VI° n. 4152 del 7/8/2002.

25) GAROFOLI R., in  Le privatizzazioni degli enti dell'economia, ed. Giuffrè, 1998, pagg. 442 e ss.

(26) Come si ricorderà, la giurisprudenza ha affermato più volte che ai consiglieri comunali e provinciali va riconosciuto un “non condizionato diritto di accesso a tutti gli atti” utili al loro mandato. V. per tutte la recente sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V° n. 5879 del 20/10/2005, cit.

27) ABRIANI N. e CELOTTO A., Diritto di accesso dei consiglieri comunali e provinciali e doveri di amministratori e sindaci nelle società per azioni partecipate da enti locali: primi appunti,  par. 1, in www.giustamm.it. .

28) L'art. 60, primo comma, n. 10) del D. Lgs. 267/2000 stabilisce l'ineleggibilità a consigliere comunale e provinciale (oltre che a sindaco e presidente della provincia) dei legali rappresentanti e dirigenti delle società per azioni con capitale superiore al 50 per cento del Comune o della Provincia.  Negli stessi termini, l'art. 63, primo comma, n. 1) sancisce l'incompatibilità con la carica di amministratore, dipendente con poteri di rappresentanza o di coordinamento di ente, istituto o azienda soggetti a vigilanza in cui vi sia almeno il 20 per cento di partecipazione del Comune o della Provincia.

29) Così G. SALA, op. cit.

30) Art. 42, secondo comma, lett. e) del D. Lgs. 267/2000.

31) In tal senso G. SALA, op. cit.

32) Sez. V°, sentenza n. 7900 del 9/12/2004, dove si afferma tra l'altro che la costituzione di una società mista, “per la gestione dei servizi pubblici locali, qualora si renda opportuna in relazione alla natura o all'ambito territoriale di questi, costituisce un modello organizzativo e gestionale sì alternativo a quello dell'azienda speciale, ma non per questo del tutto alieno a connotati e finalità sostanzialmente pubblici, perché, ai fini dell'identificazione di un soggetto pubblico, la forma societaria assume veste neutrale ed il perseguimento di uno scopo pubblico non è di per sé in contraddizione con il fine societario lucrativo”.

33) Sez. V°, sentenza  n. 4472 del 5/9/2002.

34) Sez. Milano, sentenza  n. 147 del 31/1/2007

35) Sembra cioè che - seguendo l'iter argomentativo delle pronunce sopra citate del  Consiglio di Stato e del T.A.R. Lombardia – non sia la partecipazione pubblica in quanto tale a determinare l'assoggettamento della società all'obbligo di fornire agli amministratori locali le notizie e le informazioni utili al loro mandato. Dalla partecipazione pubblica conseguirebbe la rilevanza pubblica dell'attività e, da ciò, gli obblighi informativi a favore dei consiglieri degli enti locali partecipanti al capitale sociale.

36) Sent. n. 2785 del 7/6/2005.

37) V. Seconda direttiva in materia societaria – 77/91/CEE.

38) Così G. ROMAGNOLI, Le società degli enti pubblici: problemi e giurisdizioni nel tempo delle riforme, in Giur. Comm. - 2006, pag. 485/I.

39) L'art. 2381 cod. civ., quinto comma, prevede tra l'altro che “gli organi delegati ... riferiscono al consiglio di amministrazione e al collegio sindacale con la periodicità fissata dallo statuto... sul generale andamento della gestione e sulla sua prevedibile evoluzione nonché sulle operazioni di maggior rilievo...”, mentre il sesto comma stabilisce che “ ciascun amministratore può chiedere agli organi delegati che in consiglio siano fornite informazioni relative alla gestione della società”.

40) A norma dell'art. 2403-bis cod. civ. “I sindaci possono in qualsiasi momento procedere, anche individualmente, ad atti di ispezione e controllo”. Inoltre, “Il collegio sindacale può chiedere agli amministratori notizie ... sull'andamento delle operazioni sociali o su determinati affari”. L'ultimo comma stabilisce che “ L'organo amministrativo può rifiutare agli ausiliari e ai dipendenti dei sindaci l'accesso a informazioni riservate”

41) ABRIANI  N. e CELOTTO A., op. cit.  par. 2;

42) ABRIANI  N. e CELOTTO A., ivi, par. 3.

43) ABRIANI  N. e CELOTTO A., ivi, par. 4. In tal senso anche F. COLAPINTO, op. cit., par. 5, secondo il quale il consigliere attuerebbe una vera e propria ingerenza nell'esercizio dell'attività imprenditoriale, che potrebbe risultare  sia “pericolosa” e comunque non gradita alla società, sia contrastante con i principi societari in materia.

44) L'art. 113 del  T.U.E.L., in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica - prima delle modifiche apportate dall'art. 23-bis del d.l. 112/2008 -  prevedeva al quinto comma, lett. c), la possibilità di affidamento diretto del servizio “a società a capitale interamente pubblico a condizione che l'ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano”. L'art. 113-bis – norma dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 272 del 24.7.2004 – al primo comma, lett. c) presentava una formulazione pressoché identica per i servizi pubblici locali privi di rilevanza economica.

45) Sentenza della Corte di giustizia delle Comunità Europee 18/11/1999, causa C-107/98.

46) GIOVAGNOLI R., Gli affidamenti in house tra lacune del codice e recenti interventi legislativi - par. 1 - Atti del convegno sul Codice dei contratti pubblici, Palazzo Spada – 19/10/2007 – in www.giustizia-amministrativa.it.

47) Art. 2476, secondo comma, cod. civ.

48) Parere n. 3.10 –  Plenum 12.3.2008, in www.governo.it. Peraltro, nel rendere il citato parere, la Commissione esprime l'avviso che al fine di valutare l'accessibilità ai documenti non sia decisivo il richiamo all'art. 2476 cod. civ., quanto piuttosto la caratterizzazione in senso pubblicistico dell'attività svolta e la riferibilità della maggioranza del capitale ad un soggetto pubblico.

49) G. ROMAGNOLI, op. cit., pag. 486/I.

50) Così N. ABRIANI e A. CELOTTO, op. cit., par. 3. Secondo la Commissione per l'Accesso ai Documenti Amministrativi, invece, il consigliere comunale può rivolgersi direttamente alla società (a responsabilità limitata) partecipata, qualora il Comune non sia in possesso delle informazioni o dei documenti richiesti (v. parere cit.).

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