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Collegamento e controllo societario: normativa di riferimento, orientamenti giurisprudenziali e conformità della normativa interna alla disciplina comunitaria.
di Giuseppe Naimo 13 luglio 2009
Materia: appalti / collegamento tra imprese

COLLEGAMENTO E CONTROLLO SOCIETARIO: NORMATIVA DI RIFERIMENTO, ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI E CONFORMITA’ DELLA NORMATIVA INTERNA ALLA DISCIPLINA COMUNITARIA.

 

La questione del controllo societario come causa di esclusione immediata  delle ditte partecipanti dalle gare di appalto è questione particolarmente controversa, anche in considerazione dell’orientamento giurisprudenziale ( da ultimo, Cons. Stato, sez. V 06-04-2009, n. 2141) secondo il quale anche il collegamento societario conduce alle medesime conseguenze, intese dalla giurisprudenza come obbligo per la Stazione appaltante di immediata esclusione delle società tra loro legate dai vincoli sopra indicati.

Esaminiamo, preliminarmente, le norme emanate in materia dal Legislatore statale.

La prima è l’art. 10, c. 1 bis, L. 109/94, introdotto dall’art. 3, c.1, L. 415/98, secondo il quale “Non possono partecipare alla medesima gara imprese che si trovino fra di loro in una delle situazioni di controllo di cui all'articolo 2359 del codice civile “; la successiva disciplina – derivante dall’entrata in vigore del Codice dei contratti – è data dall’art. 34 del D. Lgs. 163/06, che al c.2 prevede che “Non possono partecipare alla medesima gara concorrenti che si trovino fra di loro in una delle situazioni di controllo di cui all'articolo 2359 del codice civile. Le stazioni appaltanti escludono altresì dalla gara i concorrenti per i quali accertano che le relative offerte sono imputabili ad un unico centro decisionale, sulla base di univoci elementi.

La prima norma non sembrava porre problemi interpretativi, ma la giurisprudenza ritenne che la norma dovesse essere “integrata”.

L’Autorità Garante, con l’Atto n° 27/00, così si esprimeva:”..si pone in evidenza che il legislatore della legge c.d. Merloni ter ha attribuito rilievo, ai fini del divieto di partecipazione a procedure ad evidenza pubblica, esclusivamente alle situazioni di controllo societario in cui si trovino coinvolte imprese che partecipano ad uno stesso affidamento, mentre le situazioni di collegamento, disciplinate dal comma 3 del richiamato art. 2359 del codice civile, non sono fatte oggetto di richiamo espresso da parte del legislatore nel dettato dell'art. 10, comma 1-bis, della legge n. 109/1994. L'esclusione del collegamento societario, cui consegue il divieto di partecipazione alla gara, deve considerarsi frutto di una precisa scelta operata dal legislatore, specie in considerazione del fatto che, in altre disposizioni oggetto di modifiche da parte della medesima legge, le fattispecie del controllo e collegamento sono entrambe richiamate.

Ci si riferisce, in particolare, all'art. 18 della legge n. 55/1990, nel testo modificato dalla legge n. 415/1998, laddove, al comma 9, si richiede all'impresa che si avvale del subappalto o cottimo di allegare alla copia autentica del contratto, la dichiarazione circa la sussistenza o meno di eventuali forme di controllo o di collegamento, a norma dell'articolo 2359 del codice civile, con l'impresa affidataria del subappalto o del cottimo; anche nel comma 9 dell'art. 17 della legge n. 109/1994, viene fatto un richiamo espresso alle situazioni di controllo e collegamento di cui all'art. 2359 del codice civile. La norma testualmente recita: "Gli affidatari di incarichi di progettazione non possono partecipare agli appalti o alle concessioni di lavori pubblici ... omissis ... per i quali abbiano svolto la suddetta attività di progettazione; ai medesimi appalti, concessioni di lavori pubblici ... omissis ... non può partecipare un soggetto controllante, controllato o collegato all'affidatario di incarichi di progettazione. Le situazioni di controllo e di collegamento si determinano con riferimento a quanto previsto dall'articolo 2359 del codice civile". Anche nell'art. 2, comma 4, della legge n. 109/1994 laddove si prevede che i concessionari appaltino a terzi i lavori non realizzati direttamente, è disposto che per imprese terze si intendono, oltre che le controllate, anche imprese collegate; sempre la norma in commento rinvia all'art. 2359 del codice civile per la definizione delle situazioni di controllo e collegamento. L'elencazione appena prospettata è esemplificativa di come il legislatore abbia, talvolta, valutato con sfavore le situazioni di collegamento tanto da ritenere che, ove ricorrano, costituiscano motivo ostativo per la partecipazione agli affidamenti. “.

Tale atto, palesemente rispettoso del dato letterale della norma invocata, nonché frutto di una seria, articolata ed approfondita valutazione della normativa di settore, fu reso dal Consiglio dell’Autorità “nell'ambito precipuo dei poteri di "vigilanza" alla stessa spettanti, in cui deve ricondursi, non solo la semplice verifica del rispetto formale della normativa dettata in materia, ma anche la definizione sostanziale di regole, a contenuto prevalentemente interpretativo, che consentano di rendere omogenee le procedure di applicazione della normativa generale ed astratta da parte di tutti gli interessati,”( Cons. Stato, sez. V, 26-04-2005, n. 1901).

Malgrado l’inequivoco dato normativo, l’orientamento prevalente del Giudice amministrativo fu quello di “interpretare” l’art. 10, c. 1 – bis, come riferentesi anche alle situazioni di collegamento societari: sia prima che dopo l’intervento dell’Autorità, il Giudice amministrativo ha non solo ritenuto valide le clausole di bando che prevedevano l’immediata esclusione in caso di partecipazione di imprese collegate, ma ha addirittura ritenuto che (Cons. Stato, VI, n° 2950/07) il ravvisato collegamento comportasse l’automatica esclusione delle imprese collegate, anche in assenza di clausola di bando che disponesse in tal senso.

In realtà a smentire tale orientamento, sarebbe sufficiente rilevare che, per provvedere all’esclusione delle ditte nei casi di collegamento societario, è stata necessaria l’introduzione – effettuata dall’art. 34, c.2, D. Lgs. 163/06 (norma di discutibile compatibilità comunitaria, come di seguito dimostrato), sopra richiamato; rimane però da valutare la legittimità delle clausole di bando che avessero disposto in tal senso.

E’ necessario, quindi, valutare la disciplina interna alla luce della normativa comunitaria di settore, della quale peraltro l’art. 34 sarebbe (il condizionale è quanto mai d’obbligo) attuativo.

Con la sentenza del 16.12.08, resa nella causa C-213/07, Michaniki, la Grande Sezione della Corte di Giustizia ha precisato che “L’art. 24, primo comma, della direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/37/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 13 ottobre 1997, 97/52/CE, deve essere interpretato nel senso che esso elenca, in modo tassativo, le cause fondate su considerazioni oggettive di natura professionale, che possono giustificare l’esclusione di un imprenditore dalla partecipazione ad un appalto pubblico di lavori. Tuttavia, tale direttiva non osta a che uno Stato membro preveda altre misure di esclusione dirette a garantire il rispetto dei principi di parità di trattamento degli offerenti e di trasparenza, purché siffatte misure non eccedano quanto necessario per raggiungere tale obiettivo.

Che l’art. 24 della Direttiva non prevedesse, tra le cause di esclusione, il collegamento sostanziale tra società, è dato non controverso; che l’art. 10, c.1 bis, riguardasse solo le situazioni di controllo societario è dato altrettanto indiscutibile.

Anche sulla base della surrichiamata sentenza della Grande Sezione, nelle conclusioni depositate il 10.2.09 nella causa C-538/07(relativa proprio all’art. 10, c.1 bis, L. 109/94), l’Avvocato Generale  presso la Corte di Giustizia ha sostenuto che “ Il diritto comunitario deve essere interpretato nel senso che osta ad una disposizione nazionale che, pur perseguendo le finalità legittime della parità di trattamento degli offerenti e della trasparenza nelle procedure di aggiudicazione di appalti pubblici, comporti l’esclusione automatica da tali procedure degli offerenti che si trovino fra loro in rapporto di controllo, quale definito dalla normativa nazionale, senza dare loro la possibilità di dimostrare che, nella fattispecie, il suddetto rapporto non ha comportato alcuna violazione dei principi di parità di trattamento degli offerenti e di trasparenza”. 

Non perfettamente in linea con le appena richiamate conclusioni, nonché con la questione posta, parrebbe la sentenza del 19.5.09 della Corte di Lussemburgo: la Corte ha dichiarato che “Il diritto comunitario osta ad una disposizione nazionale che, pur perseguendo gli obiettivi legittimi di parità di trattamento degli offerenti e di trasparenza nell’ambito delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, stabilisca un divieto assoluto, a carico di imprese tra le quali sussista un rapporto di controllo o che siano tra loro collegate, di partecipare in modo simultaneo e concorrente ad una medesima gara d’appalto, senza lasciare loro la possibilità di dimostrare che il rapporto suddetto non ha influito sul loro rispettivo comportamento nell’ambito di tale gara”.

La questione posta, relativa all’art. 10 L. 109/94, faceva infatti espresso riferimento alle sole “situazioni di controllo”, giusta testuale previsione della norma sottoposta allo scrutinio della Corte di Giustizia: avendo però il Giudice nazionale rappresentato l’avvenuta sostituzione dell’art. 10 con l’art. 34 del Codice, la pronuncia può essere intesa come volta ad “interpretare” preventivamente anche la norma del Codice, che effettivamente menziona anche tale diversa causa di esclusione.

E’ infatti di tutta evidenza che l’art. 45 della Direttiva 2004/18 non ha in alcun modo innovato la disciplina previgente sul punto della previsione delle clausole di esclusione: pertanto, l’interpretazione fornita dalla Corte in relazione all’art. 29 della Direttiva 92/50 si attaglia perfettamente anche alla normativa comunitaria sopravvenuta. 

Risulta, quindi, che l’orientamento giurisprudenziale menzionato in apertura del presente scritto, si è fondato su una causa di esclusione (collegamento societario) inesistente, e che le clausole di bando erano palesemente illegittime; risulta altrettanto evidente che – se anche l’art. 10, c.1 bis, L. 109/94 avesse previsto quale causa di esclusione il collegamento societario – essa non avrebbe mai potuto avere carattere di automaticità, considerazione questa valevole anche per l’art. 34 del Codice dei contratti.

Una breve considerazione, in conclusione: l’attività interpretativa operata dai Giudici è preziosa, anzi essenziale; un maggior rigore nell’esercizio di tale delicatissima attività gioverebbe sia agli utenti che al prestigio dell’Istituzione.

 

 

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