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L’apertura alla concorrenza del servizio di distribuzione del gas naturale - Artt. 14 e 15 del d.lgs. 164/00 - Una sfida ancora aperta a seguito dei gattopardeschi provvedimenti emanati - Gli effetti distorsivi e controproducenti degli ambiti di gara
di Ilario Brugnettini e Giosuè Nicoletti 29 ottobre 2009
Materia: gas / disciplina

L’apertura alla concorrenza del servizio di distribuzione del gas naturale – Artt. 14 e 15 del d.lgs. 164/00 – Una sfida ancora aperta a seguito dei “gattopardeschi” provvedimenti emanati – Gli effetti distorsivi e controproducenti degli ambiti obbligatori di gara.

 

di Ilario Brugnettini e Giosuè Nicoletti

 

Sono trascorsi quasi dieci anni da quando il Legislatore italiano, con il d.lgs. n. 164/2000, meglio noto come “Decreto Letta”, ha coraggiosamente previsto l’apertura alla concorrenza del settore delle distruzione del gas naturale.

Da allora ad oggi il disegno riformatore, che prevede, tra le altre cose, l’obbligatoria messa in gara dei servizi locali di distribuzione, è rimasto pressoché solo sulla “carta”, e se qualche cosa è stato fatto lo si deve esclusivamente a quei Comuni che:

-           già gestivano il servizio in economia, e che diligentemente si sono adeguati alle nuove disposizioni;

-           che coraggiosamente hanno dato seguito alle nuove disposizioni, affrontando tra l’altro quasi ovunque dispendiosi contenziosi con il Gestore.

Abbiamo infatti assistito al succedersi di provvedimenti legislativi e amministrativi – sui cui non può negarsi abbia influito l’attivismo dei Gestori e delle loro Associazioni finalizzati a ritardare, per non dire cancellare, il più possibile l’effettiva operatività delle nuove regole concorrenziali, che di certo ove attuate nella generalità dei casi, avranno l’effetto di azzerare gli effetti distorsivi generati dal monopolio venutosi a creare nello specifico settore e che ha portato all’emanazione della direttiva comunitaria (98/30/CE) prima, e del decreto Letta poi.

Anche se il d.lgs. n. 164/2000 prevedeva un periodo transitorio di consistente durata a tutela degli affidamenti in essere avvenuti senza previa gara (5 anni, con possibili ulteriori incrementi in presenza di determinate condizioni individuali), i Gestori non hanno mai inteso rassegnarsi ad accettare questa soluzione, che già bilanciava, in modo equilibrato, gli interessi in gioco.

Si ritiene invece che detti operatori abbiano intensamente svolto attività di lobbing istituzionale per ottenere di più, sempre di più, lasciando intendere che il loro vero intento fosse quello di ottenere un rinvio sine die delle gare.

Quanto sopra affermato, trova conferma nel fatto che, di fronte alla difficoltà del raggiungimento del rinvio sine die delle gare, la priorità è stata quella di fare in modo che, il loro svolgimento non contribuisse a modificare le posizioni venutesi a creare, sia queste legate alla presenza nel territorio, che in termini economici.

Un impatto rilevante ha infatti avuto il canone, che i Comuni, che hanno inteso procedere nel nuovo affidamento si sono visti riconoscere in relazione all’acquisita disponibilità degli impianti e delle reti (art. 14, comma 4, d.lgs. 164/00), aspetto questo generalmente assente nei rapporti in essere, e se presente solo in forma minimale rispetto a quanto ottenuto o ottenibile in virtù delle nuove disposizioni, in relazione alla richiamata “acquisizione”, e non come impropriamente definita dai Gestori, come tassa a loro carico.

Da questo punto di vista è paradigmatico quanto accaduto all’indomani dell’entrata in vigore della l. n. 239/2004 (c.d. “Marzano”), art. 1, comma 69, nata con l’intento di dare maggiore certezza applicativa al regime transitorio e contenerne la durata, eliminando la cumulabilità delle proroghe individuali di cui all’art. 15, comma 7, lett. a), b) e c).

Fu infatti emanata una circolare dal Ministero delle Attività Produttive – Direzione Generale per l’Energia e le Risorse Minerarie (in data 10.11.2004, prt. n. 0002355), oggi Ministero dello Sviluppo Economico, che capovolgeva le finalità delle legge, facendovi discendere una proroga automatica di due anni del periodo transitorio (31.12.2005 – 31.12.2007).

Tale interpretazione fu sconfessata dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato con le sentenze nn. 6187 e 6189/2005 (come avrebbe potuto essere diversamente ….?), ma intanto servì, per non dire serve, visto che i Gestori ancora oggi propongono alle Amministrazioni locali – e talvolta con successo – accordi contra legem di proroga della durata delle convenzioni.

Successivamente, quanto non era stato ottenuto per via interpretativa, fu ottenuto direttamente per via legislativa.

Il “pressing istituzionale” dei Gestori portò, infatti, all’emanazione, l’ultimo giorno utile prima della scadenza del periodo transitorio (31.12.2005), del d.l. n. 273/2005 del 30.12.2005, poi convertito nella legge n. 51/2006, il quale, per l’appunto, disponeva un mero e semplice prolungamento di due anni del periodo transitorio (sino al 31.12.2007), senza alcuna “contropartita” a favore delle ragioni del mercato e degli Enti locali.

Tant’è che la Magistratura Amministrativa dubitò della compatibilità di tale proroga legale con il diritto comunitario.

In particolare, il T.A.R. Lombardia, Sezione di Brescia, sollevò apposita questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (cfr. ordinanza n. 963/2006).

La risposta della Corte (sentenza 17.7.2008, C-347-06) è stata equilibrata ma non reticente: “una normativa coma quella in questione nella causa principale  [ovvero quella di cui alla l. n. 51/06], comportando il rinvio dell’assegnazione di una nuova concessione mediante procedura ad evidenza pubblica, costituisce, almeno durante il periodo del suddetto rinvio, una disparità di trattamento a danno delle imprese aventi sede in uno Stato membro diverso da quello dell’amministrazione aggiudicatrice a che potrebbero essere interessate a tale concessione”.

Del resto è noto e consolidato, in ambito comunitario, il principio secondo cui anche le concessioni di pubblico servizio devono essere affidate mediante procedure competitive.

Il Giudice comunitario non ha poi mancato di rilevare che un più lungo periodo transitorio potrebbe anche giustificarsi per tutelare il principio della certezza del diritto. Ma ha precisato che ciò dipende dalla sussistenza in concreto, nel singolo caso, di legittime esigenze del Gestore basate su circostanze oggettive: rilevano, in particolare, il tempo in cui è avvenuto l’affidamento e l’eventuale incompatibilità della riduzione della durata dell’affidamento stesso con l’ammortamento degli investimenti e con la necessaria remuneratività della gestione.

A chi scrive pare che, nel panorama attuale, non siano molti i casi in cui tali esigenze di tutela dei Gestori siano oggettivamente riscontrabili.

Infatti, fino all’entrata in vigore del d.lgs. n. 164/2000, nella generalità dei casi, gli affidamenti del servizio di distribuzione in concessione ad imprese terze, è avvenuto senza alcun ricorso a gara ad evidenza pubblica.

Le imprese concessionarie, in questo modo, non solo si sono sottratte al confronto concorrenziale in sede di affidamento del servizio, ma hanno gettato altresì le basi per la formazione di stabili monopoli locali a proprio vantaggio.

I vari affidamenti, infatti, già di lunga durata (in genere trentennale), difficilmente sono giunti a scadenza secondo quanto inizialmente previsto in contratto, grazie alla concessione di proroghe deliberate dagli Enti Locali, per far fronte spesso a nuove esigenze di sviluppo; di fatto ancora oggi abbiamo concessioni che risalgono agli anni ‘50, ed in alcuni casi anche precedenti; significativo a tale proposito e l’affidamento del Comune di Roma, del Comune di Torino e di altre città.

Pertanto, oggi molto spesso si è di fronte a gestioni che hanno già ampiamente ammortizzato gli investimenti effettuali e che beneficiano quindi di margini di profitto assai significativi; margini che, per lo più, neppure sono riequilibrati dal riconoscimento di un serio canone a favore dell’Ente concedente, titolare del servizio.

In questo quadro, nel quale persino il biennio di proroga di cui alla l. n. 51/2006 può essere messo in discussione nella sua legittimità (T.A.R. Lombardia - Brescia n. 322/09), si è tentato addirittura, con l’art. 46 bis della l. n. 222/2007, di prevedere un prolungamento di altri due anni del periodo transitorio, sino al 31.12.2009 (sic!), giustificandolo, questa volta, con la necessità di definire nuovi ambiti territoriali di gara, più ampi di quelli comunali. A tal fine si è demandato questo compito ai Ministeri dello Sviluppo economico e degli Affari Regionali.

E’ stato necessario il quanto mai opportuno intervento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, con il parere n. 159/2007, per “fare rientrare” la suddetta nuova proroga (evidentemente incompatibile con le regole concorrenziali).

Quest’ultima è stata eliminata, infatti a distanza di pochi giorni, con la Finanziaria per il 2008 (l. n. 244/2007).

Ciò nonostante, il “partito” delle imprese di distribuzione non si è arreso e ha fatto tutto il possibile per far passare la tesi secondo cui le gare dovevano comunque intendersi bloccate sino al varo dei nuovi ambiti.

Ancora una volta si trattava – e si tratta – di una interpretazione “interessata” e giuridicamente infondata.

Tant’è che la giurisprudenza sinora pronunciatasi in merito l’ha ritenuta impercorribile.

Si rinvia, al riguardo, alle svariate pronunce del T.A.R. Lombardia - Brescia (n. 410, del 23/5/2008,n. 566, del 27/5/2008, n. 322, del 20/2/2009, e si riporta, per tutte, la sintetica ma significativa motivazione resa dal Consiglio di Stato nell’Ordinanza cautelare n. 5213 del 2008: “l’interpretazione comunitariamente orientata dall’art. 46 bis della legge n. 244/2007 impedisce di accogliere la tesi della prorogatio sine die degli affidamenti diretti in essere nelle more della definizione delle procedure relative ai bacini ottimali d’utenza, con correlativa paralisi di ogni procedura competitiva”.

Oltre alla giurisprudenza sopra riportata, si ritiene inoltre dover segnalare il parere della:

-           Autorità garante della concorrenza e del mercato, 24/12/2008 n. AS507, che sull’individuazione del termine del periodo transitorio per le concessioni del servizio di distribuzione del gas naturale originariamente affidate senza gara, ha sancito che: Secondo la normativa attualmente vigente, relativamente alla distribuzione del gas naturale, le concessioni affidate originariamente senza gara scadono, così come previsto dal decreto legge 30 dicembre 2005, n. 273 (convertito nella legge 23 febbraio 2006, n. 51), al 31 dicembre 2007 ovvero al 31 dicembre 2009, qualora si verifichi almeno una delle condizioni di cui all’art. 15, comma 7, del decreto legislativo n. 164/2000, con la possibilità eventualmente di un altro anno di proroga per motivi di interesse pubblico. Di conseguenza, con le cautele rese necessarie dal fatto che il quadro normativo risulta di non agevole lettura e che mancano consolidati orientamenti giurisprudenziali e applicativi cui far riferimento, allo stato l’Autorità riterrebbe preferibile l’opzione esegetica secondo la quale le concessioni di distribuzione del gas in essere verrebbero a scadenza non oltre il 31 dicembre 2010.

Di fronte a tanta evidenza sorge spontanea la domanda circa il perché i Gestori cerchino in ogni modo di prevenire o di opporsi a provvedimenti di Enti Locali, atti a concludere i rapporti in essere, e dare quindi vita a nuovi e più equilibrati rapporti di concessione del pubblico servizio di distribuzione del gas metano nel territorio comunale.

E’ evidente che la risposta sta nel fatto che il decreto Letta, ha senza ombra di dubbio messo in discussione buona parete delle posizioni di favore di cui beneficiavano i rapporti in essere, ed il monopolio che di conseguenza si è venuto a creare.

In realtà, la battaglia dei Gestori è tutt’altro che conclusa a seguito dei provvedimenti che si sono succeduti, e oggi si svolge su un nuovo fronte, quello degli ambiti di gara.

Varata dal Legislatore l’apposita clausola (con la l. n. 99/2009) che – peraltro opportunamente – ha messo la disciplina di settore, ivi compreso l’art. 46 bis, citato, al riparo della nuova normativa in materia di servizi pubblici locali (art. 23 bis, l. n. 133/2008), dove tra l’altro le gare d’ambito sono facoltative per l’Ente Locale, ora il rischio concreto è che la riorganizzazione su base d’ambito delle gare decreti, di fatto, la “morte” di ogni effettivo spazio di concorrenzialità.

Si ricorda che la previsione di gare d’ambito, contenuta nell’art. 46 bis, è nata con l’obiettivo dichiarato di superare la frammentazione del settore, allo scopo di consentire il perseguimento di maggiore efficienza e dell’economia di scala.

A questo punto sorge spontanea la domanda di valutare l’utilità e l’efficacia di un provvedimento del genere, alla luce della normativa nazionale e comunitaria esistente.

Su questo aspetto si ricorda ancora che è intervenuta anche l’Autorità Antitrust (AGCM), con il richiamato parere sul decreto n.159/2007.

L’ AGCM infatti con il parere di cui sopra “invita a riconsiderare la stessa desiderabilità della definizione autoritativa degli ambiti produttivi del servizio di gestione delle reti del gas, in quanto ciò equivale a una configurazione, per via amministrativa, del mercato dal lato della domanda”.

Infatti, l’AGCM ritiene che definire ambiti territoriali minimi “in base a criteri di efficienza e riduzione dei costi per via esogena e autoritativa implica l’oneroso compito di acquisire informazioni e dati su tali aspetti in condizioni di asimmetria informativa del regolatore rispetto a realtà tecnico-economiche locali. Inoltre, tali asimmetrie potrebbero favorire la definizione di ambiti che non riproducono strettamente le esigenze tecniche e di riduzione dei costi riscontrabili sul mercato, ma finiscono per rispondere, ad esempio, a esigenze di mera semplificazione amministrativa che, in realtà, non esauriscono gli obiettivi di efficienza sottesi alla riforma”. In altre parole, non è ragionevole pensare che il decisore pubblico sia in grado di operare, meglio del mercato libero, decisioni relative alla “dimensione ottima” delle imprese di distribuzione.

In relazione a ciò, qualsiasi ambito “disegnato a tavolino” si potrebbe rilevare inadeguato.

Va evidenziato che, in un mercato aperto, le economie di scala non vengono imposte dall’alto, ma sarà il mercato a “cercarle”, ovvero saranno i Gestori che moduleranno i propri comportamenti di partecipazione alle gare in modo da mantenere o da ampliare la propria presenza sul territorio, attraverso affidamenti che garantiscano il massimo beneficio nella gestione del servizio, aspetto questo che ha caratterizzato le gare fino ad oggi effettuate.

Di contro, una “imposizione dall’alto” corrisponderebbe ad un atto di indirizzamento del mercato, contrario a qualsiasi provvedimento di trasparenza e concorrenza e peraltro privo di basi razionali anche dal punto di vista tecnico-economico, come evidenziato dall’Autorità Antitrust, nel già citato parere n. 159/2007.

Nel nuovo assetto “per ambiti” sarebbe difficile immaginare un effettivo confronto concorrenziale, in quanto le barriere all’ingresso, già presenti oggi e rappresentate dai cospicui indennizzi  a carico dei gestori subentranti e a beneficio dei gestori uscenti, proprietari degli impianti, diventerebbero praticamente insormontabili e attribuirebbero ai distributori già presenti e di più grandi dimensioni nello stesso ambito, un vantaggio concorrenziale che si tradurrebbe in una loro pressoché certa conferma in sede di gara, conferma abbinata al fatto che con facilità relativa potrà tra l’altro incrementare la propria presenza nel territorio, a ovvio discapito della concorrenza.

Questa considerazione trova infatti facile riscontro, se si esaminano le dimensioni delle Aziende presenti sul mercato nazionale, e dove queste operano, molto spesso, con esclusione di pochissime, a macchia di leopardo.

Il risultato sarebbe nella sostanza un ritorno ancor più negativo di quello che era il sistema pre-Letta, con tutte le conseguenze del caso per l’assoluta mancanza di concorrenzialità fra operatori, e il pericolo che questo può generare sotto l’aspetto finanziario, causa la concentrazione in poche mani di un settore così vitale per il nostro Paese.

Di fatto si passerà tra un regime privo di concorrenza fra gli operatori, che ha portato all’emanazione del Letta, ad un oligopolio, ovvero ad una forma di mercato con pochi operatori, ognuno dei quali sa che ogni sua decisione avrà influsso sulle decisioni della concorrenza.

Va aggiunto, peraltro, ma qui la parola dovrebbe passare ai giuristi,  che affidare ad organi ministeriali statali la diretta perimetrazione dei nuovi ambiti di gara appare onestamente “una scorciatoia” assai poco giustificata nell’attuale quadro di ripartizione di competenze tra Stato, Regioni ed Enti locali, come delineato dal Titolo V della Costituzione.

In un assetto nel quale anche la materia “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia” è di competenza concorrente e nel quale la materia dei servizi pubblici non è di competenza statale (né esclusiva, né concorrente), definire gli ambiti rimettendo ogni decisione allo Stato centrale, senza prevedere alcun concreto ruolo per Regioni ed Enti locali (salvo una semplice consultazione in sede di Conferenza Unificata), appare onestamente poco rispettoso delle prerogative dei territori e dei loro enti esponenziali. Prerogative che, invece, appaiono tutelate dal T.U. sull’ordinamento degli Enti locali e, in particolare, dall’art. 24,  lett. b), d.lgs. n. 267/2000, il quale prevede che “la regione, previa intesa con gli enti locali interessati, può definire ambiti sovracomunali per l’esercizio coordinato delle funzioni degli enti locali, attraverso forme associative, nelle seguenti materie...”, tra cui la materia “reti infrastrutturali e servizi a rete”.

Peraltro, alla luce delle osservazioni più sopra svolte, non pare neppure che possa essere appropriatamente invocata la competenza statale in materia di tutela della concorrenza, se si considera che gli effetti concreti del varo degli ambiti di cui all’art. 46 bis sarebbero nel senso del consolidamento dello status quo, con buona pace proprio delle ragioni dell’efficienza e della competizione di mercato.

In realtà, la promozione e la tutela della concorrenza, come è ormai ben noto, non possono più essere considerate esclusivamente il frutto di scelte politiche discrezionali del Legislatore, ma derivano piuttosto da precisi vincoli di fonte comunitaria, posti, in generale, dalla norme del Trattato CE e, nel settore in questione, da due ben note direttive (98/30/CE e 2003/55/CE).

Giova inoltre ricordare che in questi nove anni, tanti sono gli anni trascorsi dall’emanazione del decreto Letta, anche in assenza del “contratto tipo”, che avrebbe dovuto essere predisposto dal Ministero dello Sviluppo Economico (già MAP) previo parere dell’Autorità per L’Energia Elettrica e il Gas, nulla ha impedito agli Enti Locali di procedere nel regolare svolgimento di gare (varie centinaia), nei casi in cui è emersa la necessità di ricorrervi.

Infatti, gli Enti interessati che in questi anni hanno provveduto all’affidamento del servizio, sia per quanto inerente l’avvio di nuovi esercizi che a seguito dell’avvenuta scadenza dei rapporti concessori in essere, per la prima volta, forti delle passate esperienze, hanno infatti predisposto il proprio schema di contratto di servizio, frutto delle proprie esigenze, nonché tenuto in considerazione le peculiarità delle singole gestioni e della “storia” e dell’evoluzione di queste, salvaguardando così maggiormente i propri interessi e quelli della collettività amministrata.

Se l’attuale regime transitorio presenta alcuni problemi (quali la previsione di termini di calendario indifferenziati per la conclusione del periodo transitorio, non ponderati in base alle durate dei singoli contratti e quindi idonei ad assimilare situazioni non omogenee, nonché a determinare la necessità di bandire contestualmente troppe gare), tali problemi non vengono minimamente affrontati con l’art. 46 bis in esame, ma solo differiti nel tempo (resta infatti la contestualità delle scadenze). Per contro, si pongono le  ulteriori e più gravi problematiche sopra segnalate.

La materia presenta elementi di delicatezza e complessità tali da non consentire interventi affrettati e non adeguatamente ponderati (lo sono stati quasi tutti quelli succedutisi dopo l’entrata in vigore del “Decreto Letta”, ivi compresa la scelta degli ambiti obbligatori di gara contenuta nell’art. 46 bis), i quali, anziché fornire certezze agli operatori, finiscono per aggravare le incertezze già presenti, ponendosi, peraltro, in direzione opposta rispetto a quella impressa sin dal 2000 dal processo di liberalizzazione in atto.

In questo contesto sembra assurdo, che si parli tanto di liberalizzazioni, quando a distanza di 9 anni, non si è ancora riusciti a far decollare un processo avviato nel 2000, con il d.lgs.164/00, che porterebbe a rimuovere le varie situazioni di monopolio che si sono venute a creare negli anni, non solo a discapito dei Comuni, ma soprattutto in danno alla concorrenza e quindi ai cittadini-utenti.

Non vorremmo concludere che la politica della concorrenza nel settore della distribuzione del gas, con i gattopardeschi provvedimenti sopra citati, assomigli ad un sogno di mezza estate. Un bel sogno, ma nulla più di un sogno, a fronte di una realtà ben diversa, con indubbio pregiudizio per i cittadini-utenti, che potrebbero trarre solo benefici da servizi finalmente competitivi.

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