HomeSentenzeArticoliLegislazionePrivacyRicercaChi siamo
Le utilities tra regolazione, concorrenza e obblighi di separazione societaria.
di Andrea Pinto 19 novembre 2009
Materia: gas / disciplina

LE UTILITIES TRA REGOLAZIONE, CONCORRENZA E OBBLIGHI DI SEPARAZIONE SOCIETARIA

 

ABSTRACT: Prendendo spunto da alcune recenti pronunce dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato in materia di obbligo di separazione societaria imposto dall’art.8, comma 2 bis e della L. 287/90 alle società di pubblico servizio qualora intendano svolgere attività in mercati diversi da quelli riservati, viene prospettata la necessità di porre mano ad una sua modifica che consenta alle suddette società di gestire tali attività anche mediante l’istituto dei cosiddetti patrimoni destinati ad uno specifico affare previsto e disciplinato dall’art.2447 bis c.c. e ss . Il ricorso a tale istituto alternativo consentirebbe alle società interessate, soprattutto nei casi in cui l’attività da separare è di modesta entità, di ovviare ai costi di costituzione di una società ad hoc e di rispettare le finalita della norma antitrust rivelandosi nel contempo maggiormente rispondente ai principi di proporzionalità ed adeguatezza proprio del diritto comunitario. In tal senso si potrebbe anche prevedere una soglia dimensionale dell’attività al di sopra della quale scatta l’obbligo di costituire una società separata mentre per le attività sotto soglia si potrebbe ricorrere al più duttile strumento del patrimonio destinato ad uno specifico affare proprio per consentire alle società di continuare a gestire un’attività in regime di separazione contabile e funzionale che garantirebbe parimenti dai rischi di leveraging e sussidi incrociati con le attività riservate.

 

 

 

 

1. La sempre maggiore incidenza che le norme in materia di regolazione e concorrenza hanno sui processi di adeguamento dei modelli organizzativi e gestionali delle utilities che fanno parte di gruppi verticalmente integrati, impone di valutare se sussistono strumenti e rimedi offerti dal nostro ordinamento interno in grado di garantire le sempre più stringenti e esigenze di neutralità nell’erogazione dei servizi di interesse economico generale e nella gestione delle infrastrutture energetiche unitamente alla correlativa necessità di evitare trasferimenti incrociati di risorse tra i segmenti della filiera a tutela della concorrenza. Il problema si pone con particolare riferimento all’obbligo di separazione societaria previsto dall’art.8, comma 2 bis, della L.287/90 . Com’è noto, tale articolo, al comma 2, esonera dall’applicazione della normativa antitrust le “imprese che,per disposizione di legge, esercitano la gestione di servizi di interesse economico generale ovvero operano in regime di monopolio sul mercato,per tutto quanto strettamente connesso all’adempimento degli specifici compiti loro affidati”; tuttavia, precisa il successivo comma 2bis, “le imprese di cui al comma 2, qualora intendano svolgere attività in mercati diversi da quelli in cui agiscono ai sensi del medesimo comma 2,operano mediante società separate” con conseguente obbligo di preventiva comunicazione all’Autorità (comma 2ter).

2. I limiti di un’applicazione indifferenziata di tale obbligo sono emersi, in tutta la loro ampiezza, considerando gli esiti di alcune recenti istruttorie promosse dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e conclusesi in un caso (1) con l’impegno,tra gli altri,da parte della società indagata per abuso di posizione dominante, a gestire l’attività diversa a mezzo società separata; e, nell’altro(2), con l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria per l’accertata inottemperanza, da parte di alcune utilities , all’obbligo di gestione, a mezzo società separata, delle attività di teleriscaldamento e gestione calore ritenute non qualificabili come servizio pubblico. Senza entrare nel merito delle decisioni assunte dall’Autorità ,quello che, in questa sede ,si vuole esaminare è se il modello gestionale per società separata costituisca necessariamente l’unica soluzione applicabile alle società di pubblico servizio ogni qualvolta si dovessero trovare nella condizione di dover gestire attività in mercati diversi e concorrenziali .

Finora l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in ciò sicuramente vincolata dal precetto normativo che non lascia spazio ad interpretazioni adeguatrici, non sembra essersi fatta sufficientemente carico delle implicazioni che un’applicazione esasperata della norma in questione rischia di generare.

 In particolare l’Autorità non sembra aver tenuto in adeguata considerazione la dimensione economica dell’attività oggetto di separazione societaria - che, in taluni casi , può rivelarsi essere assolutamente marginale rispetto alle attività core dell’impresa (3) - e , quindi, della proporzionalità del rimedio imposto rispetto al fine di impedire, soprattutto nel settore dei pubblici servizi , “azioni di leveranging” (4) . L’applicazione del citato disposto normativo, alla luce della concreta esperienza, rischia ,invece, di generare effetti perversi nel senso di indurre le imprese o ad ottemperare,formalmente, ai desiderata dell’Autorità rinunciando, poi , di fatto, a svolgere l’attività diversa ovvero a dismetterla del tutto, loro malgrado,in considerazione degli eccessivi costi cui andrebbero incontro se dovessero continuarla a gestire con una società appositamente costituita.

Effetto, questo, sicuramente ultroneo rispetto alle finalità proprie della norma in questione che non può non sollevare perplessità e riserve. La stessa dottrina,peraltro, aveva già avuto modo di sottolineare una certa inadeguatezza del comma 2bis a risolvere “situazioni di confine”(5) evidenziando, nel contempo, i notevoli problemi operativi che un’applicazione generalizzata del comma 2bis rischia di creare con discipline settoriali il più delle volte di derivazione comunitaria che si limitano a prevedere obblighi di separazione “non necessariamente coincidenti con quelle considerate dal co. 2-bis”(6). Considerazioni quanto mai attuali che chiamano direttamente in causa il diverso modello gestionale di unbundling contabile e funzionale privilegiato dall’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas con la Delibera n.11 del 18 gennaio 2007 (in attuazione delle Direttive 2003/54/CE e 2003/55/CE , recepite con L. 125/2007) al quale le utilities energetiche si stanno gradualmente uniformando. Modello che, sotto il profilo regolatorio, è finalizzato a “garantire la terzietà e l’indipendenza {delle imprese regolate verticalmente integrate} nella gestione delle sole attività essenziali per la liberalizzazione nei settori dell’energia elettrica e del gas naturale, con particolare riferimento agli interessi degli esercenti che operano contemporaneamente in attività liberalizzate” (7), ossia ad ovviare ai medesimi inconvenienti cui tende l’art.8,comma 2bis, della L.287/90 sotto il profilo concorrenziale. Ed è proprio l’evidente correlazione tra norma antitrust e disciplina regolatoria, che impone di avviare una riflessione che consenta di prospettare una qualche soluzione più aderente, ma non per questo meno efficace, alle esigenze del mercato e delle imprese consentendo all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato di meglio attendere ai suoi compiti istituzionali con una strumentazione più adeguata e consona alla parallela evoluzione dei modelli organizzativi e di governance delle utilities di natura regolatoria .

3. In questa ottica uno strumento particolarmente utile che offre il nostro ordinamento è quello dei patrimoni destinati ad uno specifico affare.(8) Si tratta di un istituto sinora scarsamente o per nulla applicato e che può assurgere a nuova vita proprio in ambito regolatorio - concorrenziale.

Tale istituto, previsto dagli artt.2447 bis e ss. del codice civile, è stato introdotto dalla legge di riforma del diritto societario con l’intento di consentire nuove forme di cooperazione tra imprese e di diversificazione del rischio. Tale norma consente agli amministratori di società per azioni di individuare ed isolare dal patrimonio sociale uno o più assets patrimoniali destinati al conseguimento di specifici affari per un valore che, in ogni caso, non può eccedere il 10% del patrimonio netto della società.

In relazione al suo oggetto due sono i modelli di patrimonio destinato adottabili: il primo, detto patrimonio destinato operativo, mira a creare all’interno della società un autonomo centro d’imputazione giuridica individuando e separando una quota del patrimonio della società per azioni da destinare ad uno specifico affare ; il secondo, detto patrimonio destinato finanziario, mira invece a disciplinare il contratto di finanziamento di uno specifico affare e di ripartizione dei proventi derivanti dall’affare.

La delibera di costituzione del patrimonio destinato, quale tipico atto di gestione, compete, salvo diversa disposizione dello statuto, all’organo amministrativo e deve essere assunta a maggioranza assoluta dei suoi componenti.

Essa deve indicare: a) l’affare al quale è destinato il patrimonio; b) i beni e i rapporti giuridici compresi in tale patrimonio; c) il piano economico-finanziario da cui risulti la congruità del patrimonio rispetto alla realizzazione dell’affare,le modalità e le regole relative al suo impiego, il risultato che si intende perseguire e le eventuali garanzie offerte ai terzi; d)gli eventuali apporti dei terzi, le modalità di controllo sulla gestione e di partecipazione ai risultati dell’affare; e)la possibilità di emettere strumenti finanziari di partecipazione all’affare,con la specifica indicazione dei diritti che attribuiscono; f) la nomina di una società di revisione per il controllo contabile sull’andamento dell’affare se la società non è già assoggettata alla revisione contabile ed emette titoli sul patrimonio diffusi tra il pubblico in misura rilevante ed offerti ad investitori non professionali; g) le regole di rendicontazione dello specifico affare.

Se si accede alla tesi di quanti - in coerenza con l’intento del legislatore di realizzare una fattispecie “operativamente equivalente alla costituzione di una società ,col vantaggio della eliminazione dei costi di costituzione, mantenimento ed estinzione della stessa” (9) - ritengono che per specifico affare si possa intendere tanto la singola operazione, quanto una serie di operazioni collegate da una finalità unitaria, quanto,infine, un affare abbastanza ampio da potersi identificare nell’attività di un ramo d’azienda (10) , ben si comprende come - una volta individuati e specificati nella delibera di costituzione gli asset patrimoniali, lo specifico affare cui esso è destinato e i soggetti ad esso preposti (11)– sarebbe molto più agevole conferire ai soggetti così individuati ampi poteri di rappresentanza e gestione per la realizzazione dell’affare salvo le limitazioni espressamente indicate.

 Sebbene non mancano perplessità sull’applicabilità di detto istituto ad attività continuative che potrebbero essere difficilmente conciliabili con il concetto di realizzazione (12) dell’affare, quello che, prima facie, rende interessante il modello gestionale per patrimoni destinati è il fatto che esso - limitatamente alla modalità di cui al primo comma lett. a) dell’art.2447 bis c.c. - rappresenta un’interessante alternativa, non ancora adeguatamente esplorata nelle sue potenzialità , all’obbligo di separazione societaria per le società che svolgono servizi di interesse economico generale qualora intendono gestire attività in mercati diversi .

4. Per conseguire ciò occorre porre mano ad una modifica del comma 2bis il quale dovrebbe prevedere espressamente la possibilità per le imprese interessate di ricorrere anche a tale istituto per gestire separatamente le attività non qualificabili come di interesse economico generale.

Il comma 2 bis potrebbe,pertanto, essere così modificato :

2-bis . Le imprese di cui al comma 2, qualora intendano svolgere attività in mercati diversi da quelli in cui agiscono ai sensi del medesimo comma 2, operano mediante società separate ovvero mediante patrimoni destinati ad uno specifico affare ai sensi dell’art.2447 bis del codice civile.

In tal senso si potrebbe anche ipotizzare una soglia dimensionale basata essenzialmente sul fatturato dell’attività da separare e in qualche modo coordinata con il limite massimo del 10% del patrimonio netto della società che può essere destinato ad uno specifico affare, sotto la quale la società potrebbe gestire separatamente un’attività diversa ricorrendo alla costituzione di uno o più patrimoni destinati; mentre qualora il ramo d’attività da separare dovesse superare il suddetto limite del patrimonio netto diventerebbe obbligatorio adottare la separazione societaria. In una tale prospettiva de iure condendo una norma siffatta un qualche problema applicativo potrebbe porre nel caso in cui una società avesse già costituito patrimoni destinati fino alla concorrenza del del 10% del suo patrimonio netto per cui si troverebbe nell’oggettiva impossibilità di costituirne altri per poter continuare a gestire un’attività diversa, magari di modesta entità, per ottemperare al riformato art.8 comma 2bis. Si tratterebbe,verosimilmente, di un’ ipotesi abbastanza residuale che,in linea teorica, merita,tuttavia, di essere considerata. In tale eventualità l’impresa, in base a proprie valutazioni di convenienza imprenditoriale,potrebbe decidere di estinguere taluni patrimoni destinati e costituirne un altro per gestire la suddetta attività e rispettare,così, il sopra indicato limite . Solo ove ciò non fosse possibile si troverebbe nella necessità di adottare la separazione societaria. La cennata proposta di modifica, se recepita, avrebbe l’indubbio effetto di mettere a disposizione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato uno strumento più duttile ed adeguato a gestire le separazioni di attività che potremmo definire de minimis senza costringere le società a restringere,ingiustificatamente, il proprio perimetro di attività .

Sotto tale profilo, inoltre, l’istituto dei patrimoni destinati appare essere, nelle sue linee di fondo, maggiormente rispondente ai principi di proporzionalità (13) ed adeguatezza previsti dal trattato UE, in quanto consente di ottenere, sul piano sostanziale e a tutela della concorrenza, un effetto equivalente (14) a quello di una società ad hoc ovviando agli oneri di costituzione della stessa evitando qualsiasi sussidio incrociato all’interno della società e tra i segmenti della filiera.

 Infine la norma così modificata assolverebbe ,sia per l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato che per l’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas , ad una funzione latamente nomofilattica in quanto costituirebbe un agevole strumento a disposizione del sistema regolatorio-concorrenziale per risolvere,in modo omogeneo, possibili problemi di adeguamento gestionale ed organizzativo che già oggi si presentano,ad esempio, alle imprese energetiche . Basti pensare, per rimanere al secondo dei casi citati, alle attività di teleriscaldamento e gestione calore soggette alla separazione funzionale,sotto il profilo regolatorio, e a quella societaria sotto il profilo antitrust .

Lungi dal voler essere esaustive, queste brevi notazioni vogliono solo sollecitare una riflessione più ampia ed approfondita sull’argomento con l’auspicio che i suoi esiti possano essere forieri di un intervento legislativo di adeguamento quanto mai opportuno.

 

 

di Andrea Pinto*

* Responsabile attività legale regolazione e concorrenza di Italgas S.p.a (Eni)

e-mail: andrea.pinto@mail.italgas.it

 

Note

 

 (1) Cfr. Procedimento A397 Pace Strade/Toscana Gas in Bollettino AGCM n.41/08 in www.agcm.it

 (2) Cfr. Procedimenti SP107-A2A ,SP107B – Aem Distribuzione gas e calore , SP107C – Agam e SP107D – Azienda Servizi Valtrompia, pubblicati sul Bollettino AGCM n.49/2008 in www.agcm.it .

 (3) Nel Procedimento A397 Pace Strade /Toscana Gas l’attività contestata riguardava la realizzazione di opere di metanizzazione nelle sole aree lottizzate ossia un segmento operativo avente un’incidenza assolutamente marginale sul fatturato della Toscana gas . Tale aspetto era stato, peraltro, adeguatamente evidenziato anche dalla società Italgas nell’audizione del 27 maggio 2008 .

 (4) Marchetti-Ubertazzi: “Commentario breve alle leggi sulla proprietà intellettuale e concorrenza”, Padova, 2007, Cedam,p.2824.

 (5) Ibidem.

 (6) Ibidem.

 (7) Relazione tecnica relativa alla Deliberazione 18 gennaio 2007 n.11/07, p.3 in www.aeeg.it

 (8) Sul tema dei patrimoni destinati si rinvia all’ampia monografia di Gennari : “ I patrimoni destinati ad uno specifico affare” Padova, 2005, Cedam

 (9) Relazione al Decreto Legislativo recante “Riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative, in attuazione della legge 3 ottobre 2001 n.366”, in www.notarlex.it ;

 (10) Consiglio Nazionale del Notariato – Studio n.119/2006/I “ I patrimoni destinati:aspetti di interesse notarile”, p.9 in www.notariato.it . Diversamente l’Associazione Desiano Preite bolla il suddetto modello come “un inutile e costoso artificio” rispetto al più collaudato e vantaggioso meccanismo di creazione di una distinta società controllata totalitariamente e inserita nella catena di controllo di un gruppo, cfr.“Il nuovo diritto delle società” Il Mulino, Bologna 2003 p.60;

 (11) ibidem p.10

 (12) Cfr. Cian-Trabucchi : “ Commentario breve al codice civile”,Cedam, Padova, 2004, p.2669;

 (13) G.Tesauro: “Diritto Comunitario”, Cedam, Padova, 2008,p.112 .

 (14) F. Galgano: “Trattato di diritto civile” Cedam, Padova, 2009, III. p.417

HomeSentenzeArticoliLegislazioneLinksRicercaScrivici