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La battaglia dell'acqua PRIVATIZZAZIONE SI, PRIVATIZZAZIONE NO
di Giosuè Nicoletti 20 novembre 2009
Materia: servizi pubblici / disciplina

La battaglia dell’acqua

PRIVATIZZAZIONE SI, PRIVATIZZAZIONE NO

 

Il Governo ha posto ed ottenuto la fiducia della Camera dei Deputati sul provvedimento di conversione del decreto Legge 135 del 25 settembre 09 cosiddetto “salva infrazioni” composto da più di venti articoli riguardanti le più diverse materie: la disciplina dei veicoli fuori uso, la sicurezza del trasporto ferroviario, modifiche al codice dei contratti pubblici, concessioni autostradali, EXPO di Milano, Made in Italy e via dicendo. Uno di questi articoli, il n. 15, riguarda i servizi pubblici locali e reca modifiche all’articolo 23 bis del decreto legge 25 giugno 2008 n. 112 onde adeguarlo (almeno così e rubricato) alla disciplina comunitaria.

Questo articolo ha attirato la maggiore attenzione sia nel dibattito parlamentare (al Senato sono stati presentati più di cento emendamenti tra cui diversi per la soppressione tout court; alla Camera il Governo ha dovuto porre la fiducia per annullarli) sia nei “media”, anche non specializzati. Ma l’area sulla quale si è focalizzato l’interesse, è quella del servizio idrico tant’è che la questione di fiducia, legata soprattutto alla necessità di rispettare il termine per la conversione, è stata associata al problema dell’acqua o meglio alla asserita manovra di privatizzazione.

Ma come stanno le cose? Mi propongo di esprimere un giudizio obbiettivo superando l’animosità con la quale in questi ultimi tempi si è affrontata la questione. Si è parlato infatti di “capitolazione del potere politico, trionfo del mercato e del profitto, fine della democrazia” (1).

Devo dichiarare, come sanno bene amici e colleghi, che non sono un “privatizzatore”; leggo sempre con interesse quanto sostiene nel suo sito l’Istituto Bruno Leoni, ma non ne condivido gli orientamenti (in proposito l’ultimo slogan è per dissetare gli Italiani lo Stato non serve; la privatizzazione dell’acqua: un progetto per mettere ordine un settore ancora disarticolato). Sono un nostalgico delle vecchie aziende municipalizzate (o “speciali”) che si caratterizzavano, oltre che per la loro sostanza anche per la loro forma pubblica (vere “in house”). Ricordando ciò che diceva il grande giurista Jellinek  a proposito dell’attività di diritto privato della pubblica amministrazione, ritengo opportuno che l’impresa pubblica non si debba “ vestire “ da privato (ma in Italia capita di tutto e cioè che la impresa privata si vesta da pubblico: caso delle farmacie comunali con il 70%  di capitale privato che mantengono ditta ed insegna pubblica).

Sul settore idrico più che sugli altri servizi pubblici è da tempo vivissima l’attenzione  degli enti locali, di movimenti di studiosi. Si sostiene correttamente che l’acqua non è una merce (od almeno una merce come tutte le altre) che l’acqua è un bene collettivo, che non può considerarsi un servizio a rilevanza economica e quindi non può essere  abbandonata al mercato. Per questi motivi si è chiesto di stralciarne la disciplina dall’articolo 15. Il Governo ha respinto la richiesta sia per non ritornare al Senato sia, perchè con tutti i servizi “esclusi” dalla normativa ben poco sarebbe rimasto compreso nella riforma che doveva essere generale. La minoranza parlamentare ha reagito vivacemente definendo il provvedimento un “decreto non potabile”.

 

D’altro canto, come si rileva da uno studio dell’Università Bocconi (2) si calcola in 51.000 chilometri il fabbisogno di nuove reti ed in oltre  170.000 kilometri le necessità di rifacimento ,  con una spesa complessiva di 20 miliardi di €; impegno finanziario insostenibile per le autonomie locali.

 

Ma l’inclusione del settore idrico  nell’ articolo 15 di per sé  non comporta la privatizzazione del servizio  (tanto meno la  sua liberalizzazione, come anche in questa occasione si è affermato confondendo i due fenomeni). La risorsa idrica e le reti che la trasportano appartengono  ai beni demaniali   e come tali incedibili; in effetti si sostiene che si vuole “privatizzare” solo le gestioni. Il servizio a rete costituisce un monopolio naturale come tale non “liberalizzabile” nel senso proprio del termine, come si è fatto per l’attività di vendita del gas metano.

 

In sostanza, quale novità apporta l’articolo 15 con particolare riferimento al settore idrico?

 

*          sulla gestione “in house” nulla di rilevante (3) salvo precisare che esse scadono alla data del 31.12.2011. Nulla è mutato circa le tre condizioni richieste (capitale interamente pubblico; servizio esclusivo per  gli enti soci; controllo  dell’ente analogo a quello esercitato sui propri servizi  come pure nulla è mutato circa la richiesta delle condizioni “esterne” richieste dall’Autorità Antitrust (e non postulata da nessun provvedimento dell’Unione europea)  e cioè l’assenza di un mercato anche potenziale. Il che rende l’affidamento in house difficile se non impossibile, ma questa situazione è anteriore al decreto legge 135 (4);

 

*          l’articolo 15 prevede che le gestioni in house possono vedersi prorogato l’affidamento sino alla scadenza prevista dal contratto di servizio a condizione che entro il 31.12.2011 cedano almeno il 40% del capitale. Letteralmente sembrerebbe che queste gestioni proseguano come tali,  anche con un socio privato. Più correttamente - come era possibile nella originaria formulazione dell’articolo 23 bis –  si deve sostenere che l’in house si trasforma in società mista pubblico privata, tant’è che è prevista  identica procedura competitiva ad evidenza pubblica per la contemporanea scelta del socio privato ed affidamento a questo di  specifici compiti operativi. Ovviamente questa operazione è volontaria (non si può parlare di privatizzazione forzata) ma è forte l’incentivo della proroga delle gestioni;

 

 *         sulle società miste la norma, con una modifica apparentemente solo grammaticale ma di grande portata operativa, ha previsto che al socio privato scelto con gara si debba disporre l’attribuzione di specifici compiti operativi anziché dei compiti operativi.

In  altri termini non si è più obbligati a far gestire l’azienda al socio privato ma solo fasi o aree operative specifiche. Non c’è bisogno di sottolineare che in questo modo non si va verso la privatizzazione, ma in senso contrario;

 

*          anche per le società quotate in Borsa è previsto un bonus premiale e cioè il prolungamento degli affidamenti a condizione che riducano, anche progressivamente, la partecipazione pubblica ad una quota non superiore al 40% entro il 30 giugno 2013  e non superiore al 30% entro il 31 dicembre 2015.

 

Il Parlamento ha fatto di più per il settore idrico introducendo una norma (che certamente non accontenta  tutti anche per la scarsa chiarezza) tuttavia denota un’attenzione al problema secondo la quale Tutte le forme di affidamento del servizio idrico integrato di cui all’articolo 23 bis devono avvenire nel rispetto dei principi di autonomia gestionale del soggetto gestore e di piena ed esclusiva proprietà pubblica delle risorse idriche, il cui governo spetta esclusivamente alle istituzioni pubbliche, in particolare in ordine alla qualità e prezzo del servizio, in conformità a quanto previsto dal decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152 garantendo il diritto alla universalità ed alla accessibilità del servizio.

 

Cerchiamo di trarre qualche conclusione: la privatizzazione non è obbligatoria anche se la spinta politica è evidente e, da più parti, anche conclamata come necessaria. Tuttavia il quadro normativo può offrire agli enti locali qualche linea di resistenza. Anzitutto confermando l’in house (qualcuno ha proposto di tornare all’azienda speciale!!) anche dopo la scadenza del 31.12.2011 portando il (quasi certo) parere negativo dell’A.G.C.M. in sede giudiziaria nazionale ed europea. In alternativa, dal momento che il privato può entrare nella compagine sociale, ma non necessariamente in maggioranza e d’altro canto secondo la nuova disciplina non vi è più obbligo di affidargli l’intera gestione (è cioè  di considerarlo un sub concessionario o sub affidatario) ma solo alcuni compiti operativi, l’ente locale può scegliere intelligentemente cosa affidare al medesimo come sempre fanno i Comuni, esternalizzando attraverso gli appalti, alcune attività del tipo:estendimento reti, manutenzioni o fasi ben definite della gestione, ad esempio potabilizzazione.

 

(1) Alex Zanotelli: Lettera aperta in difesa dell’acqua in www.nuovasocieta.it

(2) www.agi.it/news/notizie/2009 

(3) si veda su questo sito il mio articolo del 29 settembre 09

(4) si veda sempre su questo sito il mio articolo del  21 aprile 2009. Ho poi ripreso l’argomento sulla Rivista AZIENDITALIA n°10/09 con uno studio nel quale descrivo il cosiddetto “paradosso del caffè” acutamente proposto dall’avv. Dotto secondo il quale è semplicemente assurda l’ipotesi che avendo un bar nel condominio dove abito o in prossimità non mi sia possibile farmi il caffè in casa! Così pure la pubblica amministrazione può sempre scegliere l’autoproduzione di un servizio alla sola condizione che motivi adeguatamente la scelta.

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