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Il regime transitorio nel nuovo sistema dei servizi pubblici locali.
di Costantino Tessarolo 5 gennaio 2010
Materia: servizi pubblici / disciplina

IL REGIME TRANSITORIO NEL NUOVO SISTEMA DEI SERVIZI PUBBLICI LOCALI

 

 

(*) AVVERTENZA: nel presente lavoro si fa, in alcune parti, riferimento al regolamento di attuazione dell’art. 23-bis del d.l. n. 112/08 conv. dalla l. 133/08 modif. con l’art. 15 del d.l. 135/09 conv. dalla l. 166/09 previsto dal comma 10 dello stesso art. 23-bis. Al riguardo, è doveroso precisare che, al momento, risulta solo approvato dal Consiglio dei ministri nella riunione del 17 novembre 2009 uno «schema» di tale regolamento, il quale, pertanto, è suscettibile di essere modificato prima della sua definitiva emanazione.

 

 

1. Premessa

 

            La disciplina transitoria degli affidamenti dei servizi pubblici locali introdotta nell’art. 23-bis del d.l. 112/08 conv. dalla l. 133/08 (di seguito, in breve, “art. 23-bis”) con l’art. 15 del d.l. 135/09 conv. dalla l. 166/09 si fonda, diversamente da quella prevista dalle originarie disposizioni di cui ai commi 8 e 9 dello stesso art. 23-bis, non sulla tipologia dei servizi, ma sulle modalità attraverso cui è avvenuto l’affidamento e sulla natura giuridica dei soggetti gestori dei servizi.

            E’, quindi, necessario distinguere a seconda che si tratti di affidamenti in house, di affidamenti a società “miste” e di affidamenti a società a partecipazione pubblica quotate in borsa.

            La citata disciplina non riguarda, peraltro, i servizi espressamente esclusi dall’ambito di applicazione dell’art. 23-bis e, perciò, i servizi di distribuzione di gas naturale, di distribuzione di energia elettrica, di gestione delle farmacie comunali, di trasporto ferroviario regionale nonché i servizi strumentali. Inoltre, la disciplina transitoria, recata, ora, dal “nuovo” comma 8 dell’art. 23-bis, non si applica neppure, in virtù del comma 1-bis dell’art. 15 del d.l. 135/09 conv. dalla l. 166/09, al trasporto pubblico locale su gomma, limitatamente, tuttavia, alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e Bolzano.

 

2. Gli affidamenti in house

 

            Gli affidamenti in house presi in considerazione dalla nuova normativa sono quelli in essere alla data del 22 agosto 2008 (cioè alla data di entrata in vigore della l. 133/08 di conversione del d.l. 112/08).

            Per tali affidamenti è prevista una duplice scadenza automatica (senza, quindi, che sia necessaria una apposita deliberazione dell’ente affidante) a seconda che l’affidamento sia “conforme” oppure “non conforme” ai principi comunitari in materia di c.d. in house. Nel primo caso (affidamenti conformi) la scadenza è fissata al 31 dicembre 2011; nel secondo (affidamenti non conformi) al 31 dicembre 2010.

            I “principi comunitari in materia di c.d. in house” sono le c.d. “condizioni Teckal” (dalla nota sentenza della Corte di giustizia europea 18 novembre 1999, C-107/98) per cui il soggetto gestore, oltre ad essere a totale capitale pubblico, dev’essere anche sottoposto al “controllo analogo” da parte dell’ente affidante e svolgere per esso la parte più importante della propria attività.

            Spetta, pertanto, all’ente affidante (comune, provincia, autorità d’ambito, ecc.) accertare se la società a totale capitale pubblico (condizione questa che non può mai mancare) era, al 22 agosto 2008, conforme ai principi comunitari in materia di in house. Se lo era, l’affidamento potrà proseguire sino al 31 dicembre 2011; se non lo era l’affidamento cesserà il 31 dicembre 2010. L’ente affidante, siccome la cessazione dell’affidamento in house avviene ope legis, dovrà, quindi, limitarsi ad accertare se la società affidataria era o non era conforme ai predetti principi comunitari al fine di stabilire il “termine” dell’affidamento e di provvedere ad un nuovo affidamento.

 

2.1. La “trasformazione” delle società in house in società “miste”.

 

            L’art. 23-bis, c. 8, lett. a), secondo periodo, prevede che le gestioni in house possono cessare “alla scadenza prevista nel contratto di servizio” se entro il 31 dicembre 2011 le “amministrazioni” cedono almeno il 40% del capitale della società ad un socio scelto mediante procedura ad evidenza pubblica, che abbia ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e l’attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio.

            Lo scopo della norma è quello di salvaguardare le società in house esistenti e affidatarie del servizio al 22 agosto 2008, che possono “mantenere” la gestione del servizio, sino alla scadenza del contratto di servizio, se vengono “trasformate” in società “miste”, con tutte le conseguenze connesse, non solo in merito alla “selezione del socio” e all’attribuzione al medesimo di “specifici compiti operativi”, ma, altresì, alle caratteristiche proprie della società, in particolare per ciò che concerne il c.d. “controllo analogo”, che non ha più ragione di sussistere (almeno nei rigorosi termini imposti dalla giurisprudenza comunitaria) nel caso di società “mista”.

            La norma citata letteralmente limita la predetta possibilità di “trasformazione” alle società a totale capitale pubblico locale “virtuose”, che siano, cioè, al 22 agosto 2008, conformi ai principi comunitari in materia di c.d. in house e, a tale data, affidatarie dirette di un pubblico servizio locale.

            Quanto dianzi precisato  non significa, però, che un’analoga procedura di “trasformazione”, non possa essere compiuta anche nel caso di società a totale capitale pubblico che, alla data del 22 agosto 2008, pur essendo affidatarie dirette di un servizio pubblico locale, non erano, tuttavia, “conformi” ai principi comunitari in materia di c.d. in house.

            Le società a partecipazione mista pubblica/privata costituiscono una delle due forme “ordinarie” di conferimento della gestione dei servizi pubblici locali (l’altra è, come noto, la concessione a terzi mediante procedure competitive ad evidenza pubblica), sicchè nulla impedisce all’ente locale, titolare del capitale di una società a totale partecipazione pubblica “non conforme” ai principi comunitari in materia di c.d. in house, di affidare la gestione del servizio svolto dalla predetta società ad una società “mista” derivata dalla “trasformazione” della società a totale partecipazione pubblica o, a tutto voler concedere, ad una società “mista” di nuova costituzione in cui far “confluire” l’azienda (ex art. 2555 cod. civ.) della società a totale capitale pubblico. L’unica differenza, rispetto all’ipotesi espressamente contemplata dall’art. 23-bis, c. 8, lett. a), secondo periodo, va ravvisata nel fatto che l’operazione di “trasformazione” di una società in house non conforme ai principi comunitari deve essere compiuta entro il 31 dicembre 2010, mentre quella di una società in house conforme ai detti principi entro il 31 dicembre 2011.

            Il citato art. 23-bis, comma 8, lett. a), secondo periodo, prevede, come detto, che gli affidamenti a società in house “trasformate” in società miste cessano” alla scadenza prevista nel contratto di servizio”. La cessazione dell’affidamento alla società mista derivata dalla “trasformazione” della società in house può, tuttavia, anche essere diversa da quella prevista nel contratto di servizio concluso tra la società in house e l’ente locale affidante. Nel caso, infatti, di scadenza assai ravvicinata, la realizzazione della “trasformazione” della società in house in società mista potrebbe, di fatto, rivelarsi impraticabile, posto che ben difficilmente si troverebbero candidati interessati a partecipare ad una gara per divenire soci di una società la cui gestione del servizio ad essa affidato è destinata a scadere entro un breve periodo. Né potrebbe ovviarsi, rinnovando, alla scadenza dell’affidamento stabilita nel contratto di servizio concluso tra la società in house e l’ente affidante, l’affidamento stesso alla società divenuta, nel frattempo, mista a seguito della cessione almeno del 40% del capitale ad un socio scelto mediante procedura ad evidenza pubblica ed al quale sono stati attribuiti specifici compiti operativi. A tal proposito appare opportuno ricordare che, secondo la giurisprudenza [il cui orientamento il regolamento di attuazione dell’art. 23-bis sembra determinato a recepire: v. art. 3, c. 4, lett. c) dello “schema” approvato dal Consiglio dei ministri nella riunione del 17 novembre 2009], nel caso di affidamento di un pubblico servizio locale ad una società mista, deve essere previsto il rinnovo della selezione del socio privato “alla scadenza del periodo di affidamento”, evitando così che il socio divenga un “socio stabile”; sin dagli atti di gara per la selezione del socio privato dovranno, perciò, essere chiarite le modalità per l’uscita del socio stesso (con liquidazione della sua posizione), per il caso in cui all’esito della successiva gara egli non risulti più aggiudicatario (Cons. St., sez. II, parere n. 456 del 18 aprile 2007).

            Le considerazioni dianzi svolte inducono a ritenere che, nell’ipotesi di affidamento del servizio a società in house “virtuosa” ossia conforme ai principi comunitari, la “trasformazione” della stessa in società mista non necessariamente obblighi l’ente locale affidante a mantenere tale affidamento sino alla “scadenza prevista dal contratto di servizio” concluso tra l’ente affidante e la società in house. E’, infatti, possibile che l’ente affidante disponga un nuovo affidamento alla società mista con la quale, dopo la “trasformazione” e scelta del socio privato, concluderà un nuovo contratto di servizio nel quale verrà anche stabilita la durata dell’affidamento stesso. Conclusione questa che appare addirittura obbligata nel caso di “trasformazione” in società mista di società in house non conforme ai principi comunitari.

            D’altra parte, che, tra l’ente affidante e la società mista derivata dalla “trasformazione” della società in house (sia questa conforme o non conforme ai principi comunitari), debba essere concluso un nuovo contratto di servizio sembra inevitabile, giacchè ben diverse sono le modalità di gestione di un servizio pubblico con il sistema dell’in house providing rispetto a quelle dell’affidamento a società mista, se non altro perché in questo ultimo caso vi è la presenza di un socio privato con una quota di capitale tutt’altro che trascurabile (minimo 40%) e al quale sono attribuiti specifici compiti operativi e che è, quindi, destinato ad esercitare la sua influenza non solo sull’organizzazione aziendale, ma anche sulle stesse modalità di erogazione del servizio.

 

2.2. Gli affidamenti in house successivi al 22 agosto 2008.

 

            Dalle scadenze del 31 dicembre 2010 e del 31 dicembre 2011 sono escluse le società a totale capitale pubblico locale che siano affidatarie in house del servizio da data successiva al 22 agosto 2008. In tal caso occorre, però, che la società in house non solo sia “conforme” ai principi comunitari, ma, altresì, che ricorrano le condizioni ulteriori previste dal comma 3 dell’art. 23-bis e che sia stata svolta la procedura necessaria per l’espressione del parere da parte dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato. Non pare, invece, che sia indispensabile che tale parere sia stato favorevole, atteso che il parere dell’Autorità, come noto, pur essendo obbligatorio non è, comunque, vincolante. Se, quindi, l’ente affidante ha “confermato” l’affidamento ad una società  in house nonostante il parere contrario dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, il predetto affidamento resta fermo, salvo naturalmente che la delibera di “conferma” non sia stata annullata (o sospesa) in sede giurisdizionale.

            Vi è ancora da considerare che con il regolamento governativo ex comma 10 dell’art. 23-bis dovranno essere stabilite le “soglie” oltre le quali gli affidamenti dei servizi pubblici locali assumono rilevanza ai fini dell’espressione del parere che deve essere reso dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato (comma 4-bis, art. 23-bis, introdotto con l’art. 15 del d.l. 135/2009 conv. dalla l. 166/2009).

            Il menzionato “schema” di regolamento approvato dal Consiglio dei ministri il 17 novembre 2009 prevede, al riguardo, che “gli affidamenti ai servizi pubblici locali assumono rilevanza ai fini dell’espressione del parere di cui all’art. 23-bis, comma 4, se il valore economico del servizio oggetto dell’affidamento supera la somma complessiva di 200.000,00 euro. Il detto parere è comunque richiesto, a prescindere dal valore economico del servizio, qualora la popolazione interessata sia superiore a 50.000 unità”.

            Da tale disposizione si ricava che:

a)         qualora la “popolazione interessata” sia superiore a 50.000 unità, il parere dev’essere sempre richiesto;

b)         qualora la “popolazione interessata” sia uguale o inferiore a 50.000 unità, il parere deve essere richiesto solo se il valore economico del servizio oggetto dell’affidamento supera la somma complessiva di € 200.000,00.

In disparte, la difficoltà di stabilire cosa si intende per “valore economico del servizio” e per “popolazione interessata”, resta il fatto che per i servizi c.d. “sotto soglia”, la richiesta di parere non è necessaria. Ne consegue che, ove il parere sia stato richiesto da enti locali che hanno affidato, dopo il 22 agosto 2008, in house un servizio pubblico, considerato ora “sotto soglia” e tale parere sia stato “sfavorevole”, gli enti locali stessi (che non hanno “confermato” l’affidamento) potranno nuovamente deliberare l’affidamento in house senza, questa volta, richiedere il parere all’Autorità garante della concorrenza e del mercato.

Come si è detto, nel caso in cui il servizio sia “sotto soglia”, gli enti locali affidanti non sono tenuti a richiedere all’Autorità il “parere di cui all’art. 23-bis, comma 4”. Ora, atteso che il parere deve essere richiesto “nei casi di cui al comma 3” dell’art. 23-bis e che, in virtù del comma 4-bis del medesimo art. 23-bis, il parere non va richiesto ove si tratti di servizi “sotto soglia”, se ne deduce che tali servizi non rientrano “nei casi di cui al comma 3” per cui l’affidamento diretto di un servizio “sotto soglia” non è sottoposto alla sussistenza delle ulteriori condizioni previste dal comma 3 citato, ma solo all’osservanza dei principi comunitari in materia di c.d. in house.

 

2.3. L’affidamento in house del servizio idrico.

 

            L’art. 4, comma 2, dello “schema” del regolamento di attuazione dell’art. 23-bis approvato dal Consiglio dei ministri il 17 novembre 2009 prevede, con esclusivo riferimento ai “servizi relativi al settore idrico”, che l’ente affidante può rappresentare all’Autorità garante della concorrenza e del mercato specifiche condizioni di efficacia che rendono la gestione c.d. “in house” non distorsiva della concorrenza, ossia comparativamente non svantaggiosa per i cittadini rispetto a una modalità alternativa di gestione dei servizi pubblici.

            E’ evidente che con la citata disposizione si intendono “salvare” le gestioni in house “efficienti” dei servizi idrici (che, pertanto, non cesseranno alle scadenze del 31 dicembre 2010 o del 31 dicembre 2011), dando per scontato che tali gestioni, ove rispettino le condizioni stabilite nel comma 2 dell’art. 4 del “regolamento”, sono più convenienti per i cittadini e, quindi, per ciò solo, non distorsive della concorrenza.

            Le condizioni di “efficienza” previste dalla citata disposizione regolamentare sono le seguenti:

a)         chiusura dei bilanci in utile, escludendosi a tal fine qualsiasi trasferimento non riferito a spese per investimenti da parte dell’ente affidante o altro ente pubblico;

b)         reinvestimento nel servizio almeno dell’80% degli utili per l’intera durata dell’affidamento;

c)         applicazione di una tariffa media inferiore alla media di settore;

d)        raggiungimento di costi operativi con una incidenza sulla tariffa che si mantenga al di sotto della media di settore.

Dal tenore letterale della norma, appare chiaro che le condizioni di “efficienza” necessarie per ottenere l’affidamento in house dei servizi idrici hanno carattere cumulativo, sicchè anche la mancanza di una sola delle dette condizioni determina l’impossibilità di procedere ad una tale forma di affidamento. Al contrario, se le predette condizioni sussistono, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato non può che emettere un parere favorevole. Ciò, peraltro, determina che, con la norma regolamentare in esame viene, di fatto, disapplicato il comma 3 dell’art. 23-bis, che, come si è visto, consente l’affidamento in house (sopra soglia) solo se ricorrono “situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace ed utile ricorso al mercato”. Del resto, ritenere che le condizioni previste nel comma 2 dell’art. 4 del “regolamento” si aggiungano (e non sostituiscano) alle condizioni di cui al comma 3 dell’art. 23-bis, significherebbe rendere ancora più difficile di quanto già non lo sia l’affidamento in house dei servizi idrici, in palese contrasto con lo spirito della norma regolamentare che è quello di “premiare” le gestioni in house “efficienti” e che siano “convenienti” per i cittadini.

Anche a voler trascurare tale aspetto, che potrebbe portare a considerare la norma regolamentare illegittima, appare, comunque, contraddittorio l’obbligo, con essa imposto al soggetto gestore in house, di realizzare utili e, nel contempo, di praticare “una tariffa media inferiore alla media di settore”. Sarebbe stato, invero, più logico, nell’ottica di un contenimento della tariffa, prevedere che il soggetto gestore sia tenuto a coprire i costi con i ricavi (proventi tariffari), fermo restando che, in caso di conseguimento di utili, questi dovranno essere integralmente (non almeno l’80%) reinvestiti nel servizio. D’altra parte, il reinvestimento degli utili nel servizio non pare misura in grado di risolvere il problema dell’adeguamento delle infrastrutture idriche, giacchè, considerato il già ricordato obbligo di praticare una tariffa media inferiore alla media di settore, è da presumere che gli utili realizzati (eventualità che non può essere esclusa) saranno, comunque, di entità modesta. Resta ancora da osservare che la norma regolamentare in esame non indica con quali modalità debba essere calcolata la tariffa media di settore né stabilisce quale sia l’organismo competente a determinarla. E’, inoltre, da notare che la detta norma prevede condizioni di “efficienza” gestionale solo con riferimento a parametri economici, mentre trascura del tutto quelli inerenti alla qualità del servizio idrico, che, invece, sono di sicura rilevanza per assicurare, appunto, una efficiente gestione del servizio stesso.

            I commi 3 e 4 del “regolamento” disciplinano la procedura volta ad accertare che, nel caso specifico, ricorrano effettivamente le condizioni di efficienza, che rendono legittimo l’affidamento in house del servizio idrico. Al riguardo è stabilito che la sussistenza delle condizioni predette dev’essere dichiarata “dall’ente affidante sotto la personale responsabilità del suo legale rappresentante”. L’Autorità garante della concorrenza e del mercato dovrà, quindi, tenere “espressamente conto” delle condizioni rappresentate nella “dichiarazione” resa dall’ente affidante. La norma citata non prevede che la dichiarazione suddetta sia accompagnata da documentazione idonea a dimostrare l’esistenza delle condizioni in questione. Sembrerebbe, peraltro, che l’allegazione di tale documentazione non sia necessaria, posto che, come detto, la dichiarazione è resa “sotto la personale responsabilità del legale rappresentante dell’ente affidante”. Il che, logicamente, dovrebbe significare che l’Autorità sia tenuta ad accettare quanto il legale rappresentante dell’ente affidante attesta in ordine alla sussistenza delle condizioni necessarie per l’affidamento in house.

            L’effettivo rispetto delle condizioni che hanno consentito l’affidamento in house del servizio idrico dev’essere verificato annualmente dall’ente affidante. Nel caso in cui le condizioni suddette non siano rispettate, l’ente affidante procede alla revoca dell’affidamento e al conferimento della gestione del servizio mediante procedura competitiva ad evidenza pubblica o a società “mista” di cui al comma 2, lett. b), dell’art. 23-bis (art. 4, c. 4, “regolamento”).

            La citata norma regolamentare prevede, altresì, che gli esiti della verifica annuale effettuata dall’ente affidante devono essere inviati all’Autorità garante della concorrenza e del mercato, la quale può “segnalare” all’ente affidante che occorre procedere alla revoca dell’affidamento in house del servizio non avendo il soggetto gestore rispettato le condizioni che hanno reso possibile tale affidamento. Non è, però, chiaro il ruolo che deve rivestire nell’occasione l’Autorità, giacchè l’ente affidante non dovrebbe aver bisogno di alcuna “segnalazione” per procedere alla revoca dell’affidamento in house, avendo proprio esso accertato il venir meno delle condizioni che l’avevano consentito.

            La revoca dell’affidamento per il mancato rispetto, per un solo anno, delle condizioni previste dal comma 2 dell’art. 4 del “regolamento” appare una misura eccessiva e perciò sproporzionata, in quanto il mancato rispetto delle predette condizioni può essere dipeso da ragioni del tutto contingenti e indipendenti dalla volontà o dalla capacità del soggetto gestore e che, pertanto, non possono, di per sé, costituire sintomo di una gestione inefficiente. Va in ogni caso sottolineato che trattandosi, nella specie, di revoca c.d. decadenziale (per inadempimento), il provvedimento dell’ente affidante, avendo funzione sanzionatoria, deve essere, non solo congruamente motivato, ma anche, di regola, preceduto dalla contestazione degli addebiti o dalla diffida a porre fine all’inadempimento.

 

3. Gli affidamenti a società mista

 

            Per ciò che concerne le società “miste”, la legge [c. 8, lett. b) e c), dell’art. 23-bis] formula tre ipotesi: (i) che il socio della società non sia stato selezionato mediante procedura ad evidenza pubblica; (ii) che il socio della società sia stato selezionato mediante procedura ad evidenza pubblica, senza, tuttavia, attribuire ad esso compiti operativi connessi alla gestione del servizio; (iii) che il socio della società non solo sia stato selezionato mediante procedura ad evidenza pubblica, ma che gli siano stati, altresì, attribuiti compiti operativi connessi alla gestione del servizio.

            Nelle prime due delle suddette ipotesi, gli affidamenti cessano, improrogabilmente e senza necessità di apposita deliberazione dell’ente affidante, rispettivamente, il 31 dicembre 2010 e il 31 dicembre 2011; nella terza ipotesi alla scadenza prevista nel contratto di servizio.

            Con le riferite disposizioni, il legislatore ha, indubbiamente, inteso ricondurre il fenomeno delle società “miste” nell’alveo del diritto comunitario.

            Le società miste rappresentano una forma di partenariato pubblico/privato (PPP) da equipararsi alle concessioni ossia una forma di collaborazione tra autorità pubbliche e imprese private in cui il privato viene coinvolto nella gestione del servizio (cfr. Commissione europea, Libro verde 30 aprile 2004 relativo ai partenariati pubblico-privati ed al diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni). Gli artt. 43, 49 e 86 del Trattato CE non ostano, secondo la giurisprudenza comunitaria, all’affidamento diretto di un pubblico servizio a una società mista pubblico/privato “costituita specificamente al fine della fornitura di detto servizio e con oggetto sociale esclusivo”, a condizione, tuttavia, che “il socio privato sia selezionato mediante una procedura ad evidenza pubblica, previa verifica dei requisiti finanziari, tecnici, operativi e di gestione riferiti al servizio da svolgere e delle caratteristiche dell’offerta in considerazione delle prestazioni da fornire” e che “detta procedura di gara rispetti i principi di libertà di concorrenza, di trasparenza e di parità di trattamento imposti dal Trattato CE per le concessioni” (Corte giust. europea, 15 ottobre 2009, C-196/08).

            Ora è chiaro che le società miste di cui alle lett. b) e c) del comma 8 dell’art. 23-bis – o perché il socio privato non è stato selezionato mediante una procedura ad evidenza pubblica o perché al socio privato, pur selezionato mediante una tale procedura, non sono stati attribuiti specifici compiti operativi (c.d. “socio generalista”: cfr. Cons. St., sez. II, parere n. 456 del 18 aprile 2007) – non corrispondono al modello di società mista così come delineato dalla giurisprudenza comunitaria e, a dire il vero, anche da quella interna (v. il già citato parere del Cons. St., sez. II, n. 456/2007, nonché Cons. St. ad plen., 3 marzo 2008, n. 1, sez. V, 23 ottobre 2007, n. 5587 e sez. VI, 16 marzo 2009, n. 1555).

            A dette società, in quanto non conformi ai principi comunitari, non poteva, quindi, essere affidata direttamente (o, meglio, senza l’espletamento di una “seconda gara”: cfr. Cons. giust. amm. reg. sic., 27 ottobre 2006, n. 589) la gestione di un pubblico servizio per cui non appare irragionevole che il legislatore abbia disposto la cessazione degli affidamenti ad esse effettuati entro determinati termini (forse un po’ troppo ristretti).

            Alla medesima conclusione, il legislatore non poteva pervenire nel caso di società miste conformi ai principi comunitari, a nulla rilevando che la partecipazione del socio privato in dette società sia, eventualmente, inferiore a quella minima (40%) prevista dalla lett. b), del comma 2, dell’art. 23-bis, trattandosi di condizione non richiesta dal diritto comunitario e che, essendo stata introdotta per la prima volta con l’art. 15 del d.l. 135/2009, non può avere efficacia retroattiva.

            Resta, invece, fermo che il socio privato anche se scelto con gara pubblica e con l’attribuzione di specifici compiti operativi, dovrà alla scadenza del periodo di affidamento stabilito nel contratto di servizio, uscire dalla società, per il caso in cui all’esito della nuova gara, non risulti più aggiudicatario (cfr. Cons. St., sez. II, parer n. 456/2007, cit.).

 

4. Le società a partecipazione pubblica quotate in borsa.

 

            Le società a partecipazione pubblica quotate in borsa di cui si occupa l’art. 23-bis, comma 8 (come sostituito dall’art. 15 del d.l. 135/2009 conv. dalla l. 166/2009) sono quelle la cui quotazione è avvenuta entro il 1 ottobre 2003, nonché le società da esse controllate ai sensi dell’art. 2359 cod. civ. Tali società hanno diritto di mantenere gli affidamenti diretti assentiti alla predetta data del 1 ottobre 2003 sino alla scadenza prevista nel contratto di servizio, se la partecipazione pubblica si riduce, anche progressivamente, attraverso procedure ad evidenza pubblica o forme di collocamento privato presso investitori qualificati e operatori industriali, ad una quota non superiore al 40% entro il 30 giugno 2013 e non superiore al 30% entro il 31 dicembre 2015. Nel caso in cui le predette condizioni non si verifichino, gli affidamenti assentiti alle società a partecipazione pubblica quotate in borsa al 1 ottobre 2003 e alle loro controllate ai sensi dell’art. 2359 cod. civ., cessano improrogabilmente e senza apposita deliberazione dell’ente affidante, rispettivamente alla data del 30 giugno 2013 o del 31 dicembre 2015.

            Il precedente specifico concernente la scadenza delle concessioni affidate a società a partecipazione pubblica quotate in borsa si rinviene nel comma 15-bis, periodo 3, dell’art. 113 del t.u. 267/2000 (TUEL), introdotto dall’art. 4, comma 234 della l. n. 350/2003 (legge finanziaria 2004), il quale, nel prevedere (periodo 1), in generale, che “le concessioni rilasciate con procedure diverse dall’evidenza pubblica cessano comunque entro e non oltre la data del 31 dicembre 2006, senza apposita deliberazione dell’ente affidante”, escludeva dalla cessazione “le concessioni affidate alla data del 1 ottobre 2003 a società già quotate in borsa e a quelle direttamente partecipate a tale data a condizione che siano concessionarie esclusive del servizio”. L’esclusione non era sine die perché la norma citata prevedeva che le concessioni in questione cessavano “allo spirare del termine equivalente a quello della durata media delle concessioni aggiudicate nello stesso settore a seguito di procedura di evidenza pubblica, salva la possibilità di determinare caso per caso la cessazione in una data successiva qualora la stessa risulti proporzionata ai tempi di recupero di particolari investimenti effettuati da parte del gestore”.

            Il comma 8, lett. d), dell’art. 23-bis, nel segno, dunque, di una sostanziale continuità con il comma 15 bis dell’art. 113 del TUEL, ha limitato la proroga degli affidamenti diretti effettuati a società a partecipazione pubblica quotate in borsa (e loro controllate) a quelle delle predette società che avevano gli affidamenti in essere al 1 ottobre 2003 e che, in tale data, erano anche già quotate. Diversamente dal comma 15-bis dell’art. 113 del TUEL, la cui ambigua formulazione lasciava spazio ad ogni tipo di interpretazione, la menzionata disposizione dell’art. 23-bis indica, invece, le date di cessazione degli affidamenti assentiti a società a partecipazione pubblica quotate in borsa al 1 ottobre 2003. La particolarità di detta norma sta nel fatto che essa mantiene, nell’intento di favorire da privatizzazione delle società quotate (ma, sembrerebbe, in controtendenza rispetto ai principi comunitari in materia di in house), gli affidamenti diretti alle società in questione (e loro controllate) sino “alla scadenza prevista nel contratto di servizio”, se, in tali società, aumenta la partecipazione privata e quanto più la partecipazione stessa aumenta.

            Da ultimo, merita di essere segnalato che con il comma 8, lett. d), dell’art. 23-bis sono state ampliate le modalità attraverso le quali le amministrazioni pubbliche possono cedere le partecipazioni da esse detenute in società quotate. Infatti, mentre il comma 15-bis dell’art. 113 del TUEL prevedeva, quale unica modalità di cessione, la procedura ad evidenza pubblica, la citata norma dell’art. 23-bis ha aggiunto a tale modalità (che, quindi, resta) quella del collocamento privato presso investitori qualificati e operatori industriali.

 

5. I settori esclusi

 

            Le disposizioni concernenti il periodo transitorio previste dall’art. 23-bis, così come del resto tutte le altre, non si applicano, come anticipato in premessa, ai c.d. settori esclusi (distribuzione di gas naturale, distribuzione di energia elettrica, gestione delle farmacie comunali, trasporto ferroviario regionale, servizi strumentali) per i quali valgono, ove esistenti, le specifiche discipline di settore. In effetti norme specifiche che disciplinano il periodo transitorio sono previste per i soli servizi di distribuzione di gas naturale e di energia elettrica. Un caso a sé è rappresentato dal trasporto pubblico locale per il quale la disciplina transitoria recata dall’art. 23-bis non è applicabile, ma unicamente se il detto servizio si svolge nel territorio delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e Bolzano.

             Il periodo transitorio relativo al servizio di distribuzione di gas naturale era  stato,   inizialmente,   fissato in cinque anni a decorrere dal 31 dicembre 2000 e, quindi, con scadenza al 31  dicembre 2005  (art.  15,   c. 7, d.l.vo 23   maggio  2000,  n.   164). Il detto periodo poteva, tuttavia, essere “incrementato” al verificarsi di determinate condizioni di crescita sul mercato dei soggetti gestori, che dovevano realizzarsi entro il 31 dicembre 2004. L’incremento, essendo consentita la sommatoria delle condizioni da cui dipendeva, poteva andare da un minimo di un anno ad un massimo di cinque. Le disposizioni suddette valevano, peraltro, per i soli affidamenti e concessioni effettuati senza gara, posto che quelli attribuiti con gara venivano, invece, “mantenuti per la durata in essi stabilita […] e comunque per un periodo non superiore a dodici anni a partire dal 31 dicembre 2000” (art. 15, c. 10, d.l.vo 164/2000).

            Nell’approssimarsi della scadenza del periodo transitorio “ordinario” (31 dicembre 2005), il legislatore è intervenuto, prorogando al 31 dicembre 2007 tale scadenza e stabilendo un “automatico” prolungamento della stessa al 31 dicembre 2009 al verificarsi di “almeno una” delle condizioni indicate al comma 7 dell’art. 15 del d.l.vo 164/2000. I termini del 31 dicembre 2007 e del 31 dicembre 2009 potevano, poi, essere prorogati di un anno (con conseguente scadenza al 31 dicembre 2008 e al 31 dicembre 2010), “con atto dell’ente locale affidante o concedente, per comprovate e motivate ragioni di pubblico interesse”. Inoltre, agli enti locali veniva riconosciuta la facoltà, se prevista nell’atto di affidamento o di concessione, di esercitare il “riscatto anticipato durante il periodo transitorio” (art. 23, c. 1, 2 e 3, d.l. 30 dicembre 2005, n. 273, conv. dalla l. 23 febbraio 2006, n. 51), al fine di consentire agli enti locali medesimi di affidare il servizio mediante gara, essendo questa, nel sistema del d.l.vo 164/2000, l’unica modalità attraverso cui poteva (e può) avvenire l’affidamento del servizio in questione.

            I termini del 31 dicembre 2007 e del 31 dicembre 2009 sono stati ulteriormente prorogati di due anni con l’art. 46-bis, c. 3, del d.l. 1 ottobre 2007, n. 159 conv. dalla l. 29 novembre 2007, n. 222. Tale disposizione ha avuto, però, vita assai breve, essendo stata integralmente sostituita con l’art. 2, c. 175, della l. 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008), a sua volta, modificato dall’art. 23-bis, c. 1, periodo 4, del d.l. 112/08 conv. dalla l. 133/08, introdotto con l’art. 15 del d.l. 135/09 conv. dalla l. 166/09. In virtù del combinato disposto delle norme da ultimo citate risulta che: a) le gare per l’affidamento del servizio di distribuzione di gas devono essere bandite per bacini ottimali di utenza; b) a tal fine è, però, necessario che prima vengano individuati gli ambiti territoriali minimi con provvedimento da adottare (dal Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro per i rapporti con le regioni, sentite la Conferenza unificata di cui al d.l.vo n. 281 del 1997 e l’Autorità per l’energia elettrica e il gas) entro il 31 dicembre 2012, tenendo anche conto delle interconnessioni degli impianti di distribuzione e con riferimento alle specificità territoriali e al numero dei clienti finali. In ogni caso l’ambito non può essere inferiore al territorio comunale; c) la gara per l’affidamento del servizio, infine, va bandita per ciascun bacino ottimale entro due anni dall’individuazione degli ambiti territoriali minimi.

            Nel consegue che le scadenze degli affidamenti e delle concessioni effettuati senza gara (per quelli effettuati con gara, anche se bandita successivamente all’entrata in vigore del d.l.vo  164/2000, resta ferma la scadenza “naturale”) dovranno essere determinate con riferimento al citato provvedimento ministeriale che individuerà  gli ambiti territoriali minimi in cui i comuni verranno ricompresi. Dalla data di emanazione di tale provvedimento decorreranno, infatti, i due anni entro i quali dovrà essere bandita la gara per l’affidamento del servizio. Sino a quando il nuovo affidatario o concessionario non inizierà la propria attività, gli affidamenti e le concessioni in essere si devono, pertanto, considerare prorogati ope legis.

L’attività di distribuzione dell’energia elettrica è svolta in regime di concessione rilasciata dal Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato (ora dello sviluppo economico). Per ogni ambito comunale può essere rilasciata una sola concessione di distribuzione (artt. 1, c. 1 e 9, c. 3, d.l.vo 79/99). La gara per l’affidamento del servizio predetto deve essere indetta non oltre il quinquennio precedente la scadenza del periodo transitorio e, quindi, non oltre il 31 dicembre 2025. Alle imprese distributrici operanti al 1° aprile 1999 (data di entrata in vigore del d.l.vo 79/99) è stato, infatti, attribuito il diritto di continuare a svolgere il servizio di distribuzione sulla base di concessioni rilasciate dal Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato (ora dello sviluppo economico) e “aventi scadenza il 31 dicembre 2030” (art. 9, c. 1, d.l.vo cit.).

   Nel settore del  trasporto pubblico locale, la durata del periodo transitorio, originariamente fissata al 31 dicembre 2003 (con il c. 3-bis dell’art. 18 del d.l.vo 422/97 aggiunto dall’art. 1, c. 6, del d.l.vo 20 settembre 1999, n. 400), è stata prorogata al 31 dicembre 2005 (con l’art. 23, c. 3-bis del d.l. 24 dicembre 2003, n. 355 conv. dalla l. 27 febbraio 2004, n. 47) e, poi, al 31 dicembre 2006 (con l’art. 1, c. 394 della l. 23 dicembre 2005, n. 266). La durata al 31 dicembre 2006 del periodo transitorio era, comunque, quella massima e ciò nel senso che le regioni potevano prevederne anche una minore (o, al limite, non prevederla affatto). Nel corso del periodo transitorio, le regioni avevano, ai sensi del c. 3-bis dell’art. 18 del d.l.vo 422/97 (aggiunto, come detto, dall’art. 1, c. 6, del d.l.vo 400 del 1999), la facoltà di mantenere tutti gli affidamenti ai concessionari in essere ed alle società derivanti dalla trasformazione delle aziende speciali e consorzi. In sostanziale conformità, il c. 3-quater dell’art. 18 del d.l.vo 422/97 (aggiunto con l’art. 1, c. 393 della l. 266/05) prevedeva, a sua volta, che durante il periodo transitorio “i servizi di trasporto pubblico regionale e locale possono continuare ad essere prestati dagli attuali esercenti, comunque denominati”. La durata del periodo transitorio poteva dalle regioni essere prorogata agli “attuali esercenti” per ulteriori due anni, con conseguente slittamento della scadenza di detto periodo al 31 dicembre 2008, se ricorrevano le condizioni stabilite dal c. 3- ter dell’art. 18 del d.l.vo 422/97 (aggiunto, al pari del già citato c. 3-quater e dei successivi commi 3-quinquies, 3-sexies e 3-septies, dall’art. 1, c. 394 della l. 266/05 e modif. con l’art. 3, c. 2-bis, del d.l. 30 dicembre 2005, n. 273 conv. dalla l. 23 febbraio 2006, n. 51).

            Successivamente a tale ultima proroga non ne sono state previste altre, salvo quelle, peraltro di carattere generale, stabilite con l’originario comma 9 dell’art. 23-bis e ora dal comma 8 di detta disposizione nella nuova versione introdotta con l’art. 15 del d.l. 135/09 conv. dalla l. 166/09.

            Con il comma 1-bis del citato art. 15 del d.l. 135/09 sono stati, tuttavia, “fatti salvi”, nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e Bolzano, i contratti di servizio in materia di trasporto pubblico locale su gomma di cui all’art. 61 della l. 23 luglio 2009, n. 99 in atto al 25 novembre 2009 (data di entrata in vigore della legge 166/09 di conversione del d.l. 135/09).

            L’art. 61 della l. n. 99 del 2009 prevede che “[…] le autorità competenti all’aggiudicazione di contratti di servizio [di trasporto pubblico locale], anche in deroga alla disciplina di settore, possono avvalersi delle previsioni di cui all’art. 5, paragrafi 2, 4, 5 e 6 e all’art. 8 paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 1370/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2007”.

            In virtù del rinvio operato dal c-1-bis dell’art. 15 all’art. 61 della l. n. 99 del 2009 e da quest’ultimo all’art. 5, paragrafi 2,4,5 e 6 e, soprattutto, all’art. 8, paragrafo 2 del regolamento (CE) n. 1370/2007, ne risulta, in buona sostanza, che i contratti di servizio in materia di trasporto pubblico locale, nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e Bolzano, si devono intendere prorogati sino al 1 dicembre 2019. L’art. 8, paragrafo 2, del citato regolamento comunitario prevede, infatti, che le disposizioni del regolamento stesso che determinano le modalità di affidamento del servizio, ossia le disposizioni di cui all’art. 5, si applicano a decorrere dal 2 dicembre 2019. Sino a tale data tutti gli affidamenti in essere sono, quindi, nelle predette regioni e province, mantenuti agli attuali gestori.

            Il termine del 2 dicembre 2019 può, peraltro, anche essere superato e arrivare alla sua naturale scadenza se l’affidamento è stato effettuato: a) prima del 26 luglio 2000 in base ad un’equa procedura di gara; è da notare che, in tal caso, la durata dell’affidamento non ha limiti che non sia quello, appunto, della scadenza naturale; b) prima del 26 luglio 2000 in base ad una procedura diversa  da un’equa procedura di gara; c) dal 26 luglio 2000 al 2 dicembre 2009 in base ad un’equa procedura di gara; in questi due ultimi casi è previsto che gli affidamenti in essere restano in vigore fino alla loro scadenza, “ma per non più di trenta anni”; d) dal 26 luglio 2000 al 2 dicembre 2009 in base ad una procedura diversa da un’equa procedura di gara; anche in questo caso, gli affidamenti restano in vigore fino alla loro scadenza, purchè, però, abbiano una “durata limitata comparabile a quelle di cui all’art. 4” e, cioè, non superiore a dieci anni ove si tratti di servizi di trasporto con autobus e a 15 anni ove si tratti di servizi di trasporto di passeggeri per ferrovia o altri modi di trasporto su rotaia o “misti” (ossia con autobus e per ferrovia o tram) se i trasporti per ferrovia e altri modi di trasporto su rotaia rappresentano oltre il 50% del valore dei servizi. I contratti di servizio possono, comunque, restare in vigore fino alla loro scadenza solo qualora la loro risoluzione comporti indebite conseguenze giuridiche e a condizione che la Commissione europea dia il suo assenso (art. 8, paragrafo 3, regolamento (CE) cit.).

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