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La natura tributaria della TIA implica la qualificazione del servizio di igiene ambientale come appalto di servizi? Analisi delle implicazioni della sentenza n° 238/2009 della Corte Costituzionale
di Luca Manassero 8 febbraio 2010
Materia: ambiente / rifiuti

 

1 La natura tributaria della Tariffa di Igiene Ambientale: la sentenza della Corte Costituzionale 24.7.2009 n° 238

 

Le conseguenze della sentenza della Corte Costituzionale n° 238 del 24 luglio 2009 (1) (confermata dall’Ordinanza della medesima Corte n° 300 del 20 novembre 2009) stanno assurgendo via via più urgentemente alla ribalta delle cronache in materia di servizi pubblici locali, tant’è che, da più parti, si invoca insistentemente un intervento risolutivo del legislatore (2).

In tale pronuncia, in estrema sintesi, la Corte ha stabilito che la Tariffa di Igiene Ambientale prevista dall’art. 49 del D.Lgs n° 22/1997 (Decreto Ronchi), al pari dalla TARSU di cui al D.Lgs n° 507/93, ha natura tributaria e non patrimoniale, con conseguente non assoggettabilità ad IVA.

In realtà, la pronuncia della Consulta, come si vedrà, è suscettibile di implicazioni giuridiche di ben più vasta portata, tali da coinvolgere l’intero campo dei servizi pubblici di igiene ambientale.

A sottolineare la rilevanza del tema si sono registrate, infine, ben due interrogazioni parlamentari, con cui è stato chiesto al Governo quali misure esso intenda assumere in relazione al problema dell’applicabilità dell’IVA alla TIA ed alle conseguenze per i consumatori, per gli Enti Locali e per i Gestori in attuazione della citata sentenza della Corte n° 328/2009 (3).

La questione della natura patrimoniale o tributaria della TIA è stata oggetto, negli ultimi anni, di un acceso dibattito, che ha registrato pronunce giurisprudenziali di segno contrastante.

Secondo un orientamento (Cass, S.U., Ordinanza n° 3274 del 15 febbraio 2006) la TIA non avrebbe natura tributaria, ma di corrispettivo del servizio di raccolta, trasporto e smaltimento rifiuti, ciò conseguendo alla circostanza che la TIA dev’essere determinata in modo da assicurare la integrale copertura dei costi, nonché dall’assenza di una specifica disciplina in materia di accertamento, sanzioni e contenzioso, ed infine dalla sua soggezione ad IVA.

Altre pronunce, al contrario (4), hanno affermato la natura tributaria della TIA, sul presupposto che trattasi di prestazione interamente regolata dalla legge, che prescinde da qualsiasi accordo negoziale, senza alcun nesso di corrispettività con il servizio svolto, in quanto il prelievo è commisurato ad indicatori meramente presuntivi di produttività dei rifiuti.

Nel solco di tale secondo filone interpretativo si pone la sentenza della Corte Costituzionale n° 238/2009, che pone fine alla vicenda.

La Consulta si è pronunciata, in via diretta, in ordine alla legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, secondo periodo, del Decreto Legislativo 31 dicembre 1992 n° 546, che assegna alla giurisdizione tributaria le controversie relative alla debenza del canone per lo smaltimento dei rifiuti urbani. Per appurare la legittimità costituzionale di tale norma si è reso necessario, preliminarmente, stabilire se la Tariffa di Igiene Ambientale avesse o meno carattere tributario: nel primo caso la norma (che attribuisce al giudice tributario la competenza in materia) sarebbe stata immune da vizi sotto il profilo costituzionale.

La Corte, al riguardo, ha statuito che la Tariffa di Igiene Ambientale (TIA) di cui all’art. 49 del D.Lgs. n° 22/1997 presenta tutte le caratteristiche del tributo, ossia:

-           la doverosità del prelievo (i servizi debbono essere obbligatoriamente istituiti e l’utente non può sottrarsi al prelievo non valendosi dei servizi stessi);

-           la mancanza di un rapporto sinallagmatico tra le parti;

-           il collegamento del prelievo alla spesa pubblica in relazione ad un presupposto economicamente rilevante;

La TIA, secondo la Corte (che effettua un’analitica comparazione tra i due istituti) è sostanzialmente analoga alla TARSU di cui all’art. 58 del D.Lgs. n° 507/1993: entrambe, fra l’altro, sono correlate non già alla produzione effettiva di rifiuti, ma, da un lato, all’attitudine media ordinaria alla produzione qualitativa e quantitativa dei rifiuti per unità di superficie e per tipo di uso degli immobili e, dall’altro, alla (solo) potenziale fruibilità del servizio di smaltimento dei rifiuti da parte dei soggetti interessati.

In particolare, quanto al  fatto generatore dell’obbligo del pagamento ed ai soggetti obbligati, sia la TARSU che la TIA sono dovute da coloro che occupano o detengono a qualsiasi titolo (o conducono, per quanto attiene alla TIA) locali od aree scoperte a qualsiasi uso adibiti; il fatto generatore dell’obbligo, pertanto, non è legato all’effettiva produzione di rifiuti.

Ancora, la natura del prelievo è, secondo la Corte, autoritativa e non sinallagmatica : anche l’eventuale avviamento autonomo allo smaltimento da parte del produttore non comporta l’esclusione del pagamento, ma determina solo una riduzione proporzionale della sola parte variabile della Tariffa (art. 49, comma 14, D.Lgs n° 22/97), in analogia con quanto previsto, per la TARSU, dal comma 2 dell’art. 67 del D.Lgs. n° 507/93 (5).

La rilevata inesistenza di un nesso diretto tra il servizio e l’entità del prelievo comporta, secondo la Corte, l’esclusione del rapporto sinallagmatico posto alla base dell’assoggettamento ad IVA ai sensi degli artt. 3 e 4 del DPR n° 633 del 1972, e caratterizzato dal pagamento di un “corrispettivo” per la prestazione di servizi (6).

Ulteriore corollario (di estrema rilevanza nell’ottica del presente approfondimento) che la Corte trae dalla natura tributaria della TIA è quello per cui, sia per la TARSU che per la TIA, il soggetto attivo del prelievo è il Comune, anche nel caso in cui il regolamento comunale affidi a terzi l'accertamento e la riscossione dei due prelievi.

La normativa riguardante la TIA si differenzia sul punto – afferma la Corte - solo per il fatto che essa pone un collegamento ex lege tra la gestione del servizio e i poteri di accertamento, con la conseguenza che il solo fatto dell'affidamento a terzi della gestione del servizio comporta la delega a questi dei poteri di accertamento e del potere di stare in giudizio in luogo del Comune, analogamente a quanto avviene per la TARSU.

Ai fini della presente indagine occorre effettuare due ulteriori, importanti, premesse.

La pronuncia della Corte espressamente non ha avuto ad oggetto la c.d. Tariffa Integrata Ambientale, prevista dall’art. 238 del D.Lgs. n° 152/2006 (Codice dell’Ambiente), attualmente non applicabile per mancanza del Regolamento attuativo previsto dall’art. 238 citato.

A tale esclusione la Corte è pervenuta sulla base delle differenze rilevabili tra i due tributi (Tariffa di Igiene Ambientale “Ronchi” e Tariffa Integrata Ambientale ex art. 238 del Codice dell’Ambiente), ossia:

-           la formale diversità delle due fonti istitutive (ancorché ambedue dominate, in acronimo, TIA);

-           la successione temporale delle relative fonti;

-           il fatto che la Tariffa Integrata Ambientale di cui al D.Lgs. n° 152/2006 espressamente sostituisce la Tariffa di cui all’art. 49 del D.Lgs. n° 22/1997.

Altra precisazione importante è quella per cui, ad oggi, il passaggio da TARSU a TIA per gli Enti Locali è attualmente precluso dall’art. 5, comma 2 quater, del D.L. 30 dicembre 2008 n° 208, che mantiene inalterato il regime di prelievo vigente (7); in base a tale disposizione i Comuni, ove entro il 31.12.2009 (termine, come ora si dirà, opportunamente prorogato dal legislatore) non sia stato adottato il suddetto regolamento di attuazione della Tariffa ex art. 238 del D.Lgs n° 152/2006, potranno adottare la TIA secondo le disposizioni vigenti. Il termine del 31.12.2009 è stato prorogato al 30 giugno 2010 dal D.L. n° 194 del 30 dicembre 2009 (c.d. Milleproroghe).

 

 

2. Le conseguenze dirette, sotto il profilo tributario, della sentenza della Consulta.

 

Per gli  Enti Locali che abbiano già attuato il passaggio a TIA si profila più di un problema, già dal punto di vista strettamente tributario, di cui è opportuno, pur in via di sintesi, dar conto.

Anzitutto, l’acclarata natura tributaria della Tariffa rende necessario operare diverse modifiche ai Regolamenti Comunali appositamente adottati.

Come è noto, infatti, l’art 49 del D.Lgs. n° 22/97 non ha dettato una disciplina analitica del prelievo, rinviando alle norme regolamentari dettate dai Comuni, e ciò, in particolare, con riguardo a:

-           la disciplina degli avvisi di pagamento, i quali sinora hanno avuto natura di bollette, con il contenuto delle normali fatture, ma che ora dovranno essere resi integralmente conformi, quanto ai contenuti ai requisiti obbligatori posti dall’art. 7 del D.Lgs n° 212/2000 (Statuto del contribuente) in materia di chiarezza e motivazione degli atti tributari ad esempio con riguardo all’ufficio competente, al responsabile del procedimento, alla possibilità di un riesame in sede amministrativa, all’indicazione dei mezzi di ricorso) ;

-           la determinazione dei costi del Servizio (8); è noto, infatti, che la TARSU consentiva una copertura dei costi del servizio in una misura variabile tra il 50 (il 70% per gli enti deficitari) ed il 100%, mentre la TIA impone la copertura integrale dei costi stessi. Va notato, in proposito, come, mentre in regime TARSU, ai sensi dell’art. 61, comma 2, del D.Lgs. n° 507/93, i costi derivanti dallo spazzamento stradale rientrassero solo parzialmente tra quelli da porre alla base del computo per la copertura (è in facoltà degli enti detrarre dal costo del servizio una quota – forfetaria- variabile tra il 5 ed il 15% da imputare al costo dello spazzamento). Va segnalato, inoltre, che, in base al principio di inerenza delle imposte dirette, la disciplina della TARSU non consente di far rientrare nei costi del servizio i c.d. costi amministrativi o generali, ed i costi di accertamento;

-           la disciplina delle sanzioni, che ora dovranno far riferimento alla disciplina prevista dal D.Lgs. n° 472/97 in materia di sanzioni tributarie.

La non applicabilità dell’IVA, inoltre, comporta implicazioni di estrema rilevanza, con particolare riferimento alla questione del pregresso, e non solo. Per il futuro, infatti, è evidente come essa comporti un aggravio secco per le attività economiche, che sino ad ora hanno potuto portare l’IVA in detrazione. Inoltre, la non applicabilità dell’IVA comporta, come conseguenza, l’indetraibilità dell’IVA sugli acquisti dell’Ente Locale o del Gestore: posto che l’IVA sugli acquisti sconta l’aliquota del 20% e quella sinora applicata alla Tariffa del 10%, è possibile che si determini un aggravio di costi anche per le famiglie.

Ancora, rilevanti problematiche si pongono in materia di rimborso dell’IVA indebitamente versata; il rimborso dell’IVA indebitamente pagata dagli utenti spetta al gestore (9), nell’ambito del c.d. rapporto di rivalsa IVA (10), che ha carattere privatistico e che comporta, appunto, che la restituzione vada richiesta all’accipiens, in quanto la rivalsa IVA costituisce un accessorio dell’obbligazione relativa alla prestazione fatturata. Al contrario, l’IVA indebitamente versata dal gestore all’erario si inquadra in un rapporto di carattere tributario. Al gestore spettano due alternative: o emettere una nota di accredito ex art. 26 del DPR n° 633/73, entro l’anno, ovvero, entro il biennio dall’effettuazione dell’operazione, richiedere il rimborso.

E’ evidente che tale configurazione, per il gestore, comporterebbe a legislazione invariata la perdita secca dell’IVA da restituire agli utenti ma non più ripetibile dall’erario (11).

Ma è, ad avviso di chi scrive, dal lato dell’affidamento del servizio di igiene urbana che la pronuncia in esame è suscettibile di conseguenze potenzialmente ancor più significative.

 

 

3. Le conseguenze in ordine al rapporto Ente Locale – Gestore: l’affidamento del servizio di igiene ambientale come appalto.

 

Come detto, la Corte ha affermato che ”non può negarsi che, sia per la Tarsu che per la TIA, il soggetto attivo del prelievo è il Comune; e ciò anche nel caso in cui il regolamento comunale affidi a terzi l’accertamento e la riscossione dei due prelievi e la relativa legittimazione a stare in giudizio”.

Ai sensi del comma 13 dell’art. 49 del D.Lgs. n° 22/1997, diversi Enti Locali, nell’ambito del passaggio a TIA, hanno affidato la relativa gestione al soggetto incaricato della gestione del servizio rifiuti.

In tal modo, il rapporto giuridico tra Comune e gestore è venuto a configurarsi come concessione di pubblico servizio, secondo l’accezione di quest’ultima fatta propria dalla giurisprudenza maggioritaria e dalla migliore dottrina (12), sulla base del diritto comunitario e delle statuizioni della Corte di Giustizia CE (13), secondo cui il criterio con cui distinguere gli appalti di servizi dalle concessioni di servizi è quello della remunerazione (e del relativo “rischio di gestione”); se l’ente affidante corrisponde all’affidatario, per l’espletamento del servizio, una retribuzione (canone, prezzo, ecc.), la normativa applicabile è quella prevista per gli appalti di servizi, anche se il servizio in questione è reso, direttamente o indirettamente, a favore del pubblico; di converso, qualora il corrispettivo sia rappresentato dalla stessa gestione del servizio (come nell’ipotesi prevista dall’art. 30 del D.Lgs. n° 163/2006, Codice dei Contratti Pubblici), ci si trova in presenza di una concessione di servizi.

La Corte di Giustizia, occupandosi di una questione riguardante proprio il settore dei rifiuti, ha statuito che, laddove una convenzione preveda il riconoscimento all’appaltatore, da parte della stazione appaltante, di una tariffa il cui importo è fissato in euro per tonnellata di rifiuti conferita a quest’ultimo, si è in presenza di un appalto di servizi, giacchè tale modalità di remunerazione non rientrano nel diritto di gestire il servizio, né implicano l’assunzione, da parte dell’operatore, del rischio legato a tale gestione (14).

Occorre, peraltro, dar conto di un differente orientamento, secondo cui il servizio di raccolta, trasporto e smaltimento rifiuti mantiene la natura di servizio pubblico anche qualora il corrispettivo (in regime di TIA) sia pagato direttamente dall’amministrazione al gestore (15). Nondimeno, anche nei confronti di servizi in regime di TARSU, una giurisprudenza peraltro ormai risalente ha sostenuto che nel servizio di spazzamento delle strade comunali e di gestione della piattaforma ecologica per la raccolta differenziata di rifiuti solidi urbani, “le prestazioni richieste alle imprese affidatarie sono rivolte non già a vantaggio dell’amministrazione, ma riguardano, in modo generalizzato, la collettività locale rappresentata dal comune. Gli affidamenti in questione sono quindi volti alla produzione di attività riconducibili nell’ambito dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, i quali sono retti da una disciplina speciale” (16).

Ciò detto, è comunque innegabile come la giurisprudenza più recente, in particolare comunitaria, deponga univocamente per la qualificazione di concessione di servizi solo per quei contratti che prevedano, in uno, la remunerazione da parte dell’utenza e l’assunzione del rischio di gestione da parte del concessionario, dovendosi, al contrario, parlare di appalti di servizi (17).

Venendo al tema centrale della presenta analisi, l’attribuzione di natura tributaria alla TIA, come alcuni osservatori hanno immediatamente evidenziato, porta inevitabilmente con sé l’impossibilità di applicare il modello gestionale trilaterale tipico della concessione di pubblico servizio, il quale, attuabile per servizi finanziati da entrate di natura patrimoniale, non può senza dubbio continuare ad essere applicato nell’ipotesi in cui il finanziamento del servizio provenga da un’entrata tributaria (18).

Il Comune, soggetto attivo del tributo, non può infatti, in tale quadro, più spogliarsi di tale veste attribuendola ad un altro soggetto, ma deve conservare la titolarità dell’entrata, stante la sua natura pubblicistica, potendo tuttavia affidare la gestione, l’accertamento e la riscossione ad altri soggetti.

Il Comune, quindi, non potrà eliminare dal proprio bilancio la relativa entrata; ciò comporta che, a fronte dell’incameramento delle entrate del servizio dall’utenza, l’Ente Locale, nel caso abbia affidato a terzi l’accertamento e la riscossione di dette entrate, ed il servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti solidi urbani, dovrà remunerare direttamente l’affidatario, con idoneo corrispettivo.

Di qui la configurazione del rapporto secondo lo schema proprio dell’appalto di servizi.

E’ appena il caso di osservare, per inciso, come l’applicazione pedissequa della sentenza della Consulta, nella fattispecie de quo, conduca in direzione diametralmente opposta a quella disegnata dal legislatore con i molti provvedimenti volti ad incentivare l’esternalizzazione di funzioni comunali meglio gestibili in una dinamica di impresa e, non da ultimo, ponga, a quei Comuni “virtuosi” che si sono posti in tale solco con l’adozione della TIA, seri problemi in materia di c.d. patto di stabilità.

Ad ogni buon conto, per quanto qui rileva, sin dall’indomani della pubblicazione della Sentenza della Corte, è stato esattamente rilevato come “nel caso dei gestori, la natura tributaria del prelievo – e la conseguente mancanza di un servizio reso all’utenza – è destinata a modificare il rapporto giuridico con il comune. Non si tratterà piu’ di un affidamento in concessione di un servizio (che non c’è), ma di un appalto, con la conseguenza che la scelta dell’appaltatore dovrà ora avvenire con nuovi bandi di gara” (19).

Nascono, a questo punto, alcuni interessanti interrogativi.

Come è noto, l’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato ha avuto modo di affermare più volte (20) che i servizi di accertamento e riscossione dei tributi locali, anche con riguardo alla Tariffa di Igiene Ambientale,  in quanto resi a favore della pubblica amministrazione ovvero del gestore unico del ciclo integrato dei rifiuti, debbono ritenersi strumentali e, pertanto, essere ricondotti alla disciplina degli appalti pubblici di servizi. Tenuto conto di ciò, l’Autorità non ritiene che le disposizioni di cui all’art. 23 bis della Legge n° 133/2008 trovino applicazione in tali casi.

Com’è noto, l’art. 23 bis della Legge n° 133/2008 ha riguardo alle modalità di affidamento dei servizi pubblici locali a rilevanza economica; detta norma (come modificata, da ultimo, dall’art. 15 della L. n.166/2009, recante conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 25 settembre 2009, n. 135) prevede, ai commi 3 e 4, un procedimento aggravato per gli enti locali che intendano affidare servizi pubblici locali mediante il modello organizzativo, definito dalla norma stessa come eccezionale e derogatorio, dell’in house providing.

A tal fine gli enti locali, oltre a dover dimostrare la sussistenza di situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato, debbono altresì, ai sensi del comma quarto, dare adeguata pubblicità alla scelta, motivandola in base ad un’analisi del mercato e contestualmente trasmettere una relazione contenente gli esiti della predetta verifica all’Autorità garante della concorrenza e del mercato per l’espressione di un parere preventivo.

Orbene, non pare fuor di luogo, a questo punto, domandarsi se, trasformato il servizio di raccolta, trasporto e smaltimento rifiuti in un mero appalto, ovverosia in un servizio reso all’Amministrazione Comunale e dalla stessa remunerato (al pari dei servizi di accertamento e riscossione di cui sopra), il servizio stesso ricada ancora nell’ambito dei servizi pubblici locali a rilevanza economica di cui al citato art. 23 bis, oppure no.

Se così non fosse – e ciò parrebbe verosimile, alla luce dei sopra riportati principi giurisprudenziali – ne deriverebbe che, in caso di esternalizzazione del servizio dovrebbero applicarsi le ordinarie regole di derivazione comunitaria per gli appalti pubblici, di cui alle Direttive UE 200/17 e 2004/18, trasfuse nel Codice dei Contratti.

Pare significativo, a questo punto, rammentare che, come più volte affermato dalla Corte di Giustizia, la fattispecie dell’affidamento in house (ovviamente in presenza dei c.d. criteri Teckal) non rientra nel campo di applicazione delle Direttive Comunitarie in materia di pubblici appalti, in quanto non rappresenta un contratto a titolo oneroso stipulato fra due controparti contrattuali.

Pertanto, a stretto rigore, un contratto (di appalto) per l’affidamento del servizio di igiene urbana affidato in house sarebbe sottoposto ai soli requisiti prescritti dalla giurisprudenza comunitaria (21), e non già a quelli di cui all’art. 23 bis citato.

 

 

4. La necessità di un – non più rinviabile – intervento legislativo.

 

E’ peraltro evidente che una prospettazione come quella ora delineata si pone agli antipodi dello scenario disegnato dal legislatore con il D.Lgs. 3 aprile 2006 n°152 (Codice dell’Ambiente).

Il Codice, nella sua Parte IV (Norme in materia di gestione rifiuti e di bonifica dei siti inquinati), delinea un complesso sistema di gestione, a carattere eminentemente industriale ed integrato, ispirato a criteri di efficienza, efficacia ed economicità, nonché al principio di derivazione comunitaria del “chi inquina paga”. In tale contesto assurgono ad obiettivi fondamentali: minimizzare la produzione di rifiuto; massimizzare il recupero e riutilizzo dei rifiuti; privilegiare il recupero, il risparmio e il recupero di energia e minimizzare gli effetti ambientali delle attività di smaltimento; conseguire, nel rispetto di quanto sopra, la riduzione dei costi di gestione, in un contesto di stretta correlazione tra i rifiuti conferiti e il corrispettivo versato.

Non pare, obiettivamente, che una pronuncia (fra l’altro resa incidenter tantum, in quanto avente ad oggetto principale l’art. 2, comma 2, secondo periodo, del D. Lgs. n° 546/92)  concernente una norma di carattere tributario possa comportare un simile stravolgimento dello scenario di un così rilevante servizio di pubblica utilità. E, tuttavia, come si è visto, il vuoto normativo che si è venuto a creare rende possibili anche siffatte interpretazioni.

Si rende, quindi, urgente un intervento del legislatore al riguardo; sul punto, tuttavia, si rende necessario un inciso.

Da più parti tale intervento è stato invocato più che altro in virtù dell’esigenza – contingente – di certezza sottesa alla predisposizione del bilancio di previsione degli Enti Locali.

Infatti, come specificato anche di recente dalla prassi (22), le delibere di approvazione delle tariffe dei servizi pubblici locali e dei regolamenti relativi alle entrate tributarie di competenza dell’ente locale devono necessariamente precedere l’approvazione del bilancio di previsione dello stesso; del resto, ciò appare conforme alla logica sottesa al meccanismo di formazione e realizzazione dei bisogni degli enti, i quali sarebbero impossibilitati ad adottare qualsiasi manovra di bilancio se non fossero in grado di accogliere, fra le poste del bilancio, le previsioni di entrata.

Nell’impellenza della necessità di far luogo all’approvazione del bilancio preventivo, pertanto diversi Enti Locali che avevano a suo tempo optato per l’adozione della TIA stanno quindi procedendo, anche in assenza di specifica normativa, in senso inverso, ossia approvando Piani Finanziari ex art. 8 del DPR n° 158/99 (avente ad oggetto il c.d. Metodo Normalizzato per la determinazione della Tariffa di Igiene Ambientale) nei quali il gettito TIA viene a configurarsi come un’entrata del Comune, incassata dal soggetto gestore in nome e conto dello stesso (a fronte di uno specifico corrispettivo, tra l’altro soggetto ad IVA, con ulteriore aggravio di costi per gli utenti).

Non pare che, nella situazione odierna di caos normativo, l’adozione di singoli provvedimenti, in ordine sparso, da parte degli Enti Locali possa rappresentare una soluzione adeguata al problema, pur comprendendo le ragioni contingenti degli Enti stessi.

Pur essendo, ovviamente, necessario un chiarimento del legislatore su tutti i temi sopra delineati (non ultimo quello rappresentato della restituzione dell’IVA indebitamente versata, che riguarda, da stime, circa 17 milioni di utenti), è chiaro ed evidente che, se non verrà adeguatamente normata, nel rispetto della sentenza della Consulta, la natura delle entrate connesse alla gestione del servizio integrato dei rifiuti, e quindi, in definitiva, la natura dello stesso servizio di igiene ambientale, qualunque intervento risulterebbe parziale, non risolutivo e, vertendosi in materia tributaria, foriero di probabile contenzioso.

Di ciò, peraltro, sembra finalmente essersi avveduto il legislatore, nel momento in cui, con il D.L. 194/2009 (Milleproroghe) ha prorogato sino al 30 giugno 2010 il termine per l’adozione del regolamento di cui all’art. 238 del Codice dell’Ambiente.

Proprio la celere emanazione di tale regolamento può (in aggiunta ad un intervento legislativo teso a sanare la situazione venutasi a creare sul versante tributario) rappresentare la via d’uscita dall’impasse.

La Consulta, infatti, nel far salva la c.d. Tariffa Integrata Ambientale prevista dal Codice dell’Ambiente ha con tutta evidenza, suggerito una via d’uscita al legislatore, che occorre intraprendere velocemente.

 

 

5. Conclusioni

 

Ed infatti, delineando, tramite il regolamento di cui all’art. 238 del pluricitato D.Lgs. n° 152/2006, un sistema tariffario che soddisfi i requisiti implicitamente posti dalla Consulta affinchè il prelievo in questione possa legittimamente definirsi corrispettivo di un contratto sinallagmatico, si consentirebbe agli Enti Locali di entrare, senza incertezze, nel quadro del Servizio Integrato di Igiene Ambientale come disciplinato dal Codice (e ciò, si badi, a prescindere dal fatto se sia o meno stato attivato il relativo Ambito Territoriale Ottimale: in alcune Regioni, quale ad esempio la Lombardia, si è optato per un modello organizzativo che prescinde dall’ATO, ex art. 200, comma 7, del D.Lgs n° 152/2006).

Come detto, peraltro, non potrà tuttavia prescindersi da un intervento legislativo con l’obiettivo di regolarizzare la situazione nel frattempo creatasi (23), anche con riguardo al comportamento dei gestori .

Occorre non nascondersi, peraltro, che il compito in questo senso è reso abbastanza arduo proprio dai contenuti della pluricitata Sentenza n° 238/2009, che pone una serie di nodi obiettivamente non semplici da sciogliere (anche se agevola il fatto, evidenziato dalla Corte, che il termine “corrispettivo” compaia solo nella norma di cui all’art. 238 del Codice dell’Ambiente, e non nel Decreto Ronchi n° 22/1997), primo fra tutti il fatto che – come parrebbe implicitamente desumersi “a contrario” dalla lettura della sentenza – un indice della natura sinallagmatica del rapporto dovrebbe essere rappresentato dalla possibilità, per i soggetti tenuti al pagamento, di potersi sottrarre all’obbligo adducendo di non volersi avvalere dei servizi, cosa non facile da tradurre nella pratica.

Ovvero, ancora (ma tale presupposto pare meno complicato da soddisfare), la necessità che vi sia un più stretto collegamento tra il corrispettivo versato e l’effettiva quantità di rifiuti prodotti.

In definitiva, mentre da un lato non sembra che l’adozione di soluzioni isolate da parte dei singoli Enti Locali possano definirsi esenti da ogni rischio, da un altro lato pare che non sia ormai più eludibile un rapido e finalmente risolutivo intervento del legislatore.

 

 

Note

1) In questa rivista

2) Cfr. “Serve una norma per le sanzioni” Di Ennio Dina, in  Il Sole 24 Ore, 1 Febbraio 2010; Il rimborso TIA non può tralasciare la detraibilità IVA, di Gian Paolo Tosoni, in Il Sole 24 Ore, 1 febbraio 2010; “Iva sulla Tia, enti locali ingabbiati” di Antonio Chiarello e Maria Suppa, Italia Oggi, 28 agosto 2009; “TIA – IVA, una questione ancora alla ribalta “, in Bollettino Fisco ed Enti Locali Anutel, n° 3 del 19 gennaio 2010

3) Interrogazione On. Fluvi e Li Causi n° 501807 del 23 settembre 2009 ed interrogazione n° 5-01972 del 21 ottobre 2009, On. Fugatti e Negro.

4) (Cass S.U., Ordinanza n° 3171/2008; Cass. S.U. Sentenza n°13902/2007 e n° 4895/2006; Cass. 5298 e 5297 / 2009; Cass. N° 17526/2007)

5) Per cui il regolamento comunale può prevedere riduzioni della TARSU nel caso gli utenti dimostrino di avere sostenuto spese per interventi che abbiano comportato una accertata minore produzione di rifiuti

6) Ad ulteriore conferma del fatto che sia TARSU che TIA non rientrano nel campo di applicazione dell’IVA la Corte rileva, inoltre, che non esiste, per le prestazioni del servizio di smaltimento rifiuti, una norma che espressamente assoggetti tali prestazioni ad IVA (come avviene ad esempio per le attività, ancorchè esercitate da Enti pubblici, di erogazione acqua ed i servizi di fognatura e depurazione, gas energia elettrica e vapore: art. 4 DPR n° 633/1972)

7) In prosecuzione di quanto stabilito dall’art. 1, comma 184 della L. 27 dicembre 2006 n° 296, come prorogato dall’art. 1, comma 166, della Legge n° 244/2007;

8) Al riguardo, si veda l’esaustiva disamina di Stefano Baldoni, “La Tia è un Tributo, nuova conferma dalla Corte Costituzionale”, in Tributi e Bilancio, Riv. Anutel, n° 6/2009 , alla quale si rinvia.

9) Agenzia Entrate, Risoluzione n° 250/E del 17 giugno 2008

10) Si veda, al proposito, l’accurata analisi di M. Lovisetti “Il caso dell’IVA sulla TIA”, in Tributi e Bilancio, Anutel n° 5/2009

11) Al riguardo, M. Lovisetti, cit, propone l’applicazione dell’art. 10 della L. n° 212/2000 (Statuto del contribuente), in materia di tutela dell’affidamento. Secondo tale tesi, in sintesi, dato che la situazione ingeneratasi è imputabile direttamente allo Stato, l’Erario non potrà pretendere il riversamento dell’imposta indebitamente detratta.

12) Cfr. C. Tessarolo, Appalti, concessione di servizi e art. 23-bis., in questa Rivista, 13 gennaio 2009, secondo cui “La differenza tra concessione e appalto di servizi sta in questo: nella concessione, l’impresa concessionaria eroga le proprie prestazioni al pubblico e, pertanto, assume il rischio della gestione del servizio, in quanto si remunera, almeno per una parte significativa, presso gli utenti mediante la riscossione di un prezzo; nell’appalto, invece, le prestazioni vengono erogate non al pubblico, ma all’amministrazione, la quale è tenuta a remunerare l’attività svolta dall’appaltatore per le prestazioni ad essa rese. L’impresa che fornisce il servizio non sopporta, quindi, l’alea connessa alla gestione del servizio, sicchè, venendo a mancare l’elemento rischio, la fattispecie non è configurabile come concessione, bensì come appalto di servizi

13) CGE, 13 novembre 2008, C-324/07, Coditel Brabant

14) CGE, 18 luglio 2007, C-328/05

15) Ad esempio, secondo TAR Lombardia, Sez. Brescia, 26/11/2008 n. 1689, secondo cui “Le attività di raccolta, trasporto e smaltimento di rifiuti solidi urbani sono qualificabili come servizio pubblico, in quanto le prestazioni richieste al privato gestore sono rivolte non già a vantaggio dell'amministrazione, ma in modo generalizzato a favore della collettività locale secondo caratteri di universalità, continuità ed uniformità. Né a conclusioni diverse si deve pervenire per il fatto che l'onere di remunerare l'attività svolta dal privato è assunto direttamente dall'amministrazione. E' infatti noto che per l'erogazione del servizio R.S.U. i Comuni sono tenuti ad istituire la tariffa da praticare ai cittadini - nuclei familiari ed imprese - secondo criteri omogenei e con l'obbligo di provvedere all'integrale copertura dei costi. Se è dunque vero che il compenso del gestore è erogato periodicamente dal Comune, è altrettanto vero che il costo del servizio è ripartito tra gli utenti secondo parametri predeterminati, come ad es. l'estensione dell'unità abitativa e il numero dei componenti del nucleo familiare. La giurisprudenza, inoltre, ha affermato che il servizio pubblico è quello che consente al Comune di realizzare fini sociali e di promuovere lo sviluppo civile della comunità locale ai sensi dell'art. 112 del D. Lgs. 267/2000, in quanto preordinato a soddisfare i bisogni della cittadinanza indifferenziata. Tale è indubbiamente il servizio di igiene urbana, il quale richiede che il concessionario impieghi capitali, mezzi e personale da destinare ad un'attività economica suscettibile, quanto meno potenzialmente, di produrre un utile di gestione e, quindi, di riflettersi sull'assetto concorrenziale del mercato di settore”.

16) TAR Lombardia, Milano, sez. III, 13/4/2004 n. 1451, in questa Rivista. Anche il Consiglio di Stato stesso si pone su questa linea laddove, proprio con riguardo al servizio de quo, afferma che “l’appalto di servizi concerne prestazioni rese in favore dell’amministrazione, mentre la concessione di servizi riguarda sempre un articolato rapporto trilaterale, che interessa l’amministrazione, il concessionario e gli utenti del servizio.

Ciò comporta, di regola, ulteriori conseguenze sulla individuazione dei soggetti tenuti a pagare il corrispettivo dell’attività svolta. Normalmente, nella concessione di pubblici servizi il costo del servizio grava sugli utenti, mentre nell’appalto di servizi spetta all’amministrazione l’onere di compensare l’attività svolta dal privato.

Tale criterio integrativo, peraltro, assume un rilievo apprezzabile solo quando il servizio pubblico, per le sue caratteristiche oggettive, è divisibile tra gli utenti che, in concreto, ne beneficiano direttamente.

Ora, nel caso di specie, l’oggetto del rapporto, riguardante il trasporto e lo smaltimento dei rifiuti urbani, è riconducibile senz’altro alla figura dell’affidamento di un servizio pubblico: le prestazioni richieste al privato “appaltatore” sono rivolte non già a vantaggio dell’amministrazione, ma riguardano, in modo generalizzato, le collettività locali rappresentate dai due comuni.” . Consiglio di Stato, Sez. V, 30/4/2002 n. 2294.

17) Cfr. Corte di Giustizia Europea 13/10/2005 n. C458/03: “ Nella situazione descritta dalla prima questione, invece, la remunerazione del prestatore di servizi proviene non già dall'autorità pubblica interessata, bensì dagli importi versati dai terzi per l'utilizzo del parcheggio di cui si tratta. Tale forma di remunerazione implica che il prestatore assume il rischio della gestione dei servizi in questione, delineando in tal modo una concessione di pubblici servizi. Conseguentemente, in una situazione come quella della causa principale, non si è di fronte ad un appalto pubblico di servizi, ma ad una concessione di pubblici servizi. A questo proposito, è opportuno rilevare che tale interpretazione è confermata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 31 marzo 2004, 2004/18/CE, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi (GU L 134, pag. 114), benché essa non fosse applicabile all'epoca dei fatti nella causa principale. Infatti, ai sensi dell'art. 1, n. 4, di questa direttiva, la «"concessione di servizi" è un contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, ad eccezione del fatto che il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo”.

18)Stefano Baldoni, “La Tia..”, cit.

19) Il Sole 24 Ore, 17 agosto 2009, Alessandro Garzon, “La TIA ricomincia dall’appalto”.

20) AGCM, AS628 del 16 settembre 2009; AS596 del 29 luglio 2009; AS581 del 9 luglio 2009 (quest’ultimo riferito, in particolare, proprio alla gestione e riscossione della TIA); AS580 del 25 giugno 2009; AS606 del 11 febbraio 2009

21) Totale capitale pubblico, sussistenza di un controllo analogo, da parte dell’Ente affidante, a quello esercitato nei confronti dei propri servizi, prevalenza dell’attività svolta dall’affidatario nei confronti dell’Ente affidante stesso.

22) Circolare del Dipartimento delle Politiche Fiscali del MEF n° 5602 del 16 marzo 2007, suffragata dal parere n° 4/2006 della sezione regionale di controllo per la Lombardia della Corte dei Conti, con il quale i giudici contabili hanno precisato che le deliberazioni concernenti l’approvazione delle aliquote e delle tariffe dei tributi locali, nonché dell’aliquota dell’addizionale dell’Irpef, delle tariffe dei servizi pubblici locali e dei regolamenti riguardanti le entrate tributarie devono necessariamente precedere l’adozione del bilancio di previsione dell’ente.

23) Diversi sono i disegni di legge presentati al riguardo. Ad esempio, l'emendamento presentato dalla senatrice Cinzia Bonfrisco (Pdl) al disegno di legge di conversione del dl n. 135/2009, che chiariva preliminarmente che non solo la tariffa igiene ambientale di cui all'art. 49 del dlgs n. 22/1997- ma anche la futura tariffa per la gestione ambientale sono escluse da Iva. La proposta, riconosceva l'applicabilità dell'addizionale ex Eca, nella misura del 10% anche nel caso in cui la tariffa non venga riscossa, dal comune o dall'ente gestore, con il sistema del ruolo (l'ex Eca è un addizionale che fu istituita dal rdl n. 2145/1937  e da applicarsi alle imposte, tasse e contributi comunali e provinciali riscuotibili per ruolo). Chiarito che la Tia è un tributo, ne derivava, nel contesto della proposta di legge, l'applicabilità dell'ex Eca nella misura del 10%., con compensazione automatica con l’IVA versata sulla TIA.

24) Si noti, al proposito, che l’Agenzia delle Entrate, con Circolare  n° 250/E del 17 giugno 2008, alla luce della qualificazione normativa della TIA come corrispettivo per lo svolgimento del servizio di raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti solidi urbani, ha ribadito che la TIA deve essere assoggettata ad IVA ai sensi del DPR n° 633/1972. In assenza di una norma di segno diverso, quindi, risulta impossibile per i gestori non applicarla, anche in mancanza di comunicazioni in merito alle modalità con cui gli eventuali rimborsi potranno essere regolati con l’amministrazione finanziaria.

 

*Dirigente Affari Generali e Legali Gruppo AMGA Legnano SpA, Legnano

 

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