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I presupposti economici, normativi e regolatori per lo sviluppo dei servizi pubblici locali.
di Bruno Spadoni 22 giugno 2010
Materia: servizi pubblici / disciplina

I PRESUPPOSTI ECONOMICI, NORMATIVI E REGOLATORI PER LO SVILUPPO DEI SERVIZI PUBBLICI LOCALI

  

I servizi pubblici locali fattore di sviluppo

 

In occasione dell’Assemblea di Confservizi del 14 giugno scorso è stata presentata una ricerca sul tema “I servizi pubblici locali, gli investimenti, la politica industriale” che ha costituito l’occasione per una riflessione generale sulle prospettive di sviluppo del settore alla luce delle recenti norme di riforma e degli effetti della crisi economica e finanziaria in corso.

La tesi di fondo della ricerca è che i servizi pubblici locali costituiscono un asset fondamentale del sistema in ragione del loro ruolo di input per la coesione sociale e per lo sviluppo economico. Numerose indagini, condotte sia a livello nazionale che comunitario, dimostrano lo stretto legame tra infrastrutturazione dei territori e sviluppo, come è confermato dalla forte correlazione tra dotazione di infrastrutture di servizi, in particolare quelli di rilevanza economica, valore aggiunto pro capite e attività industriale. In Italia il problema delle infrastrutture e del suo legame con la crescita è più pregnante per effetto della situazione di sottodotazione del Mezzogiorno che costituisce, ad un tempo, causa ed effetto del suo ritardo. L’attività economica, infatti, ha bisogno di alcuni presupposti fondamentali, in particolare di un insieme minimo di servizi a sostegno sia della produzione in quanto tale, sia dei soggetti in essa coinvolti (dai lavoratori, al management, ai fornitori e ai clienti, a tutti gli altri stakeholders). Tanto più capillare è questa rete quanto più elevato è il grado di efficienza dei territori che decide della competitività dei soggetti industriali in essi collocati. L’esperienza del nostro Paese dimostra che gli squilibri che affliggono il Mezzogiorno si traducono in situazioni di degrado ambientale e sociale in conseguenza delle quali si innesta un circolo vizioso tra lo stato di arretratezza dei servizi, la sfiducia nelle istituzioni e la ricerca di soluzioni individuali, non sempre lecite, ai bisogni collettivi. Si determinano insomma situazioni di “alegalità di massa” che costituiscono il terreno di coltura della malavita organizzata. L’assenza di condizioni di sicurezza e di legalità inibisce le decisioni di investimento alimentando così una sorta di “trappola del sottosviluppo”.

La crisi in atto può dunque costituire l’opportunità per un forte rilancio degli investimenti nelle infrastrutture dei servizi che, oltre a contrastare la recessione, consenta anche di avviare il superamento di tali squilibri costituendo, in tal senso, una delle riforme strutturali invocate nelle recenti Considerazioni finali del Governatore della Banca d’Italia come presupposto per la crescita. Il problema, in effetti, non si presenta agevole, soprattutto in alcuni settori e in alcune aree del Mezzogiorno in cui occorrerebbe imprimere una svolta drastica rispetto alla situazione e alle tendenze in essere.

La stato delle infrastrutture e dei servizi nei settori idrico, ambientale e dei trasporti pubblici locali, pur manifestando generalmente un trend di miglioramento, evidenzia profondi divari territoriali che, nel tempo, si sono addirittura approfonditi. In una recente indagine condotta dal Servizio studi e ricerche di Intesa-SanPaolo sui servizi idrico e ambientale emerge infatti una correlazione positiva tra dotazione di infrastrutture e spesa pro capite che sta, appunto, a confermare una tendenza all’allargamento delle già profonde distanze. Il fabbisogno di investimenti indispensabile per superare squilibri di tali dimensioni è quindi imponente: nei servizi idrici questo valore è stato quantificato dal Coviri in 60,5 miliardi di euro in 30 anni (oltre 2 miliardi all’anno in media) di cui circa il 40% da destinare al Mezzogiorno; nel settore ambientale il fabbisogno è valutato tra gli 11 e i 12 miliardi di euro per conseguire entro il 2012 gli obiettivi di raccolta differenziata indicati dalla legge e per il superamento completo delle discariche; nel trasporto pubblico locale la stima è di oltre 10 miliardi di euro per il solo rinnovo del materiale rotabile (autobus e ferrovie regionali) e per adeguarsi alle norme di sicurezza, a cui aggiungere una cifra di quasi 20 miliardi di euro per portare la dotazione infrastrutturale di metropolitane delle nostre città ai livelli delle grandi metropoli europee.

E’ evidente che un impegno di tale portata, per essere realmente realizzato, ha bisogno di essere supportato da adeguate misure e da comportamenti coerenti sia sul piano degli assetti istituzionali, sia su quello delle politiche industriali e regolatorie, sia sul terreno finanziario.

 

I presupposti istituzionali

 

Dal punto di vista della disciplina normativa l’esigenza principale è disporre di un contesto istituzionale certo e coerente. Un tale presupposto, in effetti, è contraddetto dall’esperienza dell’ultimo decennio caratterizzata dal continuo e frequente succedersi di disegni di legge e provvedimenti di riforma dei servizi pubblici locali (più di uno per ogni legislatura) che ha notevolmente contribuito a destabilizzare il quadro delle aspettative degli operatori ostacolando la definizione di piani di sviluppo e di investimento. Anche l’attuale riforma non ha del tutto sciolto i nodi. Innanzitutto in quanto l’articolo 23 bis della legge 133/2008 (come modificato dall’articolo 15 della legge 166/2009) rinvia la disciplina di rilevanti aspetti ad uno o più regolamenti attuativi che, al momento, non sono stati ancora emanati. Inoltre perché le norme suddette sotto alcuni profili non sembrano promuovere e agevolare il processo di innovazione in corso nel settore né rispondono ad un coerente disegno di politica industriale. Ci si riferisce, in particolare, alla disciplina delle società a capitale misto e al regime transitorio. In relazione al primo aspetto l’inibizione a queste società di estendere la propria attività in contesti settoriali e territoriali diversi rispetto a quelli oggetto dell’affidamento si pone in contrasto con quanto previsto dalla stessa legge circa l’assimilazione delle società miste alla gara ove rispettino le condizioni per la selezione del partner privato (gara a doppio oggetto). Una tale misura minaccia non solo di interrompere processi industriali legittimamente programmati e attivati ma anche di restringere la platea dei potenziali concorrenti, soprattutto nei settori e nelle aree in cui il ruolo e le competenze di queste aziende potrebbero essere strategici per il superamento delle gestioni dirette. Tali esiti si pongono in evidente contrasto con consolidati orientamenti di politica industriale e con le stesse finalità della riforma. Da un lato, infatti, si ostacola lo sviluppo di operazioni di acquisizioni e fusioni volte all’estensione della scala della produzione sperimentate con successo nei settori energetici e a rete nelle Regioni del Centro-Nord, dall’altro non si favorisce l’ispessimento dei mercati, condizione necessaria per la liberalizzazione che pure la riforma intende promuovere.

Per quanto riguarda il secondo aspetto le difficoltà scaturiscono dalla brevità dei tempi della transizione soprattutto per le società in house le quali, per conservare l’affidamento diretto, sono tenute a cedere il 40% delle azioni entro il 2011 mediante gare a doppio oggetto (entro il 2010 quelle non attinenti alla disciplina comunitaria). I rischi sono, da un lato quello della svalutazione dei capitali di proprietà degli enti locali a causa dell’affollamento delle gare in un periodo ravvicinato e ristretto, dall’altro l’impossibilità in molte circostanze di predisporre procedure di gara delicate e complesse in tempi contingentati. Una preoccupazione in parte analoga può estendersi alle imprese quotate nei mercati regolamentati anche se i termini previsti per la cessione sono più lunghi e dilazionati. In questo caso gli elementi che suscitano maggiori perplessità consistono nelle modalità e nella misura delle dismissioni sia per la difficoltà di trovare investitori in grado di sostenere impegni finanziari di tale portata, sia per la possibilità di concentrazioni monopolistiche private in settori fortemente caratterizzati da obiettivi pubblici.

Con ciò non si intende discutere il disegno di privatizzazione in sé, che costituisce uno dei principali pilastri della riforma, bensì i modi in cui si prevede di realizzarlo. La privatizzazione, infatti, in presenza di monopoli naturali o di obiettivi pubblici da finanziare tramite trasferimenti o sussidi incrociati, è concepibile a valle di un processo di liberalizzazione e nel quadro di rigorose misure regolatorie. Questi presupposti non sembrano del tutto soddisfatti nella riforma in esame. In particolare, è poco comprensibile la disposizione secondo la quale le condizioni per il mantenimento temporaneo dell’affidamento diretto delle società in house invece di fare riferimento a percorsi di promozione della concorrenza, riguardano l’obbligo di privatizzare una parte significativa della proprietà. In effetti sembra di assistere ad un capovolgimento di principi. L’opinione generale è che l’assetto pubblico sia necessario ove non sussistano condizioni di concorrenza al fine di evitare l’esercizio privato del monopolio. In questo caso, al contrario, il monopolio pro tempore viene consentito proprio a condizione di privatizzare. Nelle società quotate lo stesso problema si presenta ulteriormente amplificato. Innanzitutto in quanto la conservazione dell’affidamento diretto, libero da vincoli operativi (a differenza delle società miste),  viene consentita a condizione di ridurre la proprietà pubblica a quote minoritarie (dapprima il 40%,  successivamente il 30%); inoltre per le disposizioni relative alle modalità di cessione delle partecipazioni in cui si prevede che accanto alle procedure ad evidenza pubblica vi sia la possibilità di un collocamento privato senza gara a non meglio precisati “investitori qualificati e operatori industriali”.

Molti elementi di criticità della riforma, tra cui quelli ora evidenziati, sono riconducibili ad un più generale problema che riguarda la sua stessa impostazione ispirata, al pari delle precedenti, ad un disegno di liberalizzazione uniforme e statico. Al di la delle differenze i progetti di legge e le norme susseguitesi nell’ultimo decennio hanno come tratto comune  l’intento di determinare “soluzioni di continuità” con l’obiettivo di rompere prassi consolidate e resistenze, costringendo i diversi protagonisti del sistema decisionale ad adeguarsi di necessità alla nuova situazione imposta “per decreto”. Gli esiti concreti delle esperienze dei servizi pubblici, sia nazionali che locali, ci consegnano una lezione molto diversa e cioè che le forzature, quando non sono supportate da processi di mutamento dei contesti gestionali, industriali e di mercato, finiscono per provocare funzioni di reazione divergenti e risultati controproducenti. In alcuni casi l’inibizione delle attività e il ridimensionamento della crescita, in altri conseguenze addirittura opposte, vale a dire il mantenimento di un monopolio privo di disciplina regolatoria socialmente sostenibile solo se collocato nell’area pubblica.

Le norme di liberalizzazione, dunque,  non possono essere definite a prescindere dalle specifiche situazioni in cui si collocano le quali determinano condizioni di percorribilità e di convenienza molto diverse che sono alla base delle suddette funzioni di reazione. Nel merito, in armonia con gli indirizzi comunitari e nazionali, è del tutto coerente prevedere che gli affidamenti mediante gara (e tramite società miste rispondenti ai requisiti della legge) costituiscano la regola e le società in house una deroga. Occorre tuttavia evitare che la definizione di tali deroghe e il percorso e le scadenze della transizione al mercato siano definiti centralmente in modo uniforme. In particolare, come si è sottolineato, nel Mezzogiorno è assai frequente, soprattutto in alcuni settori, la presenza di unità produttive frammentate sul territorio, gestite spesso in economia e di reti non interconnesse. In tali casi la scelta più opportuna potrebbe essere l’affidamento diretto temporaneo ad una società pubblica a cui assegnare il compito di unificare reti e servizi con l’obiettivo di creare condizioni di economicità e imprenditorialità per il successivo ricorso al mercato. Anche nell’ipotesi di un insufficiente numero di competitori (fino al caso non infrequente di assenza di una pluralità di essi) accompagnato da un’evidente inadeguatezza dell’ente locale ad esercitare il ruolo di indirizzo e monitoraggio può risultare più opportuno il passaggio pro tempore per una soluzione in house nel corso del quale affinare le capacità e gli strumenti degli enti locali nella prospettiva di un ispessimento del mercato. I percorsi e i tempi della transizione, dunque, andrebbero definiti in funzione delle specifiche situazioni e dovrebbero essere rigorosamente indicati  dagli enti locali nella relazione prevista dalla legge da sottoporre alla verifica dell’Antitrust. La suddetta verifica, quindi, superando astratte impostazioni basate su rigidi criteri dimensionali, dovrebbe entrare realmente nel merito degli assetti produttivi, economici e di mercato valutando se essi sono tali da giustificare il differimento nel tempo della liberalizzazione e giudicando altresì la congruità delle misure assunte per la transizione.

 

Le condizioni regolatorie

 

Un altro requisito fondamentale per favorire la crescita di imprenditorialità e gli investimenti riguarda il coerente esercizio della regolazione. A questo riguardo il problema principale consiste nella rigorosa definizione degli indirizzi tramite il Contratto di servizio in cui specificare anche gli obiettivi pubblici e gli eventuali oneri da finanziare con i trasferimenti. Il Contratto di servizio, in sostanza, deve garantire la trasparente separazione tra l’area pubblica e quella gestionale allocando su ciascuna le responsabilità che le competono. Il superamento di possibili intrecci degli obiettivi sociali, congiunturali e di finanza pubblica con quelli aziendali costituisce anche  il presupposto per il conseguimento di economicità che, di per sé, non comporta necessariamente un integrale finanziamento tariffario. Le finalità pubbliche possono infatti determinare oneri da coprire in altre forme: in particolare, ove ciò sia previsto dalla legge, mediante trasferimenti da parte dell’ente locale o di altre istituzioni (Stato o Regioni). I corrispettivi tariffari e quelli pubblici, tuttavia, devono essere coerenti con le condizioni di economicità, sia in occasione della fissazione del valore delle tariffe e dei trasferimenti che, nel loro insieme, devono garantire la piena copertura dei costi, comprensivi della remunerazione del capitale, sia in fase  di aggiornamento, adottando sistemi di price cap e di subsidy cap. Il rispetto di tali principi è pregiudiziale al fine di promuovere investimenti volti al rafforzamento delle dotazioni infrastrutturali e al superamento degli squilibri. Come si è avuto modo di osservare il fabbisogno di investimenti, localizzato soprattutto nel Mezzogiorno, è talmente elevato da richiedere fonti di finanziamento diverse, sia pubbliche, sia provenienti dalla finanza ordinaria e innovativa a cui associare il consistente ricorso all’autofinanziamento aziendale. Lo stato della finanza pubblica e, in particolare, di quella locale (soprattutto a seguito della recente manovra economica che prevede un pesante taglio dei trasferimenti alle Regioni e agli Enti locali) rende necessario assegnare un peso crescente alle risorse interne e al credito. Ciò determina, in ogni caso, la necessità di garantire adeguati livelli di economicità al fine sia di favorire l’autofinanziamento, sia di garantire l’ammortamento finanziario dei mutui, sia di realizzare livelli di cash flow sufficienti per il ricorso al project financing.

Quanto ai soggetti di regolazione, da  anni si discute circa la necessità di istituire Autorità indipendenti nei settori, idrico, ambientale e del trasporto che si affianchino a quella operante nei servizi energetici e del gas. I punti di vista, a tale riguardo, sono spesso diversi in ordine a vari profili, tra cui l’alternativa tra istituire nuove Autorità oppure, nei servizi idrici e nei rifiuti, affidare ulteriori compiti a quella già in essere. Quale che sia la soluzione, la presenza di un soggetto terzo di regolazione autonomo e dotato di specifiche competenze può contribuire a sciogliere alcuni delicati nodi: da un lato il superamento della concentrazione presso l’ente locale di ruoli diversi, non di rado in conflitto, che rendono la regolazione poco coerente e spesso oscillante; dall’altro liberare l’ente locale di incombenze che non è in grado di esercitare compiutamente inducendolo a preferire la gestione pubblica che, comunque, gli consente di tenere sotto controllo il servizio mediante l’uso della posizione proprietaria.

 

La situazione e gli andamenti economici

 

Una volta posto in luce il quadro dei problemi e delle esigenze sui terreni normativo, regolatorio, industriale e finanziario occorre valutare quale sia l’effettivo stato del settore e quali le sue tendenze evolutive. Come si è già avuto modo di osservare la situazione presenta, con riferimento a questi aspetti, luci ed ombre. Abbiamo finora parlato delle difficoltà sui versanti dell’incertezza normativa e regolatoria e dell’insufficienza delle prospettive di politica industriale. Queste difficoltà -e qui veniamo alle luci- hanno condizionato lo sviluppo del settore ma non ne hanno impedito il mutamento organizzativo, gestionale e industriale e una certa dinamica di crescita. Nei servizi energetici e a rete localizzati nel Centro-Nord la tendenza prevalente, come si è detto, è stata il conseguimento di economie di scala e di scopo mediante acquisizioni e fusioni e la creazione di unità produttive operanti su area vasta e su base multiservizio. Queste politiche hanno comportato, almeno fino allo scorso biennio, rilevanti dinamiche di sviluppo economico, produttivo e degli investimenti anche per effetto dell’estensione in ambiti di business contigui e, nelle imprese di maggiori dimensioni, sono state accompagnate dall’allargamento della compagine proprietaria tramite la quotazione di Borsa. Nel Mezzogiorno, al contrario, il processo di cambiamento ha stentato ad affermarsi e, nonostante qualche segnale di miglioramento, il divario rispetto al Centro-Nord, non ha accennato a ridursi.

A partire dal 2008 e, soprattutto, nel 2009, al condizionamento istituzionale si è sovrapposto quello economico per effetto dei riflessi della recessione mondiale. I servizi pubblici locali, per loro natura, sono meno esposti alle variazioni dei cicli economici; in questa occasione, tuttavia, la dimensione, l’invasività e la lunghezza della crisi non hanno risparmiato neanche questo comparto sia pure in misura molto meno accentuata rispetto alle imprese industriali, maggiormente dipendenti dagli andamenti della finanza e da quelli della domanda interna ed internazionale. Occorre tuttavia considerare che a seguito della recessione la spesa pubblica ha dovuto mutare le priorità privilegiando soprattutto il sostegno della produzione e dell’occupazione e che le misure di contenimento della finanza pubblica (anche prima dell’attuale manovra) hanno interessato sensibilmente le  Regioni e agli Enti locali. Ciò ha comportato un ridimensionamento dei trasferimenti nei settori esposti ad oneri di universalità e di socialità, determinando difficoltà gestionali e minori finanziamenti per gli investimenti.

Nel periodo esaminato, dal 2004 al 2009, considerato nel suo complesso, il comparto, che comprende i servizi di natura industriale (energetico, idrico, gas, rifiuti e trasporto pubblico locale) si è mantenuto lungo un sentiero di crescita e di progressivo miglioramento delle performances economiche sia pure in dimensioni diverse a seconda dei contesti territoriali e settoriali. Anche la recessione del 2008 e del 2009 non ha comportato un ritorno indietro, come è avvenuto in gran parte dell’apparato produttivo, bensì soltanto un ridimensionamento dello sviluppo e, solo nei casi più gravi, una sua interruzione.

Questa minore sensibilità alle conseguenze della crisi è da porre in relazione alle caratteristiche dei servizi e alla struttura economico-patrimoniale delle imprese che li gestiscono. Per un verso essi, data la loro essenzialità, hanno una domanda rigida, non solo al prezzo, ma anche al reddito disponibile, per altro verso la struttura dell’attivo delle imprese è costituita prevalentemente da impieghi produttivi e assai meno da investimenti finanziari, il che comporta orizzonti temporali più estesi rispetto ad altri comparti economici e una minore esposizione a fenomeni speculativi. In virtù di tali caratteri i servizi pubblici locali in presenza di fasi recessive esercitano, di fatto, un ruolo anticiclico in quanto tendono a mantenersi lungo un trend di sviluppo che può rallentare e ridimensionarsi ma non invertirsi drasticamente.

Gli effetti della recessione mondiale, tuttavia, sia pure in forme e misure molto meno allarmanti si sono manifestati anche nei servizi pubblici locali con intensità diverse da un anno all’altro.

Nel 2008 si è registrata una riduzione della velocità dello sviluppo che, peraltro, si è mantenuto su ritmi abbastanza sostenuti: in particolare gli utili di esercizio e gli investimenti, pur rallentando il ritmo di incremento, hanno comunque segnato percentuali consistenti, pari al 4% per gli utili e ad oltre il 5% per gli investimenti.

Nel 2009 l’effetto della recessione è stato più evidente e si è manifestato con maggiore o minore intensità a seconda delle caratteristiche dei servizi. I riflessi più rilevanti si sono avuti nel trasporto collettivo, esposto più degli altri al taglio dei trasferimenti, in cui le perdite nel 2009, al pari del 2008,  hanno registrato di nuovo un aumento dopo una tendenza al contenimento protrattasi per l’intero quadriennio precedente. Il dato negativo più significativo di questo settore, tuttavia, concerne gli investimenti che hanno subito una pesante caduta, intorno al 15%, dovuta prevalentemente al mancato rifinanziamento delle leggi di promozione degli investimenti per il potenziamento delle reti e del parco mezzi destinato al trasporto collettivo.

Negli altri servizi, come si è detto, non si sono verificate inversioni di tendenza, bensì solo riduzioni dei ritmi di crescita che si sono riflesse sui risultati di esercizio e sugli investimenti. Questi ultimi, in particolare, non hanno interrotto il trend di sviluppo e, mentre nell’economia nel suo complesso gli investimenti fissi lordi hanno registrato nel 2009 un regresso di quasi il 12%, nei servizi energetici, idrici e dei rifiuti essi si sono mantenuti in crescita con percentuali oscillanti tra il 2% e il 2,5%.

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