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Presupposti e limiti della partecipazione dei partecipazione dei comuni in società ed altri organismi.
di Leonardo Lo Biundo 20 dicembre 2010
Materia: società / partecipazione pubblica

PRESUPPOSTI E LIMITI DELLA PARTECIPAZIONE DEI

COMUNI IN SOCIETA’ ED ALTRI ORGANISMI.

 

 

Il contesto economico e l’evoluzione normativa

 

La ricerca di strumenti più efficienti ed economicamente sostenibili per la gestione dei servizi pubblici ha favorito l’espansione del numero e del campo d’azione dei soggetti partecipati dagli enti locali.

La Corte dei Conti ha rilevato che, fino al 2008, fossero in attività ben 5.860 organismi, nel cui capitale sociale figuravano 5.928 tra Comuni e Province con un incremento dell’11,08% rispetto al dato del 2005 .(1)

Le imprese partecipate, a tutto il 2005, hanno complessivamente occupato 255.529 addetti, con un incremento di oltre 17 mila unità rispetto al 2003 (+7,1%), mentre il valore aggiunto da esse prodotto è ammontato a 17,3 miliardi di euro, pari all’1,2% del PIL dell’intera economia nazionale .(2)

 La questione della partecipazione in società degli enti locali ha radici lontane, se è vero che il primo forte impulso alla creazione di imprese comunali fu impresso dalla legge Giolitti del 29 marzo 1903, n. 103, tanto che il periodo giolittiano è stato definito “l’età dell’oro delle municipalizzazioni” . (3)

E’ nel secondo dopoguerra che si è registrata, tuttavia, una profonda espansione del numero degli enti controllati e del novero dei servizi pubblici gestiti attraverso tali strumenti. I vigorosi processi di urbanizzazione e il mutamento della struttura dei consumi degli anni del boom economico imponevano, infatti, alle amministrazioni di ampliare il loro ambito d’attività oltre i tradizionali settori di riferimento.

In anni più recenti, con la legge 8 giugno 1990, n. 142, è giunto a conclusione un profondo disegno di trasformazione delle imprese municipali. L’intervento del legislatore ha costituito una risposta alla crisi del modello della gestione diretta dei servizi, dovuta alla crescente complessità del sistema per l’emergere di nuovi e più articolati bisogni, all’insostenibilità dei costi e all’esigenza di strutture più agili e non soggette ai vincoli del diritto amministrativo. La riforma del 1990 ha mirato ad attribuire una dimensione aziendalistica alla conduzione dei servizi, con l’intento di correggere le profonde distorsioni prodotte dai condizionamenti del sistema politico e di introdurre rimedi all’assenza di stimoli per una gestione efficiente.

Il processo di trasformazione delle aziende pubbliche locali non si è arrestato, tuttavia, all’indomani della legge n. 142/1990. Nel solco di essa, il D. Lgs. n. 267/2000 (Tuel) ha disposto la trasformazione delle aziende speciali in società per azioni, prevedendo anche la creazione di S.p.A. a partecipazione minoritaria degli enti locali e ha introdotto la distinzione tra servizi a rilevanza economica (4) e non economica. (5). Per i primi, l’attuale disciplina è fissata dall’art. 23 bis D.L. n. 112/08 e s.m.i., in virtù del quale è consentito l’affidamento ad imprenditori o società di capitali individuati con procedure ad evidenza pubblica, a società a capitale misto pubblico-privato, purché la selezione del socio avvenga con procedure ad evidenza pubblica che abbiano ad oggetto sia l’attribuzione di compiti operativi connessi al servizio, sia la qualità di socio cui assegnare una partecipazione non inferiore al 40%, ovvero, in situazioni eccezionali che non permettano un efficace ed utile ricorso al mercato e previo parere obbligatorio ma non vincolante dell’Autorità Antitrust, a società totalmente pubblica partecipata dall’ente locale che abbia i requisiti per la gestione in house.

Per i servizi privi di rilevanza economica sono sorti larghi spazi di autonomia per gli enti locali a seguito dell’intervento della Corte Costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità della disciplina per essi prevista dall’art. 113 bis Tuel. (6)

A giudizio della Consulta, la materia della tutela della concorrenza, idonea a fondare la competenza legislativa statale in tema di servizi pubblici locali a rilevanza economica, non è invocabile per quelli che ne siano privi, poiché per essi manca un vero e proprio mercato concorrenziale.

Grazie a quest’orientamento, sono venuti meno i modelli tipici di organizzazione imposti in precedenza dalla legge statale e sono emersi margini per l’intervento del legislatore regionale o, in sua assenza, degli enti locali, in conformità a quanto disposto dallo Statuto e da eventuali regolamenti.

Nel vasto ambito delle partecipate locali si riscontrano, pertanto, situazioni di grande eterogeneità, poiché società a partecipazione pubblica sono sia le ex municipalizzate, ma anche una pluralità di organismi diversificati per gli scopi perseguiti e per la composizione della compagine sociale .(7)

L’elemento caratterizzante è l’assunzione, ad esempio di riferimento, dei modelli strutturali e gestionali dell’impresa privata, al fine di creare forme organizzative più efficienti e idonee a fronteggiare la complessità dei processi, mediante l’utilizzo di capacità manageriali, sinergie operative e flessibilità di procedure.

Non è un caso che le Delibere consiliari, con le quali si approvi la creazione di nuove società partecipate, motivino spesso tali scelte richiamando i vantaggi derivanti dall’applicazione delle regole privatistiche. Queste ultime garantiscono maggiore elasticità nella gestione del personale e negli assetti organizzativi, consentendo anche di fruire delle agevolazioni fiscali previste a favore delle società .(8)

I Comuni hanno, dunque, individuato lo strumento strategico della loro azione nello schema societario, passando dalla produzione diretta di servizi disciplinata dal diritto amministrativo, ad un ruolo di indirizzo e controllo sulla loro erogazione ad opera di soggetti, costituiti secondo le regole del diritto privato, ma controllati o partecipati da capitale pubblico .(9)

Tale processo ha comportato la trasformazione dell’ente locale in interprete dei bisogni dei cittadini e responsabile del loro soddisfacimento, superando la tradizionale impostazione che attribuiva solo alla pubblica amministrazione la gestione dei servizi .(10)

Il Comune è divenuto titolare di specifici compiti d’indirizzo e di controllo sull’attività degli organismi partecipati. Spetta ad esso, in sinergia con tutti gli altri soci, determinare le linee guida e gli obiettivi dei soggetti di cui detiene quote di capitale, al fine di individuare le soluzioni che siano più rispondenti ai bisogni ed alle aspettative dei cittadini.

Al ruolo di indirizzo si affianca la funzione di controllo, tendente a verificare l’effettiva distribuzione dei servizi, il rispetto degli standard quali-quantitativi fissati e il raggiungimento dei risultati attesi, attraverso indici di valutazione che permettano di confrontare periodicamente le previsioni con gli obiettivi raggiunti.

 

Il quadro normativo vigente

 

I continui interventi legislativi succedutisi negli ultimi anni hanno imposto agli enti locali l’obbligo di valutare la conformità degli organismi partecipati con un quadro normativo sempre più complesso ed articolato. Il legislatore sembra aver ispirato le sue decisioni al perseguimento dei due obiettivi di riduzione della spesa e di apertura al mercato ed alla concorrenza, anche con l’introduzione di limiti per i Comuni alla costituzione di società o al mantenimento di quote in esse.

Lo scopo è di trovare soluzioni ad una situazione già evidenziata dalla Corte dei Conti e dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, le quali hanno rilevato che la creazione o la partecipazione in società siano state, di frequente, utilizzate per aggirare le regole di tutela della concorrenza ed eludere i vincoli di finanza pubblica imposti agli enti locali .(11)

In quest’ottica, i presupposti necessari affinché un Comune possa legittimamente costituire società o mantenerne le quote di capitale sono stati chiaramente definiti dall’art.3, commi 27 e ss L. 244/2007 (Legge Finanziaria 2008) (12). La disposizione consente la creazione e la conservazione delle sole società che svolgano attività strettamente necessarie al perseguimento delle finalità istituzionali dei Comuni e di quelle che producano servizi di interesse generale .(13). In assenza della definizione per via legislativa delle funzioni fondamentali, si può fare riferimento per la loro individuazione alla L. n. 131/2003, che identifica come essenziali quelle concernenti il funzionamento degli enti locali e il soddisfacimento dei bisogni primari della comunità. L’assunzione di nuove partecipazioni e il mantenimento di quelle esistenti devono essere autorizzati dal Consiglio Comunale, mediante delibera motivata sulla sussistenza dei presupposti di legge da inviare alla sezione competente della Corte dei Conti . (14)

I giudici contabili del Veneto, con la Deliberazione n.16/2010, hanno definito il Consiglio Comunale come interprete principale dei bisogni della comunità locale, con il compito di valutarne le necessità e di soddisfarle nell’ambito delle compatibilità gestionali e finanziarie.

Il Consiglio deve verificare quali finalità si intendano perseguire attraverso le partecipate e se esse possano essere incluse fra i compiti riservati all’ente dall’ordinamento, nonché accertare se l’oggetto societario possa considerarsi prodromico agli scopi istituzionali anche alla luce dello statuto del comune e di quelli degli organismi societari.(15)

La giurisprudenza ha anche ritenuto legittima la costituzione di società o l’assunzione di partecipazioni in mancanza delle quali non sarebbe in altro modo perseguibile il fine istituzionale dell’ente locale .(16) In questi casi si tratta di scelte conseguenti all’evidente e motivata mancanza di alternative, che non può, tuttavia, tradursi nell’elusione delle norme in materia di finanza pubblica e di attività contrattuale delle pubbliche amministrazioni. (17)

La volontà di dar vita a soggetti partecipati deve comportare il conferimento delle necessarie risorse umane, finanziarie e strumentali, con la corrispondente riduzione della dotazione organica dell’ente locale e la rimodulazione degli stanziamenti in bilancio e nel fondo per la contrattazione integrativa.

Un complesso ruolo di vigilanza è attribuito agli organi di controllo interno e al collegio dei revisori, cui spetta asseverare il trasferimento delle risorse umane e finanziarie e trasmettere una relazione al Dipartimento della Funzione Pubblica e alla Ragioneria Generale dello Stato, segnalando eventuali inadempimenti alle competenti sezioni regionali della Corte dei Conti.

Qualora gli scopi societari non siano propedeutici ai compiti istituzionali dell’ente, rimane ammissibile, comunque, la creazione o l’adesione a società che producano servizi di interesse generale.

Nel Libro Bianco sui servizi di interesse generale (18) sono inclusi in questa categoria i servizi di mercato e quelli non di mercato, che siano considerati dalle autorità pubbliche di interesse generale e assoggettati a specifici obblighi .(19)

Le partecipazioni “non inerenti” dovranno, invece, essere cedute a terzi mediante procedure ad evidenza pubblica, da avviarsi entro il 31 dicembre 2010 .(20)

Le disposizioni della Finanziaria 2008 trovano il loro antecedente storico nell’art.13 del D.L. 4 luglio 2006 n. 223 (Decreto Bersani), convertito dalla Legge n. 248/2006 (21). La norma ha vietato alle S.p.A. a totale capitale pubblico o miste, costituite o partecipate dalle amministrazioni regionali o locali per la produzione di beni e servizi strumentali alle loro attività, di svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati.

Essa trova applicazione solamente nei confronti di società totalmente pubbliche o miste cd strumentali, ossia create o partecipate per svolgere attività rivolte alla stazione appaltante e non nei confronti del pubblico (22). Inizialmente, la giurisprudenza amministrativa ha considerato la disposizione efficace anche nei confronti di società di secondo grado e di terzo grado, vale a dire non costituite direttamente da pubbliche amministrazioni, bensì da soggetti da esse partecipati .(23) Successivamente, tale linea interpretativa è divenuta minoritaria per l’emergere di un difforme indirizzo, che ha indicato come “il richiamo del legislatore al capitale sociale ed alla figura della costituzione e della partecipazione evoca la necessita che l'ente locale sia socio, come tale titolare di una partecipazione al capitale sociale .(24)

La ratio della norma è di rendere obbligatoria l’esclusività del rapporto fra l’ente locale e le società strumentali, impedendo che queste possano giovarsi della posizione di vantaggio goduta sugli altri operatori economici per mettere in atto comportamenti contrari ai principi di concorrenza.

Il legislatore è intervenuto, ancora una volta, a ridisegnare i presupposti per la partecipazione in società mediante l’articolo 14 c. 32 D.L. n. 78/2010 convertito in Legge n. 122/2010, il quale ha introdotto un principio generale di limitazione del numero delle presenze in società in relazione alle fasce demografiche dei Comuni. In base alla nuova normativa, fermo restando il disposto dell’art. 3 c. 27 L. 244/2007, i Comuni inferiori a 30.000 abitanti dovranno mettere in liquidazione, entro il 31 dicembre 2011, le società già esistenti al 31 maggio 2010, ovvero cederne le partecipazioni. La regola non si applica alle società costituite da più Comuni, la cui popolazione complessiva superi i 30.000 abitanti, qualora detengano partecipazioni paritarie o proporzionali al numero dei cittadini. I Comuni compresi tra 30.000 e 50.000 abitanti, invece, potranno mantenere la partecipazione in una sola società, dovendo porre in liquidazione quelle eccedenti entro il 31 dicembre 2011.(25)

La formulazione letterale della nuova disciplina non chiarisce come interpretare il richiamo all’art. 3 c 27 L. 244/2007 e quali siano le correlazioni e le sovrapposizioni esistenti tra le norme. Non è chiaro, in dottrina, se il divieto riguardi tutte le forme di partecipazione, anche minoritarie, detenute dai Comuni inferiori a 30.000 abitanti, ovvero solamente la costituzione di società, consentendo l’assunzione o il mantenimento di partecipazioni in società preesistenti.

Bisogna aggiungere che il riferimento all’art. 3. c. 27 lascia, in ogni caso, margini per un’interpretazione meno draconiana di quella che può emergere dalla formulazione letterale della disposizione. Un orientamento dottrinale ha, infatti, interpretato il rinvio alla Finanziaria 2008 come una soluzione utile a consentire ai Comuni fino a 50.000 abitanti di poter mantenere le proprie partecipazioni nelle società, nella misura in cui siano state dichiarate strettamente necessarie al perseguimento delle finalità istituzionali degli enti ovvero eroghino di servizi di interesse generale o gestiscano servizi pubblici locali (26). In tal senso, assume una particolare rilevanza il decreto del Ministro per i rapporti con le regioni, da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione, con il quale saranno determinate le modalità attuative della norma e altre eventuali ipotesi di esclusione dal suo campo d’applicazione.

Recenti sono anche le norme che hanno posto ulteriori limiti alla partecipazione degli enti locali in consorzi, per mezzo dell’art 2 c. 186, lett. e, L. 191/2009, come modificato dal D.L. n. 2/2010, convertito con modificazioni dalla L. n. 42/2010. Esso ha imposto la soppressione dei consorzi di funzioni tra gli enti locali, ad eccezione dei bacini imbriferi montani, con l’assunzione da parte dei Comuni delle funzioni già esercitate dai consorzi da sopprimere. Sorgono, anche in questo caso, problemi di coordinamento della norma con le disposizioni che, in diversi campi, hanno previsto forme associative obbligatorie tra enti locali.

La Corte dei Conti ha fornito una chiave interpretativa, statuendo che i consorzi di funzioni vadano sciolti qualora non siano obbligatori in virtù delle norme settoriali per le quali siano stati costituiti .(27)

Ad esiti opposti, invece, si perverrebbe qualora si considerasse la norma prevalente su quelle antecedenti, ammettendo la sola deroga dei bacini imbriferi montani. Un’ulteriore tendenza che emerge nelle scelte del legislatore è quella di considerare in chiave unitaria e globale i rapporti tra enti locali e le loro partecipate.

L’art. 18 L. 133/2008 ha esteso la disciplina del patto di stabilità, secondo i criteri operativi che indicherà un apposito decreto ministeriale, alle società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo titolari di affidamenti diretti di servizi pubblici locali senza gara, a quelle che svolgano funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale né commerciale ed a quelle che esercitino le loro attività nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica. L’inclusione dei soggetti partecipati nella valutazione degli obiettivi fissati dal patto di stabilità mira a giungere progressivamente alla costruzione di un modello di bilancio pubblico consolidato dell’intero gruppo ente locale.(28)

L’ampliamento dei vincoli del patto ha rafforzato ulteriormente il ruolo di controllo degli enti locali, anche alla luce dell’art. 5 del DPR 168/2010 che ha attribuito loro la vigilanza sul rispetto degli obblighi di finanza pubblica. In tal senso, si pone la necessità per molti comuni di creare un’apposita struttura tecnico-amministrativa, dotata di elevate professionalità, in grado di monitorare l’operato delle società partecipate, la loro situazione patrimoniale, finanziaria ed economica con l’utilizzo di parametri omogenei ed obiettivi. Tale struttura dovrebbe avere anche il compito di vigilare sul rispetto delle norme volte al contenimento della spesa per il personale,che si pongono in continuità logica con la visione unitaria del gruppo ente locale. Ne è un esempio lampante l’art. 76 c.1, D.L. n. 112/2008, che ha incluso, nella base di calcolo per la verifica degli obblighi di riduzione previsti, anche i costi concernenti tutti i soggetti a vario titolo utilizzati, senza estinzione del rapporto di pubblico impiego, in strutture e organismi variamente denominati partecipati o comunque facenti capo all’ente.(29)

Identica funzione hanno gli interventi con i quali sono stati imposti vincoli che limitano e rendono più trasparenti le procedure di selezione del personale dei soggetti partecipati. L’intento è di evitare che gli enti locali aggirino i limiti in tema di finanza pubblica e di assunzioni di personale, facendo ricorso alle risorse ed agli organici delle loro controllate. In virtù di ciò, l’art. 19 L. 102/2009 ha ampliato l’efficacia dei divieti e delle limitazioni alle assunzioni di personale previsti per l’amministrazione controllante nei confronti delle società a partecipazione pubblica totale o di controllo titolari di affidamenti diretti di servizi pubblici locali senza gara, per le società che agiscono per il soddisfacimento di esigenze di interesse generale non aventi carattere industriale o commerciale e per quelle che esercitino attività nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica. Nei confronti di esse sorge l’ulteriore obbligo di adeguare le politiche del personale agli obiettivi di contenimento degli oneri contrattuali, delle altre voci di natura retributiva o indennitaria e delle consulenze . (30) Il DPR n. 168/10 ha stabilito, inoltre, che le società a partecipazione pubblica che gestiscano servizi pubblici locali adottino, con propri provvedimenti, criteri per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi ex art.35 c. 3 del D. Lgs 165/2001.

In questo quadro così complesso ed articolato una minore rilevanza rivestono le norme che hanno fissato vincoli al costo di funzionamento degli organi delle società controllate, riducendone il numero dei componenti, la remunerazione e prevedendo la gratuità della carica quando sia assunta da un amministratore dell’ente locale controllante o partecipante .(31)

 

Conclusioni

 

Il panorama normativo delineato rende necessaria l’adozione di strumenti di corporate governance, ossia di istituzioni e regole giuridiche e tecniche finalizzate al governo degli organismi partecipati secondo criteri di economicità, efficienza ed efficacia. Appare opportuno che gli enti locali si dotino di appositi regolamenti sulle partecipazioni, tesi a regolare i modi di esercizio delle proprie funzioni di indirizzo e controllo e gli aspetti organizzativi e finanziari del rapporto con i soggetti partecipati.

In secondo luogo, dovrebbero essere costituiti, anche in forma associata, uffici di controllo sulle partecipate che supportino gli organi di indirizzo politico nelle definizione delle scelte gestionali, coordinino la predisposizione dei documenti di programmazione annuale e pluriennale, analizzino i bilanci preventivi e consuntivi e verifichino il rispetto delle disposizioni legislative specifiche.

Non minore rilievo merita il percorso avviato dal legislatore, che ha inteso avviare un percorso volto a pervenire ad una visione unitaria e consolidata dei risultati gestionali dell’ente locale e di quelli dei soggetti di cui si detengano quote sociali, mediante l’estensione agli organismi partecipati del patto di stabilità, dei vincoli finanziari e delle norme in materia di personale .(32)

La Corte dei Conti ha, tuttavia, manifestato dubbi sull’effettiva estensibilità delle regole del patto, in assenza della definizione delle specifiche modalità operative. Le perplessità sorgono per la mancanza di sistemi di rilevazione delle voci contabili omogenei per gli enti locali, legati ad una contabilità finanziaria e per le partecipate, soggette a contabilità economico-patrimoniale. Il rischio paventato è che il divieto di assunzioni, nel caso di mancato rispetto dei saldi, possa provocare ricadute negative in termini di livello e qualità delle prestazioni .(33)

Nonostante le difficoltà, è opportuno giungere alla predisposizione di un bilancio consolidato, inteso come una rappresentazione veritiera e corretta degli andamenti economici, finanziari e patrimoniali del Gruppo ente locale, costituito da questo e da qualsiasi controllata (34). In questo modo, l’ente potrebbe essere in grado di aggregare i bilanci voce per voce, sommando tra loro i corrispondenti valori dell’attivo, del passivo, dell’attivo netto/patrimonio netto, dei proventi e degli oneri.

L’effettiva realizzabilità del consolidamento dei conti non può, tuttavia, essere disgiunta da una revisione complessiva del sistema contabile locale, anche con l’adozione di un piano dei conti unico che evidenzi le caratteristiche distintive delle categorie contabili, rendendo confrontabili le voci di spesa non specifiche o residuali riscontrabili nel rendiconto e nel conto economico.

Nella medesima ottica, s’inserisce la necessità di potenziare i controlli interni, estendendo il controllo di gestione ai soggetti partecipati con riferimento anche alla qualità dei servizi erogati. Tale tipologia di audit interno dovrebbe esercitarsi attraverso la definizione preventiva, da parte dell’amministrazione, degli obiettivi gestionali e l’organizzazione di un idoneo sistema informativo, finalizzato a rilevare i rapporti finanziari tra ente locale e soggetti partecipati, la loro situazione contabile e gestionale, la qualità dei servizi, il rispetto delle norme sui vincoli di spesa.

Con l’introduzione di queste misure, l’ente locale potrebbe esercitare una specifica attività di programmazione ed eseguire un monitoraggio costante sull’andamento delle partecipate, analizzando gli scostamenti rispetto agli obiettivi assegnati ed individuando le opportune azioni correttive.

 

NOTE

1. C. Conti, Sez. Autonomie, Deliberazione 22/06/2010, n. 14. Poco meno del 65% degli organismi partecipati possiede natura societaria con prevalenza delle società per azioni, mentre circa il 35% ha forma giuridica diversa dalla società, in prevalenza consorzi;

2. Centro Studi Unioncamere, Le società partecipate dagli enti locali (2003-2005), Rapporto 2007, Roma, gennaio 2008;

3. Pavese C., Le municipalizzate in Italia, Seconda Conferenza Nazionale dei Servizi Pubblici Locali, Milano, 2000;

4. C. Conti, Sez. reg. Lombardia, Del. n.195/2009, “Ciò che qualifica un’attività come economica non è solo il fine produttivo cui essa e indirizzata, ma anche il metodo con cui e svolta. … l’attività produttiva può dirsi condotta con metodo economico quando le entrate percepite per l’attività sono tese a rimunerare i fattori produttivi utilizzati, consentendo nel lungo periodo la copertura dei costi con i ricavi.”

5. C. Conti, Sez. reg. Veneto, Del. n. 16/10,“nel servizio pubblico privo della rilevanza economica l’equilibrio è, invece, assicurato dalla fiscalità generale o, comunque, dagli ordinari mezzi di bilancio. In ogni caso, il servizio pubblico privo di rilevanza economica si configura quando la natura stessa del servizio o i vincoli cui esso e sottoposta la gestione non rendano configurabile l’ esistenza di un mercato concorrenziale”.

6. Corte Costituzionale. Sent. 27/07/2004, n. 272;

7. Paolini C., L’impatto della riforma concernente i servizi pubblici locali di rilevanza economica sulle partecipate pubbliche degli Enti Locali. SSPAL Struttura Territoriale Emilia-Romagna, Toscana, Umbria e Marche, 15 febbraio 2010;

8. Legautonomie, Le società partecipate: l’indagine Legautonomie, giugno 2008, p.6;

9. Gavana G., Osculati F., Zatti A., Il capitalismo municipale, le esternalizzazioni fredde e qualche rimedio, XVIII Conferenza della Società Italiana di Economia Pubblica, Servizi Pubblici. Nuove tendenze nella regolamentazione, nella produzione e nel finanziamento, Università di Pavia, 14 – 15 settembre 2006;

10. Il Dpr n. 168/10, all’art. 8, delinea chiaramente la distinzione tra funzione di regolazione e di gestione, mediante il divieto per amministratori, dirigenti e responsabili degli uffici o dei servizi dell’ente locale, loro parenti o affini entro il IV grado, di svolgere incarichi inerenti la gestione dei servizi affidati da parte dell’ente stesso, anche nel caso in cui le funzioni siano state svolte nei tre anni precedenti. Non possono, inoltre, essere nominati amministratori di società partecipate da enti locali coloro che nei tre anni precedenti alla nomina abbiano ricoperto la carica di amministratore locale.

11. C. Conti, Sez. Autonomie, Del. 22/06/2010, n. 14; AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato), Relazione annuale 2006, Presentazione del Presidente Antonio Catricalà, Roma, 26 giugno 2007, laddove si legge che: “è a tutti nota l’entità del fenomeno che vede gli enti territoriali partecipare direttamente al mercato mediante imprese controllate. Se un’amministrazione locale decide di intraprendere un’attività economica non per questo costituisce un ostacolo al corretto funzionamento del mercato a danno delle imprese private. Ma ciò inevitabilmente accade quando il medesimo soggetto agisce nella veste di regolatore e regolato. Un principio ben chiaro dovrebbe ispirare il Parlamento nella riforma che sta per varare: in ogni mercato, senza eccezioni, pubblico e privato devono competere a parità di condizioni”.

12. Il Consiglio di Stato, Sez. VI, Sent. 30/05/2003, n. 2994, aveva già sostenuto in passato che gli enti pubblici non economici non dovessero assumere, al di fuori di un espresso dettato legislativo e normativo, compiti privatistici o missioni imprenditoriali che li distogliessero dalle funzioni istituzionali loro affidate.

13. Le disposizioni in questione appaiono strettamente coerenti con le disposizioni contenute dal 587° al 591° comma della legge finanziaria per il 2007 (legge 27 dicembre 2006, n. 296), relative alla cosiddetta “Anagrafe delle partecipazioni” le quali prevedono l’obbligo per le amministrazioni statali, regionali e locali, a comunicare al Dipartimento della Funzione pubblica l’elenco delle società a totale o a parziale partecipazione pubblica.

14. La trasmissione alla Corte dei conti prefigura un controllo sulla gestione ex art. 3 c. 4/6 L. 20/94, volto ad accertare la corrispondenza dei risultati dell’attività amministrativa agli obiettivi di legge.

15. C. Conti, Sez. reg. Piemonte, Del. n. 33/2008;

C. Conti, Sez. reg. Puglia, Del. n.100/2009;

16. C. Conti, Sez. reg. Molise, Del. n.32/2009;

17. C. Conti, Sez. reg. Lombardia, Del. n.187/2009;

18. Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni COM (2004) 374 del 12 maggio 2004.

19. Possiamo citare i servizi offerti dalle grandi industrie di rete quali energia, servizi postali, trasporti e telecomunicazioni, ma anche sanità, istruzione, servizi sociali e qualsiasi altra attività economica soggetta ad obblighi di servizio pubblico.

20. La Corte dei Conti Sez. reg. Lombardia Del. n. 48/2008 e Sez. reg. Puglia n. 100/2009 ha precisato che il termine per il completamento della procedura non è perentorio, ma solo ordinatorio.

21. Il tema della compatibilità del comma 27 con l’art.13 del d.l.223 del 2006 è stato affrontato dalla Corte dei Conti, Sez. Autonomie, Del. 22/06/2010, n. 14, che non ha riscontrato difficoltà applicative, “tenuto conto che il citato art.13 riduce ex lege la capacita di agire delle (sole) società strumentali partecipate dalle (sole) amministrazioni regionali e locali, mentre il sopravvenuto comma 27 adotta un approccio diverso e va oltre, ponendo limiti alla capacita di agire di tutte le pubbliche amministrazioni:una collocazione sistematica delle due norme vedrebbe l’art.13 del d.l.223/2006 in relazione di species a genus rispetto all’art.3, comma 27 della legge finanziaria 2008”.

22. Consiglio di Stato, sez. V, 14 aprile 2008, n. 1600; Cons. Stato, Sez. V, 12 giugno 2009, n. 3766;

23. TAR Sicilia, Sent. n.2598/2009; Consiglio di Stato, Sez. IV Sent. 31/07/2009 n.4829; Autorità vigilanza contratti pubblici n. 135/2007 e n. 28/2009;

24. TAR Lazio, Sent. 05/01/10 n. 36; Tale impostazione è stata in seguito autorevolmente confermata anche dal Consiglio di Stato, Sez. V, Sent. 05/03/2010 n. 1282, il quale ha statuito che “è solo la specifica missione strumentale della società rispetto all’ente che l’ha costituita ovvero la partecipa a giustificare il divieto legislativo di operare per altri soggetti pubblici o privati, al fine di non godere della posizione privilegiata sul mercato, determinata proprio dalla predetta strumentalità, ritenuta dal legislatore fonte di alterazione o di distorsione della concorrenza e del mercato e di violazione del principio di parità degli operatori”.

25. Non appare prevista, a differenza del caso precedente, la possibilità di cessione delle partecipazioni nelle società eccedenti;

26. Pozzoli S. Entro 90 giorni i criteri per le società dei piccoli. Servizi pubblici fuori dai divieti per gli enti minori. Sole 24 ore Norme e tributi, 12 luglio 2010; In senso conforme per il mantenimento delle società di servizi pubblici Corte Conti, Sez. reg. Puglia Del. n. 56/PAR/2010;

27. C. Conti, Sez. reg. Campania, Del. n. 118/2010;

28. Anche la Corte dei Conti, Sez. reg. Lombardia, con Del. n. 159/2006 e Parere n. 26/2006 aveva già rilevato la necessità che i risultati delle società totalmente o maggioritariamente partecipate fossero computati insieme a quelli degli enti locali di riferimento, al fine di calcolare le grandezze di finanza pubblica relative al patto di stabilità interno.

29. La Corte dei conti, sez. reg. Lombardia con la delibera n. 99/2008, ha affermato che disciplina vincolistica in materia di personale debba essere intesa come “riferibile anche a tutte le forme di cooperazione interlocale oltre che di esternalizzazione in senso stretto e che pertanto vadano considerate come sostenute direttamente dall’ente locale anche le spese di personale iscritte nel bilancio della società pubblica in house, tanto nel caso di partecipazione unica totalitaria, quanto nel caso di compartecipazione plurisoggettiva intercorsa fra vari enti pubblici locali in misura proporzionale alla partecipazione detenuta.”

30. La Corte dei Conti, Sez. reg. Veneto, con la Del. 16/2010 ha avanzato dubbi sulla norma, poiché non è chiaro se essa si riferisca al solo vincolo cui sono sottoposti gli enti locali, oppure anche alle sanzioni previste in caso di mancato rispetto del patto di stabilità. Non sono definite, inoltre, le regole applicabili in caso di controllo congiunto da parte di più soggetti sottoposti a regimi giuridici diversi e se siano efficaci i limiti alle assunzioni che prescindono dall’osservanza del patto.

31. Cfr art.1, c. 718 e ss L. n. 296/06, art. 17 commi 22 bis e ter D.L. n. 78/2009 e art.6, c. 6 L. n. 122/2010; La Corte dei Conti, Sez. reg. Lombardia con Delibera n. 220/08 ha affrontato il tema del contrasto tra i limiti all’autonomia societaria imposti dal legislatore e l’art. 2389 c.c., il quale non prevede alcun vincolo ai compensi degli amministratori delle società. La Corte, al riguardo, ha considerato che il legislatore è legittimato, ove ricorrano esigenze organizzative o di finanza pubblica, ad introdurre deroghe e limitazioni ai poteri ed ai diritti che il diritto societario riconosce agli azionisti ed agli amministratori delle società a partecipazione pubblica locale.

32. La visione unitaria è manifestata anche dall’art. 6, c. 19 D.L. n.78/10, che ha fatto divieto alle amministrazioni inserite nell’elenco, redatto annualmente dall’ISTAT, di effettuare aumenti di capitale, trasferimenti straordinari, aperture di credito o di rilasciare garanzie a favore di società partecipate non quotate che abbiano registrato, per tre esercizi consecutivi, perdite di esercizio o che abbiano utilizzato riserve disponibili per il ripiano di perdite anche infrannuali.

33. Corte dei Conti, sez. Autonomie, Del. n. 14/2010;

34. Spunti sulle possibili procedure di consolidamento sono contenuti nel principio contabile n. 4, recentemente redatto dall’Osservatorio per la finanza e la contabilità degli enti locali. Anche la L. n. 42/2009 in materia di federalismo fiscale, la L. n.196/2009-legge di contabilità e finanza pubblica- e il D.D.L. sul Codice delle Autonomie prevedono, sia pur attraverso l’emanazione di appositi decreti legislativi, l’introduzione del bilancio consolidato.

 

 

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C. Conti, Sez. reg. Lombardia, Del. n.195/2009;

C. Conti, Sez. reg. Puglia, Del. n. 56/PAR/2010;

C. Conti, Sez. reg. Puglia, Del. n.100/2009;

TAR Lazio, Sent. 05/01/10 n. 36;

Cons. Stato, Sez. V, Sent. 05/03/2010 n. 1282;

C. Conti, Sez. reg. Veneto, Del. n. 16/10;

C. Conti, Sez. Autonomie, Del. 22/06/2010, n. 14;

Tribunale di Ivrea, Sent.22/06/2010 n. 18;

C. Conti, Sez. reg. Campania, Del. n. 118/2010;

 

 

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