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La "nuova" disciplina dei servizi pubblici locali nella "manovra di Ferragosto".
di Francesca Scura 14 settembre 2011
Materia: servizi pubblici / disciplina

A distanza di pochi mesi dal referendum abrogativo che ha determinato la caducazione dell’art. 23-bis L. 133/2008 s.m.i. e del relativo Regolamento attuativo (D.P.R. 168/2010), la manovra aggiuntiva varata dal Governo con il D.L. 138/2011, recante “Ulteriori misure per la stabilizzazione finanziaria e lo sviluppo”, pubblicato il 13 agosto scorso, torna a disciplinare la materia dei servizi pubblici locali di rilevanza economica.

Evento, questo, tanto prevedibile e auspicabile quanto anomalo ove si consideri che la disciplina così introdotta riproduce quasi integralmente quella venuta meno a seguito del citato referendum.

Senza entrare nel merito della legittimità, sul piano del rispetto dei principi costituzionali, di un simile intervento del Governo (1), da valutarsi in sede di sindacato di legittimità costituzionale delle leggi, dato certo, è, da un lato, la non reviviscenza delle norme abrogate dall’art. 23-bis, espressamente o tacitamente, secondo quanto statuito dalla Corte Costituzionale (sentenze n. 24/2011, n. 31/2000 e n. 40/1997; ordinanza n. 9/1997); dall’altro, la riemersa necessità di contemperare la vigente disciplina comunitaria, relativa alle regole concorrenziali minime, con una “nuova” disciplina nazionale, destinata ad integrare la prima in quanto pro concorrenziale (2).

Il riferimento è all’art. 4 del decreto in parola, rubricato “Adeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare e alla normativa dell'Unione europea”, solo sfiorato dagli emendamenti al disegno di legge di conversione, approvati nei giorni scorsi al Senato, che oggi racchiude la disciplina generale in materia di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica.

La nuova normativa presenta analogie, a dir poco “lessicali”, con la previgente disciplina.

Le disposizioni del citato articolo, infatti, come in passato, prescrivono all’ente affidante l’obbligo di procedere, in via preliminare e con cadenza periodica, alla verifica della realizzabilità di una gestione concorrenziale dei servizi pubblici locali, limitando i diritti di esclusiva (art. 4, commi 1, 2, 3, 4). A tal fine è prevista l’adozione, entro il 13.8.2012, poi periodicamente e, comunque, prima di procedere all’affidamento del servizio, di una “delibera quadro” da pubblicizzare e trasmettere alla Autorità Antitrust, che evidenzi l’istruttoria compiuta nonchè, per i settori sottratti alla liberalizzazione, le ragioni della decisione e i benefici derivanti dal mantenimento di un regime di esclusiva del servizio. Sul punto la manovra mostra di non tenere in alcun conto le censure mosse illo tempore dal Consiglio di Stato con riguardo alle disposizioni del medesimo tenore contenute nel regolamento attuativo dell’art. 23-bis (3).

Quanto alle modalità di affidamento dei servizi in questione, le nuove norme riproducono, sebbene con minor rigore sistematico, l’impianto proprio dell’art. 23-bis, prevedendo in via ordinaria che il conferimento avvenga tramite procedura ad evidenza pubblica in favore di imprenditori o di società in qualunque forma costituiti, nel rispetto dei principi del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e dei principi generali relativi ai contratti pubblici (art. 4, comma 8).

Quindi si ripropongono le prescrizioni, relativamente al contenuto di bando di gara e lettera di invito, già previste all’art. 3 del Regolamento attuativo dell’art. 23-bis sopra citato, tra le quali si rammentano: il divieto di considerare come elemento discriminante nella valutazione delle offerte la disponibilità delle reti, degli impianti o di altre dotazioni patrimoniali non duplicabili a costi sostenibili ed essenziali per il servizio; l’obbligo di stabilire che i suddetti requisiti siano proporzionati alle caratteristiche e al valore del servizio; la necessità che la durata dell'affidamento non superi il periodo di ammortamento degli investimenti in immobilizzazioni materiali previsti nei capitolati di gara a carico del soggetto gestore; la facoltà di esclusione di forme di aggregazione o di collaborazione tra soggetti che possiedano singolarmente i requisiti di partecipazione; l'adozione di carte dei servizi;  e così seguendo (art. 4, comma 11).

Quanto alla gara cd. “a doppio oggetto”, la manovra sembra far proprio l’insegnamento giurisprudenziale consolidato che la equipara alla ordinaria procedura ad evidenza pubblica e, lungi dall’inserirla in elenchi di sorta (si pensi al comma 2 dell’abrogato art. 23-bis), si limita a farne accenno laddove si tratta dei contenuti della lex specialis di gara (art. 4, comma 12).

Tale fattispecie conserva interamente nel nuovo impianto normativo la configurazione che le aveva dato il legislatore prima dell’abrogazione referendaria quale procedura avente ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio, “al quale deve essere conferita una partecipazione non inferiore al 40%” e l’attribuzione di “specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio”. Al riguardo, il bando o la lettera di invito, analogamente a quanto disposto dal caducato art. 3 del Regolamento attuativo dell’art. 23-bis, deve prevedere che: a) i criteri di valutazione delle offerte basati su qualità e corrispettivo del servizio prevalgano su quelli riferiti al prezzo delle quote societarie; b) il socio privato svolga gli specifici compiti operativi per l’intera durata del servizio e che, diversamente, si proceda a un nuovo affidamento; c) siano previsti criteri e modalità di liquidazione del socio privato alla cessazione della gestione (art. 4, comma 12).

Ad abundantiam, al  comma 16 del decreto, si richiama l’art. 32, comma 3, del Codice dei contratti pubblici.

Tra le effettive novità rispetto al passato si segnala, invece, il nuovo rapporto tra disciplina generale e discipline di settore, eventualmente con essa incompatibili, posta l’assenza dell’espressa “clausola di prevalenza”, invece presente nell’abrogato art. 23-bis, comma 1 (4).

Conformemente alla volontà referendaria, inoltre, il regime delle esclusioni dall’ambito di applicazione della disciplina generale di cui all’art. 4 in esame viene esteso ricomprendendovi anche il servizio idrico integrato, fatta eccezione per le norme in tema di incompatibilità (art. 4, comma 34).

Elementi di novità riguardano poi la disciplina dell’affidamento in house, a dispetto di ogni indicazione del Consiglio di Stato ancora accompagnato dalla locuzione “cosiddetto” (5). Con riguardo a tale ultimo profilo, infatti, il decreto, dopo aver precisato, con previsione forse superflua, che le società a capitale interamente pubblico possono partecipare alle procedure competitive ad evidenza pubblica (6), salvi specifici divieti di legge (art. 4, comma 9), consente, in deroga rispetto alle modalità di affidamento sopra citate, l’affidamento in house in favore di società a capitale totalmente pubblico aventi i requisiti a tal fine richiesti dall’ordinamento europeo.

Al riguardo, sembra che la nuova normativa introduca un elemento di rigidità nella disciplina dell’in house, in sostituzione dei requisiti – meno determinati e determinabili -  posti dalla disciplina previgente, che, come noto, ammettevano tale affidamento solo in “ipotesi eccezionali” che non consentissero  l'“efficace e utile ricorso al mercato” debitamente dimostrate nonchè alla previa richiesta di parere all'Autorità Antitrust (art. 23-bis, commi 3 e 4, cit.)

L’art. 4, per contro, ridimensionando notevolmente il controllo dell’Antitrust in materia, subordina più semplicemente la legittimità dell’affidamento in house al rispetto di una predeterminata soglia quantitativa massima, già criticata dalla Autorità Antitrust (7) pari a 900.000 euro annui in relazione al valore economico del servizio oggetto dell'affidamento (art. 4, comma 13).

Fatta eccezione per il servizio idrico, dunque, la disciplina in commento comporta un restringimento delle ipotesi in cui è consentito l’in house rispetto a quanto consentito agli effetti della normativa “di risulta” post referendum.

Tali società sono assoggettate dal decreto al patto di stabilità interno nonché, unitamente alle società miste, alle regole in materia di acquisto di beni e servizi di cui al Codice dei contratti pubblici e di reclutamento del personale e conferimento incarichi di cui al D.Lgs. 165/2001 e al D.Lgs. 112/2008 s.m.i. (art. 4, commi 14, 15, 17); la verifica del rispetto del contratto di servizio nonchè ogni eventuale aggiornamento e modifica dello stesso sono in tali casi sottoposti alla vigilanza dell'organo di revisione di cui agli artt. 234 ss. del D.Lgs. n. 267/2000 (art. 4, comma 18).

Ai commi 6 e 7 del decreto, si richiamano, inoltre, come applicabili ai gestori di servizi pubblici locali le disposizioni della L. 287/90, e, in particolare, l’art. 9 (relativo all’autoproduzione di beni e servizi contro corrispettivo) e l’art. 8, commi 2-bis e 2-quater (sull’attività in mercati diversi).

Significative sono poi le disposizioni del decreto in tema di incompatibilità – non aventi, tuttavia, valenza sui rapporti in essere – con riguardo agli amministratori, ai dirigenti e responsabili di cui ai commi 19 -27.

Ribadita la proprietà pubblica delle reti (art. 4, comma 28), la disciplina dei beni strumentali, necessari per la prosecuzione del servizio, in caso di subentro è dettata ai commi 29-31, che ricalcano sul punto le disposizioni del caducato Regolamento attuativo dell’art. 23-bis, stabilendo l’obbligo a carico del precedente gestore, alla scadenza della gestione o in caso di cessazione anticipata, di cedere tali beni  al gestore subentrante, salvo eventuale indennizzo e comunque con salvezza di eventuali diverse norme o accordi in essere al momento dell’entrata in vigore del decreto.

Al fine del graduale passaggio alla nuova disciplina, il decreto introduce un nuovo regime transitorio con scadenze ravvicinate per gli affidamenti in essere non conformi alle nuove norme (art. 4, comma 32), già contestato dall'Antitrust in quanto tendente ad ampliare eccessivamente la platea dei soggetti che possono continuare a gestire i servizi pubblici locali senza aver vinto una gara. In ogni caso, alla luce delle nuove norme, la possibilità per le regioni ed enti locali di stabilire differenti termini di cessazione appare assai vacua (8).

L’art. 4 della manovra riproduce i divieti all’attività extra moenia per gli affidatari diretti (ivi incluse le società affidatarie con gara cd. “a doppio oggetto”) negli stessi ampi termini previsti dall’abrogato art. 23-bis, comma 9, con esclusione delle sole società quotate e delle relative controllate nonché del socio privato selezionato con la predetta gara “a doppio oggetto”. Anche ai sensi della nuova disciplina, è consentito, tuttavia, derogare ai predetti divieti, consentendosi la partecipazione alla “prima gara” successiva alla cessazione del servizio (art. 4, comma 33). Nulla muta, dunque, rispetto al quadro previgente, piuttosto si alimenta il contrasto interpretativo, mai chiuso, in ordine alla applicabilità e ai limiti delle predette restrizioni.  Anche questo aspetto cattura il dissenso dell’Autorità Antitrust, che già da tempo sottolineava il carattere paradossale di un simile divieto, che rischia di "limitare drasticamente il numero degli operatori ammissibili alle procedure di gara" (9).

Si riporta, in chiusura dell’articolo, la clausola che fa salve le procedure di affidamento già avviate all'entrata in vigore del presente decreto (art. 4, comma 35).

Particolare attenzione in materia va rivolta, infine, alle previsioni che precedono e seguono l’art. 4 in commento: l’art. 3, commi 1 e 4, precisa che l’adeguamento degli enti territoriali al principio secondo cui l'iniziativa e l'attività economica privata sono libere, imposto al comma 1 dell’art. citato, costituisce elemento di valutazione della “virtuosità” dei predetti enti ai sensi dell'art. 20, comma 3, del D.L. 98/2011, convertito in L. 111/2011; l’art. 5, invece, destina una quota del Fondo infrastrutture ad investimenti degli enti territoriali che procedano, rispettivamente entro il 31.12.2012 ed entro il 31.12.2013, alla dismissione di partecipazioni in società esercenti servizi pubblici locali di rilevanza economica, ad esclusione del servizio idrico.

 

1. Sul “divieto di formale o sostanziale ripristino della normativa abrogata dalla volontà popolare” si rinvia, tra le altre, alle sentenze della Corte Costituzionale n. 468/1990 e n. 32/1993. Sul “vincolo - sempre negativo - di non indifferenza rispetto al principio approvato in via referendaria” si veda  Salerno G.M., Alcune considerazioni in tema di effetti consequenziali del referendum «di principio» in materia elettorale, Giur. It., 1996, 9.

2. Come rilevato dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 24/2011), all’abrogazione dell’art. 23-bis è seguita “l’applicazione immediata nell’ordinamento italiano della normativa comunitaria (come si è visto, meno restrittiva rispetto a quella oggetto di referendum) relativa alle regole concorrenziali minime in tema di gara ad evidenza pubblica per l’affidamento della gestione di servizi pubblici di rilevanza economica”; al contempo, “È.. innegabile l'esistenza di un "margine di apprezzamento" del legislatore nazionale rispetto a principi di tutela, minimi ed indefettibili, stabiliti dall'ordinamento comunitario con riguardo ad un valore ritenuto meritevole di specifica protezione, quale la tutela della concorrenza "nel" mercato e "per" il mercato. Ne deriva, in particolare, che al legislatore italiano non è vietato adottare una disciplina che preveda regole concorrenziali - come sono quelle in tema di gara ad evidenza pubblica per l'affidamento di servizi pubblici - di applicazione piú ampia rispetto a quella richiesta dal diritto comunitario” (n. 325/2010).

3. Osservava il Consiglio di Stato che “La rilevanza della questione … avrebbe richiesto criteri puntuali e definiti, essendo ben nota la riluttanza degli enti locali a procedere su questa strada. Non a caso il criterio di delegificazione (la lett. g) del comma 10) richiede di “limitare … i casi di gestione in regime di esclusiva”. A ciò non provvede di certo l’articolo in questione che si limita a rimettere la scelta agli enti locali senza fornire un quadro di riferimento concreto legato ai dati economici di mercato.” (Parere, sez. consultiva per gli atti normativi 24.5.2010 n. 2415, Schema di decreto del Presidente della Repubblica recante regolamento di attuazione dell'articolo 23-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni, in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica).

4. Secondo l’abrogato art. 23-bis infatti “Le disposizioni contenute nel presente articolo ... prevalgono sulle relative discipline di settore con esse incompatibili” (art. 23-bis, comma 1).

5. Nel rendere parere sul regolamento attuativo dell’art. 23-bis, il Consiglio di Stato evidenziava: “In sede di stesura definitiva il Governo dovrà prestare cura alle emende formali, eliminando la locuzione “cosiddetto” dalla espressione “in house” (impiegata nella legge e non richiedente chiarificazioni) e sostituendo termini inappropriati o formule non confacenti all’uso normativo, come codificato nella circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 2 maggio 2001, n. 1/1.1.26/108888/9.92)” (Parere, sez. consultiva per gli atti normativi del 24.5.2010 n. 2415, cit.).

6. La giurisprudenza comunitaria e nazionale è, infatti, costante nel riconoscere che il solo fatto che amministrazioni aggiudicatrici ammettano alla partecipazione ad un procedimento di aggiudicazione di un pubblico appalto organismi che beneficiano di sovvenzioni pubbliche non costituisce automaticamente violazione del principio di parità di trattamento (e della concorrenza), non sussistendo a livello di normativa comunitaria un espresso divieto di partecipazione di tali organismi a dette procedure di appalto (così la Corte di giustizia 12 giugno 2009, n. 3767, Consiglio di Stato n. 17/2011). L’Autorità Antitrust ha, peraltro, da ultimo, sottolineato che “l’Autorità sottolinea l’opportunità di accompagnare il processo di riforma del settore dei servizi pubblici locali con misure di garanzia dell’efficienza e della qualità della gestione del servizio, e ciò indipendentemente dalla natura pubblica o privata del gestore” (Segnalazione al Governo e al Parlamento, AS864 del 26 agosto 2011).

7. Secondo l’Autorità “L’eccezionalità della situazione che non consente il ricorso al mercato viene dunque approssimata da un ben preciso valore economico del servizio, che però non può sostituirsi in maniera efficace a tutte le realtà in cui la gara non è esperibile, realtà che presentano necessariamente caratteristiche molto differenziate sotto i vari aspetti che la formulazione del precedente art. 23-bis aveva colto. In ogni caso, nell’assenza di precise indicazioni sui criteri di scelta adottati per la definizione della soglia, l’Autorità osserva che questa appare oggettivamente elevata, tale da poter determinare, per alcuni settori di attività economica, una sottrazione quasi integrale dai necessari meccanismi di concorrenza per il mercato. In ogni caso, il sistema di esenzioni dall’obbligo di gara così configurato si presta facilmente a comportamenti elusivi da parte delle amministrazioni che non intendono procedere agli affidamenti tramite gara dei servizi pubblici locali: sarebbe sufficiente frazionare gli affidamenti in tante “tranche”, ciascuna di valore inferiore a 900.000 euro annui, per poterle poi attribuire tutte direttamente a controllate in house. Il sistema ora introdotto appare dunque meno efficace di quello in vigore in precedenza, né sembra possa essere migliorato con modifiche al ribasso della soglia, data l’arbitrarietà con cui qualsiasi valore verrebbe eventualmente determinato. L’Autorità ritiene, a tale proposito, opportuna la regola della gara obbligatoria salvo particolari situazioni locali di cui dimostrare l’esistenza da parte dell’ente affidante” (Segnalazione al Governo e al Parlamento, AS864 del 26 agosto 2011).

8. La Corte Costituzionale, infatti, con riguardo all’analogo regime transitorio di cui al comma 8 dell’art. 23-bis, aveva così statuito: “il regime transitorio degli affidamenti non conformi (art. 23-bis, c. 8 del d.l. n. 112/2008), è congruo e proporzionato all'entità ed agli effetti delle modifiche normative introdotte e, dunque, ragionevole. Tali ampi margini temporali assicurano una concreta possibilità di attenuare le conseguenze economiche negative della cessazione anticipata della gestione e, pertanto, escludono la possibilità di invocare quell'incolpevole affidamento del gestore nella durata naturale del contratto di servizio che, solo, potrebbe determinare una possibile irragionevolezza della norma” (sentenza n. 325/2010).

9. Secondo l’Autorità, il divieto appare porre condizioni eccessivamente restrittive: “La ratio della norma è condivisibile: evitare le distorsioni derivanti dalla partecipazione di soggetti avvantaggiati dal beneficiare di un affidamento diretto, e disincentivare il ricorso ad affidamenti diretti, ostacolando la partecipazione alle gare per i soggetti titolari di tali affidamenti. Tuttavia, l’esperienza maturata in alcuni settori, quale il trasporto pubblico locale, indica come la restrizione qui in esame rischi di rendere impraticabile l’intero meccanismo di gara, finendo per limitare drasticamente il numero degli operatori ammissibili alle procedure di gara, e favorendo l’aggiudicazione al precedente affidatario, spesso l’unico partecipante alla gara. Si propone dunque di attenuare le condizioni che consentono agli affidatari diretti di partecipare ad altre gare, consentendo loro di farlo nel caso in cui (i) i soggetti in questione siano nella fase finale (inferiore ai due anni) del proprio affidamento e (ii) sia già stata bandita la gara per il riaffidamento del servizio o, almeno, sia stata adottata la decisione di procedere al nuovo affidamento attraverso procedure ad evidenza pubblica, per il servizio erogato dall’affidatario diretto” (Segnalazione al Governo e al Parlamento, AS864 del 26 agosto 2011).

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