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Brevi riflessioni su i nova dei spl dopo la legge di stabilità.
di Gerardo Guzzo 6 dicembre 2011
Materia: servizi pubblici / disciplina

 

La disciplina dei SPL di rilevanza economica, dopo il referendum abrogativo del 12 e 13 giugno 2011 che ha espunto dal sistema ordinamentale italiano l’articolo 23 bis della legge n. 133/08 e s. m. e  integrazioni, è stata elaborata all’interno dei commi 1-34 dell’articolo 4 del d.l. n. 138/2011, convertito, con alcune modifiche, nella legge n. 148/2011. L’impianto della “riforma”, nella sua primitiva formulazione, non convinceva fino in fondo e da più parti si segnalava la necessità di appartarvi dei correttivi (1). Le modifiche evocate, pur essendo state in parte obliterate in sede di conversione del decreto legge n. 138/2011, sono state successivamente introdotte dalla “Legge di stabilità”, varata dal Parlamento lo scorso 12 novembre 2011 (2). L’articolo 9 della legge n. 183/2011, infatti, ha inciso sull’impianto dell’articolo 4 del decreto legge n. 138/2011 conferendo al medesimo un migliore “equilibrio” rispetto al quadro legislativo ed alla cornice giurisprudenziale europeo e nazionale venutosi a creare nel corso del tempo. Tuttavia, ancora oggi permangono dei coni d’ombra che il Legislatore avrebbe fatto meglio ad eliminare, attesa la evidente rilevanza degli aspetti controversi. In primo luogo, non è stato chiarito se le società miste costituiscano delle ipotesi residuali di affidamento ordinario (con gara) ovvero costituiscano una sorta di tertium genus rispetto alle società in qualunque forma costituite previste dall’immutato comma 8 dell’articolo 4. La questione non è di mero inquadramento sistemico quanto piuttosto di configurazione delle società miste come una sorta di orpello attraverso il quale dare compiuta attuazione al principio di liberalizzazione delle attività economiche pur nel rispetto della universalità ed accessibilità del servizio richiesti dal comma 1 dell’articolo 4. Sul piano strettamente operativo viene da chiedersi se gli enti locali, nell’adottare la delibera cui fa riferimento il comma 2 dell’articolo 4, siano chiamati a verificare o meno la possibilità di affidare la gestione di un servizio pubblico di rilevanza economica anche a delle società miste, in quanto rientranti tra le società in qualunque forma costituite. Sarebbe stato auspicabile un inserimento dei moduli societari misti all’interno dell’elenco contenuto nel comma 8 dell’articolo 4 proprio al fine di eliminare ogni incertezza sul punto. Il Legislatore della “Legge di stabilità”, invece, ha lasciato inalterata la struttura della norma in parola continuando ad alimentare il dubbio in ragione del fatto che il successivo comma 12, con l’inciso fermo quanto previsto ai commi 8,9,10 e 11, sembra scorporare le società miste dai meccanismi ordinari di affidamento della gestione. Se l’opzione di politica legislativa dovesse essere realmente questa, sarebbe facile gioco cogliere lo scarso raccordo dei commi 8 e 12 dell’articolo 4 con il novellato comma 33. La disposizione contenuta nel comma 33 è di particolare importanza dal momento che chiarisce, opportunamente, che le società miste sono sottratte, alla stessa stregua del socio selezionato ai sensi del comma 12, al divieto di acquisire la gestione di servizi ulteriori ovvero in ambiti territoriali diversi, sancendo, di guisa, il principio dell’extraterritorialità dei moduli societari misti (3). E’ del tutto evidente che se alle società miste viene riconosciuto il diritto di gestire servizi ulteriori ovvero di concorrere a delle gare bandite in ambiti territoriali diversi non si può negare a tali moduli societari una natura sostanzialmente privata con la conseguenza che questi ultimi andavano inseriti espressamente nell’elenco contenuto nel comma 8 in quanto funzionali ad una gestione concorrenziale del servizio. Sempre rimanendo nell’ambito delle società miste, colpisce come il Legislatore della legge n. 183/2011 non abbia inciso il comma 26 dell’articolo 4. La norma in discorso apre alla possibilità che una società mista costituita dall’ente affidante possa partecipare ad una gara da quest’ultimo bandito (4). La disposizione sembra stridere con il precedente comma 12 che definisce regole puntuali in merito alla costituzione della società mista cui affidare la gestione del servizio (unica gara con doppio oggetto) ma anche con la stessa giurisprudenza amministrativa formatasi all’indomani delle pronunce del CGARS n. 589/2006 e 719/2007 che prevedevano il meccanismo della doppia gara (5). L’opzione ermeneutica seguita dai Giudici siciliani si scontrò con l’obiezione di fondo secondo la quale la doppia gara - una volta alla scelta del partner privato ed un’altra finalizzata all’affidamento del servizio - poneva la società costituita dall’ente affidante in una posizione di vantaggio rispetto agli altri competitors con il ragionevole rischio di violazione dei principi comunitari di libera concorrenza, parità di trattamento e divieto di discriminazione. L’applicazione di tali regole pone la previsione contenuta nel comma 26 “in rotta di collisione” con i principi comunitari e, scontando un errore di fondo, va certamente espunta quali che siano le ragioni che possano averla suggerita. Qualche perplessità sollevano il novellato comma 32 e l’aggiunto comma 32 bis dell’articolo 4. Riguardo al comma 32, che disciplina il regime transitorio sia delle società a capitale interamente pubblico (anche quotate in borsa) sia delle società miste, colpisce l’assenza di qualsiasi riferimento relativo alla cessazione delle società a capitale interamente pubblico alle quali sia stata affidata la gestione di un servizio pubblico locale nel rispetto dei parametri fissati dal precedente comma 13 le quali dovrebbero smettere di operare alla scadenza del contratto di servizio. Il comma 32 bis, invece, suscita qualche perplessità per via del rimando all’articolo 120, comma secondo, della Costituzione con riferimento all’esercizio del potere sostitutivo del Governo qualora venga accertato che alcune società non siano cessate entro i termini previsti dal precedente comma 32, non sussistendo le condizioni per poter ancora erogare servizi. Le incertezze riguardano l’inquadramento costituzionale dell’intera materia dei SPL di rilevanza economica da sempre considerato dalla Corte delle leggi ambito materiale rientrante nell’articolo 117, comma 2, lett. e), vale a dire nell’ambito della tutela della concorrenza (6). Ora, il richiamo compiuto dal comma 32 bis al potere sostitutivo del Governo cristallizzato all’interno dell’articolo 120, comma 2, della Costituzione sembra aprire nuovi scenari. Infatti, la norma costituzionale evocata giustifica l’intervento sostitutivo del Governo in particolare quando si tratti di tutela  dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali da garantirsi in modo unitario su tutto il territorio nazionale. In altri termini, l’articolo 4, comma 32 bis, sembra ricondurre l’intera materia dei SPL di rilevanza economica sotto l’ombrello costituzionale dell’articolo 117, comma 2, lett. m), sottraendolo alla materia della tutela della concorrenza  prevista dalla precedente lett. e) sconfessando quanto stabilito dalla stessa Corte Costituzionale in innumerevoli arresti. Viene da chiedersi, allora, se il comma 32 bis - nel conferire al Governo un potere sostitutivo fondato su un falso presupposto, vale a dire che i servizi pubblici locali esprimano dei livelli essenziali di prestazioni concernenti diritti civili e sociali e non, piuttosto, espressione del libero mercato – non  si raccordi, con una qualche difficoltà, con la Carta costituzionale che non riconosce al Governo poteri sostitutivi in materia di tutela della concorrenza ma, al massimo, alle Autorità indipendenti. Un’ultima notazione riguarda l’ultimo periodo del comma 33. La norma, aggiunta dalla legge n. 183 del 12 novembre 2011, sembra aprire la possibilità di concorrere in ambiti territoriali diversi anche alle società affidatarie dirette dei servizi nell’ultimo anno di affidamento dei servizi da essi gestiti, a condizione che sia indetta la procedura competitiva ad evidenza pubblica per il nuovo affidamento del servizio o, almeno, sia stata adottata la decisione di procedere al nuovo affidamento attraverso la predetta procedura ovvero, purché in favore di soggetto diverso, ai sensi del comma 13. La previsione pone diversi problemi di armonizzazione con altre parti del testo di legge. In primo luogo, si consente a delle società a capitale interamente pubblico, anche nei casi vietati dalla legge cui pur fa riferimento il precedente comma 9, di partecipare a gare indette da altre P.A., conferendo al limite posto dal comma 13 una natura meramente formale. Infatti, l’utilizzo del termine comunque sta proprio ad indicare che queste società, entro l’ultimo anno di affidamento della gestione, possono, ricorrendo determinate condizioni, comunque partecipare a gare bandite anche in ambiti territoriali diversi da quello dell’ente che le ha costituite o partecipate. La violazione dei principi di libera concorrenza, parità di trattamento e divieto di discriminazione è evidente. In secondo luogo, una previsione del genere impatta pesantemente anche il calendario delle cessazioni di quelle società affidatarie dirette non a norma, soprattutto quelle quotate in borsa, che un anno prima della cessazione possono comunque partecipare a delle gare extra moenia e rendersi affidatarie del servizio nonostante non in possesso dei requisiti per poter continuare l’erogazione del servizio, con conseguente aggiramento della disciplina transitoria. Sarebbe opportuno, pertanto, che il Legislatore ritorni sulla previsione espungendo dal testo il termine comunque  e chiarendo che le società in odore di cessazione, in quanto attratte nell’orbita del comma 32, sono spogliate del diritto di partecipare a gare entro l’ultimo anno di affidamento del servizio, pur ricorrendo le condizioni elencate dal novellato comma 33. In conclusione, il quadro normativo che si è venuto a delineare a seguito del varo della legge n. 183/2011 non sembra assumere i caratteri della stabilità confermando quella sorta di “maledizione” che da sempre accompagna ogni tentativo di compiuta definizione legislativa della materia dei SPL di rilevanza economica.    

 

*Professore di Organizzazione delle Public Utilities presso l’Università degli Studi della Calabria e partner dello studio legale Guzzo & Associates.

1) Sul punto si rinvia, tra i tanti, a G. Guzzo, I spl di rilevanza economica dopo il restyling del d.l. n. 138/2011: “nuove” regole e vecchie questioni; in www.lexitalia.it, n. 7-8/2011.

2) Per una lettura integrale del testo di legge si rinvia a www.dirittodeiservizipubblici.it,, 12 novembre 2011.

3) La questione è stata fortemente dibattuta durante la vigenza dell’articolo 23 bis attesa l’incertezza ermeneutica che avvolgeva il comma 9. La giurisprudenza amministrativa, oggi, appare saldamente orientata ad ammettere l’attività extra moenia delle società miste. In questo senso si sono espressi il T.a.r. Calabria, Reggio Calabria, con la “storica” sentenza   n. 561/2010 e lo stesso Consiglio di Stato, Sezione V, con la decisione n. 77/2011. Per un approfondimento sul tema si rinvia a G. Guzzo, Il nuovo corso della disciplina dei spl: Corte Costituzionale e Consiglio di Stato ancora alla ricerca di una strada comune, in www.dirittodeiservizipubblici.it; 22 febbraio 2011.

4) Il testo della norma recita: Nell’ipotesi in cui alla gara concorre una società partecipata dall’ente locale che la indice (omissis).

5) Per un approfondimento sulla questione si rinvia a G. Guzzo, Società miste e affidamenti in house nella più recente evoluzione legislativa e giurisprudenziale, Giuffrè Editore, 2009, pag. 61-64.

6) La Corte Costituzionale con la nota sentenza n. 325/2010 ha espressamente stabilito che La disciplina delle modalità di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica - ivi compreso il servizio idrico - rientra nella materia "tutela della concorrenza" di competenza esclusiva statale, ai sensi dell'art. 117, c. 2, lett. e), Cost..

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