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L’effettività della tutela giurisdizionale tra pianificazione urbanistica e valutazione ambientale
di Massimo Ragazzo 20 marzo 2012
Materia: ambiente / disciplina

L’effettività della tutela giurisdizionale tra pianificazione urbanistica e valutazione ambientale

 

La sentenza oggetto di commento e quelle emesse in pari data (nn. 694-700) dalla Sezione di Pescara del T.A.R. Abruzzo affrontano la questione della mancata sottoposizione dello strumento urbanistico generale, ovvero, nello specifico, di una sua variante normativa, alla valutazione ambientale strategica ed alla verifica di conformità alla pianificazione sovraordinata. Sviluppando spunti già offerti dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 2755/2011, cui peraltro espressamente si richiama, il T.A.R. Abruzzo fa concreta applicazione dei principi desumibili dalla giurisprudenza comunitaria e dal codice del processo amministrativo (e propri, in passato, del giudizio di ottemperanza), affermando che spetta al giudice definire la portata della propria pronuncia, in relazione all’utilità per la parte ricorrente, anche attraverso una limitazione parziale - o financo totale - degli effetti dell’annullamento, e disponendo, eventualmente, i soli effetti conformativi.

 

 

In base alla normativa comunitaria e a quella nazionale di recepimento sono assoggettati alla procedura di valutazione ambientale tutti gli atti e provvedimenti di pianificazione e programmazione comunque denominati, oltre che le loro modifiche.

La VAS deve avvenire nella fase procedimentale preparatoria, dopo l’adozione e prima dell’approvazione definitiva dello strumento pianificatorio. Invero, nella procedura prevista dall’articolo 5 del decreto legislativo 152 del 2006, si possono distinguere due fasi: la prima riguarda la valutazione della stessa necessità di assoggettamento alla valutazione ambientale, mentre la seconda riguarda la valutazione vera e propria, che richiede un’adeguata istruttoria e una specifica valutazione e conseguente decisione endoprocedimentale.

La verifica di impatto ambientale risulta applicabile a tutti gli strumenti urbanistici con la sola implicita eccezione di quelli che per la loro limitata portata e per il ridotto contenuto non interessano in alcun modo l’ambiente; in particolare, secondo la normativa europea e quella nazionale di recepimento, la procedura di valutazione ambientale non è necessaria unicamente nell’ipotesi di modifiche marginali, ovvero che riguardino solo una limitata porzione del territorio, ma non già qualora l'incidenza delle variazioni delle norme tecniche di attuazione sia tale da ripercuotersi sull'intero ambito comunale.

Spetta al giudice definire la portata della propria pronuncia giurisdizionale, in relazione all’utilità per la parte ricorrente e agli effetti di un eventuale annullamento. In particolare, alla luce della sentenza del Consiglio di Stato, Sezione VI, 10 maggio 2011, n. 2755, spetta al giudice di limitare gli effetti della propria pronuncia, sia in materia di annullamento e di effetto conformativo, sia stabilendo quali debbano essere in concreto i poteri dell'amministrazione per eseguire la sentenza stessa.

Di regola, in base ai principi fondanti la giustizia amministrativa, l’accoglimento dell’azione di annullamento comporta l'annullamento con effetti ex tunc del provvedimento risultato illegittimo, con salvezza degli ulteriori provvedimenti dell’autorità amministrativa. Tuttavia, quando l’applicazione di tale regola risulterebbe incongrua e manifestamente ingiusta, ovvero in contrasto col principio di effettività della tutela giurisdizionale, la regola dell’annullamento con effetti ex tunc dell’atto impugnato, a seconda delle circostanze, deve trovare una deroga, o con la limitazione parziale della retroattività degli effetti (Sez. VI, 9 marzo 2011, n. 1488), o con la loro decorrenza ex nunc, ovvero escludendo del tutto gli effetti dell'annullamento e disponendo esclusivamente gli effetti conformativi.

 

La disciplina urbanistica e la tutela degli interessi ambientali   

È noto come la materia dell’ambiente non fosse ab origine esplicitata nel testo costituzionale e come sia invece venuta emergendo, quale materia (o quale valore) trasversale, grazie all’opera della Corte Costituzionale (1).

La Consulta, nel corso del ventennio che ha preceduto la riforma del Titolo V, aveva fatto evolvere la nozione stessa di urbanistica da mera pianificazione dell’edificato a programmazione globale del territorio nella sua intrinseca valenza ambientale (si vedano, per tutte, Corte Cost., n. 141/1972; Corte Cost., n. 239/1982; Corte Cost., n. 327/1990), mettendo in evidenza la valenza ambientale del d.P.R. n. 616/1977 (si vedano, in particolare, gli artt. 80, 82 e 101).

Dunque, già prima della suddetta riforma, la Corte aveva riconosciuto potestà legislativa alle regioni in merito alla materia ambiente, ricostruendo la stessa quale materia trasversale da riconnettersi alle altre materie di competenza regionale, precisando inoltre come una siffatta materia trasversale richiedesse un’azione unitaria di matrice statale e, nello stesso tempo, di un’azione differenziata di matrice regionale.

Concretamente, il riparto di competenze avrebbe dovuto attuarsi in modo flessibile, rendendo operativo il principio di leale collaborazione e tenendo conto degli specifici interessi in gioco, di talché alla riconosciuta competenza legislativa statale, in nome dell’uniformità di disciplina, avrebbe dovuto accompagnarsi la concorrente competenza delle regioni, le quali ben avrebbero potuto incrementare con normative di tutela in melius la tutela imposta dal legislatore statale

(cfr., ex multis, Corte Cost., n. 196/1998; n. 389/1999; n. 266/2001; n. 335/2001; n. 412/2001). (2)

Dopo la riforma del Titolo V il termine “governo del territorio” introdotto in Costituzione - e l’eliminazione (dovuta al suo assorbimento) del termine “urbanistica”, previsto dal vecchio art. 117 Cost. - induce anche ad una diversa lettura. L’unica materia che il legislatore costituzionale caratterizza con una locuzione unitaria è proprio quella di “governo del territorio”. Per altre materie o settori ciò non accade, mentre in altri casi l’individuazione della materia (“ambiente”, “beni culturali”, “salute”) é caratterizzata con il termine “tutela”, con ciò determinando le finalità cui deve attenersi la disciplina. (3)

In breve, il territorio non andrebbe più visto sotto il solo profilo dell’assetto - come indicava il d.P.R. n. 616/77 -, ma soprattutto del suo governo. (4)

Sempre in seguito al processo di riforma costituzionale di cui alla legge n. 3 del 2001 (il legislatore costituzionale aveva rimesso alla potestà legislativa esclusiva statale la “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali” e alla potestà concorrente la “valorizzazione dei beni culturali e ambientali e la promozione e organizzazione di attività culturali”; così l’art. 117, Cost., comma 2, lett. s, e comma 3), si mise in evidenza come la tutela dell’ambiente rimessa alla competenza statale non potesse essere una vera e propria materia, quanto piuttosto quel valore trasversale, costituzionalmente tutelato, che già la Corte aveva riconosciuto quale espressione dell’ordinamento e che, in quanto trasversale, non poteva che attraversare anche le materie di competenza regionale.

In questo contesto, secondo la Corte, è ora al principio di sussidiarietà (5) che bisogna essenzialmente fare riferimento per giudicare della ragionevolezza o meno del riparto della funzione legislativa tra Stato e Regioni, allorquando vengono in considerazione interessi trasversali quali quello ambientale (vengono in rilievo le sentenze n. 407/2002, n. 536/2002 e n. 222/2002, oltre alle ben note n. 303 e n. 307 del 2003, nonché la n. 259/2004). (6) 

Gli effetti della normativa ambientale sulla disciplina urbanistica, che toccano direttamente l’attività di modificazione e di sviluppo degli insediamenti, (7) hanno così subito un’evoluzione normativa tendente ad unificare discipline prima previste in singole e differenti disposizioni di legge.

Si può parlare, al riguardo, di una vera e propria subordinazione della disciplina urbanistica alla tutela degli interessi ambientali.

Gli strumenti urbanistici assumono, così, la configurazione di strumenti complessi che consentono una valutazione, in sede di pianificazione territoriale, che tiene conto dell’insieme degli interessi pubblici e privati che sul territorio convergono, rendendo, altresì, possibile una comparazione di tali interessi, volta anche, per quanto possibile, a dirimere in via preventiva eventuali conflitti.

Ne consegue, evidentemente, una maggiore flessibilità operativa della disciplina urbanistica che muta il suo significato ed il suo contenuto a seconda del prevalere di determinati fenomeni territoriali, ora limitandosi ad un opera di regolamentazione, ora svolgendo, invece, una funzione di incentivo e sviluppo, ora prevedendo, infine, misure di salvaguardia nelle zone ritenute di particolare interesse ambientale.

Concretamente, la normativa sull’ambiente incide sulla disciplina urbanistica ed edilizia, intervenendo sui piani e programmi urbanistici e territoriali, attraverso la procedura di valutazione ambientale strategica (V.A.S.), che integra l’iter approvativo dei suddetti strumenti e senza la quale tutta la procedura è annullabile; sugli interventi diretti, con la procedura di valutazione di impatto ambientale (V.I.A.), senza la quale al procedura di approvazione dell’opera o dell’intervento è annullabile; sulla normativa tecnica delle costruzioni, quando occorre adottare specifiche misure di prevenzione e di tutela, mediante norme dirette o da recepire da parte dei regolamenti edilizi; sull’utilizzazione delle costruzioni e degli impianti, attraverso l’autorizzazione ambientale integrata (A.I.A.) e la prevenzione e limitazione integrate dell’inquinamento (traduzione italiana dell’acronimo I.P.P.C. (Integrated Pollution Prevention and Control). (8)

 

Le vicende processuali esaminate dal T.A.R. Abruzzo

Le questioni affrontate dal T.A.R. Abruzzo, con le sentenze sopra riportate, afferivano ad una censura comune a tutti i relativi ricorsi, occasionata dalla circostanza che la variante alle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale del Comune di Vasto avrebbe dovuto essere sottoposta alle procedure di valutazione ambientale e strategica: l’impatto della variante avrebbe richiesto una ben più approfondita indagine conoscitiva, e in ogni caso quelle procedure non si potevano pretermettere, stante la cogenza delle disposizioni, comunitarie e nazionali, vigenti in materia. (9)

Nella prospettazione delle parti ricorrenti, i vizi procedurali lamentati riguardavano così l’intero territorio comunale; ma, secondo il T.A.R. Abruzzo, proprio la carenza della procedura non poteva non avere ripercussioni dirette sui terreni di proprietà dei ricorrenti, i quali, in virtù della nuova normativa comunale, risultavano soggetti a maggiori limiti per la possibilità edificatoria.

Le suesposte considerazioni hanno consentito al T.A.R. Abruzzo di non ritenere affatto meramente strumentale l’interesse ai ricorsi in questione. (10)

Secondo il T.A.R., le parti ricorrenti risultavano infatti titolari di posizioni qualificate, tali da poterli distinguere dagli altri soggetti dell’ordinamento, trattandosi di proprietari di terreni edificabili, per cui, in definitiva, lo scopo di quei ricorsi era di ottenere una maggiore edificabilità o comunque una più agevole edificabilità dei terreni di proprietà.

Atteso, inoltre, che nel Comune di Vasto sono presenti dei siti d’interesse comunitario, era necessario uno studio apposito per valutare l’impatto ambientale delle N.T.A.(11)

Sotto questo profilo - anche se le parti ricorrenti non erano portatrici di uno specifico interesse di tipo ambientale, come nel caso esaminato dal Consiglio di Stato, con la sentenza n. 2755/2011 (12) -, la mancata sottoposizione dello strumento urbanistico alla verifica di tipo ambientale era configurabile quale specifico vizio procedimentale, idoneo ad incidere in maniera significativa sull’assetto del territorio comunale, oltre che direttamente sul terreno delle parti ricorrenti.

La questione dirimente di tutti i ricorsi riguardava la necessità o meno per il comune di sottoporre le modifiche delle norme tecniche di attuazione sia alla valutazione d’impatto ambientale, prevista in via generale dalla normativa europea e nazionale di recepimento, sia al vaglio delle autorità provinciali e regionali per verificarne la conformità al piano provinciale e al piano regionale, soprattutto dal punto di vista ambientale.

L’impostazione del resistente Comune di Vasto non era condivisa dal T.A.R. Abruzzo, anzitutto su di un piano logico; e ciò, in quanto, da parte del comune, si negava una premessa sulla base di una conseguenza. In altri termini, il comune deduceva dal contenuto delle nuove norme tecniche di attuazione la non necessità di sottoporle a una previa valutazione ambientale, mentre è proprio l’esito di tale valutazione che avrebbe potuto  eventualmente considerarne nullo l’impatto ambientale.

In ogni caso, osserva il T.A.R., la verifica di impatto ambientale nella fattispecie non poteva essere pretermessa, non riguardando modifiche marginali o relative ad una limitata porzione del territorio, bensì variazioni incidenti sulle norme tecniche di attuazione interessanti l’intero ambito comunale.

Ma, soprattutto, la normativa europea vigente in materia e quella nazionale di recepimento non contengono esplicite eccezioni alla loro applicabilità.

La sentenza in esame offre lo spunto per rammentare, in primis, che l’art. 1 della Direttiva 2001/42/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 giugno 2001 individua quale obiettivo fondamentale quello di “garantire un elevato livello di protezione dell'ambiente e di contribuire all'integrazione di considerazioni ambientali all'atto dell'elaborazione e dell'adozione di piani e programmi al fine di promuovere lo sviluppo sostenibile, assicurando che, ai sensi della presente direttiva, venga effettuata la valutazione ambientale di determinati piani e programmi che possono avere effetti significativi sull'ambiente”. (13)

In Italia, dobbiamo registrare una vicenda riprovevole, di recepimento provvisorio e parziale, a partire dal 1986, e che si è trascinata fino al 2008, con l’approvazione del D.Lgs. n. 4/2008,  che riscrive la seconda parte del Codice dell’ambiente ex D.Lgs. n. 152/2006, rendendolo finalmente conforme alle direttive comunitarie.

Con la disciplina di cui al Testo Unico vengono attuate tre direttive in materia ambientale, nello specifico la direttiva 2001/42/CE, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente, la direttiva 85/337/CE, concernente la valutazione di impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, nonché la direttiva 96/61/CE, già recepita con il D.Lgs. n. 59/2005, concernente la prevenzione e la risoluzione integrate dell’inquinamento.

In particolare, i contenuti della Parte II del decreto, riguardante le procedure per la valutazione ambientale strategica, per la valutazione dell’impatto ambientale e per l’autorizzazione integrata strategica sono stati integrati e modificati con il successivo d.l.vo 16 gennaio 2008, n. 4. Segnatamente, l’art. 5, al comma 1, lett. e), definisce inequivocabilmente  “piani e programmi”, tutti gli atti e provvedimenti di pianificazione e di programmazione comunque denominati, compresi quelli cofinanziati dalla  Comunità europea, nonché le loro modifiche.

La novità più rilevante della procedura di V.I.A., disciplinata dal D.Lgs. 152/06 (modificato dal D.Lgs. 4/08) è certamente rappresentata dalla previsione che essa sostituisce o coordina tutti i provvedimenti autorizzativi in materia ambientale.

Rispetto alla V.I.A. si dice che “ individua, descrive e valuta (…) gli impatti (…)”, ma, come detto, ha anche la finalità di contribuire all’integrazione di considerazioni ambientali all’atto dell’elaborazione, adozione e approvazione dei piani e dei programmi, al fine di promuovere lo sviluppo sostenibile (art. 1, Direttiva).

Quanto alla V.A.S., essa “è preordinata a garantire che gli impatti significativi sull’ambiente derivanti dall’attuazione di detti piani e programmi siano presi in considerazione durante la loro elaborazione e prima della loro approvazione” (e ciò, ai sensi dell’art. 11, comma 3, D.Lgs. n. 152 del 2006).

Si può, pertanto, affermare che la V.A.S. s’inserisce in un momento cronologicamente anteriore rispetto alla V.I.A.: con la prima, si esaminano in anticipo gli effetti potenzialmente lesivi dell’ambiente e del patrimonio culturale che potrebbe derivare dalla realizzazione di opere o progetti; con la seconda, si valutano gli effetti che un determinato e specifico progetto può concretamente apportare all’ambiente e sul patrimonio culturale.

Lo stesso Codice dell’ambiente ha rafforzato il principio di integrazione (cfr. art. 11, comma 5, del D.Lgs. n. 152 del 2006): la V.A.S. s’inserisce nel procedimento principale di approvazione del paino o programma quale sorta di procedimento incidentale, essendo specificato che essa costituisce “(…) parte integrante del procedimento di adozione e approvazione dei piani e dei programmi”, mentre, sul piano procedurale, la predetta Direttiva 2001/42/CE ha indicato quali fondamentali principi di semplificazione, oltre a quello di integrazione (art. 4, comma 2, della Direttiva), quello di non duplicazione della valutazione (art. 4, comma 3, della Direttiva).

L’art. 6, commi 2, 3, 3-bis e 4, individua: a) i piani e programmi che sono comunque soggetti a VAS; b) quelli per i quali occorre valutare preventivamente se possono comportare effetti significativi sull’ambiente; c) i piani e programmi comunque esclusi dalla VAS. (14)

Dall’esame della normativa emerge un rapporto debole tra V.A.S. e V.I.A.: non vi è alcuna semplificazione né alcun vincolo nella redazione del progetto e nella fase della sua valutazione sono tenute in considerazione la documentazione e le conclusioni della V.A.S. (art. 10, comma 5). D’altra parte, si ammette esplicitamente che la V.I.A. può avere esito negativo ovvero contenere valutazioni contrastanti su elementi già considerati dalla V.A.S. purché adeguatamente motivata (art. 19, comma 2).

La mancata effettuazione della V.A.S. dei piani e programmi, nei casi in cui la stessa sia prescritta, comporta l’annullabilità del provvedimento di approvazione, per violazione di legge (art. 11, comma 5).

Dunque, come sopra accennato, dall’esame della normativa europea in materia e di quella nazionale di recepimento, emerge la cogenza delle relative disposizioni, anche rispetto agli strumenti urbanistici e alle loro modifiche.

Pertanto, nelle fattispecie sottoposte all’esame del T.A.R. Abruzzo, l’omessa verifica d’impatto ambientale non poteva che condurre ad una pronuncia di annullamento della variante normativa.

Precisamente, ad essere annullate, a far tempo dall’adozione, sono state le norme tecniche di attuazione, laddove imponevano lo strumento attuativo sulle aree delle parti ricorrenti; viceversa, dette norme tecniche di attuazione sono state annullate in toto a partire dal momento - successivo all’adozione, la quale ha così conservato il suo valore anche in salvaguardia - in cui è mancata la sottoposizione alla valutazione ambientale strategica e alla verifica di conformità alla pianificazione sovraordinata, necessarie nel caso; di conseguenza, il Comune, in relazione all’intera variante in questione (a parte le parti annullate già dall’adozione), dovrà sottoporla alla valutazione ambientale e di conformità alla pianificazione superiore, eventualmente riesaminarla in toto nella sua discrezionalità, usufruendo delle norme di salvaguardia entro un tempo massimo di otto mesi dalla sentenza, trascorso il quale la variante stessa perderà efficacia in toto, con riviviscenza della precedente normativa e obbligo di rideterminarsi.

Il giudice ha, cioè, emanato una sentenza di condanna ad uno specifico facere (altro piano) in un tempo dato (otto mesi) e, facendo esercizio di quel potere valutativo di cui dispone ora, ad esempio, in virtù degli articoli 121 e 122 C.p.a., ha precisato gli effetti tipicamente costitutivi della sentenza di annullamento.

 

La sentenza della Sezione Sesta del Consiglio di Stato, n. 2755/2011

Generalmente, si afferma che il provvedimento illegittimo viene definitivamente travolto dalla sentenza di annullamento, i cui effetti retroagiscono alla data di emanazione dell’atto impugnato, che verrà annullato nel senso di essere considerato come mai esistito (c.d. efficacia ex tunc della pronuncia). Anzi, la dottrina, in ossequio all’originaria concezione del giudizio amministrativo come processo all’atto, ha affermato, fino a poco tempo fa, che gli unici effetti della sentenza amministrativa di annullamento fossero quello demolitorio e quello ripristinatorio: l’atto impugnato veniva eliminato ex tunc, con il conseguente obbligo della Pubblica Amministrazione, all’occorrenza, di provvedere alla reintegrazione dello status quo ante.

La Sezione Sesta del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 2755 del 10 maggio 2011, apparsa a taluni come eversiva, (15) aveva già affermato, con esemplare nitidezza, che anche il giudice amministrativo  nazionale può differire gli effetti di annullamento degli atti impugnati, risultati illegittimi, ovvero non disporli affatto, statuendo solo gli effetti conformativi, volti a far sostituire il provvedimento risultato illegittimo.

La Sezione sesta, in riforma della sentenza del T.A.R. Puglia, Bari, Sez. III, aveva accolto l’appello dell’Associazione italiana WWF perché il piano faunistico venatorio della Regione Puglia era stato approvato senza la preventiva valutazione ambientale strategica (V.A.S.), non surrogabile con la valutazione di incidenza ex D.P.R. 357/1997, effettivamente intervenuta.

L’accertata illegittimità del piano avrebbe comportato il suo annullamento, con cessazione degli effetti giuridici (e materiali) e vuoto di disciplina, e conseguente libertà di cacciare, senza le prescrizioni ed i limiti dettati dal piano impugnato, sino a quando la Regione non avesse approvato il (nuovo) piano, previa acquisizione della V.A.S.. Sennonché l’Associazione italiana WWF aveva impugnato il piano, facendo valere un interesse di segno contrario, ovvero quello ad aumentare e rendere più stringenti le previsioni del piano, a tutela della fauna selvatica e dell’ecosistema.

Sennonché, l’accoglimento della domanda di annullamento avrebbe determinato una situazione diametralmente opposta, mortificando e ledendo l’interesse che aveva mosso la ricorrente all’azione.

Da qui, l’inedita soluzione elaborata dal Consiglio di Stato: il giudice, quando accoglie la domanda di annullamento, può anche stabilire che la sentenza produca la rimozione degli effetti giuridici (e materiali) non solo ex tunc, ma anche ex nunc, o che non determini alcun effetto di rimozione e ripristino ed anzi, che il piano annullato possa esplicare effetti sino all’adozione del (nuovo) piano che sostituirà il precedente. Nella fattispecie, la Regione Puglia, a seguito della sentenza di accoglimento dell’appello (e del ricorso di primo grado), avrebbe dovuto, nel termine stabilito di dieci mesi, adottare il piano, previa acquisizione della V.A.S..

In mancanza, sarebbe stato il giudice dell’ottemperanza ad assumere i provvedimenti più opportuni per dare esecuzione alla sentenza.

Da qui il dispositivo: la dichiarazione di illegittimità del piano impugnato per assenza dell’attivazione del procedimento sulla valutazione ambientale strategica; il mantenimento di tutti gli effetti dei provvedimenti impugnati in primo grado; “il dovere della Regione di procedere alla rinnovata emanazione, con effetti ex nunc, del piano faunistico venatorio regionale efficace fino all’anno 2014 e di concludere il relativo procedimento entro il termine di dieci mesi”.

La Sezione ha fondato la determinazione degli effetti della decisione sui seguenti argomenti essenziali: a) il giudice può senz’altro precisare, ai sensi dell’art. 34, comma 1, lettera e) c.p.a., le misure idonee ad assicurare l’attuazione del giudicato e, quindi, determinare l’effetto conformativo; b) l’annullamento comporta l’eliminazione dell’atto impugnato, con effetti ex tunc, ma l’applicazione di questo principio, quando confligge con l’effettività della tutela, va derogato o con la limitazione parziale della retroattività degli effetti o con la loro decorrenza ex nunc, ovvero escludendo del tutto gli effetti dell’annullamento e disponendo esclusivamente gli effetti conformativi; (16) c) la deroga al principio dell’eliminazione dell’atto impugnato, con effetti ex tunc, è consentita perché: c.1.) la normativa, sostanziale e processuale, non dispone l’inevitabilità della retroattività degli effetti dell’annullamento di un atto in sede amministrativa o giurisdizionale; c.2.) gli artt. 121 e 122 c.p.a. stabiliscono che la fondatezza dell’azione di annullamento può “comportare l’esercizio di un potere valutativo del giudice, sulla determinazione dei concreti effetti della propria pronunzia” e tale potere va riconosciuto al giudice amministrativo in termini generali “quando si tratti di determinare la perduranza o meno degli effetti di un provvedimento”; c.3) sono applicabili anche nel sistema nazionale i principi enunziati dalla Corte di Giustizia che, per l’art. 264 del Trattato di Lisbona sul funzionamento dell’Unione Europea, ove lo reputi necessario, può precisare “gli effetti dell’atto annullato che devono essere considerati definitivi”.

 

Gli effetti della pronuncia di annullamento dello strumento urbanistico generale

Si tratta, a ben vedere, di una sorta di codificazione di principi da tempo diritto vivente, quanto meno in sede di ottemperanza.

Com’è noto, l’annullamento può essere limitato soggettivamente (cioè, con effetto per i soli ricorrenti) e/o oggettivamente (cioè con effetto per le soli parti del territorio interessate dalla disciplina urbanistica contestata), salvo che si tratti di vizi del procedimento di formazione del piano, nel qual caso l’annullamento travolge l’intero piano. (17)

Ebbene, dottrina e giurisprudenza si erano sempre interrogati sull’effetto dell’annullamento dei piani generali, rispetto ai quali, in generale, si era riconosciuta la presenza (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 30 settembre 1995, n. 779 (18)) di effetti rivolti al passato ed effetti rivolti al futuro (19):

a) rivolti al passato, con efficacia retroattiva, demolitori nei riguardi dell’atto impugnato e ripristinatori nei riguardi delle situazioni giuridiche modificate dall’atto impugnato, che riprendono vigore e si riespandono conseguentemente all’annullamento del provvedimento;

b) rivolti al futuro, conformativi, che vincolano ed orientano l’amministrazione nella rinnovazione del provvedimento annullato, in quanto l’autorità amministrativa dovrà agire osservando i principi e le regole di diritto enunciati nella sentenza, in relazione ai vizi di legittimità riconosciuti esistenti. Gli effetti conformativi variano in relazione ai vizi accertati dal giudice amministrativo ed al tipo di potere esercitato, con particolare riferimento all’esistenza ed all’estensione della discrezionalità; di certo è preclusa all’amministrazione l’emanazione dello stesso atto, con gli stessi vizi accertati nella sentenza.

Ora, per evitare che l’annullamento dello strumento urbanistico generale determinasse un blocco generalizzato di tutta l’attività edilizia comunale, spesso le pronunce hanno circoscritto l’efficacia dell’annullamento alle parti del piano impugnate, ovvero alla sola specifica destinazione d’uso impressa all’area, così permettendo la reviviscenza delle precedenti disposizioni; od ancora, nel caso di annullamento per vizi procedurali, hanno specificato la possibilità di riedizione del provvedimento impugnato una volta depurato dai vizi procedimentali accertati.

La natura ed estensione di tali effetti, prevalentemente conformativi e meno spesso integralmente demolitori, è stata specificata talora in seno alle pronunce di annullamento, talvolta (più spesso) in sede di ottemperanza, nell’ambito delle contestazioni di elusioni del giudicato o di richiesta di nomina di commissari ad acta.

Ebbene, i frutti di tale rimeditazione dell’annullamento di atti di pianificazione sono venuti a maturazione nelle sentenze oggetto del presente commento e, prima ancora, nella citata decisione del Consiglio di Stato, n. 2755/2011.

Il dato normativo, scrivono i giudici abruzzesi, non preclude al giudice amministrativo l’esercizio del potere di determinare gli effetti delle proprie sentenze di accoglimento, ed anzi vi sono norme sostanziali e processuali che lasciano spazio a soluzioni diverse dalla retroattività degli effetti dell’annullamento di un atto in sede amministrativa o giurisdizionale (cfr. l’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990 e l’art. 34, comma 1, lettera a), del Codice del processo amministrativo).

Ed ancora, sono proprio i nuovi articoli 121 e 122 del Codice a consentire al giudice l’esercizio di un potere valutativo sulla determinazione dei concreti effetti della propria pronuncia.

Il T.A.R. Abruzzo, allora, limita gli effetti delle proprie pronunce, facendo applicazione dei principi nazionali sulla effettività della tutela giurisdizionale, (20) desumibile dagli articoli 6 e 13 della CEDU, dagli artt. 24, 111 e 113 della Costituzione e dal Codice del processo amministrativo nonché dei principi enunciati dalla Corte di Giustizia, e applicabili anche nel sistema nazionale, nei casi di constatata invalidità di un atto di portata generale.

In particolare, va rammentato che l’articolo 264 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione europea prevede che la Corte di Giustizia, ove necessario, possa precisare gli effetti dell’atto annullato che devono essere considerati definitivi (Corte di Giustizia, 5 giugno 1973, Commissione c. Consiglio, in C-81/72; Corte di Giustizia, 25 febbraio 1999, Parlamento c. Consiglio, in C-164/97 e 165/97), o che possono perdurare, in tutto o in parte, per un periodo di tempo che può tenere conto non solo del principio di certezza del diritto e della posizione di chi ha vittoriosamente agito in giudizio, ma anche di ogni altra circostanza da considerare rilevante (Corte di Giustizia, 10 gennaio 2006, in C-178/03; 3 settembre 2008, in C-402/05 e 415/05; 22 dicembre 2008, in C-333/07).

Gli stessi poteri sono rivendicati in questa sede dal giudice amministrativo nazionale, che può quindi differire gli effetti di annullamento degli atti impugnati, risultati illegittimi, ovvero non disporli affatto, statuendo solo gli effetti conformativi, volti a far sostituire il provvedimento risultato illegittimo.

A tale osmosi di modelli propri della tutela giurisdizionale il Consiglio di Stato perviene valorizzando proprio il dovere di leale collaborazione tra giudice nazionale e comunitario in una materia in cui le competenze dell’Unione e degli Stati membri sono concorrenti, per far sì che standard della tutela giurisdizionale non siano diversi, a seconda che gli atti regolatori siano emessi in sede comunitaria o nazionale (e, dunque, che la controversia vada decisa o meno dal giudice dell’Unione) (21).

Ora, l’azione di annullamento nel processo amministrativo è proponibile per violazione di legge, incompetenza ed eccesso di potere (art. 29 c.p.a.) e il giudice in caso di accoglimento del ricorso “a) annulla in tutto o in parte il provvedimento impugnato” (art. 34, comma 1, c.p.a.).

La tipicità dell’azione di annullamento che il titolare della situazione giuridica soggettiva può proporre si articola nella dichiarazione di illegittimità che comporta l’eliminazione dell’atto impugnato ma, ora, più propriamente, dei “provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente” (art. 7, comma 1, c.p.a.) all’esercizio del potere amministrativo, posti in essere da pubbliche amministrazioni e dai soggetti ad esse “equiparati o comunque tenuti al rispetto dei principi del procedimento amministrativo” (art. 7, comma 2, c.p.a.).

L’effetto dell’eliminazione dell’atto impugnato è una conseguenza necessaria dell’accoglimento dell’azione di annullamento che il ricorrente può scegliere di proporre e che non è disponibile né da parte del giudice, né da parte del ricorrente, nel senso che, se quest’ultimo chieda l’annullamento e il giudice accerti la illegittimità, l’atto impugnato cessa di esistere nel mondo giuridico.

Disponibili, invece, sono gli ulteriori due profili degli effetti dell’annullamento e cioè la decorrenza temporale dell’annullamento ai fini del ripristino della situazione esistente al momento dell’atto caducato, nonché il c.d. effetto conformativo volto a disciplinare l’azione amministrativa in esecuzione della sentenza. (22)

Com’è noto, era orientamento assolutamente prevalente in dottrina e in giurisprudenza che la sentenza di annullamento comporti la rimozione degli effetti prodotti dall’atto illegittimo, sin dalla sua adozione (23), per la considerazione che l’atto invalido per un vizio coevo alla sua emanazione non avrebbe potuto determinare alcun effetto (24).

L’ineluttabilità dell’effetto ripristinatorio dell’annullamento è stata messa in discussione dalla dottrina che ha sottolineato la definitiva affermazione del giudizio amministrativo come processo a tutela delle situazioni giuridiche soggettive del ricorrente e strumentale alla soddisfazione del suo interesse al bene della vita, per cui è nella sua disponibilità chiedere al giudice una diversa decorrenza (retroattiva) degli effetti dell’annullamento, parziale o totale, dell’atto amministrativo.

In quest’ottica, la necessaria retroattività degli effetti dell’annullamento è  discutibile, perché non è una conseguenza stabilita dal diritto positivo, il quale, per quanto innanzi rilevato, fissa solo l’eliminazione dell’atto e, quindi, l’efficacia ex nunc dell’annullamento, non anche quella ex tunc e, comunque, vi sono situazioni nelle quali è materialmente impossibile la retroazione totale ed assoluta degli effetti.

Si può ben sostenere, allora, che il ricorrente possa chiedere l’annullamento con limitata o nessuna retroattività, se funzionale alla tutela del suo interesse al bene della vita. Si deve, però, parimenti ritenere che il giudice possa limitare o eliminare la retroattività degli effetti dell’annullamento, qualora non sia strumentale alla soddisfazione dell’interesse del ricorrente o, addirittura, si risolva in una lesione di detto interesse.

Non credo, invece, che il giudice, in considerazione di interessi, diversi da quelli che fanno capo al ricorrente, possa fissare una decorrenza (retroattiva) degli effetti più contenuta,  se sfavorevole al ricorrente, allorché, ben inteso, accerti l’illegittimità dell’atto.

Anche le sentenze oggetto del presente commento affermano che l’annullamento può comportare soltanto l’effetto conformativo, ritenendo che il giudice possa stabilire che non si produca la retroattività degli effetti e, soprattutto, la eliminazione dell’atto il quale, anzi, continua a produrre effetti, fino all’adozione del (nuovo) atto da parte dell’Amministrazione.

E, quindi, al caso previsto dall’art. 21-octies della l. n. 241/90, (25) si aggiungerebbe un’altra ipotesi di non annullabilità dell’atto illegittimo impugnato.

Per il principio di congruenza, anche il giudice amministrativo può operare come la Corte di giustizia, specie considerando che si controverte in materia ambientale, per la quale vi è competenza concorrente dell’Unione europea e degli Stati membri e vi è un “continuo processo di osmosi tra i principi applicabili dal giudice dell’Unione e quelli desumibili dagli ordinamenti degli Stati membri”. (26)

La riflessione sulla idoneità satisfattiva dell’interesse del ricorrente di una ipotetica pronuncia demolitoria, condotta dalla  giurisprudenza e dallo stesso legislatore   - memori dell’esperienza francescana: “cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile” -  è giunta così, finalmente, ad inevitabile maturazione, spostando il processo amministrativo sempre più dall’atto al rapporto, secondo la ratio e gli schemi tipici del processo civile.

In tal modo, il giudice amministrativo  sembra quasi assumere le vesti del regolatore degli interessi portati alla sua attenzione, sicché appare fatalmente lontana l’idea del processo amministrativo quale (mero) luogo di ripristino della legalità della p.a.: il provvedimento, seppur illegittimo, può rimanere in vita se il suo annullamento potrebbe finire col determinare addirittura effetti pregiudizievoli agli interessi del ricorrente.

Una volta innescata l’erosione dell’assolutezza tipica dell’annullamento (sub specie del suo carattere irrefutabilmente e completamente retroattivo), c’è da chiedersi se, in futuro, il Consiglio di Stato (ricordandosi della seconda parte del menzionato aforisma: “E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile”) non possa avvertire la possibilità di spingersi addirittura un po’ più in là, verso più ardite prese di posizione, manifestando una qualche attenzione verso lo strumento disapplicativo.

 

1) Sulla tutela dell’ambiente e sul ruolo della pianificazione urbanistica: Assini – Visciola, Codice del’Ambiente, V.A.S. – V.I.A. – A.I.A. - Risarcimento del danno, Padova, 2011; Vesperini, Il riparto delle funzioni in materia ambientale: un’introduzione, in Giornale Dir. Amm., n. 5/2007, 551 e ss.; Postiglione, Il nuovo testo unico in materia ambientale: un quadro generale, in Dir. giur. agr. e ambiente, 2006, 213; Mantini, Per una nozione costituzionalmente rilevante di ambiente, in Riv.Giur.Ambiente, 2006, 207; Carpentieri, Ambiente contro paesaggio, in Urb e App., 2005, 936; Frisina, La nuova disciplina in materia di V.I.A., in Riv. Ambiente e lav., 2005, fasc. 9, 47; Caravita, Diritto dell’ambiente, Bologna, 2005; Dell’Anno, Manuale di diritto ambientale, Padova, 2003; M. S. Giannini, Ambiente: saggio sui suoi diversi aspetti giuridici, in RTPD, 1973, 19;

2) Nel medesimo solco si colloca la sentenza n. 536/2002, con la quale la Corte era stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale della legge della Regione Sardegna n. 5/2002, recante “Modifica dell’art. 49 della L.R. 23/98, Norme per la protezione della fauna selvatica e per l’esercizio della caccia in Sardegna, concernente il periodo di caccia”. Il Giudice costituzionale aveva accolto il ricorso promosso dallo Stato, rilevando, in primo luogo, che l’art. 117, comma 2, lett. s), della Costituzione esprime un’esigenza unitaria per ciò che attiene alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, ponendo un limite agli interventi a livello regionale che possano pregiudicare gli equilibri ambientali; e ribadendo, ancora una volta, che la tutela dell’ambiente non può ritenersi propriamente una materia, trattandosi invece di una valore costituzionalmente protetto, di un bene unitario che dev’essere salvaguardato nella sua interezza, pur se non si deve escludere la titolarità in capo alle Regioni di una potestà legislativa concorrente su altre materie per le quali quel valore costituzionale venga ad assumere rilievo. Con la successiva  sentenza n. 307/2003, la Consulta sottolinea ancora una volta che l’ambiente, più che una materia in senso stretto, rappresenta un compito, nell’esercizio del quale lo Stato conserva il potere di dettare standard di protezione uniformi in tutto il territorio nazionale e, dunque, in tutte le Regioni; standard non derogabili da queste ultime, anche se ciò non esclude affatto la possibilità che le leggi regionali, emanate nell’esercizio della potestà concorrente di cui all’art. 117, comma 3, della Costituzione, o di quella residuale di cui all’art. 117, comma 4, possano assumere fra i propri compiti anche finalità di tutela ambientale.

3) Tesi già sostenuta da L. Paladin, Problemi legislativi e interpretativi nella definizione delle materie di competenza regionale, in Le Regioni, 1971, in merito all’art. 117 previgente.

4) Cfr. Relazione di P. Urbani al Convegno "Dall'urbanistica al governo del territorio", Firenze, 18 aprile 2004.

5) Il principio di sussidiarietà – introdotto con la legge n. 59/1997 (c.d. Legge Bassanini) quale meccanismo di allocazione di compiti e funzioni nella relazione Stato-Enti locali e nella relazione amministrazioni pubbliche-enti della società civile – opera anche in materia ambientale, ai sensi dell’art. 3-quinquies del D.Lgs. 152/2006, il quale dispone che i principi contenuti nel decreto costituiscono le condizioni minime ed essenziali per assicurare la tutela dell'ambiente su tutto il territorio nazionale.

6) In particolare, la Corte, con la sentenza 259/2004, non discostandosi dalla propria precedente giurisprudenza, fornisce una lettura elastica del riparto della potestà legislativa di cui all’art. 117, lettura che va anche oltre il dato letterale e che trovo conforto nel principio di sussidiarietà, in base al quale non vi è una predefinita attribuzione di competenze, ma è anzi necessario valutare caso per caso la natura degli interessi in gioco al fine di collocare al meglio le competenze secondo la medesima logica della collaudata leale collaborazione. Anche secondo T.A.R. Liguria, Sez. I, 1 agosto 2007, n. 1426 (in  Foro amm. T.A.R., 2007, 7-8, 2323),  l’ambiente non è semplicemente una materia, bensì un valore “trasversale” costituzionalmente protetto, in funzione del quale lo Stato può dettare standard di tutela uniformi sull’intero territorio nazionale, anche incidenti sulle competenze legislative, che secondo il rinnovellato art. 117 Cost., spettano alle regioni ed alle province autonome su materie (governo del territorio, tutela della salute) per le quali quel valore costituzionale assume rilievo, poiché qualsiasi tutela costituzionale crea un valore costituzionale.

7) L’art. 10 della L.U. fondamentale, n. 1150/1942, stabilisce che i piani regolatori generali debbono assicurare, tra l’altro, la tutela dei complessi ambientali, storici, monumentali ed archeologici, ed inoltre la tutela del paesaggio, introducendo a tal fine anche poteri di modifica d’ufficio da parte delle Regioni.

8) La disciplina I.P.P.C. è stata recepita nell'ordinamento ambientale nazionale con l'emanazione del decreto legislativo n. 59 del 2005, che regolamenta l'emanazione dell'Autorizzazione Integrata Ambientale (A.I.A.) e i controlli connessi a tale autorizzazione. Detto decreto è poi stato abrogato dall'art. 4, comma 1, del decreto legislativo 29 giugno 2010, n. 128, recante modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.

9) La giurisprudenza nazionale, pur affermando che anche la semplice probabilità di un pregiudizio per l'integrità e la conservazione del sito è sufficiente a far concludere in senso negativo la valutazione di incidenza, ha rilevato che le incidenze sul sito, per essere giuridicamente rilevanti, devono essere significative (Cons. Stato, Sez. IV, 22 luglio 2005, n. 3917), precisando altresì che deve essere sottoposto a valutazione d'incidenza qualsiasi piano o progetto non direttamente connesso e necessario alla gestione del sito d'interesse comunitario, ma che possa avere incidenze significative sullo stesso, singolarmente o congiuntamente ad altri piani e progetti, tenendo conto degli obiettivi di conservazione del sito stesso (T.A.R. Calabria, Catanzaro, I, 1 ottobre 2007, n. 1420; T.A.R. Umbria, sez. I, 14 giugno 2011, n. 171).

10) Diversamente, il T.A.R. Campania, Napoli, Sez. II, con sentenza 20 aprile 2010, n. 2043, afferma che “la valutazione ambientale strategica (VAS) è volta a garantire che gli effetti sull’ambiente di determinati piani e programmi siano considerati durante l'elaborazione e prima dell'adozione degli stessi, così da anticipare nella fase di pianificazione e programmazione quella valutazione di compatibilità ambientale che, se effettuata (come avviene per la valutazione di impatto ambientale) sulle singole realizzazioni progettuali, non consentirebbe di compiere un'effettiva valutazione comparativa, mancando in concreto la possibilità di disporre di soluzioni alternative per la localizzazione degli insediamenti e, in generale, per stabilire, nella prospettiva dello sviluppo sostenibile, le modalità di utilizzazione del territorio (T.A.R. Umbria, 19 giugno 2006, n. 325). Ciò chiarito non si ritiene che il ricorrente possa vantare un interesse giuridicamente rilevante a contestare l’eventuale carenza della VAS nel procedimento di approvazione della variante urbanistica impugnata, tenuto conto che il suo interesse è volto ad ottenere una destinazione non più agricola del fondo di sua proprietà e si pone quindi in un’ottica completamente contraria alle indicate finalità della VAS”.

11) L’articolo 5, comma 3, del d.P.R. 357/1997 non limita la valutazione di incidenza ai soli interventi che ricadono all’interno del perimetro dei siti tutelati (cfr. C.G.U.E., II, 10 gennaio 2006 n. 98; id., 29 gennaio 2004 n. 209; Cons. Stato, Sez. IV, 22 luglio 2005, n. 3917; T.A.R. Calabria, Catanzaro, I, 1 ottobre 2007, n. 1420). Tuttavia, non può non rilevarsi come ammettere una valutazione di incidenza che prescinda dalla ricaduta in un ambito vincolato delle opere di trasformazione del territorio oggetto di valutazione, rischia di renderne assolutamente incerta la delimitazione, mentre l’esercizio di poteri sostanzialmente vincolistici presuppone una delimitazione certa dell’ambito vincolato, o comunque di quello su cui si applicano gli effetti dell’esercizio del potere; ciò, innanzitutto, per dar conto della sussistenza e delle caratteristiche dell’interesse pubblico che richiede, per rilevanza comunitaria e costituzionale, una valutazione differenziata e prevalente, rispetto a quella che discende dal mero rispetto della disciplina urbanistica del territorio interessato. Ed anche l’interesse pubblico che si concretizza nella “valutazione di incidenza”, finalizzata alla protezione dei siti contemplati dalla direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, recepita in Italia a partire dal 1997, non sfugge a questo presupposto generale. Per ridurre tale inconveniente, occorre pertanto che vengano accertati motivatamente l’incidenza ambientale dell’intervento ed il carattere significativo di essa, in relazione ad un concreto rischio di compromissione dell'integrità del sito protetto (così, T.A.R. Umbria, Sez. I, 14 giugno 2011, n. 171, in www.ambientediritto.it).

12) Si veda, sul punto, il successivo paragrafo,

13) Il principio dello sviluppo sostenibile si basa sulla considerazione che il soddisfacimento dei bisogni delle generazioni attuali non possa compromettere la qualità della vita e le possibilità delle generazioni future (così, letteralmente, l’art. 3-quater del D.Lgs. n. 152/2006).

14) Precisamente, in base al comma 2 dell’art. 6 del D.Lgs. n. 152/2006, la V.A.S. è resa obbligatoria per tutti i piani e i programmi: che sono elaborati per la valutazione e gestione della qualità dell'aria ambiente, per i settori agricolo, forestale, della pesca, energetico, industriale, dei trasporti, della gestione dei rifiuti e delle acque, delle telecomunicazioni, turistico, della pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli, e che definiscono il quadro di riferimento per l'approvazione, l'autorizzazione, l'area di localizzazione o comunque la realizzazione dei progetti elencati negli allegati II, III e IV del presente decreto; nonché per quei piani e programmi per i quali, in considerazione dei possibili impatti sulle finalità di conservazione dei siti designati come zone di protezione speciale (Z.P.S.) per la conservazione degli uccelli selvatici e quelli classificati come siti di importanza comunitaria  (S.I.C.) per la protezione degli habitat naturali e della flora e della fauna selvatica, si ritiene necessaria una valutazione d'incidenza ai sensi dell'articolo 5 del d.P.R. 8 settembre 1997, n. 357, e successive modificazioni.

Viceversa, per i piani o programmi relativi a piccole aree locali o per modifiche minori dei piani o programmi (art. 6, commi 3 e 3-bis del D.Lgs. n. 152/2006), la V.A.S. è necessaria solo laddove l’autorità competente valuti che essi possano avere impatti realmente significativi sull’ambiente. In tali casi, ai sensi dell’art. 12 del D.Lgs. n. 152/2006, viene effettuata una verifica di assoggettabilità (c.d. screening), in cui si valuta se il piano o il programma possa avere impatti significativi sull’ambiente, al termine della quale l’autorità competente  - ovvero l’autorità che adotta il provvedimento di verifica di assoggettabilità, che elabora il parere motivato relativo ai piani e programmi e che adotta i provvedimenti conclusivi in materia di V.I.A. - emana il provvedimento di verifica, assoggettando o escludendo il piano o programma dalla V.A.S. e, se del caso, definendo le necessarie prescrizioni. La verifica di assoggettabilità riguarda, dunque, solo i piani o programmi tassativamente individuati dall’art. 6, commi 3 e 3-bis, del D.Lgs. n. 152/2006, per i quali la procedura di V.A.S. è discrezionale, spettando all’amministrazione di decidere, a seguito ad apposita valutazione, se assoggettarla o meno a V.A.S., a seconda della sua incidenza sull’ambiente.

15) In Urb e App., n. 8/2011, 927 e ss., con commento di Travi, L’accoglimento dell’impugnazione di un provvedimento e “non annullamento dell’atto illegittimo”. Di contrario avviso, Caringella, Il sistema delle tutele dell’interesse legittimo alla luce del codice e del decreto correttivo, in Urb. e App., n. 1/2012, 14 e ss..

16) Il percorso verso l’effettività della tutela (a dispetto del doppio plesso giurisdizionale) ha segnato diverse, significative tappe in ambito sia legislativo che giurisprudenziale: l’introduzione della translatio judicii (con le note sentenze n. 4109/2007 della Corte di Cassazione e 77/2007 della Corte costituzionale, seguite dall’art. 59 della l. n. 69 del 2009 e da ultimo dall’art. 11 del nuovo codice del processo amministrativo) e del risarcimento del danno da ritardo (con l’art. 2 bis l. n. 241 del 1990, introdotto dalla l. n. 69 del 2009 e gli artt. 30, comma 4, e 117, comma 6, C.p.a., recentemente oggetto di importanti applicazioni giurisprudenziali), la conferma dell’autonomia dell’azione risarcitoria (con la sentenza 30254 del 23 dicembre 2008 della Corte di Cassazione, seguita dal dibattutissimo art. 30 c.p.a.) l’esclusione della colpa come limite al risarcimento dei danni per equivalente in caso di impossibilità di reintegrazione in forma specifica nelle gare pubbliche (CGUE 30 settembre 2010 in C-314/09), l’introduzione del giudicato implicito sulla giurisdizione (con la sentenza SS.UU. 24883 del 2008, seguita dall’art. 9 c.p.a.); la soluzione della vexata quaestio della giurisdizione sulla sorte del contratto (con la sentenza SS.UU. n. 2906/2010, seguita dagli artt. 245 bis e ter D.Lgs. n. 163 del 2006, introdotti dal D.Lgs. n. 53 del 2010 e, da ultimo, dagli artt. 121 ss. C.p.a.), i “principi generali” e l‘attenzione dedicata a tale profilo dal nuovo c.p.a., con particolare riferimento al contraddittorio, alla tutela cautelare e all’ottemperanza. Quanto al principio di effettività della tutela giurisdizionale, desumibile dagli articoli 6 e 13 della CEDU (il fondamento costituzionale di tale principio sembra invece individuabile negli artt. 24, comma 1, 111 e 113 Cost., che sancendo la generalità della tutela giurisdizionale, pongono sullo stesso piano le situazioni giuridiche di interesse legittimo e di diritto soggettivo), si deve ritenere che la funzione primaria ed essenziale del giudizio è quella di attribuire alla parte che risulti vittoriosa l’utilità che le compete in base all’ordinamento sostanziale. In applicazione del principio, ora sancito dall’art. 1 del Codice del processo amministravo (sulla “tutela piena ed effettiva”), il giudice può emettere le statuizioni che risultino in concreto satisfattive dell’interesse fatto valere e deve interpretare coerentemente ogni disposizione processuale (così, il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 2755/2011). Sull’effettività della tutela giurisdizionale, si vedano, tra gli altri, Baccarini, Motivazione ed effettività della tutela, in www.giustamm.it; Clarich, Tipicità delle azioni e azione di adempimento nel processo amministrativo, in www.giustizia-amministrativa.it; Zerman, Annullamento dell’aggiudicazione illegittima ed effettività della tutela giurisdizionale: la sorte del contratto medio tempore stipulato (commento alla decisone del Consiglio di Stato, Sez. V, 19 maggio 2009, n. 3070), in www.giustizia-amministrativa.it.

17) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 2 agosto 2000, n. 4253, in Cons. Stato, 2000, I, 1821.

18) In Cons. Stato, 1995, I, 1216.

19) Stevanato,  Le modifiche d’ufficio ai p.r.g. annullate dal giudice amministrativo: effetti e conseguenze, in www.giustizia-amministrativa.it: “Quando non è necessario lo svolgimento di un’ulteriore attività dell’amministrazione, per rendere attuale la decisione ed adeguare la realtà giuridica al giudicato, la giurisprudenza utilizza spesso il concetto di “sentenza autoesecutiva”, in genere per dichiarare l’inammissibilità del ricorso per l’ottemperanza di una sentenza qualificata, appunto, “autoesecutiva” (v. ad es.: Consiglio di Stato, Ad. plen., 4 dicembre 1998 n. 8 , in Cons. Stato, 1998, I, 1888). A volte, però, il concetto di “sentenza autoesecutiva” è utilizzato con un diverso, limitato significato. Ad esempio, nell’ipotesi che sia stato impugnato un atto negativo, che preclude la soddisfazione di un interesse c.d. “pretensivo”, inteso ad acquisire un’utilità la cui concreta attribuzione dipenda dall'esercizio del potere amministrativo, la sentenza di annullamento è anche, a volte, definita “autoesecutiva”, ma solo nel senso di essere costitutiva di un effetto giuridico immediato di caducazione dell'atto impugnato. Per il resto, in quest’accezione la sentenza esplica un necessario effetto ordinatorio, perché indica all’amministrazione le regole di esercizio del potere in relazione alle illegittimità denunciate dal ricorrente e riscontrate con la sentenza di accoglimento, che condizionano il rinnovato esercizio del potere (v. sul punto, Cons. Stato, sez. IV, 10 giugno 1999 n. 994, in Cons. Stato, 1999, I, 837).

20) Il principio di effettività della tutela giurisdizionale è un principio che, in ogni caso, avrebbe trovato applicazione nel processo amministrativo, derivando la propria forza cogente da disposizioni di fonte costituzionale ed europea, riferite a tutte le tipologie di giudizio. Il suo espresso richiamo all’art. 1 del Codice del processo amministrativo suona, allora, - è stato osservato (Greco, Le ragioni di un codice amministrativo, in www.giustizia-amministrativa.it) – come il riconoscimento della piena dignità della giurisdizione amministrativa ed è idoneo a superare quelle censure che, in passato, erano state mosse al tasso di effettività ritraibile nel giudizio innanzi al T.A.R. e al Consiglio di Stato. Quanto alla portata applicativa del principio di effettività della tutela giurisdizionale, occorre osservare come tale principio sia inteso in maniera diversa a seconda dell’ordinamento giuridico che viene preso in considerazione. Mentre a livello europeo il principio è stato elaborato dalla Corte di giustizia per sindacare al conformità della disciplina interna con la normativa comunitaria, configurando, pertanto, un modello di tutela minimale da assicurare in maniera uniforme in tutti gli ordinamenti degli Stati membri (C.G.U.E., 15 aprile 2010, in causa C.542/2008, Friedrich G. Barth, tra le altre), lo stesso principio viene invece declinato a livello nazionale in funzione di una tutela pienamente satisfattiva dell’interesse azionato dal ricorrente. Tra le tante applicazioni del principio di effettività della tutela giurisdizionale, vale la pena di ricordare la sentenza del  Cons. di Stato, Ad. Plenaria n. 15 del 29 luglio 2011 (in Urb. e App., n.  10/2011,  1185 e ss., con commento di Lamberti, L’Adunanza Planaria si pronuncia sulla DIA), secondo cui “Il codice, portando a compimento un lungo e costante processo evolutivo e dando attuazione armonica ai principi costituzionali e comunitari in materia di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale, oltre che ai criteri di delega fissati dall'art. 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, ha ampliato le tecniche di tutela dell'interesse legittimo mediante l'introduzione del principio della pluralità delle azioni. Si sono, quindi, aggiunte alla tutela di annullamento la tutela di condanna (risarcitoria e reintegratoria ex art. 30), la tutela dichiarativa (con l'azione di nullità del provvedimento amministrativo ex art. 31, comma 4) e, in materia di silenzio-inadempimento, l'azione di condanna (cd. azione di esatto adempimento) all'adozione del provvedimento, anche previo accertamento, nei casi consentiti, della fondatezza della pretesa dedotta in giudizio (art. 31, commi da 1 a 3)”.

21) E qui non può non venire in mente, sebbene non citata dall’estensore, in quanto coeva, la pronuncia della Corte di Giustizia Ce, Sez. IV, 12 maggio 2011, C-115/09, che introduce nell’ordinamento tedesco una legittimazione processuale ed uno strumento di impugnazione a tutela del diritto di accesso all’informazione ambientale a favore delle organizzazioni non governative di tutela ambientale sconosciuto al legislatore nazionale. Si veda, sul punto, Santi Romano, Annullamento (Teoria dell’) nel diritto amministrativo in Nuovo Digesto Italiano, Torino 1937, ristampato in Scritti Minori di Santi Romano, vol. II, Milano 1990, 387.

22) Fanti, Gli effetti retroattivi della sentenza del Consiglio di Stato in Dir. Proc. Amm. 1994, 355 e ss.; L. Donato, Sulla disponibilità degli effetti dell’annullamento giurisdizionale: il caso del ricorso incidentale c.d. “autolesivo”, in www.giustamm.it, par. 4.1, sottolinea i tre effetti della sentenza di annullamento ed evidenzia che la demolizione dell’atto è un effetto unico ed invariabile e la sua portata “è indisponibile tanto per la parte, tanto per il giudice”.

23) G. Corso, L’efficacia del provvedimento amministrativo, Milano 1969, 404; M. Nigro, Giustizia Amministrativa, Bologna 2002, 314; A. Travi, Lezioni di giustizia amministrativa, VIII ed., Torino 2008, 305.

24) A.M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, XII ed., Napoli, 1974, 503; M.S. Giannini, Sulla ripristinazione conseguente all’annullamento di un atto estintivo del rapporto di pubblico impiego, 1942, ripubblicato in Scritti di Massimo Severo Giannini, Milano 2002, 314; R. Villata, L’esecuzione delle decisioni del Consiglio di Stato, Milano, 1971, 548.

25) L’atto illegittimo non è annullabile, per diritto positivo, se “adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato” o, se adottato senza la comunicazione dell’avvio del procedimento, l’amministrazione “dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”. Per un quadro ricostruttivo delle questioni suscitate dall’art. 21-octies, v. Caringella, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2007.

 26) Ed invero, ora, la previsione dell’art. 1 c.p.a. afferma che “la giurisdizione amministrativa assicura una tutela piena ed effettiva secondo i principi della costituzione e del diritto europeo”.

 

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