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Il servizio di illuminazione pubblica. Facciamo il punto.
di Sergio Cesare Cereda 13 dicembre 2013
Materia: servizi pubblici / definizione

Il servizio di illuminazione pubblica. Facciamo il punto.

 

 

I Inquadramento del servizio pubblico locale d’illuminazione.

1.1 Prima di procedere ad analizzare le problematiche legate al servizio oggetto dell’odierna attenzione vale la pena di spendere qualche riga per inquadrarlo nel non sempre semplice panorama legislativo italiano.

E’opportuno partire dal rilievo che trattasi di un servizio pubblico locale (avente rilevanza economica), a tale definizione concorre anzitutto il rilievo che ci si trova di fronte ad un attività d’interesse generale rivolta alla collettività.  Deve infatti essere reso in modo razionale e diffuso sul territorio, appare infatti evidente che l’illuminazione pubblica risponde ad una fondamentale esigenza di sicurezza che obbliga gli enti locali ad occuparsi di essa.

In base alla più recente giurisprudenza può affermarsi che ci si trova di fronte ad un servizio pubblico in quanto il beneficiario è individuabile direttamente nella collettività e non nell’ente pubblico territoriale.(1)

Lo stesso deve essere reso nelle forme dell’appalto posto che la prestazione è retribuita dall’ente locale (3), con ciò distinguendosi dalla figura della concessione in cui il corrispettivo al prestatore è riconosciuto dai fruitori.

Può dunque affermarsi che l’illuminazione pubblica è un servizio pubblico locale reso con le forme dell’appalto, dunque al rapporto che si instaura tra Ente pubblico e prestatore del servizio sono riferibili sia le norme relative ai servizi pubblici che quelle inerenti agli appalti (4) e, dunque, al fine di regolare ogni fattispecie concreta occorrerà fare ricorso ad entrambe le discipline.

1.2 E’ a questo punto opportuno procedere ad una sintetica analisi della normativa relativa ai servizi pubblici locali.

Limitandoci ai tempi più recenti si nota che la materia era regolata dall’art. 23-bis del D.L 112/2008 che però  è stato successivamente assoggettato a referendum popolare ed in esito a questo è stato abrogato.

Il vuoto lasciato dall’abrogazione è stato colmato dall’art. 4 D.L. 13-08-2011 n. 138, che di fatto ha riproposto il medesimo contenuto della norma abrogata.

Tuttavia tale norma è stata dichiarata incostituzionale con la sentenza della Corte Costituzionale n.199/2012.

In linea generale a fronte della dichiarazione d’incostituzionalità di norme (ri)trova applicazione la disciplina preesistente, nondimeno questo principio non trova applicazione nel caso in esame posto che la stessa a sua volta è stata oggetto di abrogazione referendaria.

Né può trovare applicazione la disciplina preesitente alla norma abrogata col referendum, la Corte Costituzionale infatti ha più volte escluso che l’abrogazione referendaria di una norma possa far rivivere le antecedenti disposizioni (4).

In conseguenza a ciò la materia è anzitutto regolata attraverso l’immediata applicazione nell’ordinamento italiano della normativa comunitaria relativa alle regole concorrenziali minime in tema di affidamento di appalti e servizi (5)

Il legislatore è recentemente intervenuto nella materia emanando alcune stringate previsioni contenute nell’art 34 del D.L. 179/201, in particolare con le previsioni di cui ai commi 20 21 e 22 ha regolato il periodo transitorio con il comma 23 interviene in ordine ai servizi a rete, e con l’art 25 regola il rapporto con le norme di settore (6).

II  Le procedure di gara per la scelta del contraente ed il periodo transitorio

2.1 Tenuto conto che il sopra citato art 34 ha una portata limitata e che, contrariamente a quanto accade per altri servizi pubblici, non v’è una normativa specifica di settore, la materia in tema d’illuminazione pubblica può dirsi al momento regolata dalla disciplina comunitaria.

In base alla quale il servizio potrà essere affidato: i) con gara, ii) ad una società mista affidataria del servizio in cui il socio privato sia scelto mediante procedure ad evidenza pubblica, iii) in house qualora ci si trovi in presenza di specifiche condizioni.

2.2. Per quanto riguarda la gara si tratta di una normale procedura ad evidenza pubblica con la quale viene individuato il soggetto che sarà chiamato a svolgere il servizio e visto che il servizio è prestato nelle forme dell’appalto troverà applicazione la disciplina dettata in tema di appalti dalla normativa domestica.

Nell’ipotesi sub ii) il servizio viene affidato ad una società di cui sono parte l’ente pubblico (o gli enti pubblici) nel cui territorio il servizio dovrà essere reso nonché, nonché uno o più soci privati.

Questi dovranno essere scelti con una procedura ad evidenza pubblica a doppio oggetto: l’ente affidante non dovrà infatti limitarsi alla mera ricerca del socio ma dovrà altresì indicare: il tipo di società, il valore dell’apporto societario richiesto, il modello di governance pubblico-privato, i compiti operativi connessi alla gestione del servizio, la durata della concessione, le modalità di uscita del socio privato una volta rimesso a gara il servizio.

Infine l’affidamento in house, è una figura nata dall’elaborazione giurisprudenziale comunitaria che ha avuto seguito a livello domestico, e costituisce il solo esempio di affidamento diretto di un servizio pubblico, in altri termini l’unica limitazione del mercato consentita dalla disciplina comunitaria.

Per tale ragione è ammesso in presenza di due rigorose condizioni, la prima è che l’ente affidatario sia assoggettato da parte dell’amministrazione affidante ad un controllo analogo a quello esercitato  sui propri organi. Tale previsione piuttosto criptica è stata in concreto declinata in una duplice previsione: anzitutto i soci pubblici devono detenere la totalità delle partecipazioni inoltre devono essere dotati di poteri decisionali (direttivi, ispettivi e di nomina) idonei a determinare una influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti della società.

La seconda  richiede che la società realizzi la parte più importante della propria attività con gli enti soci. 

Si noti che è attorno a questa modalità di affidamento che si è dipanata la travagliata vicenda descritta nelle righe precedenti, laddove il tentativo del legislatore ordinario di limitare il ricorso a tale forma di affidamento si è scontrato con la decisione popolare espressa nel referendum.

Volontà che secondo la Corte Costituzionale ha fissato il principio ormai insuperabile dal legislatore ordinario. 

2.3. Il più rilevante intervento compiuto dall’ Art. 34 del D.L. 179/2012, riguarda la regolazione del periodo transitorio.

In particolare le previsioni di cui ai commi 20 21 dispongono che entro la fine dell’anno corrente abbiano termine i servizi che non sono stati affidati nel rispetto delle norme che regolano l’evidenza pubblica. Un eccezione è prevista al comma 22 per gli affidamenti diretti assentiti alla data del 1º ottobre 2003 a società a partecipazione pubblica già quotate in borsa a tale data, e a quelle da esse controllate ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile. Per questi non opera la decadenza del 31 dicembre del corrente anno ma cessano alla scadenza prevista nel contratto di servizio mentre gli affidamenti che non prevedono una data di scadenza cessano, improrogabilmente, il 31 dicembre 2020.

Va osservato che indipendentemente dalla disciplina sul periodo transitorio, in molti casi i contratti di gestione e manutenzione degli impianti  operano in forza di taciti rinnovi,  che sono da ritenersi nulli in forza di una consolidata giurisprudenza (Cons. Stato Sez. V, 07-01-2009, n. 8 Cons. Stato Sez. V, 14-06-2011, n. 3607 che si basano sull'art. 6 della legge 24 dicembre 1993, n. 537)

Anche in questo caso i comuni devono provvedere (o meglio avrebbero dovuto da tempo) all’affidamento del servizio secondo procedure ad evidenza pubblica.

In buona sostanza entro la fine dell’anno in corso (salvo quanto si dirà nel capitolo seguente in ordine agli ambiti territoriali) dovrà affidarsi ex novo il servizio in tutti quei comuni che fruiscono del servizio in forza di: contratti tacitamente rinnovati, contratti conclusi senza il rispetto dell’evidenza pubblica con soggetti non facenti parte di gruppi non quotati in borsa, nonchè i contratti conclusi con soggetti facenti parte di gruppi non quotati in borsa questi dal 1 gennaio 2003. 

Per conto rimangono in essere quelli conclusi con il rispetto dell’evidenza pubblica oppure con soggetti facenti parte di gruppi non quotati in borsa prima del 1 gennaio 2003.

2.4.  Si noti poi che in forza dell’articolata disciplina costituzionale in tema di competenza anche le regioni sono competenti a legiferare in materia, e che alcune di esse vi hanno provveduto. 

In primo luogo in Lombardia trova applicazione la L.R. 26/03, la quale regola i servizi pubblici locali nondimeno tale normativa non muta in modo significativo la materia posto che in ordine alle procedure di affidamento richiama la normativa nazionale e comunitaria, né detta disposizione in ordine al periodo transitorio.

Lo stesso può dirsi per la regione Abruzzo che con la L.R. 5 agosto 2004, n. 23 ha regolato la materia prevedendo le modalità di affidamento sopra richiamate (cfr anche Valle d’Aosta: l.r. 2/2006 - Piemonte: l.r. 54/1998 - Emilia Romagna: l.r. 23/2011 -  Puglia: l.r. 24/2012)

 

III Gli ambiti territoriali ottimali.

3.1 Va poi considerata un ulteriore questione idonea ad influire non poco sul futuro assetto dei servizi pubblici locali.

L’art 3 bis del D.L. 138/11 (ricordiamo non interessato dall’abrogazione referendaria), stabilisce che i servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica dovranno esplicitarsi sulla base di ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei tali da consentire economie di scala e di differenziazione idonee a massimizzarne l'efficienza.

L’incarico a definire il perimetro è stato affidato alle regioni (e alle province autonome di Trento e di Bolzano) .A dire il vero la scelta lasciata alle regioni è limitata posto che la norma fissa che la dimensione degli ambiti deve essere non inferiore a quella del territorio provinciale, fatta salva la possibilità di prevedere una diversa dimensione in base a criteri di differenziazione territoriale e socio-economica e in base a principi di proporzionalità, adeguatezza ed efficienza.

Con questa misura, in analogia con quanto già previsto per alcuni settori quali il servizio idrico integrato o la distribuzione del gas, il legislatore ha inteso introdurre il principio della gestione per ambiti territoriali ottimali confidando con maggior efficienza e le economie che l’operatività su più larga scala può garantire. 

Si tratta, in sostanza, di pervenire ad una gestione unitaria ed associata del servizio da parte di più enti locali, ai quali viene imposto di unirsi in un ambito.

Si osservi che nessuna regione ha provveduto a regolare la materia nonostante avessero dovuto provvedervi entro il  30 giugno 2012, (e del resto lo Stato si è ben guardato di esercitare i poteri sostitutivi riconosciutigli dalla norma stessa).

3.2 La disciplina così come (non) delineata fa sorgere diversi dubbi operativi.

Anzitutto si noti come la norma dispone che l’ organizzazione dei servizi, la scelta della forma di gestione, nonché determinazione delle tariffe siano da ascrivere agli enti di governo degli ambiti ma non prevede quali siano tali enti ne come dovranno essere governati.

Sembra ripetersi, in peius (visto che almeno per questi è delineata la figura della stazione appaltante) quanto visto per gli Atem in materia di gas: la legge impone ai comuni l’obbligo di operare in forma associata ma non fissa alcuna regola in base alla quale tale attività debba essere realizzata.

E’ da auspicarsi un intervento legislativo altrimenti comuni dovranno trovare, sulla base della ragionevolezza e del buon senso, le regole condivise per lo svolgimento dell’attività in oggetto, e poi trasfonderle in una convenzione.

3.3 La norma in oggetto si applica ai servizi a rete e sul punto si pone la questione volta ad individuarli e, per quanto qui interessa, si deve accertare se l’illuminazione pubblica rientra in tale novero.

La risposta dipende dal significato che si vuole attribuire alla previsone, sotto il profilo squisitamente tecnico appare evidente che il servizio è reso attraverso reti e che dunque la disposizione deve essere riferita alla pubblica illuminazione. Nondimeno vi è chi ha osservato come la previsione debba essere intesa in senso più restrittivo considerando cioè solo quei servizi che possono essere più efficacemente resi su base sovra comunale. Laddove si propendesse per la seconda soluzione sarà necessario individuare quali siano le reti che hanno tali caratteristiche.

 3.4 Laddove si ritenga di qualificare l’illuminazione pubblica come servizio a rete, ci si chiede se i comuni possano bandire delle gare su base individuale in attesa della definizione degli ambiti.

In effetti gli enti pubblici si trovano in una situazione contraddittoria:

          da un lato, come visto sopra, la normativa impone (almeno in molti casi) che le gare vengano bandite a breve,

          dall’altro lo stato nebuloso della normativa sugli Ambiti rende difficile immaginare che le relative gare possano tenersi in tempi compatibili con tali termini.

A ben vedere la situazione in esame è del tutto simile a quella che si è evidenziata per la distribuzione del gas negli anni addietro: anche in tal caso infatti s’incrociavano la disciplina sul periodo transitorio e l’inerzia normativa che non permetteva di definire gli ambiti e quindi di bandire le gare.

La giurisprudenza ha risolto la questione fissando un principio, che può essere riportato anche nel caso in esame.  In particolare ha evidenziato che l’indeterminatezza della situazione avrebbe procrastinato sine die le gare, in palese contrasto con i principi di concorrenza e di apertura del marcato al maggior numero di operatori. In conseguenza ha ritenuto che i comuni potessero gestire le gare su base individuale senza attendere la definizione degli Ambiti.

Rimane ovviamente ferma la possibilità per i comuni di  dimensionare la gara a un livello sovra comunale determinato da loro su base volontaria, delineando un territorio non necessariamente corrispondente alla base del (futuro) ambito.

IV  Gli impianti

4.1. Vale ora la pena di accentrare l’attenzione sulle reti e gli impianti destinati al servizio di pubblica illuminazione, laddove di proprietà pubblica sono configurabili quali beni del cd. patrimonio indisponibile della P.A,. in particolare l’art. 826, comma 3, c.c. prescrive che “fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato o, rispettivamente delle province e dei comuni, secondo la loro appartenenza … i beni destinati a un pubblico servizio, qual è appunto la pubblica illuminazione .(in tal senso TAR Lombardia, Brescia sez. II, 27/5/2010 n. 2165).)

Per quanto concerne il regime degli stessi l’art. 828, comma 2 c.c., dispone inoltre che “i beni che fanno parte del patrimonio indisponibile non possono essere sottratti alla loro destinazione, se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano”.

Tale previsione non significa che gli stessi non possano essere oggetto di negozi giuridici, limitandosi a prevedere che questi non devono essere incompatibili con la destinazione pubblica dei cespiti.

A tal riguardo le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato che “i beni patrimoniali indisponibili … sono commerciabili, ma sono gravati da uno specifico vincolo di destinazione all’uso pubblico, pur potendo formare oggetto di negozi traslativi di diritto privato”. Dunque in linea generale un bene patrimoniale indisponibile può essere oggetto di atti di disposizione patrimoniale, a condizione che rimanga destinato alla sua funzione.

4.2 Si tratta allora di verificare se sussiste un qualche divieto posto dalla normativa in materia di servizi pubblici locali, ma anche qui la risposta deve essere negativa. Per il vero questa a partire dal comma 2 dell’art. 113 del D.lgs. 267/2000 vietava agli enti locali la cessione di reti ed impianti, principio ribadito dall’ l’art. 23 bis, comma 11, del D.Lgs. 112/2008 nonché dall’art 4 del D.L. n. 138/ 2011 D.L. 13-08-2011 n. 138, nondimeno il venir meno, per le ragioni già viste, della suddetta normativa ha fatto venir meno ogni divieto. Si noti come al momento manchi il divieto di alienazione nonostante una costante volontà del legislatore in senso contrario e senza che si sia espressa una volontà referendaria in tal senso. Ma questo è l’effetto perverso derivante dall’intrecciarsi dell’abrogazione referendaria con un mancato intervento legislativo, che  provvedesse a riproporre quelle parti di legge che non sono state il bersaglio della volontà popolare.

Va infine osservato che il divieto di alienazione è previsto in alcune discipline regionali, in particolare dall’art. 2, comma 1 della L.R. Lombardia n. 26/2003, dall’ art. 4 L.R. Abruzzo n. 23/ 2004, e dall’art. 10, comma 2. Della L.P n. 6/2004.

Per il vero tale disposizioni appaiono come costituzionalmente illegittime, al riguardo la  Corte Cost  con la sentenza 320/2011 (concetto ribadito con la sentenza n 114 /2012) ha avuto modo di affermare che le previsioni normative in tema di alienabilità di reti pubbliche incidono sul regime giuridico della proprietà pubblica  e vanno, pertanto, ascritte alla materia ordinamento civile, riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.

La Corte non esclude in termini assoluti la potestà legislativa delle regioni, considerandole legittimate a disporre in tale materia solo ove la legge regionale costituisca attuazione di una normativa statale.

Più in particolare la  Corte individua la competenza dello stato nondimeno riconosce la possibilità alle regioni di normare la materia laddove lo facciano ricalcando gli stessi contenuti della disciplina statale.

Ebbene nel caso in esame le normative regionali (e provinciale) non hanno riscontro in quella statale, posto che in base a questa le reti e gli impianti destinati alla pubblica illuminazione sono beni patrimoniali indisponibili e come tali alienabili purchè sia rispettato il vincolo di destinazione.

Nondimeno quella qui espressa è una valutazione previsionale, al momento le disposizioni sono da considerarsi vigenti.

4.3. Alla luce di quanto sopra può concludersi che i cespiti possono essere sia di proprietà privata che pubblica e dunque che questi possano essere ceduti, l’importante è che rimangano destinati all’esplicazione del servizio.

Non v’è dubbio che il modo più immediato di acquisire la disponibilità degli impianti è il riscatto degli stessi, la materia era regolata dai commi 29 e 30 dell’ art. 23 bis nonché dall’ art 10 dell’ regolamento di attuazione.

Senonchè le vicende descritte al punto 1.2 hanno fatto venir meno tale  diposizioni e dunque la materia non è al momento regolata, nondimeno nessun dubbio si pone in ordine alla configurabilità del riscatto trovandoci di fronte a beni destinati ad un pubblico servizio che devono necessariamete essere messi a disposizione del nuovo gestore.

In ordine alle condizioni del riscatto va osservato che  sono venute meno le disposizioni contenute nelle norme sopra indicate secondo le quali occorreva tenere conto del valore contabile del cespite.

Ci si trova così di fronte ad un vuoto normativo che potrebbe essere colmato applicando l’art. 24 del D.P.R. del 1925 e dal regolamento di attuazione (D.P.R. 902/86) secondo il quale l’indennizzo si calcola tenendo conto del valore industriale dell’impianto, al quale si sottraggono il valore del degrado fisico degli impianti, avuto riguardo al tempo trascorso dall’inizio della concessione ed alla prevista durata utile degli impianti stessi ed i contributi, versati dall’ente pubblico. Lo stesso non è da ritenersi abrogato giacchè regola un ipotesi specifica, costituita dal riscatto anticipato del servizio che veniva applicata in mancanza di una disciplina più generale. Il regolamento di attuazione dell’art 23 bis regolando la materia e l’ha reso inapplicabile, il suo successivo venir meno lo “richiama in servizio” al fine di coprire la lacuna normativa (ri)creatasi. 

V Un particolare modello operativo.

5.1. Vale la pena di richiamare un modello che trova riscontro in diversi Comuni e certamente in una buona percentuale di quelli lombardi.

Questi hanno nel tempo concluso due diverse tipologie di contratti relativi al servizio di illuminazione pubblica: da un lato vi sono i contratti per la fornitura degli impianti e dall’ altro convenzioni per la gestione e la manutenzione degli stessi.

5.2 I primi possono essere inquadrati come una locazione, posto che gli impianti rimangono di proprietà del fornitore, ed il contratto è appunto volto a consentirne l’utilizzazione da parte dall’ente pubblico.

La circostanza che i in molti casi Comuni hanno provveduto alla corresponsione di un ammontare pari all’80% del prezzo non muta le conclusioni di cui sopra posto che gli enti locali nonostamnte l’esborso non hanno acquisto la proprietà che resta nelle mani del fornitore.

Nondimeno di tale circostanza occorre tenere conto in sede di riscatto, infatti alla luce della disciplina prevista all’art. 24 del D.P.R. del 1924  contributi pubblici dovranno essere stornati dal valore degli impianti e ciò influirà non poco nella determinazione dei valori di indennizzo.

Usualmente  non è prevista una esplicitamente una durata del contratto, questa tuttavia può essere ricavata indirettamente dall’indicazione della vita utile degli impianti contenuta nel contratto stesso, nondimeno nella pratica i beni sono stati utilizzati per un periodo più lungo e ciò può essere giuridicamente inquadrato come volontà delle parti di allungare la durata del rapporto. 

In ogni caso lo stesso viene meno al momento del riscatto.

5.3 Dall’altro lato vi sono le convenzioni in forza delle quali i gestori si prendono in carico la gestione e la manutenzione degli impianti stessi nonché in diversi della fornitura di energia.

Si ricorda che in molti casi le convenzioni originarie avevano una durata limitata ed hanno operato nel tempo in forza di taciti rinnovi, ed al riguardo si richiama quanto già detto al punto 2.3 in ordine alla nullità del rinnovo.

5.4 Questa particolare regolazione fa si che non ci si trova di fronte ad una convenzione che disciplina in modo unitario il rapporto, come normalmente accade per i servizi pubblici, e quindi che regoli la situazione al momento del venir meno dello stesso.  Bensì a due contratti distinti che nulla dicono al riguardo. Per tale ragione le condizioni che regolano la fine del rapporto ed il passaggio degli impianti dovranno essere ricavati solo dalle disposizioni normative (sopra analizzate).

VI  Lo spromiscuamento

6.1. Altro aspetto interessante è dato dalla presenza, quantomeno in diverse realtà, degli impianti c.d. “misti”, cioè sono costituiti in parte dalla rete di distribuzione dell’energia elettrica, ed in parte da cespiti dedicati all’illuminazione.

Sino ad una decina di anni orsono, in molti casi, il soggetto chiamato a realizzare ed a gestire le reti era lo stesso incaricato della distribuzione dell’energia elettrica, l’unicità del soggetto ha fatto si che esigenze di risparmio abbiano consigliato di utilizzare ai fini dell’illuminazione parti di impianti destinati alla distribuzione. Si pensi ad esempio: alla rete di trasmissione, ai pali di sostegno della stessa,  alle  cabine elettriche; alle quali sono stati integrati componenti specificamente dedicati all’illuminazione pubblica si pensi ai punti luce ed ai bracci che li sostengono. 

Successivamente è venuta meno l’identità tra il soggetto chiamato ad occuparsi dell’illuminazione  e quello deputato alla distribuzione, nondimeno la circostanza che gli stessi siano parti del medesimo gruppo societario ha consentito una fattiva collaborazione lasciando inalterata la situazione. 

Per contro nel momento in cui verrà messa a gara la gestione degli impianti e dunque si palesi la possibilità che risulti vincitore un operatore non legato alla società proprietaria delle reti si ha la necessità di eliminare o quantomeno contenere le promiscuità.

In conseguenza sarà necessario stabilire in cosa dovranno consistere le attività di spromiscuamento.

In effetti alcune commistioni sarebbero difficili da gestire da parte di soggetti diversi, si pensi all’accesso del personale del gestore del servizio d’illuminazione ad una cabina di trasformazione di proprietà del distributore e da questo utilizzata.

Per contro altre forme di commistione potrebbero permanere: si pensi a titolo esemplificativo al alla possibilità di mantenere un punto luce poggiato su un palo della distribuzione.

6.2 La determinazione concreta degli interventi da compiere dovrà essere effettuata in contraddittorio con la società di distribuzione posto che la mancanza di regolazione contrattuale della fattispecie rende impossibile ogni soluzione che prescinda da un accordo.

Alla mancanza di previsioni specifiche è tuttavia possibile (almeno in parte) supplire con la ragionevolezza, ad oggi la società deputata alla distribuzione ha tollerato la promiscuità evidenziando come questa non contrasti a priori con una corretta gestione dell’attività ad essa demandata, pertanto ben potrà limitare gli interventi a quelli strettamente necessari.

Anche perché ove richiedesse dispendiosi interventi sino al momento non ritenuti necessari finirebbe col realizzare un’ingiustificata diversità di trattamento tra il gestore uscente e quello che sarà indicato utilizzando in modo illegittimo le prerogative di concessionario dell’attività di distributore di energia elettrica. 

VII Alcune valutazioni in ordine agli oneri economici relativi agli impianti.

7.1. Se si analizzano gli oneri da sostenere per il riscatto degli impianti si osserva come per quelli più datati e soprattutto laddove gli enti pubblici hanno versato una parte del valore, non dovrebbero essere particolarmente onerosi.

Tale aspetto è controbilanciato dalla circostanza che in molti casi si renderanno necessari non pochi interventi.

Anzitutto si prospettano gli interventi volti allo spromiscuamento ma in molti casi si potrà palesare l’opportunità di addivenire ad un radicale ammodernamento e ciò sia al fine di conseguire un risparmio energetico, sia per procedere alla messa in sicurezza.

7.2. In particolare gli enti pubblici si troveranno di fronte ad una scelta tra due distinti modelli operativi, il primo si sostanzia nella decisione di non compiere rilevanti interventi su reti ed impianti. In questo caso non saranno necessari forti investimenti ed il servizio pubblico sarà incardinato nella figura di un appalto di servizi, ed eventualmente di fornitura di energia, e ragionevolmente dovrà avere una durata contenuta in pochi anni. 

7.3 Laddove l’ente pubblico riterrà opportuno procedere ad un ammodernamento degli impianti potrà ricorrere ad una più articolata figura contrattuale, in particolare il rapporto dovrà avere una durata abbastanza lunga da permettere al nuovo gestore di ammortizzare gli investimenti, evitando che gli stessi siano immediatamente ribaltati sul bilancio comunale. Al riguardo si ricorda che l’illuminazione pubblica è un pubblico servizio svolto con le forme dell’appalto di modo che i costi di ammodernamento sono sostenuti inevitabilmente dall’ente affidante, questi può solo dilazionarli prevedendo un contratto di durata e pagandoli ogni anno pro rata.

Un interessante soluzione è fornita dal meccanismo che sottende l’attività delle ESCO e che si basa sul principio che il prestatore del servizio compie interventi volti a realizzare una maggior efficienza energetica e dunque a conseguire un risparmio. Il committente paga lo stesso prezzo che avrebbe pagato laddove gli interventi di efficentamento non fossero stati posti in essere, ed il prestatore utilizza le economie realizzate attraverso il risparmio energetico per pagare gli investimenti fatti.

In questo modo l’ente pubblico vedrà la presenza d’impianti moderni ed efficenti sul suo territorio, ed alla fine del rapporto ne acquisirà anche la proprietà,  senza aver sostenuto maggiori costi, a quelli che sarebbero conseguiti agli alla gestione di impianti non efficentati.

Laddove le condizioni tecnico economiche non consentano tale risultato può essere previsto che l’ente pubblico sostenga in parte i costi dell’intervento.

Si consideri che un valido ausilio economico potrà essere dato dall’ accesso ai TEE - Titoli di Efficienza Energetica  (cd. “Certificati Bianchi).

7.4 Quanto scritto si integra perfettamente con quanto previsto dalla legge 6 luglio 2012 n. 94 che impone alle amministrazioni pubbliche (di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165) di adottare  entro 24 mesi misure finalizzate al contenimento dei consumi di energia e all' efficientamento degli usi finali della stessa.

 La norma, che riconduce tale attività energetica non più ad una mera scelta delle pubbliche amministrazioni ma ad un vero e proprio obbligo, prevede che l’attività necessaria a raggiungere tale risultato sia svolta attraverso i contratti di affitto di servizio energia (di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 agosto 1993, n. 412, e al decreto legislativo 30 maggio 2008, n. 115)  e nonchè nelle forme dei contratti di partenariato pubblico privato (di cui all'articolo 3, comma 15-ter, del codice dei contratti pubblici).

Si noti che le figure in cui si esplicitano sia il partenariato pubblico privato contrattuale (concessione di Lavori/Servizi , Project financing, Locazione Finanziaria Contratto di disponibilità) sia il partenariato pubblico privato istituzionale (società mista) sia il contratto di rendimento energetico hanno la medesima struttura giuridico economica caratterizzata dal fatto che il rischio economico dell’operazione grava interamente sul soggetto privato che realizza l’opera a sue spese e recupera le risorse impiegate mediante la gestione nel tempo del servizio.

 

***

 

(1) In tal senso, Consiglio di Stato, sentenza n. 2537/ 2012 e sentenza n. 8231/2010; Tar - Sardegna, sentenza n. 966/2009; Tar Lombardia - Brescia sentenza n. 2165/2010 e 2612/2010.

(2) In tal senso, Consiglio di Stato, sentenza n. 2537/12, principio confermato dall’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici (cfr. parere n. 5/12).

(3) Si pensi alle disposizioni dettate dal codice degli appalti, o a quelle dettate dall’art 1 d.l. n. 95/2012 in tema di spending review.

(4) Si vedano in proposito le sentenze n. 31 del 2000 e n. 40 del 1997.

(5) A conferma si veda sul punto l’ ordinanza n. 24/2011 con la quale la Corte Costituzionale ha statuito sull’ammissibilità del referendum in oggetto.

(6) Deve infine considerarsi che non sono rimaste in essere neanche le disposizioni di cui al previgente art 113 del Testo unico degli enti locali che non sono state abrogate dalle previsioni di cui all’art 23 bis. Infatti sul punto deve ritenersi comunque intervenuta l’abrogazione ad opera dell’art 15 delle disposizioni generali di legge, che prevede il venir meno di una norma laddove l’intera materia sia regolata da quella successiva. Al riguardo pare infatti potersi affermare che l’art. 23 bis sia volto a regolare l’intera materia toccandone i vari profili, sostituendosi all’art 1.

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