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La crisi delle società a capitale pubblico. assoggettabilità delle società cd in house providing alle pocedure concorsuali.
di Andrea Mineo 16 marzo 2016
Materia: società / partecipazione pubblica

 

 

 La crisi delle società a capitale pubblico. assoggettabilità delle   società cd in house providing alle pocedure concorsuali.

                           

                    

Sommario: 1. Premessa.- 2. La natura di Imprenditore commerciale e la gestione di servizi pubblici locali. - 3. Il fallimento delle società in house. I diversi orientamenti.

                           

1. Premessa

 La pronuncia del Tribunale civile di Palermo n. 131/2015, in epigrafe, riconduce nell'alveo della piena assoggettabilità al fallimento, le società a capitale pubblico partecipate da Enti locali.

  Il Tribunale civile di Palermo con la summenzionata sentenza, infatti compie un'inversione di tendenza con riguardo alla fallibilità delle società in house e nello specifico rispetto a ben due proprie pronunce precedenti inerenti la stessa Gesip S.p.A.

  Nella prima pronuncia, il Tribunale di Palermo sez. IV con Sentenza dell' 8 gennaio 2013 ha rigettato la richiesta presentata dal liquidatore di Gesip S.p.A, il quale, deducendo la qualità di imprenditore commerciale fallibile chiedeva la dichiarazione del fallimento della società.

  In particolare, il liquidatore della società, rappresentava che le azioni della stessa, costituita nell'anno 2001 e le cui partecipazioni azionarie erano originariamente detenute dal Comune di Palermo, in misura del 51%, e per la restante parte da Italia Lavoro S.p.A[1], erano state integralmente sottoscritte e liberate dal Comune di Palermo fin dal 16/02/2007 e che la società: "ha operato per conto dell'ente locale nell'ambito dei servizi pubblici locali, distinti in due tipologie: servizi strumentali e servizi pubblici locali a rilevanza economica" [2].

  Il Tribunale di Palermo a seguito di un ampio esame delle argomentazioni poste dal liquidatore, del parere del Ministero per lo Sviluppo economico e operato uno scrutinio dei vari orientamenti giurisprudenziali fin li affermatisi in tema di società a capitale pubblico riteneva che: " La mancanza della natura di imprenditore commerciale della Gesip esclude che la stessa possa rientrare tra i soggetti fallibili ai sensi dell'art. 1, co. 1 l.f; e dunque, anche fra i soggetti sottoponibili ad amministrazione straordinaria ai sensi dell'art. 2 d.lgs. n. 210/1999" [3].

   In seguito a questa prima pronuncia veniva riproposto, in data 6 giugno 2013, ricorso ad opera del liquidatore, mediante il quale, si mirava ad accertare che Gesip S.p.A non fosse qualificabile come ente pubblico in senso sostanziale ma come imprenditore commerciale.

  Alle deduzioni poste dal liquidatore, il Tribunale di Palermo sez IV con Sentenza dell'11 giugno 2013, nel rigettare il ricorso ha osservato che, la società: " non opera in ambiente concorrenziale" e pertanto da ciò discende la conclusione che: " le ragioni che hanno presieduto alla creazione della Gesip S.p.A e le condizioni in cui quest'ultima esercita la sua attività, portano a concludere che essa è stata istituita per soddisfare esigenze di carattere generale aventi carattere non industriale o commerciale" [4].

  La vicenda societaria di Gesip S.p.A si è conclusa di recente con la sentenza del Tribunale civile di Palermo n. 131/2015 del 18 agosto 2015, la quale, ribaltando il proprio precedente orientamento, dichiara il fallimento di Gesip S.p.A, richiama argomentazioni di indubbio interesse che vanno senz'altro commentate.

 

 

 

 

 

 

 

2. La natura di imprenditore commerciale e la gestione di servizi pubblici locali: cenni

Nella sentenza in commento il Tribunale di Palermo, come evidenziato, muta radicalmente il proprio convincimento in ordine alla fallibilità di Gesip S.p.A e al contestuale inquadramento della stessa nel novero degli imprenditori commerciali.

   Muovendo dalla recente giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, secondo la quale:"ciò che rileva nel nostro ordinamento, ai fini dell'applicazione dello statuto dell'imprenditore commerciale, non è il tipo di attività esercitata, ma la natura del soggetto"[5], il Tribunale di Palermo sviluppa una serie di argomentazioni, le quali sono di indubbio interesse se rapportate al tenore con il quale era stata affrontata in precedenza la vicenda.

   Prima, fra queste, è senz'altro quella relativa all'individuazione della disciplina da applicare alle società in mano pubblica. Viene infatti superata una precedente impostazione, in virtù della quale, la partecipazione dello Stato o di una pubblica amministrazione ad una società di capitali potesse variare la struttura della stessa, dando vita a un tipo sociale di diritto speciale.

    Secondo un'ormai risalente giurisprudenza amministrativa si era infatti giunti ad attribuire alle società partecipate una connotazione sostanzialmente pubblicistica[6].

    Tale tipo d’impostazione risulta superata giacché si può parlare di società di diritto speciale soltanto laddove un' espressa disposizione legislativa introduca deroghe alle previsioni del codice civile, attuando un fine pubblico incompatibile con lo scopo lucrativo ex art. 2247 del codice civile[7].

    A parte i casi di società pubbliche c.d. legali, secondo il Tribunale di Palermo ci si trova sempre dinanzi a società di diritto comune, in cui pubblico non è l'ente partecipato ma il soggetto che vi partecipa e dunque la disciplina pubblicistica che regola gli aspetti riservati al socio pubblico e quella privatistica riferibile al funzionamento della società, si trovano a coesistere[8].

    Per ciò che concerne l'ambito degli interessi, la Suprema Corte ha rilevato che l'interesse che fa capo al socio pubblico è configurato, quale di rilievo esclusivamente extra-sociale, con la conseguenza che le società partecipate da una pubblica amministrazione possiedono comunque natura privatistica.

Pertanto, in conseguenza di quanto esposto sino ad ora, le società a partecipazione pubblica sono assoggettate a regole analoghe a quelle applicabili ai soggetti pubblici nei settori di attività in cui assume rilievo preminente rispettivamente la natura sostanziale degli interessi pubblici coinvolti e le finanze, essendo invece sottoposte alle normali regole privatistiche ai fini dell'organizzazione e del funzionamento.

A questo riguardo giova rilevare che, la sezione Lavoro della Corte di Cassazione ha chiarito che, con riferimento alle ricadute previdenziali dei rapporti di lavoro, la gestione in house non muta la natura giuridica privata della società[9].

Sul piano ricostruttivo non può non osservarsi però, che la statuizione in commento, sposta la questione delle ricadute previdenziali nella sfera pubblicistica, liberando la società fallita e l’ente locale proprietario dall’obbligo attinente la corresponsione dell’indennità di fine rapporto agli ex dipendenti della società, i quali dovranno pertanto rivolgersi all'istituto nazionale di previdenza sociale per averlo riconosciuto.

La nuova prospettazione fornita dal Tribunale di Palermo circa la fallibilità di Gesip S.p.A si riscontra quindi, nella giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, secondo la quale una società non muta la sua natura di soggetto di diritto privato sol perché un ente pubblico è titolare di una parte o della totalità del suo capitale, potendo pertanto, indirettamente, influenzarne le scelte organizzative ed operative secondo le regole proprie del diritto societario, pur se sulla base di determinazioni adottate dai propri organi secondo le regole proprie del diritto amministrativo, essendo anche in tal caso possibile distinguere la sfera delle situazioni giuridicamente riferibili alla società o ai suoi organi da quella delle situazioni giuridicamente riferibili all'ente pubblico e ai suoi organi[10].

  Di medesimo tenore sono inoltre i principi che hanno sancito l'applicazione della legge n. 231 del 2001 e s.m.i alle società a partecipazione pubblica, anche se queste svolgono funzioni tipiche dell'ente territoriale, secondo i quali la natura del soggetto comporta l'applicazione delle norme e viceversa la natura dell'attività, il trasferimento di risorse pubbliche e la titolarità di poteri coattivi d’imposizione e riscossione non esonerano la società pubblica dall'applicazione della responsabilità amministrativa da reato per illeciti compiuti da suoi amministratori e dirigenti[11].

Nella statuizione in esame circa fallibilità di Gesip S.p.A, il Tribunale di Palermo opera una vera e propria dicotomia fra la figura dell'imprenditore commerciale, che come tale è sempre sottoposto al suo statuto, e la qualificazione di organismo pubblico ai fini delle norme riferibili alla sua particolare attività[12].

Tale cesura non può ritenersi del tutto pacifica, giacché come evidenziato in precedenza, proprio su questo punto per ben due volte il Tribunale fallimentare di Palermo, seguendo altre impostazioni altrettanto consolidate e afferenti alla natura dei servizi resi da Gesip S.p.A nei confronti del proprio socio Comune di Palermo, aveva ritenuto la stessa quale longa manus dell'ente locale di riferimento, istituita per soddisfare esigenze di carattere generale non industriale o commerciale e, pertanto, non assoggettabile alla disciplina dell'imprenditore commerciale.

Ulteriore elemento addotto a sostegno della fallibilità delle società a capitale pubblico è il processo di "normalizzazione" intervenuto negli ultimi anni su scala nazionale, dovuto anche ad interventi normativi quali il D.L n. 95/12, convertito in l. 135/2012, che in tema di società a partecipazione pubblica ha operato un generale rinvio alla disciplina delle società di capitali.

Il fenomeno delle società di capitali partecipate da comuni e province ha assunto negli anni connotati sempre più rilevanti nella dimensione regionale siciliana, ed infatti, dagli anni novanta dello scorso secolo si sono succeduti settoriali riconoscimenti legislativi ai quali è seguita una scarna disciplina di contesto[13].

Tale settore d’indiscutibile rilievo ha rappresentato negli anni uno degli usuali casi in cui v'è un inseguimento delle situazioni di fatto che ha caratterizzato la normazione italiana, sopratutto nel campo della regolazione dei servizi aventi rilevanza economica.

In questi settori, la disciplina normativa è intervenuta tardivamente e in conseguenza di ciò è stata inevitabilmente condizionata dalla presenza di mercati già esistenti, connotati da dimensioni rilevanti, come nel caso della disciplina del mercato radiotelevisivo o delle società finanziarie.

La legislazione della Regione siciliana si è così contraddistinta per un crescente ed ingiustificato oblio, pur di fronte all'espansione del fenomeno, in una materia come quella degli enti locali, in cui gode di potestà legislativa esclusiva o primaria (art. 14 lett. o dello statuto regionale siciliano).

Si è assistito pertanto a interventi normativi che, dapprima, hanno anticipato quelli statali sino ad una sostanziale cessione della materia al legislatore statale[14].

L’adozione di modelli privatistici ha, infatti, caratterizzato negli anni l'attività delle amministrazioni pubbliche, le quali hanno costituito un numero sempre crescente di società partecipate per la gestione dei servizi locali aventi rilevanza economica, fino a raggiungere il considerevole numero di oltre diecimila, secondo quanto riportato di recente dall'Istat nel proprio censimento sulle società che presentavano una forma di partecipazione pubblica in Italia[15].

Nel compendio motivazionale della sentenza in commento, per quel che concerne la normativa regionale siciliana, il Tribunale di Palermo richiama le norme sulla revisione della spesa e specificamente riferendosi alla circolare della Assessore all'Economia della Regione siciliana del 29 agosto 2012 prot. 5444 sul riordino del settore delle partecipazioni regionali in società controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni, al fine di porre l'accento su quella che è stata definita una norma cd. di "chiusura" circa la disciplina da applicare alle società di capitali controllate da enti locali[16].

Soffermandosi sulla normativa regionale bisogna sottolineare come già dalla previsione sancita dall'art. 20 l.r n. 11 del 2010 esista un reale e strutturato proposito di riordino del sistema delle partecipazioni statali in ambito regionale, a testimonianza del fatto che, il legislatore regionale di allora abbia anticipato, in alcuni casi, di qualche tempo l'intenzione di quello statale di razionalizzare il sistema delle partecipazioni pubbliche.[17]

Purtroppo però ad oggi la Regione ha disatteso tale intento, mantenendo in vita innumerevoli piccole o grandi società di capitali d'interesse regionale, operanti in un regime di patologico squilibrio fra costi a carico dell'ente pubblico socio e ricavi.

Un ulteriore aspetto illustrato nella sentenza che si annota è quello relativo all'incompatibilità con il quadro attuale di certa giurisprudenza secondo la quale per talune società strumentali o in house providing non esista:" un rapporto di alterità tra l'ente pubblico partecipante e la società stessa e neppure una separazione patrimoniale, risultando le stesse una sorta di articolazione interna alla stessa pubblica amministrazione e , quindi legate ad esse da un vero e proprio rapporto di servizio, sempre che ricorrano taluni presupposti" [18].

Tale incompatibilità originerebbe da un'errata impostazione volta a giustificare la volontà diretta a porre al centro del sistema il modello di società cosiddette in house, in cui l'ente pubblico esercita sulla società un controllo analogo, similare per prerogative ed intensità, a quello esercitato sui propri servizi.                   

 Di recente, il Consiglio di Stato, sezione Seconda con il parere n. 298/2015, si è espresso in materia di requisiti costitutivi dell’in house providing, alla luce della Direttiva 2014/24/UE del 26 febbraio 2014, operando una rivalutazione degli elementi costitutivi di tale modello e fornendo una parziale rilettura di altri elementi, ha confermato l'importanza della sussistenza dei requisiti del controllo analogo a quello operato sui propri servizi interni da parte dell'amministrazione committente, della destinazione prevalente dell'attività svolta dalla società attuatrice a favore dell'amministrazione committente e della partecipazione pubblica totalitaria o quasi della società affidataria.

Da ultimo però, lo stesso Consiglio di Stato, con riferimento all'esecutività delle Direttive Europee sull'affidamento in house asserisce che le stesse al momento non sarebbero qualificabili come self executing.[19]

La tuttora irrisolta contrapposizione della giurisprudenza di merito, tra pronunce che ritengono le società in house al pari di una normale società, soggette alle procedure fallimentari e pronunce che, alla stregua degli assunti delle Sezioni Unite equiparano, dal punto di vista sostanziale, le società in house agli enti pubblici, esenti, com’è noto, dal fallimento ai sensi dell’art. 1, c. 1 della legge fallimentare, sembra incontrare un superiore grado di complessità, di cui non si ha contezza nello scenario italiano, se si osserva la prospettiva europea[20].

Secondo un consolidato orientamento della Corte EDU, riferibile alla tutela del credito e correlativamente, in materia di diritto alla tutela giurisdizionale che è comprensivo anche della fase dell’esecuzione, lo Stato è sempre responsabile del rispetto della Convenzione e non può trincerarsi dietro l’incapacità di altri soggetti, con la conseguenza che la mancanza di risorse di un ente pubblico non giustifica che questo ometta di onorare gli obblighi derivanti da una sentenza definitiva pronunciata a suo sfavore[21].

Da ciò deriva la conseguenza che, in presenza di un inadempimento ad opera di un ente pubblico, lo Stato per non incorrere in una violazione della Convenzione, dovrebbe farsi garante del credito e della sua tutela in sede di esecuzione[22].

La Giurisprudenza appena richiamata potrebbe assumere un’importante valenza se riferita agli enti pubblici che gestiscano attività economiche.

In primo luogo bisogna vagliare la validità del principio della Corte EDU anche nel caso di soggetti privati controllati dalla p.a. e pertanto risulta difficile sostenere che una normale società pubblica sia coperta dalla garanzia statale, più probabile è invece che ciò possa configurarsi per le società in house, le quali, altrimenti agirebbero quale comodo strumento di elusione dei principi della Corte EDU.

Nel caso in cui la garanzia statale dovesse ritenersi efficace anche per le società in house, l’intreccio con la citata giurisprudenza comunitaria diverrebbe di difficile composizione, giacché in ragione del divieto di aiuti statali ed al pari degli enti pubblici economici, bisognerebbe negare cittadinanza alla figura delle società in house, che l’ordinamento UE ha creato e riconosciuto[23].

      

       3. Il fallimento delle società in house. I diversi orientamenti.

 

Com'è noto il modello dell'in house providing è utilizzato dalle pubbliche amministrazioni, sia centrali che locali, le quali danno vita a soggetti dotati di personalità giuridica autonoma che risultano ad esse legati da un vincolo di totale partecipazione azionaria, al fine di produrre determinati beni o fornire servizi.

Queste società costituiscono una interiorizzazione dell'attività svolta dall'ente locale azionista, la quale viene gestita da un soggetto formalmente di diritto privato[24].

Il tema del fallimento delle società in house è piuttosto dibattuto e vede delinearsi differenti posizioni.

L’oscillazione, del tutto simile a quella del pendolo di Foucault, che vede da un canto quanto stabilito dal legislatore circa la normativa applicabile e la conseguente sfera giuspubblicistica nel cui alveo rientrerebbero tali tipologie societarie e dall’altro le recenti statuizioni di parte della giurisprudenza circa la loro assoggettabilità alla disciplina privatistica in ordine alla loro fallibilità, ha creato non pochi disorientamenti nei giuristi che scelgono di affrontare criticamente lo studio di tale fenomeno.

È opinione di parte della dottrina che: « da una figura derogatoria si è costruita una categoria dalla quale, deduttivamente, sono derivate delle conseguenze eterodosse rispetto al quadro normativo di riferimento ed al sistema privatistico. In altri termini, la legittima ansia di semplificazione del linguaggio giuridico ha dato la stura alla insostenibile invenzione in via pretoria di un nuovo tipo societario dotato di proprie regole e di speciali sistemi di responsabilità»[25].

La Suprema Corte di Cassazione nella veste di giudice della giurisdizione, ha maturato un orientamento non consolidato, tendente alla geometria civilistica, d’altro lato il Consiglio di Stato e la Corte dei conti, continuano tendenzialmente, sebbene non esclusivamente, a propugnare il recupero dei principi pubblicistici e contabilistici.

Nella sentenza in commento, il Tribunale di Palermo, propende per la prima volta con riferimento a Gesip S.p.A per un orientamento nel quale particolare attenzione viene dedicata alla titolarità del servizio svolto, ovverosia al fatto che la società in house non è titolare del servizio, ma ne è affidataria al pari di qualsivoglia contraente privato e pertanto vige una separazione tra titolarità e gestione del servizio.

In conseguenza di ciò deve essere valutata la forma societaria o l'attività esercitata, diventando priva di rilevanza la natura pubblica del soggetto proprietario reputando pertanto:« irrilevante la persona dell'azionista ai fini della definizione della natura giuridica dell'ente e, così, ritenere la presenza del socio pubblico non bastevole ad alterare la natura della società partecipata: se i pubblici poteri partecipano alla società secondo la propria comune capacità di diritto privato, non per questo la ragione giustificatrice della loro partecipazione può plasmare ed istituzionalizzare in tal senso l'elemento causale della persona giuridica partecipata»[26].

Secondo i propugnatori dell'orientamento che per semplicità si definisce privatistico, in questo contesto, le regole della concorrenza verrebbero ad essere violate, giacché non essendovi il fallimento della società il finanziamento della stessa verrebbe demandato ai creditori[27].

Le società in house dunque rappresenterebbero un unicum, in quanto sottratte alle procedure concorsuali e ad eventuali sanzioni derivanti dai debiti accumulati[28].

Viene inoltre contestata la scarsa chiarezza dei riferimenti normativi come invece richiesto dall'art. 2 l.f. che esclude dal fallimento determinate imprese individuate dalla legge, al fine di sottoporle a procedura di liquidazione coatta amministrativa. Tale argomentazione viene supportata dal ragionamento secondo il quale si può parlare di società di diritto speciale solo nel caso in cui una disposizione legislativa deroghi a quanto stabilito nel codice civile[29].

 La pronuncia del Tribunale di Palermo, in commento, s’innesta nel solco tracciato da tale orientamento il quale muove dal presupposto che la società sebbene partecipata da capitali pubblici mantiene la propria natura privata di diritto comune ex art. 2449 c.c. e in conseguenza di ciò è in linea generale assoggettabile al fallimento nello stesso medesimo modo di qualsiasi società di capitali che possegga il requisito d’imprenditore commerciale.[30]

Su tale punto di vista vi è larga giurisprudenza, la quale ha rilevato che: "una società per azioni non perde la propria qualità di soggetto privato e, quindi, ove ne sussistano i presupposti, di imprenditore commerciale sottoposto al regime privatistico ordinario e, di conseguenza, suscettibile di essere assoggettato alla disciplina della legge fallimentare per il fatto che ad essa partecipino enti pubblici come azionisti " [31].

La previsione circa la fallibilità delle società a capitale pubblico appare poi suffragata dall'assunto che: "l'esenzione dalle procedure concorsuali di tali società pregiudicherebbe sia l'interesse dei creditori, sia l'interesse pubblico, sia l'interesse della stessa società" [32].

Secondo i sostenitori della tesi maggiormente estensiva della sfera pubblica, i quali mettono in evidenza che in molte di queste società vi è la predominanza dei connotati pubblicistici e che quindi sebbene possa variare la veste formale della società, ciò non influisce sulle caratteristiche dell'attività.[33] Viene inoltre sottolineato come la maggior parte di queste società per operare necessiti di un costante intervento pubblico, in conseguenza del fatto che agisce in un regime di strutturale sbilanciamento tra ricavi e costi e in assenza di concorrenza, giacché l'attività svolta anziché essere rimessa al mercato viene svolta in esclusiva attraverso una società partecipata.

Secondo la tesi c.d. pubblicistica, inoltre una procedura concorsuale derivante da un eventuale stato di crisi potrebbe mettere in dubbio la continuità dei servizi pubblici. Infine, viene sottolineato che nel caso di crisi della società l'ingerenza di organi nominati dal giudice verrebbero a sovrapporsi a quelli pubblici nell'esercizio dell'attività[34].

L'orientamento c.d pubblicistico trova riscontro nella giurisprudenza alla stregua quale della quale, ai fini della qualificazione di un soggetto come pubblico o privato è necessario dare prevalenza alla sostanza rispetto alla forma giuridica.

Peraltro ai fini dell'effettiva individuazione della natura del soggetto come rilevato dal Consiglio di Stato è necessario considerare:"tanto il carattere strumentale o meno dell'ente societario rispetto al perseguimento di finalità pubblicistiche... quanto l'esistenza di una disciplina derogatoria rispetto a quella propria dello schema societario, sintomatica, in particolare, della strumentalità della società rispetto al conseguimento di finalità pubblicistiche"[35].

La natura sostanzialmente pubblica delle società partecipate è così postulata da parte della dottrina, la quale ha osservato, come: «il nodo della sottoposizione o meno delle società in house alle procedure fallimentari non possa sciogliersi alla stregua delle consuete opzioni interpretative, ma debba fare i conti con un quadro giuridico più ampio e articolato di quello nazionale»[36].

Con riferimento alla summentovata giurisprudenza CEDU inoltre se si ritiene che:« le società in house, da un lato, siano soggette al vincolo CEDU della garanzia statale, d’altro lato, non pongano un problema di violazione del divieto di aiuti perché operanti fuori mercato, allora non potrà che propendersi per la tesi che tali società non siano soggette al fallimento»[37].

Per quanto concerne invece gli indici in virtù dei quali tali compagini societarie vengono ricondotte alla sfera pubblica, si è sottolineato come questi riguardino principalmente il profilo gestionale, si veda ad esempio la partecipazione pubblica e il requisito del controllo analogo, ma anche al profilo inerente l'attività e a quello dei requisiti per la legittimità degli affidamenti diretti in house[38].

Analogamente a quanto prospettato dalla Suprema Corte di Cassazione anche parte della dottrina ha cercato di individuare un riferimento normativo che giustificasse la specialità delle norme relative alla gestione dei servizi pubblici locali.

In questo senso si è evidenziata la natura risolutiva del riferimento all’art.113 comma 5 lett. c) del TUEL, il quale ha elencato tra i modelli organizzativi del servizio pubblico locale l’erogazione dello stesso mediante: «società a capitale interamente pubblico a condizione che l’ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo…e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la controllano»[39].

È stato così da più parti osservato che la qualificazione di un soggetto come pubblico o privato, al fine di stabilirne l'assoggettabilità alle procedure concorsuali, necessita di una valutazione caso per caso giacché nelle società partecipate in cui aspetto gestionale e operativo appaiono avulsi dal diritto commerciale è intuibile che si possa parlare di estensione dell'ente pubblico partecipante.

Non sarà invece così e quindi vi sarà un assoggettamento a procedura concorsuale ex art.1 legge fallimentare, nell'ipotesi in cui non si ravvisino gli indici della natura pubblica dell'attività svolta.

Orbene con riferimento alla natura dell'attività svolta è opportuno osservare come, nel prospettare il proprio convincimento, il Tribunale di Palermo, avrebbe potuto operare una proficua comparazione dell'attività effettivamente svolta dalla fallita Gesip S.p.A nei confronti dell'ente locale di riferimento, della natura del servizio e considerare eventuali scostamenti, compiuti negli anni, da quelle che erano le proprie attribuzioni.

Ciò sarebbe senz'altro risultato agevole considerando altra analoga casistica di società a capitale pubblico partecipata dallo stesso Ente locale(si veda la vicenda di Amia S.p.A società del Comune di Palermo operante nella gestione del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti), la quale ha operato per anni divergendo dalle proprie attribuzioni di società in house partecipata da un ente locale e per la quale il Tribunale di Palermo ha giustamente dichiarato applicabile la disciplina dell'imprenditore commerciale.

In definitiva, il ricorso allo strumento societario da parte dei poteri pubblici non arriva mai a una sua concreta riconduzione al regime civilistico, poiché, in ragione d’interventi normativi, di specie o d’interpretazioni giurisprudenziali, si recuperano frammenti considerevoli di disciplina pubblicistica, con il risultato che la materia inerente, le società a capitale pubblico costituisce un territorio dai contorni incerti, una sorta di no man’s land, nella quale il giureconsulto o il semplice studioso del diritto rischia di non riuscire a scorgere un percorso costituito da linee guida consolidate basate su categorie certe, che si prestino a classificazioni ben ordinate[40].

Considerando quanto sin qui esposto circa la difficoltà d'inquadramento delle società in house, con specifico riferimento alla loro fallibilità, la sentenza appena commentata non aiuta di certo a semplificare il quadro interpretativo.

Infatti, non si comprende come una società di tal guisa che ha agito secondo i dettami comunitari dell'in house providing, senza divergere mai da quelle che erano le proprie attribuzioni, contenute nello statuto societario e rispettando i vincoli del controllo analogo, venga dichiarata fallibile.

La declaratoria di fallimento della società Gesip S.p.A, che libera l'ente locale azionista dalle proprie obbligazioni inerenti i crediti e le indennità pensionistiche, addossando la corresponsione di quest'ultime sull'istituto di previdenza INPS, pone ulteriori questioni di contrasto, con la summenzionata giurisprudenza della Corte EDU in ordine alla tutela dei crediti e a quanto stabilito dalla Suprema Corte di Cassazione con riferimento alle ricadute previdenziali.

In conclusione la commentata pronuncia, se non risolve la questione dell'inquadramento delle società pubbliche tra i soggetti sottoposti a fallimento, consente tuttavia ulteriori spunti di riflessione su una questione sulla quale il legislatore dovrà pronunciarsi in termini sistematici e al di fuori di interventi episodici che hanno solo ulteriormente complicato il fin troppo frastagliato quadro di riferimento.

Sembra opportuno aggiungere, inoltre, che mentre questo contributo era in fase di pubblicazione il Consiglio dei Ministri in data 20 gennaio 2016 in attuazione dei principi direttivi contenuti nella legge 7 agosto 2015 n°124[41], recante: " Deleghe al governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche", ha approvato gli schemi dei dodici decreti legislativi inerenti la suddetta delega.

Tali decreti, si trovano al momento all'esame delle Camere per l'espressione dei pareri da parte delle commissioni parlamentari competenti ed assoggettati all'apporto consultivo del Consiglio di Stato.

La bozza di "Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica", prevede un generale riordino del settore delle partecipazioni statali, regionali e comunali circa l'utilizzo del modulo societario.

I punti essenziali dello schema di riordino in via d'emanazione riguardano la ricognizione che dovrà essere messa in atto ad opera delle amministrazioni locali. Al termine della quale, le stesse, dovranno eliminare le società non strettamente necessarie.

All' articolo 14 del testo in via di emanazione viene annunciata, altresì, una completa disciplina della crisi d'impresa pubblica, nella quale vengono previste idonee procedure atte a fronteggiare l'aggravamento delle future crisi aziendale, correggerne gli effetti ed eliminarne le cause.

Per ciò che attiene ai temi affrontati nella presente nota, giova infine evidenziare che, nel Testo Unico in via d'emanazione, viene prevista l'applicazione della disciplina vigente per le società di capitali e di conseguenza l'assoggettabilità alle procedure concorsuali, nei casi in cui vi sia una perdurante crisi aziendale dell'impresa a capitale pubblico.

 

 

di Andrea Mineo

Dottore in Giurisprudenza - Collaboratore dell'insegnamento di Diritto Amministrativo Europeo- Università di Palermo- Dems.



[1] Italia Lavoro S.p.A, è una società per azioni totalmente partecipata del Ministero dell'economia e delle  finanze e vigilata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, istituita nel 1997 su direttiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

[2] Così,Tribunale Civile di Palermo sez. IV Sentenza 08/01/2013

[3] Vedi, Tribunale Civile di Palermo sez. IV Sentenza 08/01/2013

[4] Cfr.Tribunale Civile di Palermo sez. IV Sentenza 11/06/2013

[5] Si veda, Cass. SS. UU. 25/11/2013 n. 26283

[6] Cons. Stato, n.1206 e n.1207 2001 e n. 4711 del 2002 e 1303 del 2002.

[7] Al riguardo: G.Visentini, Partecipazioni pubbliche in società di diritto comune e diritto speciale, Milano, 1979, p. 4 s; M. Mazzarelli, La società per azioni con partecipazione comunale, Milano, 1987, p. 117; G. Marasà, Le "società" senza scopo di lucro, Milano, 1984, p.353; per quel che concerne la tendenziale permanenza della causa lucrativa si veda F.Goisis, Contributo allo studio delle società in mano pubblica come persone giuridiche, Milano, 2004, p. 122 ss.

[8] Al riguardo si veda il fondamentale contributo di: C.Ibba, Le società "legali", Torino, 1992, p. 340 e ss; Le società legali per la valorizzazione, gestione e alienazione dei beni pubblici e per il finanziamento di infrastrutture. Patrimonio dello Stato e infrastrutture s.p.a, in Riv. dir.civ; 2005, II. 447 e ss ; nonché G.gruner, Enti pubblici a struttura di S.p.A, Torino, 2009, p. 46 ss.

F.Fimmanò, L'ordinamento delle società pubbliche tra natura del soggetto e natura dell'attività, in Fimmanò, Le società pubbliche. Milano, 2011, p. 12 s.

[9] Cass., sez lav., n. 14098/2014, richiamata da M. Mazzamuto, Fallibilità o meno delle società in house tra diritto privato e pubblico, garanzia statale dei debiti degli enti pubblici (CEDU) e divieto di aiuti statali (UE), in Riv. il Diritto dell’ Economia, vol. 27, n. 85, 3- 2014 p.553.

[10] Cass. Sez. Un; 15 aprile 2005, n. 7799, Cass; Sez. Un 20 dicembre 2007, n. 26811, Cass; Sez. Un. 4 marzo 2009, n. 5161; Contra: Cass; Sez. Un, 3 maggio 2005, n. 9096.

[11] Cass. pen. Sent. 10 gennaio 2011 n.234, relativa ad una società siciliana attiva nello smaltimento dei rifiuti

[12] Fimmanò, Il fallimento delle società pubbliche. p.19, Chiarissima sul punto, Cass, Sez. Un; 9 marzo 2012n.3692 e Corte di Giustizia UE grande sezione, 24 gennaio 2012, in Riv. dir. internaz. 2012, 2, 562.

[13] Si veda: G.Armao, Le società di capitali partecipate da Comuni e Province nella normativa statale e regionale siciliana, in: Armao G. Matta P. L Verde G. Studi sull'ordinamento delle autonomie locali, Palermo, Settesoli, 1994, p.113.

[14] Sul punto ancora: G. Armao, Le società di capitali partecipate da Comuni e Province nella normativa statale e regionale siciliana, cit. p. 114.

[15] Sul tema si vedano G.Rossi, Gli enti pubblici, Bologna 1991, p. 170 ss. ; G.Rossi, Pubblico e privato nell'economia e nei servizi. Problemi attuali e prospettive di indirizzo, Relazione tenuta all'incontro del Gruppo di S.Martino, Palermo 10-11 1prile 1992.; S. Cassese, D'Auria, Cronache amministrative 1990, in Riv. trim. dir. pubb, 1991, p. 1142 ss; F. Bruno, La giungla delle undicimila partecipate nel report Istat, 22 novembre 2015 leoniblog.; si veda anche, Patrimonio della PA. Rapporto sulle partecipazioni detenute dalle amministrazioni pubbliche al 31 dicembre 2013. Ministero Economia e Finanze, dipartimento del tesoro, Dicembre 2015.

[16] Cosi: G.Armao, " Il riordino delle società partecipate dalla Regione nella prospettiva della revisione della spesa" in Regione siciliana Raccolta direttive e circolari applicative sulle società partecipate della Regione siciliana, Palermo - Regione Siciliana, 2012 pp. 1-13.

[17] Sull'evoluzione della disciplina regionale in materia di società pubbliche si veda: G. Armao, " L'attuazione dell'autonomia differenziata della Regione Siciliana", Napoli, 2013, p. 131 e ss.

[18] Si veda, Cass. SS. UU. n. 26283/2013.

[19] Cons. Stato. sez. VI Sent. n.2660/2015.

[20]cfr. M.Mazzamuto, Fallibilità o meno delle società in house tra diritto privato, cit. p. 553. ,Nel medesimo solco interpretativo della pronuncia in esame si colloca: Trib. Trapani 13 agosto 2014 sent. N. 20/2014, inerente il fallimento di Megaservice S.p.A, la quale richiama, aderendovi, Cass. Sent. n. 21991/2012 e Cass. Civ; sez. I, n. 22209/2013. Sul punto si ricorda inoltre, altra contraria giurisprudenza, Trib. Napoli sez VII civile 9 gennaio 2014 n° 1097/13 e Trib Verona 19 dicembre 2013 n° 651/13.

[21] Così ancora, M.Mazzamuto, Fallibilità o meno delle società in house, cit, p. 554. ,Con riferimento alle pronunce della Corte Edu si veda ad es. Raffinerie greche Stran e Stratis Andreadis c. Grecia, 9 dicembre 1994, n. 13427/87, Hornsby c. Grecia, 19 marzo 1997, n. 18357/91, Assanidzé c. Georgia, 8 aprile 2004, n. 71503/01

[22] Sul punto si veda un caso francese inerente, un credito vantato nei confronti di un comune e rimasto insoddisfatto è stato statuito che: “une authorithé de l’Etat ne saurait prétexter du manque de resources pour ne pas honorer une dette fondée sur une décisionde justice.” Societé de gestion du port de Campoloro et Societé fermière de Campoloro c. France, 26 settembre 2006 n. 57516/00; citata da M.Mazzamuto, Fallibilità o meno delle società in house, cit, p. 554.

[23]Si veda ancora, M. Mazzamuto, Fallibilità o meno delle società in house, cit. p. 556.

[24] M.Cammelli; M. Dugato; G.Piperata, Le società a partecipazione pubblica nella gestione dei servizi degli enti locali, in Studi in tema di società a partecipazione pubblica, , Torino, 2008, p. 318. ss.

[25] Così R.Ursi in: Il cammino disorientato delle c.d. società in house in, il Diritto dell’ Economia, vol. 27, n. 85, 3- 2014 p.558 e per quel che concerne l'evoluzione della recente legislazione in tema di società partecipate da enti territoriali si veda, R.Ursi, Società ad evidenza pubblica. La governance delle imprese partecipate da Regioni ed enti locali, Napoli, 2013, pp. 28 ss.

[26] Così M. Renna, Le società per azioni in mano pubblica. Il caso delle S.p.A derivanti dalla trasformazione di enti pubblici economici ed aziende autonome statali. Torino, 1997 p. 114.

[27] Sul punto si veda C. IBBA, Tipologia e "natura" delle società a partecipazione pubblica, in Le società a partecipazione pubblica, a cura di F.Guerrera, Torino, 2010, p. 18 ss; C. Ibba, Le società "pubbliche", Torino 2011, p. 21 ss.

[28] La crisi dell'impresa non soggetta a fallimento, A. Palazzolo, Insolvenza delle società in mano pubblica e diritto comune, Galatina 2013, p. 9

[29] G.Visentini, Partecipazioni pubbliche in società di diritto comune e diritto speciale, Milano, 1979.

[30] Per una completa ricostruzione della dottrina commercialistica in materia, si veda: E. SORCI, La fallibilità delle società a partecipazione pubblica, In Fortunato S; Giannelli G; Guerrera F; & Perrino M; La riforma della legge fallimentare, Milano, 2011, p. 533- 551.

[31] Cass. Civ; sez. I, 10 gennaio 1979, n. 158; Corte App. Salerno, 17 luglio 2009 RG 443/2009.

[32] Trib. Napoli, sez. VII, 31 ottobre 2012.

[33] Trib. Santa Maria Capua Vetere sez. fall. dcreto 9 gennaio 2009, viene esclusa la fallibilità dell'organismo di diritto pubblico nella definizione che a questo viene data nel codice degli appalti; Trib. Catania 26 marzo 2010 ,escluso il fallimento azienda smaltimento rifiuti poiché partecipata da soli enti pubblici.

[34] Corte d'Appello Torino, sez. I Civ. 15 febbraio 2010 .

[35] Il Fallimento, 6/2009, p. 713 ss; Cons. Stato n. 4711/02, n. 1303/02, 2855/02, n.3090/01, n. 1206/01, n. 588/00, n. 1948/00, n. 3/08 con riferimento alle ipotesi di in house providing; e per il versante civilistico SSUU n. 24/99,n. 64/99, n. 9096/05, in ultimo Cons Stato sez IV, 31.12. 2006 n. 308.

[36] Così ancora Mazzamuto, Fallibilità o meno delle società in house, cit. p.557.

[37] Sul punto, M. Mazzamuto, Fallibilità o meno delle società in house p.557.

[38] G.D'Attore, Società in mano pubblica e fallimento: una terza via è possibile, in Il Fallimento, 6/2010, p. 699,Cons. Stato, Ad. Plen, 3 marzo 2008, n.1.

[39] Così Ursi in: Il cammino disorientato delle c.d. società in house in il Diritto dell’ Economia, cit, p.565, Cfr. G. Caia, Autonomia territoriale e concorrenza nei servizi pubblici locali, in giustizia-amministrativa.it, Per ciò che concerne la specialità delle società in house si veda F.Guerrera, Lo statuto della nuova società“ a partecipazione mista” pubblico-privata, in F.Guerrera (a cura di), Le società a partecipazione pubblica, Torino, 2010, p. 100, R.De Nictolis; L.Cameriero, Le società pubbliche in house e miste, Milano, 2008, p. 49.

[40] Mazzamuto, Fallibilità o meno delle società in house, cit, p.550, R. Rordorf, Società pubbliche nel codice civile, in le Società, 2005, p. 427, R.Ursi, Il cammino disorientato delle c.d. società in house, cit. p. 567.

[41] La legge Madia si pone come finalità, quella di disciplinare in maniera completa e snella i diversi tipi di società in ragione delle attività svolte, degli interessi pubblici di riferimento, della natura della partecipazione pubblica e dell'affidamento del servizio e dell'eventuale quotazione in mercati regolamentati. Assumendo come principio basilare quello di proporzionalità si potrà prevedere l'applicazione delle norme comuni del diritto societario anche alle società a capitale pubblico sopratutto per quel che concerne l'organizzazione e la crisi d'impresa. Sul punto si veda: H.Bonura, G. fonderico, Le partecipazioni societarie delle amministrazioni pubbliche e i servizi pubblici locali di interesse economico generale, in Giornale di diritto amministrativo n° 5/2015 p. 651 ss.

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