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Il paternariato pubblico-privato - La scelta del partner privato.
di Costantino Tessarolo  (costantino@tessarolo.it) 20 luglio 2004
Materia: società / scelta del socio privato

IL PARTENARIATO PUBBLICO-PRIVATO – LA SCELTA DEL PARTNER PRIVATO

 

1. Il partenariato pubblico-privato

 

1.1. Nozione

 

            Nel <libro verde> presentato il 30 aprile 2004, la Commissione europea ha affermato che il termine <partenariato pubblico-privato> (PPP) si riferisce in generale a “forme di cooperazione tra le autorità pubbliche e il mondo delle imprese che mirano a garantire il finanziamento, la costruzione, il rinnovamento, la gestione o la manutenzione di un’infrastruttura o la fornitura di un servizio” (§ 1).

            La Commissione ha, inoltre, nel citato <libro verde>, ritenuto di poter individuare due <tipi> di partenariato pubblico-privato e precisamente il tipo <puramente contrattuale> e il tipo <istituzionalizzato>.

 

2. Il partenariato pubblico-privato di tipo puramente contrattuale.

 

2.1. Nozione

 

            Il partenariato pubblico-privato di tipo <puramente contrattuale> è quello “basato esclusivamente su legami contrattuali tra i vari soggetti. Esso definisce vari tipi di operazioni, nei quali uno o più compiti più o meno ampi – tra cui la progettazione, il finanziamento, la realizzazione, il rinnovamento o lo sfruttamento di un lavoro o di un servizio – vengono affidati al partner privato” (§ 21).

            I <modelli> di partenariato di tipo puramente contrattuale più conosciuti sono l’appalto e la concessione.

 

2.2. Appalti e concessioni.

 

            Gli appalti pubblici sono contratti a titolo oneroso stipulati per iscritto tra uno o più operatori economici e una o più amministrazioni aggiudicatrici aventi per oggetto l’esecuzione di lavori, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi [art. 1, c. 2, lett. a), direttiva 2004/18/CE del 31 marzo 2004] (1).

            Le concessioni di lavori o di servizi (non è prevista quella di forniture) sono, come gli appalti pubblici, contratti a titolo oneroso stipulati per iscritto tra uno o più operatori economici e una o più amministrazioni aggiudicatrici aventi per oggetto l’esecuzione di lavori o la prestazione di servizi, il cui corrispettivo, però, consiste unicamente nel diritto di gestire l’opera o i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo (art. 1, c. 3 e 4, direttiva 2004/18/CE).

            La differenza tra i due <modelli> suddetti sta, dunque, in questo: nella concessione, l’impresa concessionaria eroga le proprie prestazioni al pubblico e, pertanto, assume il rischio della gestione dell’opera o del servizio, in quanto si remunera, almeno per una parte significativa, presso gli utenti mediante la riscossione di un prezzo; nell’appalto, invece, le prestazioni vengono erogate non al pubblico, ma all’amministrazione, la quale è tenuta a remunerare l’attività svolta dall’appaltatore per le prestazioni ad essa rese. L’impresa che fornisce l’opera o il servizio non sopporta, quindi, l’alea connessa alla gestione dell’opera o del servizio,  sicchè, venendo a mancare l’elemento rischio, la fattispecie non è configurabile come concessione, bensì come appalto di lavori o di servizi (cfr. Cons. St., Sez. V, 30 aprile 2002, n. 2294).

 

2.3. La scelta del partner privato.

 

2.3.1. Appalti

 

            Le amministrazioni aggiudicano gli appalti di lavori, forniture e servizi mediante procedura aperta o mediante procedura ristretta (art. 28, direttiva 2004/18/CE).

            Le amministrazioni aggiudicatrici possono, inoltre, aggiudicare gli appalti mediante il <dialogo competitivo> ove ricorrono le condizioni previste dall’art. 29 della direttiva citata o anche mediante una procedura negoziata, con o senza pubblicazione del bando, nei casi e alle condizioni previste dagli art. 30 e 31 della direttiva stessa (2).

 

2.3.2. Concessione di lavori pubblici.

 

            La direttiva 2004/18/CE non contiene disposizioni specifiche sulle modalità di aggiudicazione dei contratti di concessione di lavori (3).

            Il diritto interno prevede, invece, che le concessioni di lavori pubblici sono affidate mediante licitazione privata (art. 20, c. 2, l. 11 febbraio 1994, n. 109 e s.i.m.).

 

2.3.3. Concessione di servizi

 

            L’art. 17 della direttiva 2004/18/CE prevede che, ad eccezione di quelle di cui all’art. 3, le altre disposizioni della direttiva stessa non si applicano alle concessioni di servizi (4).

            Con tale disposizione, il legislatore comunitario si è limitato a rendere esplicito quello che era già noto, ossia che non vi sono norme specifiche di diritto comunitario che disciplinano la concessione di servizi.

            La circostanza che le concessioni di servizi non soggiacciano alle disposizioni della direttiva 2004/18/CE né ad altre specifiche disposizioni di diritto comunitario non significa che ad esse tale diritto sia inapplicabile.

            Ed, infatti, fatte salve le ipotesi di fornitura diretta nonché l’ipotesi dell’in house providing, in tutti gli altri casi in cui le amministrazioni pubbliche affidino servizi a <terzi>, esse sono tenute ad “attenersi alle norme e ai principi procedurali che regolano la successiva selezione del fornitore”. Tali norme e principi, come ha chiarito la Commissione europea, “derivano dal Trattato e si applicano a tutti i contratti conclusi dagli Stati membri per la prestazione di attività economiche ai sensi del Trattato, indipendentemente dalla loro classificazione da parte della legislazione nazionale” (v. <relazione Laeken>, par. 34).

 

3. Il partenariato pubblico-privato di tipo istituzionalizzato

 

3.1. Nozione

 

            I partenariati pubblico-privato di tipo istituzionalizzato sono, secondo la Commissione europea (v. <libro verde>, cit.), quelli che implicano una cooperazione tra il settore pubblico e il settore privato in seno ad un’entità distinta, che implicano, cioè, la creazione di un’entità detenuta congiuntamente dal partner pubblico e dal partner privato, che ha la <missione> di assicurare la fornitura di un’opera o di un servizio a favore del pubblico (§ 53).

            Il <modello> di partenariato di tipo istituzionalizzato più conosciuto è quello della <società mista>.

 

3.2. La scelta del socio privato.

 

            La Commissione europea tende ad assimilare il partenariato pubblico-privato di tipo <istituzionalizzato> a quello di tipo <puramente contrattuale> e, perciò, a considerare applicabile anche al primo tipo di partenariato, il “diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni”.

            Ciò ha delle ovvie ricadute sulle modalità di scelta del partner privato, essendo chiaro che anche in tal caso, pur in assenza di norme specifiche, dovranno applicarsi, come avviene per l’affidamento a <terzi> di servizi mediante concessioni, le norme del Trattato sulla libera prestazione dei servizi e sulla libertà di stabilimento, nonché i principi della trasparenza, della parità di trattamento, della proporzionalità e del reciproco riconoscimento.

            La necessità di ricorrere a procedure selettive per la scelta del partner privato con il quale costituire <società miste> è, comunque, una regola ormai acquisita nell’ordinamento interno.

            In tal senso si è costantemente espressa la giurisprudenza nazionale a partire dalla decisione della Sezione V del Consiglio di Stato n. 192 del 1998. In conformità il legislatore, che ha previsto che il socio privato deve essere scelto attraverso l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica nel caso in cui si tratti di costituire, ad esempio, le società miste per la gestione di servizi pubblici locali (art. 113, c. 5, t.u. 267/2000 come modif. dall’art. 14 del d.l. 269/03 conv. dalla l. 326/03), le società per la riscossione dei tributi e di tutte le altre entrate degli enti locali [art. 52, c. 5, lett. b), d.l.vo 446/1997 e art. 2, c. 2, del d.m. 11 settembre 2000, n. 289], le società di trasformazione urbana (art. 120, t.u. 267/2000 e s.i.m.) e le società senza il vincolo della proprietà pubblica maggioritaria (art. 116, t.u. 267/2000 e s.i.m. e art. 1, c. 4, d.p.r. 533/96).

 

3.3. Le società miste secondo il <libro verde>

 

            Il modello di società mista ipotizzato nel <libro verde> dalla Commissione europea diverge da quello che si è tradizionalmente affermato nella prassi italiana.

            In estrema sintesi può, in proposito, affermarsi che secondo la Commissione:

a)      la società mista deve essere costituita per svolgere le prestazioni definite “in modo sufficientemente chiaro e preciso” nel bando di gara (§ 61);

b)      al socio privato spetta svolgere le prestazioni affidate alla società (§ 58);

c)      il socio pubblico deve, invece, svolgere solamente il ruolo di controllore delle operazioni “in seno agli organi decisionali dell’impresa comune” (§ 54);

d)      siccome il socio privato assume, come visto, il ruolo di <esecutore> degli incarichi affidati alla società, la scelta dello stesso, oltre ad avvenire mediante una procedura concorrenziale, non può basarsi “esclusivamente sulla qualità del suo contributo in capitali o della sua esperienza”, dovendosi anche “tenere conto delle caratteristiche della sua offerta (…) per quanto riguarda le prestazioni specifiche da fornire” (§ 58);

e)      nel caso in cui la società mista intenda, a sua volta, affidare degli incarichi non potrà avvalersi del socio privato, ma essendo essa stessa un’amministrazione aggiudicatrice, dovrà bandire un’apposita gara (§ 64);

f)        la durata della società mista dovrà, infine, coincidere “con la durata del contratto o della concessione”, giacchè, altrimenti, le amministrazioni aggiudicatrici potrebbero essere indotte “a rinnovi dell’incarico affidato a questa impresa senza che sia posta in essere una reale nuova messa in concorrenza” e, quindi, in definitiva, ad attribuire gli incarichi “per una durata illimitata” (§ 61).

Il modello di società mista ipotizzato dalla Commissione nel <libro verde> pare, dunque, essere quello di una concessione che assume la forma della società nella quale il partner privato realizza gli incarichi specificati nel bando di gara e il partner pubblico controlla, dall’interno della società, il modo in cui gli incarichi stessi vengono realizzati (5).

 

3.4. Gli organismi in house.

 

      L’unica eccezione consentita dalla Commissione europea al modello di società mista dalla medesima ipotizzato è quella dell’organismo in house.

      Una siffatta ipotesi ricorre allorché l’amministrazione aggiudicatrice eserciti su una persona giuridica da essa distinta un controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi e, al contempo, questa persona realizzi la parte più importante della propria attività con l’amministrazione che la controlla (Corte giust. 18 novembre 1999, c-107/98, Teckal).

      Solo le entità che soddisfano entrambe le suddette condizioni possono essere assimilate a delle entità in house e vedersi affidare dei compiti al di fuori di una procedura concorrenziale.

 

3.5. Il modello <italiano> di società mista (6).

 

      Il modello di società mista che si è sviluppato tradizionalmente in Italia non coincide né con quello ipotizzato dalla Commissione europea nel <libro verde> né con quello, in house, ma, in un certo senso, li comprende entrambi.

      Le società miste previste dall’ordinamento interno condividono con gli organismi in house la possibilità di essere affidatarie dirette degli incarichi ad esse attribuiti, nonché, almeno di solito, la prevalenza della loro attività a favore dell’ente o degli enti pubblici che le costituiscono.

      Le società miste in questione si differenziano, invece, dagli organismi in house perché i controlli che su di esse esercitano gli enti pubblici che le costituiscono sono quelli che vengono normalmente esercitati dai soci di una società di capitali e non hanno, perciò, nulla a che vedere con i controlli ai quali devono essere sottoposti gli organismi in house.

      Le società miste previste dall’ordinamento interno condividono con le società miste ipotizzate dalla Commissione europea la necessità che il socio privato venga scelto mediante una procedura concorrenziale. Pertanto, se è vero che alle società miste previste dall’ordinamento interno gli incarichi sono ad esse affidati direttamente, è del pari vero che il coinvolgimento dei privati nello svolgimento di tali incarichi avviene attraverso una procedura concorrenziale e, quindi, nel rispetto del diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni.

      Le società miste previste dall’ordinamento interno si differenziano da quelle ipotizzate dalla Commissione europea, soprattutto, perché le attività loro affidate non sono, almeno di norma, svolte dai soci, ma direttamente dalla società con la propria organizzazione imprenditoriale, per cui il ruolo che in esse esercita il socio pubblico non è quello di un semplice controllore, ma quello di gestore o co-gestore di tali attività. Né, d’altra parte, in dette società è sempre necessaria la presenza di soci privati imprenditori, essendo possibile che alla stessa partecipino soci investitori, utenti, dipendenti, ecc. Infine, siccome le società in questione vengono costituite per svolgere attività che, di solito, non sono limitate nel tempo, la loro durata non è suscettibile di una determinazione precisa, essendo strettamente collegata a quella dell’affidamento dell’attività stessa.

 

3.6. La privatizzazione delle imprese pubbliche

 

L’operazione di cessione dei capitale di un’impresa pubblica non è regolata dal diritto comunitario delle concessioni e degli appalti pubblici.

A tale operazione, ove attraverso la stessa venga accordata al partner privato un’«influenza certa» sull’impresa, sono, tuttavia, applicabili le disposizioni relative alla libertà di stabilimento, le quali «impongono il rispetto dei principi di trasparenza e di parità di trattamento», allo scopo di garantire che ogni potenziale operatore abbia il medesimo accesso alla prestazione delle attività «fino a quel momento riservate ai pubblici poteri» (<libro verde>, § 68).

Ad avviso della Commissione europea, inoltre, è necessario accertare che l’operazione di cessione del capitale non nasconda «l’attribuzione ad un partner privato di contratti definibili come appalti pubblici o come concessioni». Ciò, in particolare, accadrebbe quando, «prima dell’operazione in capitale, l’impresa in questione si vede attribuire, direttamente e senza messa in concorrenza, degli incarichi particolari, nell’intento di rendere attraente l’operazione in capitale» (§ 69).

Anche in questo caso occorre notare che il modello di privatizzazione delle imprese pubbliche ipotizzato dalla Commissione si pone in contrasto con quello seguito in Italia e, soprattutto, con la disposizione che, proprio allo scopo di favorire tali privatizzazioni, ha previsto che la cessione, in tutto o in parte, delle partecipazioni degli enti locali nelle società erogatrici di servizi «non comporta effetti sulla durata delle concessioni e degli affidamenti in essere» (art. 113, c. 12, t.u. 267/2000 e s.i.m.).

 

***

 

NOTE

 

(1) La direttiva 2004/18/CE è entrata in vigore il 30 aprile 2004. L’attuazione da parte degli Stati membri deve avvenire entro il 31 gennaio 2006. La direttiva 2004/18/CE ha abrogato le direttive 92/50/CEE (ad eccezione dell’art. 41), 93/36/CEE e 93/37/CEE a decorrere dal 31 dicembre 2006.

(2) Nel caso di appalti di lavori pubblici riguardanti la progettazione e la costruzione di un complesso residenziale di edilizia sociale, è possibile ricorrere ad una speciale procedura di aggiudicazione volta ad inserire, sin dall’inizio, l’imprenditore che avrà l’incarico di eseguire l’opera, in un <gruppo> comprendente i delegati delle amministrazioni aggiudicatrici e degli esperti (art. 34, direttiva 2004/18/CE; cfr., altresì, art. 9 direttiva 93/37/CEE).

(3) La materia delle concessioni di lavori pubblici è disciplinata dagli artt. 56-65 della direttiva 2004/18/CE (cfr., altresì, art. 3 direttiva 93/37/CEE). Tali disposizioni non prevedono, in effetti, le modalità di aggiudicazione, anche se l’art. 58 stabilisce che le amministrazioni aggiudicatrici devono pubblicare un bando.

(4) L’art. 3 della direttiva 2004/18/CE dispone che se un’amministrazione aggiudicatrice concede ad un soggetto che non è un’amministrazione aggiudicatrice diritti speciali o esclusivi di esercitare un’attività di servizio pubblico, l’atto di concessione prevede che, per gli appalti di forniture conclusi con terzi nell’ambito di tale attività, detto soggetto rispetti il principio di non discriminazione in base alla nazionalità.

(5) Nel § 59 del <libro verde> si afferma, testualmente, che «in questo contesto l’operazione consiste nel creare tale impresa [ossia l’impresa mista] non solleva generalmente problemi riguardo al diritto comunitario applicabile, qualora costituisca una modalità di esecuzione dell’incarico affidato nel quadro di un contratto ad un partner privato. Occorre tuttavia che le condizioni relative alla creazione dell’impresa siano chiaramente stabilite in occasione della pubblicazione del bando relativo agli incarichi che si desiderano affidare al partner privato».

(6) Cfr. il: “Rapporto Confservizi sui servizi pubblici locali”, maggio 2004, pag. 60 e segg.

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