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LA MOTIVAZIONE DEGLI INVESTIMENTI NEL CAPITALE DI SOCIETÀ DI CAPITALI DOPO IL TU SULLE SOCIETÀ PARTECIPATE PUBBLICHE
di Ugo Patroni Griffi 27 ottobre 2016
Materia: società / partecipazione pubblica

 

         

 

         1.- La riforma “Madia” (d.lgs. 175/2016) interviene sulla disciplina delle partecipazioni pubbliche detenibili, come è noto, limitando le stesse a partecipazioni in società di capitali (art. 3) che esercitino una (o più) delle attività analiticamente indicate dall’art. 4: servizi di interesse generale, anche economici; progettazione, realizzazione e gestione di opere pubbliche, servizi di committenza, valorizzazione del patrimonio immobiliare, gestione di quartieri fieristici, spin off universitarie.

L’art. 5 del Testo Unico (che va coordinato con i successivi artt. 7 e 8, che regolamenta il procedimento di costituzione delle società pubbliche[1]) disciplina gli oneri di motivazione per la costituzione di nuove società, l’acquisto di partecipazioni (anche indirette),  o per operazioni di aumento del capitale nelle società già partecipate.. Insomma nel perimetro della norma ricade ogni tipo di investimento pubblico nel capitale di rischio.

Il perimetro applicativo della disposizione si estende, si è detto,  anche alle partecipazioni indirette Tale estensione pone però sia un problema di compatibilità con il diritto societario.  L’acquisto di partecipazioni è un atto di gestione eppertanto, salvo l’ipotesi di deroga statutaria delle disposizioni di cui agli articoli 2380-bis e 2409 novies (come consentito dal TU Madia) – rientra nella competenza esclusiva dell’organo gestorio della società partecipata.

La disciplina delle partecipazioni indirette detenibili riguarda ogni partecipazione, anche minoritaria, detenuta dalla pubblica amministrazione tramite non solo le proprie società controllate, ma anche «altri organismi soggetti a controllo pubblico» (fondazioni, associazioni, agenzie, Asl, Enti pubblici economi e no etc. etc.). Partecipazioni che dunque, ove non rientranti nel novero di cui all’art. 4 TU (mentre alle partecipazioni indirette sembrerebbe non applicarsi l’art. 3 TU), sono soggette al ai limiti (per la costituzione e di razionalizzazione) previsti dal TU.

         Sembrerebbe, e ciò sarebbe coerente con l’impianto del TU, che fuori dal perimetro della norma rimangano le operazioni di concentrazione sia, il che è lapalissiano, tra imprese dello stesso gruppo, sia con imprese terze (argomento ex art. 20, co. 2, lett. g). Aggregazioni che potrebbero, del resto, essere funzionali ad assicurare la concorrenza per il mercato dei servizi pubblici locali prevista dalla disciplina di settore (gare gas, rifiuti etc. etc.). Ove per effetto dell’operazione di concentrazione la società (direttamente o indirettamente) partecipata risultasse quotata  (come nel caso di fusione per incorporazione in società quotata) alla medesima si applicherà il regime derogatorio e di favore previsto dal TU. Infatti  le partecipazioni, anche indirette, in società quotate (artt. 1, co. 3, e  2, co. 1, lett. p) TU), si pongono al di fuori del perimetro applicativo della norma (e in genere del TU se non ove espressamente previsto. Tuttavia, per gli investimenti in società quotate, sotto il profilo degli obblighi di motivazione previsti dall’art. 5, il TU sembra prevedere un regime differenziato. L’ente pubblico potrà, infatti, sottrarsi agli oneri di motivazione per quanto riguarda gli aumenti di capitale in società (anche commerciali) di cui risultasse socio alla data di entrata in vigore del dlgs 175/2016 (23 settembre 2016). Mentre dovrebbe motivare, ai sensi della norma in commento, gli acquisti di (nuove) partecipazioni in società quotate (art. 8, co. 3, TU[2]).

         Parimenti la normativa non troverà applicazione nei casi in cui l’investimento nel capitale di rischio di una società «avvenga in conformità a espresse previsioni legislative» (nel cui novero rientrano senz’altro le norme che impongono, ai fini della promozione della concorrenza in mercati ex monopolistici, la separazione tra le attività esercitate in virtù di diritti esclusivi (che integrano un servizio economico di interesse generale, ad esempio distribuzione del gas, dell’energia elettrica etc. etc.) e le attività puramente commerciali (somministrazione di energia etc.)). Separazione, peraltro, funzionale al collocamento, obbligatorio, sul mercato delle partecipazioni pubbliche, anche indirette (in questo caso l’obbligo concerne la cessione della partecipazione di maggioranza)  in società che esercitano attività puramente commerciali (e che quindi non rientrano nell’elenco di cui all’art. 4 TU).

        

2.- Al di là dei limitati casi di esenzione l’amministrazione, dunque, dovrà motivare la ‘necessarietà’ della partecipazione (ovvero l’incremento della stessa) per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, evidenziando:

a)     la sostenibilità finanziaria;

b)    la convenienza rispetto alla “possibilità di destinazione alternativa” delle risorse impegnate;

c)     la convenienza rispetto alla “gestione diretta o esternalizzata del servizio affidato”;

d)    la compatibilità con i “principi di efficienza, di efficacia e di economicità dell’azione amministrativa”

e)     la compatibilità dell’intervento finanziario con la normativa dell’Unione Europea e in particolar modo con la disciplina degli aiuti di Stato

L’onere  , dunque e a differenza di quanto previsto dalla finanziaria 2008, graverà sulla pubblica amministrazione anche per investimenti nel capitale di rischio in società che producono servizi di interesse generale o che forniscono centrali di committenza.

Lo schema di delibera, prima di essere adottata, deve essere sottoposta a “forme di consultazione pubblica”[3][4], e dopo la sua adozione deve essere inviata alla competente sezione di controllo della Corte dei Conti  e all’Autorità garante della concorrenza e del mercato la quale potrà esercitare i poteri di cui all’art. 21 bis della l. 287/1990, ove – essendo la normativa in tema di limitazione dell’intervento pubblico nell’economia posta, anche, a «tutela e promozione della concorrenza e del mercato» (art. 1, co. 2, TU Madia)[5] – ritenga che l’investimento non sia consentito dal TU[6].

L’invio dell’atto deliberativo all’Autorità, sul piano della prassi[7], permetterà pertanto alla pubblica amministrazione un vaglio preliminare della legittimità dell’investimento. E sotto questo profilo ridurrà il rischio di investimenti tardivamente accertati come illegittimi (e dei conseguenti profili erariali, su cui infra). Infatti, si ritiene che il parere previsto dall’art. 21bis, co. 2, l. 287/1990 – che deve illustrare «gli specifici profili delle violazioni riscontrate» - costituisca condizione di procedibilità per l’impugnativa da parte dell’Autorità degli atti ritenuti illegittimi sotto il profilo del diritto della concorrenza[8]. Pertanto e peraltro tale parere, come si è anticipato, offre la preziosa «opportunità di una interlocuzione preventiva da parte dell’Autorità con l’amministrazione che ha emesso l’atto “sospetto” di recare distorsioni alla concorrenza ed al mercato, ben potendo l’amministrazione destinataria del parere, fare emergere profili tenuti in considerazione al momento dell’adozione dell’atto “incriminato”, non noti all’Autorità in sede di redazione del parere e che ben potrebbero essere ritenuti idonei a sorreggere la statuizione assunta, con conseguente decisione di non adire il giudice amministrativo»[9], dall’altra, «trattandosi di un ricorso proposto da un’amministrazione contro un’altra» è espressione di «quel dovere di “leale collaborazione” tra soggetti pubblici e, quindi, l’opportunità che il ricorso sia preceduto da un “dialogo” »[10].

         La disciplina in esame, si è visto, riguarda la costituzione o l’acquisto/incremento delle partecipazioni. L’art. 20 del Testo Unico invece disciplina il correlato, ma distinto aspetto, della verifica della legittimità delle partecipazioni già in portafoglio e della loro più efficiente gestione (razionalizzazione).

         Appare evidente, però, che l’acquisto di nuove partecipazioni ovvero la costituzione di nuove società presupponga, ai fini di una efficiente gestione del gruppo pubblico, l’esperimento dell’analisi prescritta dal comma 1 dell’art. 20 (se non, in sede di prima applicazione, della revisione straordinaria di cui all’art. 24)[11].

 

         3.- La delibera di cui all’art. 5 del T.U. dovrà, innanzitutto, dimostrare che l’attività svolta dalla (costituenda o partecipanda) società sia funzionale al perseguimento delle finalità istituzionali dell’ente. A differenza della normativa precedente, tuttavia, la discrezionalità della pubblica amministrazione appare assai ristretta. Infatti, sul piano astratto, il legislatore ha positivamente indicato le attività economiche (art. 4) in cui la pubblica amministrazione può investire. Escludendo, di fatto, che la pubblica amministrazione possa investire in attività commerciali con intenti meramente speculativi: «le iniziative economiche di tipo pubblicistico non devono impingere con la libera esplicazione del mercato concorrenziale rimesso all’iniziativa economica privata e (....) devono essere circoscritte ad effettive necessità istituzionali degli enti territoriali, strettamente connesse con la caratterizzazione degli enti locali quali enti a fini generali, ma ad ambito territoriale circoscritto alla comunità degli amministrati»[12].  La pubblica amministrazione dovrà, a questo punto, solo accertare, in concreto, che l’attività della società – pur astrattamente assumibile tra una di quelle elencate al co. 2 dell’art. 4 – sia funzionale al perseguimento delle funzioni amministrative fondamentali attribuite all’ente dalla legislazione e richiamate nello statuto dell’ente stesso[13].

         A tale preliminare verifica dovrà seguire l’accertamento, in termini positivi, della indispensabilità non già della partecipazione societaria, bensì dell’investimento. Nel senso che il perimetro del giudizio di “indispensabilità” coincide con il giudizio di “convenienza”. La partecipazione è infatti indispensabile all’ente ove, per suo tramite, possa svolgere una pubblica funzione in modo più efficiente: sia sotto il profilo qualitativo, che sotto quello economico.

        

4.- L’attività di impresa deve essere sostenibile finanziariamente. Il che implica, banalmente ed innanzitutto, da un lato che l’ente disponga delle risorse economiche necessarie da destinare all’investimento (circostanza che potrebbe precludere l’acquisto di partecipazioni di capitali agli enti in predissesto o in dissesto); e dall’altro che la società partecipata sia, prospetticamente e in base ad un verificabile piano economico/finanziario, in grado di coprire con i ricavi i propri costi di produzione[14]. Senza dover ricorrere ad ulteriori interventi sul capitale da parte dei soci[15].

         Il giudizio di convenienza rispetto alla possibilità di destinazione alternativa delle risorse è, invece e a ragione del difficile coordinamento con la disciplina contabile-finanziaria, un giudizio di carattere politico « in quanto avente ad oggetto le scelte politiche ed alternative nell’utilizzo delle risorse pubbliche»[16]. Si vuole dunque che l’ente motivi, assumendosene politicamente la responsabilità, le ragioni per cui ha inteso investire in una società di capitali anziché impiegare le medesime risorse nell’ambito di altre funzioni istituzionali. Tale giudizio arricchisce, per i profili indicati, la motivazione circa l’indispensabilità della società ai fini del perseguimento delle finalità pubblicistiche dell’ente[17].

 Il giudizio di convenienza economica rispetto alla “gestione diretta o esternalizzata del servizio affidato” prevede, invece, la comparazione per ‘scenario’. Comparazione sia economica, che – ed in questo ricomprende il giudizio di compatibilità, di ciascuna opzione gestionale, con i principi di efficienza, di efficacia e di economicità dell’azione amministrativa – sotto il profilo della qualità del servizio e dell’efficienza dei controlli.

         Si è correttamente detto che tale analisi presuppone la conoscenza del mercato in cui la società partecipata è destinata ad operare, e ha «come obiettivo fondamentale la razionalizzazione dei costi sistemici. Nello specifico si tratta di verificare se la conduzione dell’attività realizzata possa essere ottenuta a prezzi più efficienti secondo» le altre modalità identificate dal legislatore (gestione diretta o affidamento a terzi) . Il criterio utilizzabile, si è detto,  «per porre in essere tale valutazione è quello del costo netto evitabile. Secondo tale criterio saranno scelte le opzioni che minimizzano gli oneri in capo alla collettività»[18]. A tal fine dovranno essere tenuti anche in conto i costi che gravano sulla amministrazione relativamente alla gestione amministrativa del servizio. E ciò in principal modo per quanto riguarda l’opzione tra autoproduzione (anche nelle forme dell’in house) ed esternalizzazione.

La scelta tra autoproduzione ed esternalizzazione è, infatti e sotto il profilo della qualità del servizio offerto alla collettività, condizionata dall’esame preventivo di numerosi elementi. Tra i quali, a solo titolo esemplificativo: a) la coincidenza tra prodotto e processo produttivo oppure  possibilità di specificazione dell’output; b) presenza ed intensità di asimmetrie informative a vantaggio del gestore e a danno dell’Ente; c) grado di specificabilità delle clausole contrattuali; d) complessità nella definizione degli obiettivi e nel loro monitoraggio; e) maggiore o minore possibilità di mutamento esogeno del quadro di riferimento[19]. In presenza di elevati costi di transazione nella determinazione dei predetti elementi l’Ente dovrebbe, ove ciò sia finanziariamente percorribile, propendere per la gestione attraverso società partecipata (eventualmente nelle forme del partenariato pubblico-privato) del servizio: dacché tale soluzione garantisce un miglior monitoraggio dello svolgimento del servizio (sotto il profilo dell’economicità ed efficienza) e una più celere reazione ai mutamenti del mercato.

 

         5.- Il giudizio, infine, di compatibilità dell’investimento con la disciplina Ue e degli aiuti di Stato[20] riguarda da un lato il rispetto della disciplina comunitaria[21], di derivazione pretoria, sugli affidamenti diretti (in house). Questa previsione obbliga dunque a tenere conto, nel valutare la legittimità degli affidamenti diretti, non solo della disciplina legislativa di diritto interno (oggi contenuta oltre che nel TU Madia, nel TU dei servizi pubblici locali e nel codice dei contratti pubblici) ma anche delle evoluzioni della normativa e giurisprudenza dell’Unione Europea. Dall’altro e per quanto riguarda invece il regime degli aiuti di Stato l’ente dovrà prestare particolare attenzione, per non incorrere nel divieto di cui all’art. 107 TFUE, che a seguito degli interventi sul capitale (sottoscrizione capitale sociale in sede di costituzione ovvero di aumento) la partecipata non risulti “sovracapitalizzata”. Infatti la sovracapitalizzazione di una società a partecipazione pubblica che operi in un mercato concorrenziale costituisce, secondo la Commissione, un illecito aiuto di Stato[22]. La disciplina degli aiuti di stato impone inoltre, già in fase di costituzione/assunzione della partecipazione, di esplicitare indicandone la relativa copertura i costi per l’esercizio del servizio di interesse generale che graveranno sull’ente.

         La violazione della disciplina in materia di aiuti di Stato legittima – come si è già visto - la Autorità garante della concorrenza e del mercato ad esercitare i poteri di cui all’art. 21 bis l. 287/1990[23]

 

prof. avv. Ugo Patroni Griffi



[1] Si tratta di due atti però – anche temporalmente – separati. Si è ricordato al riguardo (F. Moretti, Costituzione, acquisto, dismissioni e mantenimento delle partecipazioni, Aziendaitalia, 2016, 869, sub nota n. 58) che lo stesso «Consiglio di Stato aveva (…) segnalato l’esigenza di chiarire il rapporto tra l’atto amministrativo con cui viene deliberata la costituzione e l’atto costitutivo della società, che, appunto, non possono coincidere. In altri termini, la decisione dell’Ente pubblico tesa a esternare le ragioni della costituzione di una società di capitali e la manifestazione di volontà diretta alla formale costituzione dell’ente sono contenuti in atti separati, essendone differente la natura e il conseguente regime di eventuale impugnabilità dinanzi a giurisdizioni diverse. In questo senso, è stato osservato che “L’atto deliberativo, oltre a dover essere emanato con Decreto dell’organo di vertice dell’amministrazione interessata (Stato, Regioni, Comuni o altri Enti pubblici), contiene l’analitica motivazione sulla scelta operata dall’amministrazione, con riguardo: - alla necessità della società per il perseguimento delle finalità istituzionali di cui all’art. 4; - agli obiettivi gestionali cui deve tendere la società, sulla base di specifici parametri qualitativi e quantitativi; - alle finalità che giustificano tale scelta, anche sul piano della convenienza economica e della sostenibilità finanziaria e in considerazione della possibilità di destinazione alternativa delle risorse pubbliche impegnate, nonché di gestione diretta o esternalizzata del servizio affidato; - alla compatibilità della scelta con i principi di efficienza, di efficacia e di economicità dell’azione amministrativa. Tale atto, dunque, si connota come un tipico atto di organizzazione di natura discrezionale, sottoposto al controllo della Corte conti, e in nessun caso può assumere la funzione di atto costitutivo della società pubblica, dotato del contenuto tipico degli atti negoziali. Una soluzione siffatta sarebbe altresì poco coerente con l’impostazione tendenzialmente privatistica data dal Decreto in esame alla disciplina delle società partecipate e potrebbe creare problemi sul piano della tutela giurisdizionale, per via della commistione di profili eterogenei: l’atto deliberativo è impugnabile dinanzi al giudice amministrativo, l’atto negoziale spetta alla cognizione del giudice ordinario. A livello sistematico, il nostro ordinamento opta, nell’ambito dell’attività mista, in cui si intrecciano atti pubblicistici e atti privatistici, per separare i due momenti. Così, nella disciplina dei contratti pubblici, è principio acquisito la distinzione tra l’atto di aggiudicazione, con cui l’amministrazione conclude il procedimento di selezione del contraente, e l’atto di stipulazione contrattuale. Analogamente, nell’ambito degli accordi sostitutivi di cui all’art. 11 della Legge n. 241/1990, la stipulazione dell’accordo è preceduta da una determinazione adottata dell’organo che sarebbe competente per l’adozione del provvedimento a garanzia dell’imparzialità e del buon andamento dell’azione amministrativa».

 

[2] L’art. 8, co. 3, TU non si estende alla società controllate. Le quali, pertanto, potrebbero - anche dopo l’entrata in vigore della riforma - liberamente acquistare partecipazioni azionarie in società quotate. Sul punto v. anche A. Morello, Azioni e strumenti finanziari nelle “nuove” società a partecipazione pubblica: primi spunti sul Testo Unico di riforma, dirittobancario.it, 2016

 

[3] Il TU unico recepisce la proposta del cd rapporto (Programma di razionalizzazione delle partecipate locali, 2014, revisionedellaspesa.gov.it/documenti/Programma_partecipate_locali_master_copy.pdf) di Carlo Cottarelli, commissario straordinario per la revisione della spesa),  che così si esprimeva «una volta acclarato che una certa attività è strettamente giustificata in base ai compiti istituzionali della amministrazione pubblica in questione, occorre valutare se effettivamente la gestione di questa attività richieda: (i) la costituzione di un’entità separata dall’amministrazione controllante; e, in particolare, (ii) la costituzione di un’entità di diritto privato (come una società per azioni). Queste scelte sono particolarmente importanti per le partecipate strumentali e per quelle per servizi privi di rilevanza economica per i quali la gestione diretta da parte dell’ente partecipante è diffusa (per quelle che agiscono sul mercato la presunzione potrebbe essere che l’azione attraverso una partecipata di diritto privato sia appropriata). Queste scelte dovrebbero riflettere unicamente (stante ovviamente l’assenza della possibilità di acquistare dal settore privato i servizi rilevanti, già valutata sulla base del processo decisionale sopra descritto) la maggiore economicità/efficienza gestionale che deriverebbe da una esternalizzazione dell’attività. Un parere vincolante (o consultivo ma pubblico) in proposito potrebbe essere richiesto al MEF o altra entità centrale. In alternativa si potrebbe procedere con una consultazione diretta della cittadinanza on line». A tale proposito il Commissario ricordava che «una consultazione popolare per valutare la costituzione di partecipate trova un precedente storico nella legge Giolitti del 1903 che recitava a proposito della costituzione di una municipalizzata: “la deliberazione del consiglio comunale è sottoposta anche al voto degli elettori del comune, convocati con manifesto della giunta municipale da pubblicarsi almeno 15 giorni prima della convocazione. L'elettore vota pel sì o pel no sulla questione della assunzione diretta del servizio. Nel caso di risultato contrario alla deliberazione del consiglio comunale, la proposta di assunzione diretta del servizio non può essere ripresentata se non dopo tre anni, salvo che un quarto almeno degli elettori inscritti ne faccia richiesta nelle forme prescritte dal regolamento; ma anche in questo caso non dovrà esser trascorso meno di un anno dall'avvenuta votazione»

[4] F. Moretti, Costituzione, acquisto, dismissioni e mantenimento delle partecipazioni, Aziendaitalia, 2016, 871 osserva che «in termini generali, la consultazione costituisce uno strumento fondamentale di partecipazione e trasparenza dei processi di formazione delle politiche, poiché consente il coinvolgimento dei soggetti interessati e dà loro la possibilità di esprimere opinioni, pareri, nonché di fornire dati e informazioni utili per la scelta delle opzioni regolative migliori. Le consultazioni sono uno strumento funzionale a diverse fasi del ciclo regolativo: dall’elaborazione delle opzioni in fase antecedente alla scelta (come nella fattispecie), alla valutazione successiva delle regole. Raccomandazioni per il ricorso alle consultazioni giungono, da tempo, da parte degli organismi di controllo e vigilanza sovranazionale, come l’Unione Europea e l’OCSE. Tra le diverse tecniche di consultazione usualmente utilizzate, quella del “notice and comment” si profila come la meglio rispondente alle finalità in discorso. Attraverso questa forma di consultazione, tipicamente, si procede alla pubblicazione sul sito web di un “Documento di consultazione” contenente le opzioni d’intervento già elaborate e i problemi più rilevanti, chiedendo ai soggetti interessati di rispondere attraverso commenti ed osservazioni scritte a partire dal documento pubblicato entro tempi stabiliti. A conclusione della consultazione è quindi prevista la pubblicazione dei risultati della consultazione»

[5] D’altronde l’azione ex art. 21 bis sarebbe appunto diretta a tutelare «l’interesse differenziato alla concorrenzialità dei mercati di cui l’AGCM sarebbe “affidataria”», cosi. G. Fonderico, commetto all’art. 21 bis l. 10 ottobre 1990, n. 287, in L.C. Ubertazzi, Commentario breve alle leggi sulla proprietà intellettuale e concorrenza, Padova, 2016, 3369 citando Tar Lazio, 15 marzo 2013, n. 2730. Ricorda l’autore che il campo di applicazione della norma comprende ogni atto amministrativo che sia capace di restringere il gioco della concorrenza (violazione degli aiuti di Stato, bandi illegittimi etc.)

[6] Non è prevista alcuna  sanzione per la mancata notifica. Si deve ritenere però che l'Autorità possa sempre procedere in autonomia ai sensi dell’art.  21 bis l. 287/1990 (i cui termini decorrono dalla conoscenza dell'atto come ribadito dal  Consiglio di Stato sez. V  09 marzo 2015 n. 1171; Tar Lazio 1° settembre 2014, n. 9264).

[7] L’amministrazione, dunque, a questo fine avrà interesse a fare decorrere il termine di 60 giorni entro cui l’Autorità deve esprimersi sulla legittimità, sotto il profilo della concorrenza, dell’atto. Adottando l’atto deliberativo di cui all’art. 7 del TU solo una volta decorso tale termine senza che l’Autorità abbia sollevato rilievi

[8] Consiglio di Stato, sez. IV, 28/01/2016,  n. 323, in Foro it. 2016, 4, III, 200; Consiglio di Stato, sez. V, 30/04/2014,  n. 2246 per cui «da una fase precontenziosa caratterizzata dall'emanazione, da parte sua, di un parere motivato rivolto alla p.a. nel quale sono segnalate le violazioni riscontrate e indicati i rimedi per eliminarli e ripristinare il corretto funzionamento della concorrenza e del mercato; la funzione di detto parere motivato è duplice: sollecitare la p.a. a rivedere le proprie determinazioni e a conformarsi agli indirizzi dell'Autorità, mediante uno speciale esercizio del potere di autotutela giustificato dalla particolare rilevanza dell'interesse pubblico in gioco, in tal modo auspicando che la tutela di quest'ultimo sia assicurata innanzitutto all'interno della stessa p.a. e restando il ricorso all'Autorità giudiziaria amministrativa "extrema ratio", non essendo l'Autorità dotata di poteri coercitivi nei confronti dell' amministrazione pubblica; d'altro canto, la fase precontenziosa e il relativo parere, in coerenza con i principi comunitari, sono stati ragionevolmente concepiti anche come significativo strumento di deflazione del contenzioso, potendo ammettersi che il legislatore guardi con disfavore le situazioni in cui due soggetti pubblici si rivolgano direttamente ed esclusivamente al giudice per la tutela di un interesse pubblico».F. Arena, Atti amministrativi e restrizioni della concorrenza: i nuovi poteri dell’autorità antitrust italiana, contributo per la X edizione del Convegno “Antitrust fra Diritto Nazionale e Diritto dell’Unione Europea”, Treviso, 17-18 maggio 2012; F. Cintioli, Osservazioni sul ricorso giurisdizionale dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (art. 21 bis della legge n. 287 del 1990), in www.giustamm.it, 2012; M.A. Sandulli, Introduzione a un dibattito sul nuovo potere di legittimazione al ricorso dell’AGCM nell’art. 21 bis l. n. 287 del 1990, in www.federalismi.it, 2012; A. Zulli – A. Bozza, Considerazioni sui nuovi poteri dell’AGCM ai sensi dell’art. 21-bis della legge n. 287/1990, nortonrosefulbright.com, 2012, i quali osservano che «anche il tenore del dato testuale della disposizione (pur oggettivamente non risolutivo, essendo plausibile anche l’interpretazione contraria), la quale al secondo comma non prevede che l’Autorità possa emettere un parere, bensì che emetta un parere (che in linguaggio normativo si traduce con un “deve emettere” lo stesso), orienterebbe a ritenere il passaggio del parere quale momento necessario per il completamento della procedura»

[9] F. Arena, Atti amministrativi e restrizioni della concorrenza: i nuovi poteri dell’autorità antitrust italiana, cit.; F. Cintioli, Osservazioni sul ricorso giurisdizionale dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (art. 21 bis della legge n. 287 del 1990)

[10] A. Zulli – A. Bozza, Considerazioni sui nuovi poteri dell’AGCM ai sensi dell’art. 21-bis della legge n. 287/1990, nortonrosefulbright.com, 2012

[11] In questo senso anche Corte dei Conti, Audizione sull’Atto di Governo 297 riguardante gli Organismi partecipati, giugno 2016

[12] Corte dei Conti Lombardia delibera 48/2008/PAR; Cons. Stato, Commissione speciale, parere n. 968 del 21 aprile 2016

[13] “Linee guida” redatte da Invitalia. Piano operativo di razionalizzazione delle partecipazioni societarie. Linea guida. (Marzo 2015) in http://www.spl.invita- lia.it/site/spl/home/osservatorio-spl/razionalizzazione-partecipate/documento6005788.html

[14] Dovranno, dunque e prospetticamente, essere accertate la «capacità di remunerare congruamente i costi dei fattori produttivi acquisiti e consumati con la dinamica del flusso dei ricavi e generati dalla vendita di beni e servizi; e (…)  di fronteggiare in modo economico e tempestivo gli impegni finanziari (apprezzamento sulla liquidità e solvibilità dell’impresa), da versificare attraverso l’analisi della dinamica tra fabbisogni finanziario indotto dalla gestione e le diverse modalità di copertura, e l’analisi della dinamica dei flussi finanziari in entrata e in uscita» V. Linee guida Invitalia, cit..

[15] Osserva I. Zaffina, Controlli sugli atti di costituzione delle società partecipate delle amministrazioni pubbliche: profili di incostituzionalità e di incoerenza con il sistema dei controlli intestati alla Corte dei Conti, giuristidiamministrazione.com, che  <<Il controllo sulla sostenibilità finanziaria è, invece, tipico delle cd. “what if analysis” e appartiene, dunque, alle scienze economiche e aziendali. In pratica, le scelte economico-finanziarie vengono sottoposte ad una analisi in termini di future “performance”, sulla base di analisi di mercato, analisi dei costi e dei ricavi, delle previsioni di evoluzione del patrimonio e della liquidità degli organismi partecipati».

[16] I. Zaffina, cit.

[17] Per queste motivazioni la Conferenza delle Regioni, nel proprio parere sullo schema di decreto legislativo (http://www.statoregioni.it/), aveva proposto di elidere dal testo normativo tale giudizio

[18] “Linee guida” redatte da Invitalia, cit.

[19] B. Spadoni, Assetto gestionale e regolazione dei servizi pubblici locali in una prospettiva di responsabilità sociale dell’impresa, in Diritto dei servizi pubblici, 2003, in internet all’url http://www.dirittodeiservizipubblici.it;

[20] Osserva il Consiglio di Stato nel parere 00968/2016,  reso sullo schema del TU,  che «le regole antitrust impongono, da un lato, ai soggetti che svolgono attività di impresa di evitare di porre in essere comportamenti idonei a restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato interno; dall’altro, agli Stati membri di concedere aiuti o risorse, sotto qualsiasi forma, che, favorendo talune imprese, falsino o minaccino di falsare la concorrenza (artt. 101 e 107 TFUE).

Uno dei postulati essenziali per il funzionamento delle regole di concorrenza – sul presupposto che «i Trattati lasciano del tutto impregiudicato il regime di proprietà esistente negli Stati membri» (art. 345 TFUE) e dunque assumono un atteggiamento neutrale nei confronti delle scelte di privatizzazione – è rappresentato dal principio di pari trattamento tra imprese pubbliche e private, richiamato anche dalla legge delega (art. 18, comma 1, lettera i).

L’art. 106 TFUE dispone, infatti, che: «gli Stati membri non emanano né mantengono, nei confronti delle imprese pubbliche e delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusivi, alcuna misura contraria alle norme dei Trattati (…)». Specularmente un eventuale trattamento di favore per le sole imprese private potrebbe comportare un altrettanto grave violazione delle regole della concorrenza. Corollario del principio in esame è quello della “separazione” tra attività di impresa e attività amministrativa ovvero attività “protetta” da privilegi pubblici: la ragione è di evitare che l’impresa possa utilizzare i vantaggi che le derivano dall’essere considerata, a determinati fini, una pubblica amministrazione ovvero dal godere di particolari agevolazioni in un mercato diverso in cui compete con altri operatori economici.>>

[21] Per il rilievo della Riforma Madia sotto il profilo dell’Unione Europea ricorda il Consiglio di Stato (parere 00968/2016) che «la Commissione europea, nel Country report 26 febbraio 2016, SWD, 81, final ha messo in rilievo l’importanza, per la ripresa dell’economia del nostro Paese, della riforma della Pubblica amministrazione in atto e, in particolare, della riforma delle partecipazioni pubbliche. Nel complesso, la Commissione ha espresso un giudizio positivo sull’impianto della riforma in esame, mettendo in rilievo come la sua «attuazione effettiva» rappresenti «una sfida notevole».>>

[22] 2000/199/CE: Decisione della Commissione, del 17 marzo 1999, sull'aiuto di Stato concesso dalla Grecia a favore della società Heracles General Cement.

[23] M.A. Sandulli, La legittimazione dell’AGCM a ricorrere avverso i provvedimenti della p.a. ex art. 21-bis l. 287/1990 e la violazione delle norme sugli aiuti di Stato, in L.F. Pace (a cura di), Dizionario sistematico della concorrenza, Napoli, 2013, p. 785. Sui poteri dell’autorità ex art. 21 bis l. 287/1990 v. anche Cons. Stato 28 gennaio 2016, n. 323

 

 

 

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