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La Consulta boccia la riforma delle partecipate: e ora come orientarsi?
di Angelo Masciello 28 novembre 2016
Materia: società / disciplina

La Consulta boccia la riforma delle partecipate: e ora come orientarsi?

di Angelo Masciello, dirigente Ufficio Partecipate del Comune di Foggia

 

Venerdì 25 novembre 2016 è stata reso noto che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 251/2016, accogliendo l'impugnazione della Regione Veneto, ha dichiarato costituzionalmente illegittima la legge delega Madia di riforma delle pubbliche amministrazioni nelle parti in cui prevede che l’attuazione attraverso i decreti legislativi possa avvenire dopo aver acquisito il solo parere della Conferenza Stato-Regioni e non sulla base di intesa con la stessa.

La pronuncia della Consulta, in particolare, riguarda le norme relative a dirigenza, pubblico impiego, servizi pubblici locali e società partecipate e ha dunque effetti anche sui relativi decreti attuativi.

Il punto è che mentre i decreti sui dirigenti e sui servizi pubblici locali sono stati approvati giovedì 24 novembre in via definitiva dal Consiglio dei Ministri ma non sono stati ancora emanati dal Presidente della Repubblica (addirittura non è stato ancora approvato il decreto sul pubblico impiego), il decreto relativo alle società partecipate, emanato con DLgs 19 agosto 2016 n. 175, è entrato in vigore già dal 23 settembre scorso.

Innanzitutto c’è da considerare che l’effetto tipico di una sentenza della Corte costituzionale che dichiara l’illegittimità costituzionale di una norma legislativa è quello previsto dall’art. 136 della Costituzione, secondo cui “la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione.”

Si tratta di un effetto di annullamento puro e semplice, che cancella la norma incostituzionale dall’ordinamento giuridico.

Tale effetto, naturalmente, si riverbera sugli eventuali decreti attuativi della norma illegittima e dunque, nel nostro caso, sul nuovo “Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica”.

La fattispecie è tanto più rilevante in quanto il TUSP non disciplina solo specifici aspetti ma l’intera materia delle società a partecipazione pubblica e, per di più, all’art. 28 il decreto dispone l’abrogazione di numerosissime altre norme previgenti.

In proposito, secondo il consolidato orientamento della Corte costituzionale – ribadito anche nella sentenza n. 24 del 2011 in cui il giudice costituzionale è stato chiamato a pronunciarsi sull’ammissibilità del quesito referendario per l’abrogazione dell’art. 23 bis del D.L. 112/2008 sui SPL – è da escludersi che dall’abrogazione della normativa vigente possa conseguire una riviviscenza delle norme già in precedenza abrogate.

È vero che nel caso citato si trattava di una abrogazione di una norma di legge a seguito di referendum e non di dichiarazione di illegittimità costituzionale ma nella sostanza gli effetti giuridici sono analoghi.

Dunque, con la sentenza n. 251 del 2016 della Consulta, è da ritenersi cancellato dall’ordinamento il TUSP che a sua volta già aveva abrogato quasi tutte le norme di legge previgenti in materia.

Viene così meno quasi completamente la normativa che disciplina le società a partecipazione pubblica e si produce un vuoto normativo, una grave carenza di disciplina in materia che impone all’interprete numerosi interrogativi.

E ora come orientarsi?

 

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