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Prime riflessioni in ordine alla portata della sent. della Corte Costituz. n. 251 del 30/11/2016 sugli obblighi previsti dal nuovo T.U. delle società partecipate dagli enti pubblici e, segnatamente, sull'obbligo di adeguamento degli statuti societari
di Sara Sileoni 9 dicembre 2016
Materia: società / disciplina

Prime riflessioni in ordine alla portata della sentenza della Corte Costituzionale n. 251 del 30 novembre 2016 sugli obblighi previsti dal nuovo T.U. delle società partecipate dagli enti pubblici e, segnatamente, sull’obbligo di adeguamento degli statuti societari.

 

La sentenza della Corte Costituzionale n. 251 del 09 novembre 2016, depositata il 25 novembre 2016 e pubblicata il successivo 30 novembre, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcune norme contenute nella legge delega n. 124 del 07/08/2015, tra cui “l’art. 18, lett. a), b), c), e), i), l) e m), numeri da 1 a 7, nella parte in cui, in combinato disposto con l’art. 16, commi 1 e 4, della medesima legge n. 124 del 2015, prevede che il Governo adotti i relativi decreti legislativi attuativi previo parere, anziché previa intesa, in sede di Conferenza unificata”.

In particolare, la Corte, richiamando propri precedenti orientamenti sul tema delle società a partecipazione pubblica, ha rammentato, da un lato, che le disposizioni inerenti l’attività di società partecipate dalle Regioni e dagli enti locali sono riconducibili “alla materia dell’«ordinamento civile», di competenza legislativa esclusiva statale, in quanto volte a definire il regime giuridico di soggetti di diritto privato, nonché a quella della «tutela della concorrenza» in considerazione dello scopo di talune disposizioni di «evitare che soggetti dotati di privilegi operino in mercati concorrenziali» (sentenza n. 326 del 2008).” Dall’altro che è già stata dichiarata “l’illegittimità costituzionale di disposizioni statali che, imponendo a tutte le amministrazioni, quindi anche a quelle regionali, di sciogliere o privatizzare proprio le società pubbliche strumentali, sottraevano alle medesime la scelta in ordine alle modalità organizzative di svolgimento delle attività di produzione di beni o servizi strumentali alle proprie finalità istituzionali, violando la competenza legislativa regionale residuale in materia di organizzazione amministrativa regionale (sentenza n. 229 del 2013).”

Ciò dimostra che un intervento del legislatore statale, come quello operato con le disposizioni impugnate dell’art. 18, finalizzato a dettare una disciplina organica delle partecipazioni azionarie delle amministrazioni pubbliche, coinvolge, inevitabilmente, profili pubblicistici, che attengono alle modalità organizzative di espletamento delle funzioni amministrative e dei servizi riconducibili alla competenza residuale regionale, anche con riguardo alle partecipazioni degli enti locali che non abbiano come oggetto l’espletamento di funzioni fondamentali. Tale intervento coinvolge anche profili privatistici, inerenti alla forma delle società partecipate, che trova nel codice civile la sua radice, e aspetti connessi alla tutela della concorrenza, riconducibili alla competenza esclusiva del legislatore statale.

Da qui la concorrenza” di competenze statali e regionali, disciplinata mediante l’applicazione del principio di leale collaborazione. Ai principi e criteri direttivi il Governo deve dare attuazione solo dopo aver svolto idonee trattative con Regioni e enti locali nella sede della Conferenza unificata. Quest’ultima è la sede, come si è già detto, più idonea a consentire l’integrazione dei diversi punti di vista e delle diverse esigenze degli enti territoriali coinvolti, tutte le volte in cui siano in discussione temi comuni a tutto il sistema delle autonomie, inclusi gli enti locali.”

Sulla base di tali motivazioni la Consulta ha concluso per l’illegittimità della legge delega, per indebita compressione delle competenze regionali, avendo essa previsto l’emanazione dei decreti delegati solo previo parere, anziché previa intesa, in sede di Conferenza unificata, parere peraltro non necessario potendo il Governo procedere anche se esso non fosse emesso.

Da tale dichiarazione di incostituzionalità sorge un problema derivante dalla circostanza che, prima della pronuncia, è stato adottato e pubblicato, dunque è in vigore il decreto delegato, concretato dal citato D.lgs. n. 175/2016.

In proposito la sentenza della Corte non aiuta atteso che si limita a precisare che “Le pronunce di illegittimità costituzionale, contenute in questa decisione, sono circoscritte alle disposizioni di delegazione della legge n. 124 del 2015, oggetto del ricorso, e non si estendono alle relative disposizioni attuative. Nel caso di impugnazione di tali disposizioni, si dovrà accertare l’effettiva lesione delle competenze regionali, anche alla luce delle soluzioni correttive che il Governo riterrà di apprestare al fine di assicurare il rispetto del principio di leale collaborazione.” Dunque sospende l’eventuale declaratoria di incostituzionalità dei decreti delegati dando il tempo al governo di procedere ad una sorta di sanatoria.

Dato il tenore della sentenza, il T.U. in materia di società partecipate ad oggi rimane chiaramente valido e prescrittivo, in quanto in vigore. Solamente se e quando esso sarà oggetto di ricorso la Corte sarà chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale delle sue previsioni e dovrà, in quella sede, valutare l’effettiva lesione delle competenze regionali dovuta a un eventuale vizio nel procedimento di adozione del decreto consistente nel mancato rispetto, ancorché in una fase successiva, del principio di leale collaborazione. In quella sede, in altri termini, visto che trattasi di materia che disciplina “fenomeni sociali complessi, rispetto ai quali si delinea una «fitta trama di relazioni, nella quale ben difficilmente sarà possibile isolare un singolo interesse», quanto piuttosto interessi distinti «che ben possono ripartirsi diversamente lungo l’asse delle competenze normative di Stato e Regioni» (sentenza n. 278 del 2010), corrispondenti alle diverse materie coinvolte”, dovrà valutare se sussista una materia (di competenza statale o regionale) che si imponga sulle altre, al fine di individuare la titolarità della competenza o se, invece, non sia possibile rinvenire una materia prevalente e, dunque, trattandosi di concorrenza di competenze, debbano trovare applicazione adeguati strumenti di coinvolgimento delle Regioni; e quindi, nel caso, dovrà valutare se, nello specifico, per la singola disposizione del decreto attuativo che ricada nella competenza regionale sia stato comunque debitamente rispettato il principio di leale collaborazione, anche con un intervento successivo del governo, ad esempio in sede di approvazione di decreti correttivi, per i quali il governo è ancora in termini.

Per quel che rileva in termini di adeguamento dello statuto si evidenzia, inoltre e a titolo esemplificativo, che in relazione alla nomina dell’organo amministrativo delle società partecipate, la Conferenza unificata non ha mosso eccezioni alla previsione della nomina, “di norma” di un amministratore unico, essendosi solo limitata a richiedere, unitariamente alla Conferenza delle regioni, all'ANCI e all’UPI, che il decreto attuativo del Presidente del Consiglio dei ministri di cui al comma 3, sia adottato d'intesa con la Conferenza unificata, in considerazione del fatto che il numero dei membri dei consigli di amministrazione attiene anche all'organizzazione e al governo delle società partecipate da enti territoriali.

Ne consegue che, a sommesso avviso della scrivente, non v’è ragione giuridica, allo stato, per sottrarsi all’obbligo di adeguamento dello statuto societario.

In proposito è vero che il termine appare troppo ravvicinato in considerazione del fatto che lo stesso T.U. ha demandato la regolamentazione di alcuni aspetti (segnatamente la possibilità di nominare un consiglio di amministrazione anziché un amministratore unico, previsto quale regola generale dall’art. 11 comma 2) a decreti attuativi, (nella specie del Presidente del Consiglio dei ministri ai sensi del comma 3 dell’art. 11), il cui termine di adozione scadrà solo a marzo dell’anno prossimo. Ciò, come noto, è dovuto al fatto che la pubblicazione del Testo Unico è risultata di molto differita rispetto alle previsioni e non si è risolto questo, come altri, problemi di coordinamento.

E’ altresì vero che il termine appare ordinatorio, atteso che non collega alcuna sanzione al mancato adeguamento dello statuto.

Come anche apparirebbe, teoricamente, ragionevole e opportuno attendere l’adozione dei decreti di attuazione previsti dal T.U. quantomeno per esigenze di efficienza, ossia per evitare di modificare, entro la fine dell’anno, lo statuto e di rimodificarlo ulteriormente qualora i decreti attuativi offrissero ulteriori e diverse alternative.

Ciò posto, deve tuttavia rilevarsi che, se si dovesse agire nel pieno rispetto della disciplina vigente, si dovrebbe comunque procedere all’adeguamento potendo, in caso contrario, essere eccepite, anche solo ipoteticamente, ipotesi di responsabilità.

                                                                       Avv. Sara Sileoni

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