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L'esercizio del potere di autotutela non esime l'ente dall'obbligo di comunicazione dell'avvio di procedimento.
di Michele Nico 3 marzo 2017
Materia: pubblica amministrazione / attività

L’ESERCIZIO DEL POTERE DI AUTOTUTELA NON ESIME L’ENTE DALL’OBBLIGO DI COMUNICAZIONE DELL’AVVIO DI PROCEDIMENTO

L'annullamento in via di autotutela da parte della Pa presuppone, oltre all'illegittimità dell'atto in questione, valide ed esplicite ragioni di interesse pubblico, con la conseguenza che il provvedimento di ritiro deve intervenire entro un congruo termine e previa valutazione degli interessi dei destinatari dell'atto da rimuovere, non potendo l'autotutela essere esclusivamente finalizzata al mero ripristino della legalità violata.

Da ciò discende che l’esercizio del potere amministrativo in autotutela deve essere il risultato di un'attività istruttoria adeguata, che dia conto della valutazione dell'interesse pubblico e di quello del privato che ha riposto affidamento nella conservazione dell'atto.

Questi i principi affermati dalla Corte di Cassazione, Sez. I Civile, con la sentenza n. 511 dell’11 gennaio 2017, che capovolge l’esito dei precedenti gradi di giudizio dando rilievo all’obbligo dell’ente pubblico di comunicare l’avvio del procedimento prima di rimuovere un atto illegittimo.

Afferma il collegio a tale riguardo che l'articolo 21-octies, comma 2, della legge 241/1990, là dove dispone che “il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato", non legittima alcuna forma di automatismo e non può essere applicata d’ufficio in sede giudiziale.

La norma va invece attuata "ope exceptionis" da parte della Pa, a carico della quale incombe l'onere di dimostrare che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

La vicenda che fa da sfondo a queste sottili argomentazioni di diritto prende le mosse dalla pronuncia con cui la Corte di Appello respinge il ricorso proposto dal titolare di una ditta di autoservizi avverso la sentenza del Tribunale che rigettava la domanda della ditta volta a ottenere la declaratoria di illiceità del comportamento di un Comune – e la conseguente condanna dell'ente al risarcimento danni – per avere annullato in via di autotutela, nel lontano 1994, la procedura concorsuale per l'assegnazione della licenza di autonoleggio da rimessa per autobus.

Secondo la Corte d’Appello, l’ente locale avrebbe operato correttamente per il fatto che, nelle circostanze date, non si sarebbe potuto pervenire a un provvedimento diverso rispetto all'atto di annullamento per autotutela della procedura di assegnazione della licenza, anche a fronte dell’eventuale partecipazione all’iter da parte del soggetto interessato.

E questo per un duplice ordine di ragioni, ossia per il fatto che la mancata eliminazione dell'illegittimità riscontrata costituirebbe violazione dell'interesse pubblico al ripristino della legalità, nonché per evitare ricorsi di terzi controinteressati nell’ipotesi di omesso annullamento.

Per contro, l’impugnazione addotta all’esame della suprema Corte ha per oggetto un solo motivo di ricorso – che si rivela peraltro la carta vincente – ovvero la denuncia di violazione e falsa applicazione della legge 241/1990, in tema di obbligo di avviso dell’avvio del procedimento, nei termini prescritti dall’articolo 7 (nel testo vigente all’epoca dei fatti).

In sede di riesame del giudizio, il collegio predilige un criterio valutativo di tipo sostanziale, sostenendo che per l’esercizio del potere di autotutela non basta il puro e semplice ripristino della legalità, ma occorre dimostrare puntualmente l’interesse pubblico attuale e concreto, previo raffronto dello stesso con il sacrificio imposto all'interesse del privato.

Anche nel rimuovere gli atti illegittimi, dunque, l’ente pubblico deve operare con perizia e cautela, avendo cura di informare i destinatari coinvolti mettendoli in grado di formulare fatti e argomenti in loro favore, per le conseguenti valutazioni del caso.

 

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