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L’iscrizione delle amministrazioni ed enti che operano affidamenti in house nell’elenco Anac: brevi riflessioni a margine dell’attività consultiva del Consiglio di Stato
di Adriana Caroselli 8 marzo 2017
Materia: appalti / Autorità Nazionale Anticorruzione

L’iscrizione delle amministrazioni ed enti che operano affidamenti in house nell’elenco Anac: brevi riflessioni a margine dell’attività consultiva del Consiglio di Stato  

di Adriana Caroselli[i]

 

1. La proposta di linee guida dell’Anac

1.1. Il recente parere del Consiglio di Stato (Cons. Stato, Comm. Spec. n282 del 1 febbraio 2017) sulla proposta di Linee guida Anac per l’iscrizione nell’elenco delle amministrazioni ed enti che operano affidamenti in house desta un interesse particolare, in quanto, nel chiarire la rilevanza giuridica che l’istituto assume nel quadro del regime speciale di detta tipologia di affidamento, aggiunge un ulteriore tassello all’analisi giuridica del fenomeno e, al contempo, apre a riflessioni sull’intero sistema speciale.

La proposta di linee guida è adottata dall’Anac  in attuazione dell’art.192 d.lgs. 50/2016, regolante il regime speciale degli affidamenti in house, la cui disciplina è contenuta negli artt. 5[ii] e 192 d.lgs. 50/2016, nonché nel d.lgs. 175/2016.

L’art.192 costituisce, a sua volta, attuazione di specifici criteri contenuti nella legge delega n.11/2016.

Ciò che salta agli occhi nella proposta di linee guida è il richiamo alle previsioni contenute nell’art.19 l. 241/1990, circostanza questa che induce ad esaminare lo schema dell’affidamento sotto una prospettiva diversa rispetto a quella a cui si è abituati; prospettiva che non volge lo sguardo univocamente all’ordinamento europeo, ma che inquadra il fenomeno nel sistema dell’ordinamento nazionale.

L’analisi prende le mosse dalla finalità cui risponde l’iscrizione nell’elenco, che l’art.192 lascia intendere (non foss’altro in ragione della presenza dell’avverbio “anche” nel primo comma dell’articolo) non si riduca alla mera portata notiziale e, tuttavia, non autorizzi neppure a concludere per l’esistenza di un regime abilitativo o di accertamento costitutivo, tanto più che gli effetti giuridici sono collegati alla  presentazione della domanda d’iscrizione[iii].

La domanda di iscrizione, infatti, consente di per sé all’amministrazione di procedere “sotto la propria responsabilità” all’affidamento senza gara, non essendo previsto che l’Anac emani un provvedimento di iscrizione.

La presentazione della domanda innesca, al contempo, una fase di controllo, tesa a verificare la sussistenza dei requisiti, ai quali la normativa subordina la sottrazione dell’affidamento alle regole della concorrenza.

Al  riguardo, il Consiglio di Stato precisa che le linee guida correttamente non si occupano delle regole di trasparenza dei singoli appalti, ma dei soli requisiti “soggettivi”[iv], sebbene questo sia uno dei punti di cui viene proposta una riformulazione.

In effetti, avendo l’art.192, c.1, investito l’Anac del solo potere di fissare le modalità e i criteri di iscrizione, è precluso alla stessa, in sede di linee guida[v]di integrare o dettare regole innovative - stante, peraltro, il divieto europeo di cd. goldplating[vi]- in ordine ai requisiti sostanziali dell’in house, come definiti nell’art.12 dir.24/2014/UE e nell’art.16 d.lgs.175/2016, dovendosi limitare ad una loro prudente esemplificazione.

Si potrebbe ritenere che l’ente affidante è assoggettato ad un onere motivazionale già rafforzato[vii], che tollera ulteriori restringimenti solo a fronte di una disposizione normativa di rango primario.

In particolare, è precluso in sede di linee guida suggerire alle amministrazioni deroghe al diritto societario non consentite dall’ordinamento, finalizzate alla realizzazione del requisito del controllo analogo.

Ciò anche in considerazione della volontà espressa dal legislatore nazionale con l’approvazione del d.lgs.175/2016 di non introdurre nell’ordinamento un nuovo tipo di società[viii].

Tornando alle previsioni della proposta di linee guida, si legge che se, all’esito delle verifiche, l’Anac accerti il possesso dei requisiti, l’Autorità dispone l’iscrizione nell’elenco, dando comunicazione al richiedente. Qualora, invece, l’Autorità verifichi la carenza dei requisiti, viene attivato un procedimento in contraddittorio con l’amministrazione, nel corso del quale l’istante potrà richiedere l’iscrizione con riserva, dando luogo, in quest’ultimo caso, ad un prolungamento dell’iter procedimentale, per consentire all’amministrazione di eliminare la causa ostativa all’iscrizione.

Nella ricostruzione del Consiglio di Stato, l’impostazione che meglio si concilia con lo schema normativo delineato nelle linee guida e, in particolare, con i suoi due elementi “caratterizzanti”, vale a dire, la portata non solo notiziale dell’iscrizione e la facoltà riconosciuta all’istante di disporre comunque l’affidamento diretto sotto la propria responsabilità, è quella tesa ad inquadrare il fenomeno in uno schema funzionale secondo cui l’autoproduzione mediante organismi domestici è subordinata soltanto al rispetto delle condizioni direttamente fissate dalla legge.

Al riguardo, anticipando quanto si dirà, si osserva come la presentazione della domanda d’iscrizione, in disparte la riconducibilità allo schema della segnalazione certificata di inizio attività (scia), “integri un passaggio in più” per l’ente che si sia risolto per la gestione in house (non contemplato dalla normativa europea, attesa, peraltro, la neutralità del legislatore europeo per le scelte organizzative adottate nella gestione dei servizi d’interesse economico generale[ix]) e lo sottoponga, altresì, ad un’attività incidente da parte di un’autorità esterna.

A quest’ultimo riguardo il Consiglio di Stato ha evidenziato il possibile rischio di goldplating, considerato che le direttive in materia di governance[x] prevedono solo che, in caso di violazioni specifiche o di problemi sistemici, le autorità preposte ad assicurare la corretta applicazione del diritto europeo degli appalti abbiano il potere di segnalare i problemi ad autorità nazionali di controllo, organi giurisdizionali e altre autorità o strutture idonee[xi].

Richiamando le osservazioni rese dal Consiglio di Stato nel parere in tema di scia[xii] e modellandole allo schema dell’affidamento diretto, si deve trarre, allora, che  il riconoscimento in capo alle amministrazioni della facoltà di autoproduzione, con il relativo principio di auto-responsabilità, si accompagna alla persistenza del potere amministrativo, questa volta in capo all’Anac, di verificare i presupposti richiesti dalla legge per lo svolgimento dell’attività; potere che si esaurisce qualora i poteri inibitori previsti dalla legge non vengano esercitati nei termini prescritti.

Parafrasando ed adattando ancora quanto argomentato nel richiamato parere al caso di specie, l’amministrazione non deve considerarsi titolare di una libertà incondizionata all’affidamento diretto, atteso che tale facoltà è pur sempre subordinata dalla legge al possesso di “requisiti e presupposti”, la cui sussistenza garantisce, di per sé, la tutela dell’interesse pubblico e l’armonizzazione della situazione giuridica in capo all’ente affidante con gli interessi degli operatori economici potenzialmente confliggenti.

Con la conseguenza che la domanda d’iscrizione, al pari della scia, rende operativa in termini di attualità concreta una legittimazione che l’ordinamento già riconosce in capo all’amministrazione affidante in via astratta, senza bisogno dell’intermediazione di un’attività procedimentale preventiva.

Attività procedimentale che, al pari di quanto prevede l’art.19 l. 241/1990, viene posta in essere dall’Autorità, invece, a seguito della presentazione della domanda e che, come detto, si sostanzia nell’accertamento e nell’eventuale esercizio di poteri inibitori e sanzionatori.

E questo è il punto che merita maggiore attenzione, anche perché presenta profili di distonia rispetto a quanto previsto in tema di scia.

1.2. Chiarisce il Consiglio di Stato che l’Autorità, se l’accertamento ha avuto esito negativo, non adotta un provvedimento di rigetto di un’istanza, che sarebbe stato impeditivo dell’esercizio dell’attività da parte dell’amministrazione, ma un provvedimento di accertamento negativo, assimilabile a quello emesso nell’esercizio del potere inibitorio previsto dall’art.19 l. 241/1990, che impedisce alla stessa di procedere nel futuro a nuovi affidamenti in capo alla società.

Il rigetto dell’istanza produce, pertanto, l’effetto di rendere l’amministrazione incapace di procedere per il futuro ad affidamenti diretti ulteriori a favore della propria partecipata, spiegando effetti autoritativi di tipo ablatorio, in quanto comportanti una deminutio delle facoltà in capo all’amministrazione medesima.

Mancando, però, una copertura legislativa, conclude il Consiglio di Stato (invocando il principio del legittimo affidamento e di salvaguardia della securité juridique, principi fondanti la tenuta stessa dell’ordinamento), deve escludersi che il rigetto dell’istanza e, dunque, il diniego dell’iscrizione nell’elenco tenuto dall’Anac o la sua cancellazione possa produrre l’automatica caducazione degli affidamenti in essere e, quindi, dei contratti già stipulati.

Sul punto, chiarisce ancora il giudice amministrativo, che il legislatore non assegna, infatti, all’Autorità un potere di annullamento straordinario dell’affidamento diretto che sia risultato privo dei requisiti di legge, né tanto meno, di revoca dei contratti già stipulati, ma il diverso potere di raccomandazione previsto dall’art.211, c.2, d.lgs. 50/2016.

Il punto introduce il tema dibattuto della natura del potere riconosciuto dal legislatore all’Anac di incidere direttamente sull’attività posta in essere dall’amministrazione appaltante e, dunque, sull’assetto degli interessi dalla medesima definito, mediante assunzione di un atto di raccomandazione vincolante.

Incisione che comporta anche la previsione di un potere di carattere sanzionatorio che l’Autorità è legittimata ad esercitare nei confronti del dirigente responsabile e, di riflesso, dell’amministrazione medesima, in caso di mancato adeguamento alla raccomandazione.

1.3.  L’istituto della raccomandazione vincolante è stato esaminato dal Consiglio di Stato nel parere reso sulla bozza del nuovo codice degli appalti [xiii] e in quello sullo schema di regolamento in materia di attività di vigilanza sui contratti pubblici[xiv], in cui ne era stato evidenziato il difficile inquadramento nel sistema interno, suggerendo – seppure invano - la riformulazione della norma in chiave di vigilanza collaborativa[xv], in modo analogo a quanto già previsto dalla normativa antitrust[xvi].

Ciò in quanto, se si fosse voluto attribuire direttamente all’Anac un vero e proprio potere di autotutela sostitutiva, sarebbe stata necessaria  una volontà espressa da parte del legislatore[xvii].

Nell’interpretazione fornita dal Consiglio di Stato[xviii] si è, allora, di fronte ad meccanismo ‘bifasico’ (o fattispecie a formazione progressiva), posto che la formale titolarità della rimozione di tali atti non può che rimanere in capo all’amministrazione/ente affidante, mentre all’Anac spetta un potere di revisione degli atti di gara/affidamento. La pecularietà consiste nella circostanza che, in tale caso, il potere di autotutela è esercitato “doverosamente” da parte dell’amministrazione, vale a dire sulla base di un ordine proveniente dall’Anac.

Precisa il Consiglio di Stato che, in tale contesto, il potere di raccomandazione vincolante si connota quale provvedimento amministrativo a contenuto decisorio e a carattere autoritativo, che obbliga la stazione appaltante a esercitare formalmente il potere di autotutela, annullando l’atto ritenuto illegittimo e rimuovendone gli eventuali effetti[xix].

In particolare, esso è stato interpretato come un atto di amministrazione attiva, ovvero diretto a soddisfare un interesse della pubblica amministrazione[xx].

Al riguardo, il Consiglio di Stato ha evidenziato come il potere di raccomandazione vincolante, per come regolato, venga ad integrare, però, un atto di “annullamento mascherato”, “non facilmente compatibile con il riparto delle competenze riconosciute alle singole amministrazioni e con il sistema delle autonomie[xxi].

In effetti, non è chi non veda come la previsione del potere strida con il principio di presunzione di legittimità degli atti amministrativi sino a loro annullamento, finendo la sanzione per colpire il rifiuto di autotutela, quasi a prefigurare un’inedita “responsabilità da atto legittimo”.

Stride, per la verità, anche la doverosità dell’autotutela, atteso che il potere in questione si connota per la sussistenza di una discrezionalità che attiene non solo al contenuto dell'atto, ma anche all' an del procedere, elemento questo che indurrebbe ad interrogarsi allora sulla natura che il potere di autotutela è andato assumendo nel tempo, anche all’indomani delle previsioni introdotte dalla l. 124/2015 (cd. legge Madia) di modifica proprio dell’art.19 l. 241/1990 in tema di scia[xxii]. Modifiche che hanno condotto ad un “nuovo paradigma” dei rapporti tra amministrazione e cittadino[xxiii].

Singolare è, poi, la previsione della sanzione in capo al solo dirigente (pur accanto ai previsti effetti sul sistema reputazionale della stazione appaltante), con riferimento alla quale il Consiglio di Stato ha sollevato dubbi per il possibile contrasto del meccanismo con il principio di responsabilità personale dell’illecito amministrativo, sancito dall’art. 3, c.1, l. 689/1981[xxiv], ma anche perché  “sembra recidere il rapporto di immedesimazione organica tra la stazione appaltante e il dirigente, deresponsabilizzando, anche agli effetti contabili, la stazione appaltante, forse anche con profili che potrebbero essere considerati di dubbia compatibilità con l’art. 28 Cost.”[xxv].

 

2. Ricadute operative

A questo punto giova trarre le prime conclusioni, in termini di ricadute operative e di tutela, in ordine a quello che “sarà” il regime speciale entro cui “dovrà muoversi” l’affidamento in house.

La decisione dell’amministrazione/ente di adottare lo schema organizzativo della gestione in house richiede l’assolvimento, come rilevato, di un obbligo motivazionale rafforzato e l’inoltro all’Anac della domanda di iscrizione nell’elenco ex art.192 d.lgs. 50/2016.

La presentazione della domanda “autorizza” l’amministrazione/ente a procedere all’affidamento del servizio, non dovendo attendere l’emanazione da parte dell’Autorità di alcun provvedimento abilitativo.

Il procedimento per l’accertamento dei requisiti viene avviato entro 30 gg. dalla presentazione della domanda.

Svolta l’istruttoria, l’Anac potrà accogliere l’istanza o rigettarla. In entrambi i casi il procedimento dovrà concludersi entro 90 gg. decorrenti dall’avvio. Termine, che potrà essere sospeso per non più di una volta e per un periodo non superiore a 30 gg..

Nel caso in cui l’Anac dovesse accertare la carenza dei requisiti richiesti, attiverà i poteri previsti dalla legge, dando avvio al procedimento in contraddittorio con il richiedente, il quale, con le controdeduzioni, potrà richiedere l’iscrizione con riserva, impegnandosi ad eliminare la causa ostativa all’iscrizione entro 30 gg...

Seguendo il tenore letterale della disposizione, l’iscrizione con riserva pare assumere un valore premiante per l’amministrazione che riconosca l’errore e s’impegni a rimuoverlo, potendo essere presentata solo se vi sia “il riconoscimento” da parte dell’istante dell’errore commesso. Di tal che all’amministrazione che, invece, insista nell’affermare la legittimità del proprio operato non resterà che impugnare l’eventuale atto finale di rigetto dell’istanza.

Il rigetto della domanda di iscrizione non comporta la caducazione del provvedimento di affidamento, ma produce l’effetto di impedire per il futuro l’affidamento di ulteriori servizi/attività alla società.

Il provvedimento di rigetto (così come di cancellazione dell’iscrizione) è soggetto ad onere motivazionale da parte dell’Autorità ed è impugnabile dinnanzi al giudice amministrativo.

Il rigetto della domanda non preclude all’amministrazione/ente la presentazione di una nuova domanda sulla base di diversi presupposti.

Come rilevato, il rigetto della domanda, se non ha effetti sull’affidamento disposto, innesca l’esercizio dei poteri inibitori da parte dell’Anac[xxvi], la quale, ai sensi dell’art.211 d.lgs. 50/2016, seguendo la posizione del Consiglio di Stato, dovrebbe emettere un atto di raccomandazione vincolante con cui invitare l’amministrazione/ente ad agire in autotutela e rimuovere l’atto entro un termine non superiore a 60 gg..

Nel parere reso sull’attività di vigilanza[xxvii], nell’intento di ricondurre il procedimento di raccomandazione vincolante al paradigma dell’art.21 nonies l. 241/1990, il giudice amministrativo ha riconosciuto l’applicazione all’istituto dei due istituti di garanzia: quello del coinvolgimento dei soggetti interessati (siano essi destinatari o contro interessati) e quello della rimozione dell’atto entro un termine ragionevole, (comunque, non superiore a 18 mesi), istituti che dovrebbero trovare applicazione anche al caso di specie seppure con i dovuti adattamenti.

Si legge nell’art.22 del citato regolamento di vigilanza sui contratti pubblici di cui all’art.211, c.2, e 213 d.lgs. 50/2016, approvato definitivamente lo scorso 15 febbraio 2017, che se l’amministrazione/ente non si adegua o non risponde alle richieste di informazioni entro 15 giorni, l’Autorità avvia un procedimento sanzionatorio.

In particolare, ai sensi dell’art.211, c.2, d.lgs. 50/2016 il mancato adeguamento alla raccomandazione comporterà l’applicazione della sanzione (da 250 a 25.000 euro) a carico del dirigente responsabile e inciderà sul sistema reputazionale dell’amministrazione/ente.

Sempre nel parere reso sulla proposta di regolamento Anac in materia di vigilanza sui contratti pubblici il Consiglio di Stato ha evidenziato, altresì, la distonia tra il termine massimo per adempiere alla raccomandazione (fissato in 60 giorni) e quello per impugnarla (che è soltanto di 30 giorni, stante il rinvio all’art. 120 c.p.a.), con la conseguenza che, trascorso tale secondo termine – ed eccettuate, ovviamente, le ipotesi di impugnative proposte da terzi, la raccomandazione verrebbe a consolidarsi definitivamente, con la conseguenza che l’amministrazione/ente, indipendentemente dalle sue ragioni, non potrebbe dissentire dall’Anac [xxviii].

II Consiglio di Stato ha, altresì, sollevato dubbi sull’efficacia “in concreto” del meccanismo e ciò sotto almeno due aspetti.

Dal lato dell’amministrazione, questa potrebbe decidere di sottrarsi alla raccomandazione (restando inerte o confermando espressamente l’affidamento, preferendo andare incontro alle sanzioni suddette, ovvero impugnando la raccomandazione vincolante), tenuto conto dell’incerta efficacia dissuasiva del sistema sanzionatorio, anche reputazionale.

Dal lato dell’Anac, non potrebbe escludersi, in linea di principio, che l’Autorità possa decidere di adire a sua volta il giudice amministrativo con ricorso avverso il silenzio serbato dall’amministrazione/ente nei confronti della raccomandazione vincolante o contro l’eventuale provvedimento di diniego di autotutela per evitare che questo si consolidi, ovvero, sebbene l’ipotesi appaia di difficile realizzazione, che l’Autorità decida di ricorrere all’autotutela esecutiva ex art. 21-ter l.241/1990.

Il contenzioso, inoltre, potrebbe estendersi sino a comprendere conseguenze di carattere risarcitorio ed essere attivato anche da parte del privato terzo all’affidamento diretto, che vanti un interesse contrario a questo.

Va, infine, considerato che la sorte del contratto di servizio resta disciplinata dalle norme in tema di risoluzione, recesso ed inefficacia, contenute nel codice del processo amministrativo[xxix].

Rimangono ancora non chiari, invece, i termini in cui il controllo sul limite finalistico della gestione in house verrà esercitata da parte dell’Autorità.



[i] Adriana Caroselli, avvocato, specialista in diritto amministrativo e scienza dell’amministrazione, Studio legale Tessarolo, Roma.

[ii] Che costituisce “il minimo comun denominatore del vasto e complesso fenomeno dell’in house”; così, Cons. Stato, Comm. Spec., n.855/2016.

[iii] Sul punto, cfr., altresì, Comunicato del Presidente Anac del 3.08.2016.

[iv] Si legge al punto 6 della Proposta di linee guida che oggetto della verifica da parte dell’Anac è la sussistenza dei requisiti richiesti dall’art.5 del Codice dei contratti e dagli artt. 4 e 16 d.lgs. 175/2016 e, dunque, tutti e tre i requisiti caratterizzanti la gestione in house.

[v]  Atti a contenuto regolamentare, di natura flessibile e dotati di efficacia vincolante, cfr., Cons. Stato, Comm. Spec., n.855/2016, p. 40.

[vi]  Cfr., Cons. Stato, Comm. spec., n.855/2016, p.15 e ss..

[vii] Cfr., Cons. Stato, Comm. Spec., n.855/2016, p. 188.

[viii] Cfr. Cons. Stato, Comm. Spec., n.438/2016, in cui si legge che l’interesse pubblico non è idoneo, di per sé, ad alterare il tipo societario conducendo alla configurazione di una società diversa da quella contemplata dal codice civile; sul punto, cfr. G.P.Cirillo, Modelli societari e organizzazione dei servizi pubblici, Relazione per il 62° Convegno di studi amministrativi su L’Italia che cambia: dalla riforma dei contratti pubblici alla riforma della pubblica amministrazione, Varenna, 2016

[ix] Si legge nel considerando 5 della direttiva 2014/24/UE che “nessuna disposizione della presente direttiva obbliga gli Stati membri ad affidare a terzi o a esternalizzare la prestazione di servizi che desiderano prestare essi stessi o organizzare con strumenti diversi dagli appalti pubblici ai sensi della presente direttiva.

[x] Art. 45, par. 2, della Direttiva 2014/23/UE; art. 83, par. 2, della Direttiva n. 2014/24/UE; art. 99, par. 2, della Direttiva 2014/25/UE.

[xi] Cons. Stato, Comm. Spec., n.2777/2016.

[xii] Cons. Stato., Comm. Spec., n. 839/2016.

[xiii] Cons. Stato, Comm. spec.,n. 855/2016.

[xiv] Cons. Stato, Comm. spec., n. 2777/16.11.2016.

[xv] Prevista, in via generale, all’art.213 d.lgs. 50/2016.

[xvi] Tanto più che la legge delega “utilizza” una nozione di “controllo” - per giustificare il potere dell’Anac -, che coincide con la  qualificazione adottata dall’art.21 bis l. 287/1990 con riferimento all’AGCM, norma che ha superato il vaglio di costituzionalità; cfr.   Corte cost., 14.02.2013, n. 20.

[xvii] Volontà, che, però, non vi è stata, tanto che per il Consiglio di Stato  il risultato è quasi un ossimoro, in quanto si è fatto della “raccomandazione vincolante” il motore della revisione, mantenendo, però, per l’assenza della norma di delega, in capo alle amministrazioni il potere conclusivo del procedimento.

[xviii] Interpretazione adottata dal giudice amministrativo onde consentire un’applicazione il più possibile coerente e sistematica della previsione, riconducendola, cioè, al paradigma generale dell’annullamento d’ufficio, di cui all’art.21 –nonies l. 241/1990.

[xix] Cons. Stato, Comm. Spec., n.2777/2016.

[xx] Cfr., oltre al citato parere n.2777/2016, da ultimo, Anac, Relazione al nuovo regolamento in materia di attività vigilanza e di accertamenti ispettivi di competenza dell’Autorità, 15.02.2017

[xxi] L’art.21 bis l. 287/1990 prevede, invece, che se l’amministrazione non si adegua al parere dell’AGCM, l’autorità può presentare, tramite l'Avvocatura dello Stato, ricorso al giudice amministrativo.

[xxii] Cfr., Cons.Stato, VI, n. 4610 del 3.11.2016.

[xxiii] Così, Cons. Stato, Comm. Spec., n. 839/2016.

[xxiv] Regola generale applicabile in ogni ipotesi in cui si configuri tale tipo di sanzioni, cfr., Corte cost., n.49/1999.

[xxv] Così, Cons. Stato, Comm. Spec., n.2777/2016.

[xxvi] Poteri, che potranno essere anche “stimolati” dal privato terzo, interessato a che il servizio/attività in questione  venga, invece, affidato previo esperimento di una procedura di evidenza pubblica aperta alla partecipazione di tutti gli operatori presenti sul mercato.

[xxvii] Cons. Stato, Comm. Spec., n.2777/2016.

[xxviii] Sebbene, a quest’ultimo riguardo il Consiglio di Stato evidenzi come l’art.16 tu 175/2016 consenta, in caso di mancato rispetto della percentuale di fatturato prevista, all’amministrazione/ente di scegliere se rientrare nei parametri, ovvero, recedere dall’affidamento.

 

 

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