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Fusioni ed acquisizioni tra imprese energetiche locali. Alcune considerazioni in tema di asset idroelettrici
di Sandro Manica 20 marzo 2017
Materia: energia / disciplina

Fusioni ed acquisizioni tra imprese energetiche locali. Alcune considerazioni in tema di asset idroelettrici

1. Il settore dell’energia è stato interessato, negli ultimi anni, da significative operazioni di fusione e di acquisizione, che hanno riguardato anche le società energetiche partecipate dagli Enti locali[1]. 

Va da sé che le operazioni di integrazione (M&A) tra realtà imprenditoriali operanti nel settore dell’energia coinvolgono un articolato novero di problematiche di natura giuridica, oltre che, ovviamente, di ordine economico ed aziendale.

Come è intuibile, in dette ipotesi una tematica di fondamentale rilevanza attiene ai criteri ed alle modalità di valutazione degli asset delle imprese coinvolte dalle operazioni di concentrazione.

Sul punto, assume particolare rilievo, nell’ottica del giurista, l’incidenza che, su detta valutazione, producono le incertezze che scaturiscono, sotto vario profilo, dalla disciplina applicabile, e che risultano idonee a rendere complessa la definizione della reale redditività degli asset interessati.

Nel prosieguo ci si soffermerà sulle problematiche che emergono dal quadro normativo concernente le concessioni idroelettriche -  in ragione della particolare rilevanza che esse assumono, nel portafoglio industriale delle imprese energetiche locali.

2. In merito, un primo e rilevante profilo problematico attiene ai tempi dell’indizione e del concreto svolgimento delle gare ad evidenza pubblica per l’assegnazione delle concessioni di grande derivazione, (teoricamente) in prossima scadenza.

Come è noto, a seguito della sentenza n. 28/2014[2] - con la quale la Corte costituzionale ha ricondotto la disciplina delle gare per l’affidamento delle concessioni nel settore idroelettrico di cui all’art. 37, D.L. 22 giugno 2012, n. 83 (conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134)[3], alla materia della tutela della concorrenza, di competenza esclusiva del Legislatore statale - si è ancora in attesa, ad oggi, del decreto ministeriale che, previa intesa con la Conferenza Unificata, dovrà determinare, tra l’altro, i requisiti organizzativi e finanziari, nonché i parametri ed i termini concernenti la procedura di gara[4].

Nel contempo, il Legislatore statale ha introdotto una nuova disciplina transitoria, disponendo, in sostanza, la prosecuzione, sino a non oltre il 31 dicembre 2017, della durata delle concessioni nelle more scadute, o in scadenza entro detta data[5]. Inoltre, è pure accaduto che alcuni Legislatori locali abbiano tratto occasione dalle sopra richiamate disposizioni di legge statale, e pure, per il vero, dagli orientamenti illustrati dalla Corte costituzionale[6], al fine di sospendere le procedure per l’indizione delle gare ad evidenza pubblica di relative a concessioni, diverse da quelle direttamente disciplinate dalla normativa statale, in attesa dell’approvazione del citato decreto ministeriale[7], oppure per consentire, a loro volta, la proroga tout court di alcune concessioni di grande derivazione[8].

Appare pertanto evidente che, pur a fronte della precisa definizione, in linea teorica, della durata dei titoli concessori, la pletora di proroghe disposte, negli anni passati, dal Legislatore (alcune delle quali, come è noto, dichiarate incostituzionali dalla Consulta)[9], l’incompletezza della disciplina di fonte secondaria applicabile, ed i conseguenti slittamenti del concreto svolgimento delle gare risultano idonei a determinare una rilevante incertezza negli effettivi tempi di permanenza dell’insistente (sino alla celebrazione ed alla definizione delle procedure di gara, ovviamente al netto di eventuali contenziosi)[10], la quale ridonda pesantemente sulla concreta valutazione dei relativi asset nell’ambito delle operazioni di concentrazione.

3. Un secondo profilo, che presenta una rilevante cifra di problematicità, attiene al quadro normativo in punto di trasferimento del ramo d’azienda relativo all’esercizio della concessione.

In merito, l’art. 25, R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775 prevede che alla scadenza della concessione - oltre che nei casi di “decadenza o rinuncia” - le c.d. “opere bagnate” (ossia le opere di raccolta, di regolazione, le condotte forzate, i canali di scarico) passino gratuitamente in proprietà dello Stato; nel mentre le c.d. “opere asciutte” (gli edifici, i macchinari, etc.) possono essere acquisite dallo Stato, mercé il pagamento di un prezzo pari al “valore di stima del materiale in opera, calcolato al momento dell’immissione in possesso, astraendo da qualsiasi valutazione di reddito da esso ricavabile”.

La citata, e datata, disciplina, sembra ora superata, con specifico riferimento alle ipotesi di nuova attribuzione delle concessioni di grande derivazione all’esito di gara pubblica, dalle disposizioni racchiuse nell’art. 37, commi 5 e 6, del D.L. n. 83/2012[11], che prevedono il trasferimento a titolo oneroso, dal concessionario uscente al concessionario subentrante, dell’intero ramo d’azienda relativo all’esercizio della concessione, comprensivo di tutti i relativi rapporti giuridici, nonché di tutti i beni ad esso funzionali, ivi incluse sia le “opere bagnate”, sia le “opere asciutte”.

Contestualmente, la richiamata normativa ha previsto il pagamento di un corrispettivo in favore del concessionario uscente, il quale dovrà essere predeterminato e concordato tra quest’ultimo e l’amministrazione concedente, e reso noto nel bando di gara per l’assegnazione della concessione.

Appare evidente che detta, innovativa, disciplina risulta idonea ad incidere fortemente sulla valutazione dei rami d’azienda nell’ambito delle operazioni di concentrazione, soprattutto con riferimento alle concessioni di derivazione idroelettrica, prossime alla scadenza.

Peraltro, la disciplina in parola è stata interessata della lettera di costituzione in mora complementare del 26 settembre 2013, inoltrata nell’ambito della procedura d’infrazione n. 2011/2026 C.E.

In particolare, la Commissione ha sostenuto che le disposizioni richiamate contrasterebbero con il diritto europeo, sia perché obbligherebbero il nuovo concessionario a rilevare l’intero ramo d’azienda “anche se intende costruire impianti nuovi” - il che comporterebbe un ingiustificato vantaggio per il concessionario uscente; sia perché il nuovo concessionario sarebbe costretto a pagare il corrispettivo anche per le cosiddette opere “bagnate”, pur se - ad avviso della Commissione - queste, al termine della concessione, non sarebbero trasferite al subentrante, bensì verrebbero acquisite in proprietà dallo Stato, automaticamente e senza alcun corrispettivo, in forza della previsione contenuta nell’art. 25, comma 1, R.D. n. 1775 del 1933[12].

Il rischio adombrato dalla Commissione Europea è che si impongano ai futuri vincitori delle gare, diversi dal concessionario uscente, oneri economici talmente elevati ed ingiustificati, da garantire agli attuali concessionari un notevole vantaggio competitivo, creando così un insuperabile ostacolo all’effettivo ingresso di nuovi operatori nel mercato italiano; prospettazione, questa, che per il vero è stata condivisa anche dall’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato, secondo la quale il criterio del trasferimento del ramo d’azienda al concessionario uscente determinerebbe un “onere finanziario asimmetrico” in capo ai concorrenti del concessionario uscente, in sede di gara[13]. 

In ogni caso, anche a voler prescindere, in questa sede, dalla condivisibilità o meno dei rilievi illustrati dalla Commissione e dall’Antitrust[14], appare evidente che la procedura di infrazione potrebbe in ipotesi determinare, all’esito, la modifica della disciplina interessata. Circostanza, questa, idonea ad incidere in maniera non trascurabile sulla valutazione dei rami d’azienda delle imprese interessate, nelle more, dalle operazioni di concentrazione.

4. Un’ ulteriore criticità nell’ambito delle operazioni in esame può essere rinvenuta negli interventi, a volte imprevisti ed imprevedibili, del Legislatore, sia statale, sia regionale, diretti ad introdurre, ovvero ad incrementare, sotto varia forma, gli oneri che ricadono sull'esercizio delle concessioni idroelettriche.

Detti interventi sono rivolti, essenzialmente, all’introduzione di misure compensative in favore delle Comunità locali interessate dall’incidenza delle infrastrutture idroelettriche, ovvero dell’ecosistema, e comunque, di norma, a far confluire risorse nelle casse, notoriamente non floride, degli Enti pubblici.

Orbene, gli interventi in parola sono idonei ad incidere, a volte anche considerevolmente, sulle rendite dei concessionari; inoltre, essi sembrano sfuggire a qualsivoglia possibilità di previsione, ed alla riconduzione ad una logica di sistema - ingenerando così un rilevante margine di incertezza circa la reale redditività dell'esercizio della concessione.

a) Si pensi, innanzitutto, ai provvedimenti normativi adottati, in punto di determinazione dei canoni di concessione, dai Legislatori delle Regioni e delle Province Autonome di Trento e di Bolzano, i quali, una volta assunta la relativa competenza legislativa (concorrente), da una parte, hanno fissato la misura dei canoni in modo assai differenziato[15]; dall’altra, hanno talvolta disposto, uno actu, sensibili incrementi della misura del corrispettivo per l’utilizzo delle acque - introducendo così misure che hanno aumentato fortemente, ed inaspettatamente, gli importi che i concessionari sono tenuti a corrispondere a detto titolo.

Gli interventi legislativi in parola sono stati posti in essere nella perdurante assenza del decreto ministeriale che, previa intesa con la Conferenza Unificata, dovrebbe stabilire, ex art. 37, comma 7, del D.L. 83/2012[16], i criteri generali per la determinazione, da parte delle Regioni, di valori massimi dei canoni delle concessioni ad uso idroelettrico, all'evidente finalità di assicurare un'omogenea disciplina nella fissazione dei canoni, e di evitare così disparità eccessive nell'importo del corrispettivo, nelle varie parti del territorio nazionale. 

Nelle more dell’adozione del decreto in parola, la Corte costituzionale ha ritenuto legittime le discipline legislative regionali che sono state sottoposte al giudizio di costituzionalità[17].

In particolare, la Consulta ha evidenziato che gli unici principi fondamentali della legislazione statale, che vincolano l’esercizio della potestà legislativa regionale in materia, sono quelli dell'onerosità della concessione, della proporzionalità del canone allo sfruttamento della risorsa ed all’utilità economica che ne trae il concessionario, nonché quelli di economicità e di ragionevolezza nella determinazione dei relativi importi. In merito, la Corte ha ritenuto, all’esito dei relativi giudizi, che detti principi non fossero stati violati dal Legislatore locale, il quale può ben perseguire, nell’esercizio della competenza legislativa di cui è titolare, una determinata linea di indirizzo politico-economico, che si realizza (anche) nella fissazione della misura dei canoni di concessione.

In ogni caso, va da sé che l’ampia discrezionalità riconosciuta al Legislatore regionale, e delle Province Autonome, nella determinazione del canone di concessione, e la conseguente soggezione del concessionario a detti, pure inattesi, interventi legislativi, integra un ulteriore elemento di rilevante incertezza nella valutazione degli asset nell’ambito delle operazioni di concentrazione, la quale risulta vieppiù acuita dalle asimmetrie connesse al disomogeneo esercizio di detto potere nelle diverse parti del territorio nazionale.

b) Un ulteriore esempio di intervento legislativo inatteso, ed idoneo ad incidere pesantemente sulla redditività delle concessioni idroelettriche, e quindi sulla valutazione dei relativi asset, ha riguardato i sovracanoni, che i concessionari sono tenuti a corrispondere in favore dei Consorzi ricompresi nei Bacini Imbriferi Montani (Consorzi B.I.M.)[18].

Innanzitutto, l’art. 1, comma 137, della legge n. 228/2012 (legge di stabilità per il 2013) ha stabilito che “al fine di consentire la prosecuzione degli interventi infrastrutturali da parte dei comuni e dei bacini imbriferi montani, i sovracanoni idroelettrici, previsti ai sensi dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 1953, n. 959, sono estesi con decorrenza dal 1° gennaio 2013 a tutti gli impianti di produzione di energia idroelettrica superiori a 220 kw di potenza nominale media, le cui opere di presa ricadano in tutto o in parte nei territori dei comuni compresi in un bacino imbrifero montano già delimitato”.

Con detta disposizione, il Legislatore statale, innovando sensibilmente la disciplina preesistente, ha esteso l’obbligo del pagamento del sovracanone anche agli impianti, le cui opere di presa siano ubicate al di fuori del perimetro del bacino imbrifero montano - ossia, in sostanza, al di sotto della c.d. “quota altimetrica” - a condizione che esse ricadano nel territorio di un Comune, comunque ricompreso in un bacino imbrifero montano.

L’applicazione della disposizione in parola, la quale, in sostanza, obbliga i concessionari al pagamento del sovracanone anche per impianti che non gravano su territori “montani”, è idonea a comportare nuovi esborsi, anche particolarmente consistenti, in capo ai concessionari; e vi è chi ha dubitato della legittimità costituzionale della richiamata disciplina, sub specie, tra l’altro, di violazione del principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost., nonché di vulnerazione dei principi di tutela dell’affidamento e di certezza del diritto, anche quali principi generali dell’ordinamento comunitario[19].

Allo stato, peraltro, le sentenze rese all’esito dei plurimi giudizi, radicati dai concessionari dinanzi ai Giudici delle Acque, e diretti a contestare le richieste di pagamento, formulate dei Consorzi BIM in applicazione della citata disposizione, hanno ritenuto la fondatezza delle pretese dei Consorzi.

In particolare, sia i Tribunali Regionali sinora aditi[20], sia il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche in grado d’appello, con plurime pronunzie, che risultano ormai espressive di un orientamento consolidato[21], hanno respinto i ricorsi dei concessionari, ritenendo altresì manifestamente infondate le svariate questioni di legittimità costituzionale, dai medesimi sollevate. 

Sempre con riferimento ai sovracanoni idroelettrici, va poi tenuto presente che la legge n. 221/2015 (c.d. legge sulla Green Economy) ha stabilito che per tutti gli impianti soggetti al pagamento del sovracanone dovrà essere corrisposta la misura superiore, che prima era prevista solo per gli impianti al di sopra dei 3000 Kw. Sicché, è stato introdotto ulteriore esborso per i concessionari, vieppiù ponendo sullo stesso piano piccoli e grandi impianti, pur se questi producono un ben diverso, e maggiore, impatto ambientale e paesaggistico.

***

Alle rilevanti problematiche, ingenerate dalla complessità e dalla scarsa razionalità del quadro normativo e regolatorio, sopra richiamate, se ne potrebbero aggiungere di ulteriori: basti por mente, tra l’altro, alla mutevole disciplina degli incentivi per le energie rinnovabili, alle previsioni in punto di deflusso minimo vitale, parimenti suscettibili di revisione da parte della Pubblica Amministrazione, nonché alla pletora di ulteriori e cangianti oneri, con i quali i Legislatori locali gravano l’esercizio delle concessioni idroelettriche[22].

Le problematiche illustrate evidenziano con chiarezza le difficoltà che caratterizzano la valutazione in punto di redditività degli asset idroelettrici, che risulta così particolarmente esposta alle incertezze conseguenti ad interventi esogeni, estemporanei e spesso inattesi, che sembrano sfuggire a qualsivoglia disegno sistematico e razionale.

Per il vero, detti interventi, apparentemente estemporanei, potrebbero anche essere interpretati -  maliziosamente, ma forse non del tutto senza fondamento - quali misure dirette a disincentivare l’ingresso di nuovi competitors nel settore, ed a consolidare così lo status quo - del quale, in fondo, si giovano sia i concessionari insistenti, sia i pubblici poteri; questi ultimi, sovente, sono, al contempo, titolari del potere concessorio, beneficiari delle prestazioni patrimoniali imposte agli esercenti, e pure soci delle imprese elettriche concessionarie.

Prospettiva, questa, che di certo non dischiude esiti auspicabili, nell’ottica della finalità di promozione della concorrenza nel settore, pure perseguita dal Legislatore con la previsione del doveroso espletamento di vere e proprie gare ad evidenza pubblica, per l’assegnazione delle concessioni di grande derivazione per uso idroelettrico.

 

 

 

di Sandro Manica, avvocato, Docente di Diritto dell'Energia presso l'Università degli Studi di Trento



[1] Basti por mente, tra le altre, alla nascita della multiutility quotata IREN S.p.A., a seguito della fusione tra Iride, che nel 2006 aveva riunito AEM Torino ed AMGA Genova, ed Enìa, Società nata nel 2005 dall’unione tra AGAC Reggio Emilia, AMPS Parma e Tesa Piacenza; alla fusione per incorporazione di AMGA, Società controllata dal Comune di Udine, in Hera S.p.A.; alla fusione tra Azienda Energetica S.p.A., Società partecipata al 50% dai Comuni di Bolzano e di Merano, e SEL S.p.A., partecipata al 93,88% dalla Provincia Autonoma di Bolzano, mediante incorporazione nella Newco Alperia S.p.A., controllata congiuntamente dalla Provincia di Bolzano e dai Comuni di Bolzano e Merano, che gestisce oltre 40 impianti di generazione idroelettrica in Alto Adige; all’operazione di partnership industriale tra A2A, AEM Cremona, ASM Pavia, ASTEM Lodi, Cogeme e SCS Crema, mediante l’acquisto, da parte di A2A, di una quota pari al 51% del capitale sociale di LGH. Inoltre, sono ad oggi in corso le trattative tra il Gruppo brianzolo Aeb-Gelsia ed il Gruppo trevigiano Ascopiave, ai fini di una possibile aggregazione industriale.

Sembra invece tramontata, allo stato, l’ipotesi di integrazione tra il Gruppo Dolomiti Energia (tra i principali produttori di energia idroelettrica a livello nazionale), ed il Gruppo AGSM Verona, che pure avevano avviato, nel 2016, un processo di valutazione circa la possibilità di aggregazione delle rispettive attività societarie.

 

[2] La sentenza in parola ha dichiarato in parte manifestamente inammissibili, ed in parte non fondate le questioni di legittimità costituzionale promosse dalle Province autonome di Trento e di Bolzano avverso l’articolo 37, commi 4, 5, 6, 7 e 8 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 134.

 

[3] Con la citata pronunzia, la Consulta ha evidenziato, in particolare, che le relative disposizioni “mirano ad agevolare l’accesso degli operatori economici al mercato dell’energia secondo condizioni uniformi sul territorio nazionale, regolando le relative procedure di evidenza pubblica con riguardo alla tempistica delle gare e al contenuto dei relativi bandi (commi 4, 5, 6 e 8), nonché all’onerosità delle concessioni messe a gara (comma 7)”.

 

[4] Cfr. l’art. 12, comma 2, d.lgs. n. 79/99 e ss.mm.

 

[5] Si veda l’art. 12, comma 1, d.lgs. n. 79/99, così come modificato dall’art. 37, D.L. 83/2012, conv. in L. 134/2012.

La disciplina in parola è stata oggetto della lettera di costituzione in mora complementare del 26 settembre 2013, inoltrata dalla Commissione Europea nell’ambito della procedura d’infrazione n. 226/2011 (e su cui cfr. infra).

 

[6] Il riferimento è alla sentenza n. 339/2011, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 53-bis della legge reg. Lombardia n. 26/2003, introdotto dall’art. 14, legge reg. 19/2010, rilevando che non spetta alle Regioni la definizione dei parametri per l’indizione delle gare pubbliche; sicché alle Regioni, ed alle Province Autonome, risulta precluso l’avvio delle procedure di gara, prima dell’adozione del decreto ministeriale di cui all’art. 12, comma 2, d.lgs. n. 79/99 e ss.mm. Cfr. anche la citata sentenza n. 28/2014, nonché, in precedenza, la sentenza n. 401/2007.

[7] Si veda l’art. 1 bis 4 della legge Prov. Trento n. 4/1998, introdotto nel 2015, con il quale è stato stabilito che “in attesa dell'approvazione del decreto previsto dall'articolo 12, comma 2, del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica), le procedure per l'indizione della gara a evidenza pubblica per l'attribuzione a titolo oneroso delle concessioni di grande derivazione d'acqua per uso idroelettrico… restano sospese”. Sicché, ad oggi risultano sospese le procedure relative, tra l’altro, alle grandi derivazioni ex ENEL in scadenza al 31/12/ 2020, all’esito della proroga decennale prevista dall’art. 1, comma 1, legge Prov. Trento 27 luglio 2007, n. 14. Per un’esauriente disamina della disciplina delle concessioni idroelettriche nelle Province Autonome di Trento e di Bolzano cfr. D. FLORENZANO, La disciplina delle attività elettriche nelle Regioni ad Autonomia speciale, in D. FLORENZANO, S. MANICA (a cura di), Il Governo dell’Energia tra Stato e Regioni, Trento, 2009, pagg. 127 e ss.

[8] Con l’art. 38, comma 1, lett. b, legge prov. Bolzano 20 dicembre 2012, n. 22, il Legislatore provinciale ha abrogato l’art. 19, legge prov. 20 luglio 2006 n. 7, che disciplinava, in Provincia Autonoma di Bolzano, le gare ad evidenza pubblica per l’assegnazione delle grandi concessioni idroelettriche, rendendo così automaticamente applicabile la normativa statale di cui al richiamato art. 12, d. lgs. n. 79/99 e ss.mm., ivi compresa la proroga ivi disposta. 

[9] Cfr. Corte cost., sentenza 18 gennaio 2008, n. 1 - sulla quale sia consentito rinviare a S. MANICA, “Concessioni idroelettriche e tutela della concorrenza nella sentenza della Corte costituzionale 14 gennaio 2008, n. 1”, in “Federalismi.it”; Corte cost., sentenza 13 luglio 2011, n. 205.

[10] Come è noto, l’art. 12, comma 8-bis, d. lgs. n. 79/99 e ss.mm. stabilisce che “qualora alla data di scadenza di una concessione non sia ancora concluso il procedimento per l’individuazione del nuovo concessionario, il concessionario uscente proseguirà la gestione della derivazione, fino al subentro dell’aggiudicatario della gara, alle stesse condizioni stabilite dalle normative e dal disciplinare di concessione vigenti. Nel caso in cui in tale periodo si rendano necessari interventi eccedenti l’ordinaria manutenzione, si applica il disposto di cui all’ articolo 26 del testo unico di cui al regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775”.

 

[11] Le citate disposizioni stabiliscono esattamente che “Fermo restando quanto previsto per i casi di decadenza, rinuncia o termine dell'utenza idroelettrica dall'articolo 25, primo comma, del testo unico di cui al regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, il bando di gara per l'attribuzione di una concessione di grande derivazione ad uso idroelettrico prevede, per garantire la continuità gestionale, il trasferimento dal concessionario uscente al nuovo concessionario della titolarità del ramo d'azienda relativo all'esercizio della concessione, comprensivo di tutti i rapporti giuridici afferenti alla concessione” (art. 37, comma 5, D.L. n. 83/2012); e che “al concessionario uscente spetta un corrispettivo per il trasferimento del ramo d'azienda, predeterminato e concordato tra questo e l'amministrazione concedente prima della fase di offerta e reso noto nel bando di gara. Con riferimento ai beni materiali compresi nel ramo d'azienda relativo all'esercizio della concessione diversi da quelli di cui all'articolo 25, primo comma, del testo unico di cui al regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, il corrispettivo è determinato sulla base del valore di mercato, inteso come valore di ricostruzione a nuovo diminuito nella misura dell'ordinario degrado. Con riferimento ai beni di cui al citato articolo 25, primo comma, è inoltre dovuto un importo determinato sulla base del metodo del costo storico rivalutato, calcolato al netto dei contributi pubblici in conto capitale, anch'essi rivalutati, ricevuti dal concessionario per la realizzazione di tali opere, diminuito nella misura dell'ordinario degrado. In caso di mancato accordo, si provvede attraverso tre qualificati e indipendenti soggetti terzi, di cui due indicati rispettivamente da ciascuna delle parti, che ne sopportano i relativi oneri, e il terzo dal presidente del Tribunale delle acque pubbliche territorialmente competente, i quali operano secondo sperimentate metodologie e rendono la pronuncia entro novanta giorni dalla nomina” (art. 37, comma 6, D.L. n. 83/2012).

 

[12]  In particolare, la Commissione ha evidenziato che “Il nuovo concessionario è infatti obbligato a rilevare tutta la centrale (o, più esattamente, il <ramo di azienda> comprensivo di tutti i rapporti giuridici afferenti alla concessione) anche se intende costruire impianti nuovi di produzione di energia elettrica, più moderni e più rispettosi dell’ambiente. Il nuovo concessionario è addirittura tenuto a pagare un corrispettivo anche per i beni che deve trasferire gratuitamente allo Stato … Il nuovo concessionario deve quindi pagare a quello uscente somme enormi, di svariate centinaia di milioni di euro, per opere che appartengono allo Stato e che, di norma, il concessionario uscente ha ammortizzato totalmente nel corso della concessione (che spesso copre un periodo ultratrentennale). Ne risulta quindi una posizione di privilegio per il concessionario uscente, che è l’unico a non essere obbligato a rilevare la centrale pagando un corrispettivo”.

 

[13] Cfr. in particolare, il parere dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato “AS1089 - Gare per l'attribuzione di concessioni idroelettriche” del 17 ottobre 2013, nonché il parere “AS1151 - Provincia Autonoma di Trento - Affidamento di Concessioni per grandi derivazioni di acqua pubblica ad uso idroelettrico” di data 8 ottobre 2014, e la segnalazione “AS1137 - Proposte di riforma concorrenziale ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza anno 2014” del 4 luglio 2014, con la quale è stato proposto di “Modificare l’articolo 37 del d.l. n. 83/2012 (convertito in l. n. 134/2012): superare il riferimento al <trasferimento del (l’intero) ramo d’azienda> prevedendo il trasferimento a titolo oneroso delle sole opere asciutte e la contestuale devoluzione gratuita delle opere bagnate al demanio statale. La quantificazione del valore delle opere asciutte dovrebbe avvenire con modalità trasparenti e in contraddittorio tra gestore entrante e gestore uscente, eventualmente affidando a un soggetto terzo indipendente il compito di certificare la congruità del valore dell’indennizzo”.

 

[14] Per posizioni critiche in merito cfr. F. DONATI, Gli aspetti giuridici del regime delle concessioni idroelettriche, in “Atti del convegno “Idroeuropa? il regime delle concessioni idroelettriche in Europa: lo stato dell’arte, problemi, quali gli insegnamenti da trarre?” in http://www.amministrazioneincammino.luiss.it/2014/05/27/atti-del-convegno-idroeuropa-il-regime-delle-concessioni-idroelettriche-in-europa-lo-stato-dellarte-problemi-quali-gli-insegnamenti-da-trarre, nonché P. BIANDRINO, Rinnovo della concessione e trasferimento dell’azienda, in M. DE FOCATIIS, A. MAESTRONI (a cura di), “Le concessioni idroelettriche”, Torino, 2014, pagg. 153 e ss.

[15] A mero titolo esemplificativo, si va dagli Euro/kW 14,3 dell’Emilia Romagna (Del. G.R. 2 febbraio 2015, n. 65/2015, nonché Del. G.R. 29 ottobre 2015, n. 1622/2015) ai 31,40 Euro/kW della Lombardia per le grandi derivazioni (D.d.S. 26 novembre 2015, n. 10326), all’importo pari ad E/kW 42,42 della Regione Piemonte, per ogni kW di potenza nominale media annua sopra i 3000 kW (cfr. il Regolamento regionale 6/R del 10 ottobre 2005).

 

[16] La disposizione richiamata stabilisce che “al fine di assicurare un'omogenea disciplina sul territorio nazionale delle attività di generazione idroelettrica e parità di trattamento tra gli operatori economici, con decreto del Ministro dello sviluppo economico, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sono stabiliti i criteri generali per la determinazione, secondo principi di economicità e ragionevolezza, da parte delle regioni, di valori massimi dei canoni delle concessioni ad uso idroelettrico. Con lo stesso decreto sono fissate le modalità tramite le quali le regioni e le province autonome possono destinare una percentuale di valore non inferiore al 20 per cento del canone di concessione pattuito alla riduzione dei costi dell'energia elettrica a beneficio dei clienti finali, con riferimento ai punti di fornitura localizzati nel territorio della provincia o dell'unione dei comuni o dei bacini imbriferi montani insistenti nel medesimo territorio interessato dalle opere afferenti alle concessioni di cui al presente comma”.

[17] Cfr. la sentenza n. 64/2014 del 1 aprile 2014, avente ad oggetto l’art. 29 della legge Prov. Bolzano n. 1 del 2004 e l’art. 3, commi 1 e 2, della legge Prov. Bolzano n. 13 del 2000; la sentenza n. 85/2014 del 10 aprile 2014, avente ad oggetto l’art. 16 della legge della Regione Abruzzo n. 1 del 2012; la recente sentenza n. 158/2016 del 7 luglio 2016, avente ad oggetto l’art. 7 della legge della Regione Piemonte 24 dicembre 2014, n. 22.

 

[18] I sovracanoni in parola integrano prestazioni patrimoniali imposte a fini solidaristici, finalizzate ad integrare le risorse degli enti territoriali gravati dall’esistenza delle centrali idroelettriche, nel quadro dell’esigenza di sostegno all’autonomia locale. Gli importi corrisposti dai concessionari confluiscono in un fondo comune gestito dai Consorzi BIM, e sono destinati a favore del progresso economico e sociale delle popolazioni dei Comuni consorziati, nonché per opere di sistemazione montana non di competenza statale (cfr. l’art. 1 della legge 27 dicembre 1953, n. 959).

Con la sentenza n. 533/2002 del 20 dicembre 2002, la Corte costituzionale ha rilevato che “i sovracanoni costituiscono… elementi della finanza comunale e pertanto attengono alla materia della finanza locale”.

 

[19] M. BUCELLO, “La regolazione dei canoni, sovracanoni e canoni aggiuntivi per le concessioni idroelettriche”, in M. DE FOCATIIS, A. MAESTRONI (a cura di), “Le concessioni idroelettriche”, Torino, 2014, pagg. 153 e ss.

 

[20] Cfr. T.R.A.P. presso la Corte d’Appello di Milano, sentenze n. 1708/2014 del 12/05/2014, n. 4542/2013 del 12/12/2013 e 2923/2016 del 7/7/2016; T.R.A.P. presso la Corte d’Appello di Venezia, sentenze 923/2014 del 13 aprile 2014 e 1626/2014 del 3-10 luglio 2014.

[21] T.S.A.P., 11 aprile 2016, n. 108; cfr. anche Id., 11 maggio 2016, n. 160; 13 maggio 2016, n. 163; 13 maggio 2016, n. 164; 13 maggio 2016, n. 165.

[22] Si veda, a titolo esemplificativo, il “canone aggiuntivo” ed il “canone ambientale” previsti, per le concessioni di grande derivazione oggetto di proroga decennale, dall’art. 44, legge Prov. Trento 21 dicembre 2007, n. 23 (cfr. i commi da 15 ter a 15 decies all'articolo 1 bis 1 della L.P. 6 marzo 1998, n. 4); il c.d. “canone annuo aggiuntivo per progetti di compensazione ambientale” previsto, sempre per le concessioni di grande derivazione, dall’art. 19-bis, legge Prov. Bolzano 20 luglio 2006, n. 7; i “fondi di compensazione” recentemente introdotti, per le c.d. medie derivazioni (con potenza nominale media annua superiore a 220 kW ed inferiore a 3000 kW dalla legge Prov. Bolzano 26 gennaio 2015, n. 2. 

 

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