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Note minime sui caratteri del controllo analogo congiunto.
di Giacomo Zaccaria 19 gennaio 2018
Materia: società / partecipazione pubblica

Note minime sui caratteri del controllo analogo congiunto.

 

Onde verificare il rispetto del requisito del «controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi», necessario a qualificare la società come ente in house, occorre che i soci abbiano il potere di esercitare «un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della società», come prevedono testualmente tanto il comma 2° quanto il comma 5°, lett. b), dell’art. 5, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, ovvero le due disposizioni che nel menzionato codice dei contratti pubblici contemplano la citata nozione di controllo in riferimento a società con unico socio e con pluralità di soci ([1]).

Come noto, il «controllo analogo congiunto» trova attualmente definizione all’art. 5, comma 5°, d.lgs. n. 50 del 2016 ([2]), a norma del quale «(l)e amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori esercitano su una persona giuridica un controllo congiunto quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni:

a) gli organi decisionali della persona giuridica controllata sono composti da rappresentanti di tutte le amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori partecipanti. Singoli rappresentanti possono rappresentare varie o tutte le amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori partecipanti;

b) tali amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori sono in grado di esercitare congiuntamente un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative di detta persona giuridica;

c) la persona giuridica controllata non persegue interessi contrari a quelli delle amministrazioni aggiudicatrici o degli enti aggiudicatori controllanti».

Le caratteristiche di una tale peculiare forma di controllo sono però state (e sono tuttora) oggetto di una copiosa elaborazione giurisprudenziale, di cui occorre ovviamente tener conto per riempire di contenuto la disciplina positiva e che può essere ricostruita per sommi capi (e per le finalità qui d’interesse) nei termini che seguono.

Il controllo della proprietà deve innanzitutto essere più pregnante di quello concesso dal regime ordinario di diritto societario ([3]). In particolare, i poteri dell’organo amministrativo della società - che le norme codicistiche estendono a tutti gli atti di gestione dell’impresa - debbono essere limitati nella loro portata oggettiva oppure soggettiva al vaglio preventivo degli enti affidanti ([4]).

I poteri dei soci debbono inoltre essere verificati secondo un criterio sintetico e non atomistico: è perciò sufficiente che il controllo della mano pubblica sull’ente affidatario, purché effettivo e reale, sia esercitato dagli enti partecipanti nella loro totalità, senza che necessiti una verifica della posizione di ogni singolo ente ([5]).

Non è quindi indispensabile che ciascun ente socio sia titolare di un controllo totale e assoluto sull’intera società, ma che in forza di idonei strumenti giuridici ognuno dei soci sia in grado di assumere il ruolo di dominus (quantomeno, come si dirà oltre) nelle decisioni operative rilevanti circa il frammento di gestione relativo al proprio territorio ([6]).

Si può infine chiosare che, quale contrappeso all’indeterminatezza dei criteri sopra tratteggiati (ben assestato sui connotati delle relazioni dominicali in ambito societario), il singolo socio deve vantare «una posizione più che simbolica, idonea, per quanto minoritaria, a garantirgli una possibilità effettiva di partecipazione alla gestione dell’organismo del quale è parte; sicché, una presenza puramente formale nella compagine partecipata o in un organo comune incaricato della direzione della stessa, non risulterebbe sufficiente» ([7]), sebbene la nozione di controllo analogo (è bene precisarlo) non coincida con quella di controllo societario ([8]).

Da quanto si ricava dalle pronunce che si sono specificamente soffermate sul tema ([9]), i tratti del «controllo strutturale, funzionale ed effettivo che le Amministrazioni pubbliche partecipanti all’organismo societario devono esercitare affinché possa ritenersi integrata la fattispecie dell’in house congiunto» ([10]), ovvero i peculiari poteri in concreto necessari in capo ai soci al fine di realizzare l’assetto anzidetto, possono essere così riepilogati:

i.        controllo del bilancio e sulla qualità della amministrazione; poteri ispettivi diretti e concreti, sino a giungere al potere di visitare i luoghi di produzione; totale dipendenza dell’affidatario diretto in tema di strategie e politiche aziendali ([11]);

ii.      definizione di indirizzi operativi sui servizi affidati e sugli obiettivi strategici dell’ente ([12]), che qualora sia esercitabile nell’ambito di un comitato o un organo diversi da quelli previsti dalle norme generali in tema di società (sulla cui perdurante ammissibilità nel nostro ordinamento si dirà oltre), non può essere subordinata anche solamente a un obbligo di “coerenza” con decisioni strategiche assunte in sede assembleare nel caso in cui la stragrande maggioranza del capitale sociale sia detenuta da un solo socio ([13]);

iii.    potere di proporre specifiche iniziative inerenti l’esecuzione del contratto di servizio; il potere (anche di veto) attribuito ai medesimi soci deve però tradursi nella capacità di determinare (congiuntamente, su un piano paritetico) gli obiettivi strategici e le decisioni significative della società, ovvero deve essere preordinato alla definizione di tali scelte gestorie e non essere confinato alla possibilità di incidere solamente sul singolo rapporto contrattuale fra socio e società ([14]);

iv.     vigilanza sull’andamento della società, con poteri di influenza diretta sulle scelte decisionali (di competenza dell’organo amministrativo o eventualmente assembleare) con ricadute sul territorio del singolo socio e mediata sul corretto adempimento del contratto di servizio relativo a tutti i soci;

v.       approvazione (anche con metodo assembleare) degli atti di indirizzo generale della società e correlativa legittimazione in capo al singolo socio di censurare - eventualmente sino a chiedere la revoca dell’amministratore - le attività sociali poste in essere in difformità delle relative autorizzazioni assembleari ([15]).

Tale decalogo parrebbe poi completarsi con un ulteriore requisito: la maggioranza dei componenti dell’organo amministrativo non può essere espressione di un unico socio ([16]), mentre è ben possibile che gli amministratori rappresentino più soci qualora siano eletti sulla base di un sistema di liste idoneo a tal fine ([17]).

Occorre a questo punto rammentare che l’art. 16, comma 2°, d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175, indica specifici strumenti per realizzare l’assetto di poteri sopra tratteggiati ([18]), quali: (i) l’introduzione di clausole statutarie in deroga all’ordinaria ripartizione di poteri fra organi sociali prevista dal codice civile ([19]); (ii) la stipulazione di appositi patti parasociali, anche per una durata superiore al limite quinquennale prescritto dall’art. 2341-bis c.c. ([20]).

Quanto alla possibilità di esercitare i poteri di controllo per il tramite di organi diversi dall’assemblea dei soci (i c.d. comitati di controllo analogo), il comma 9°, lett. d) e il comma 13° dell’art. 11, d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175, rispettivamente, vietano di «istituire organi diversi da quelli previsti dalle norme generali in tema di società» e limitano «ai casi previsti dalla legge la costituzione di comitati con funzioni consultive o di proposta» ([21]).

Con due recenti pronunce, il Consiglio di Stato ha però positivamente (ancorché implicitamente) riconosciuto la perdurante ammissibilità di detti organi nel nostro ordinamento, chiarendo altresì che tali strumenti potranno essere tanto gli unici intesi ad assicurare il “controllo analogo” quanto affiancarsi alle eventuali deroghe al regime ordinario introdotte (nello statuto) a tale scopo ([22]).

Posto che al fine di configurare l’assetto in house resta imprescindibile garantire ai soci un’effettiva ingerenza nella gestione della società (nei termini anzidetti) attribuendo loro poteri che spettano ordinariamente all’organo amministrativo ([23]), rimane difficile intendere come sia conciliabile l’esercizio di un controllo vincolante mediante detti comitati con il menzionato divieto di assegnare dignità statutaria ai medesimi.

A tal fine, risulterebbe infatti necessario dotare i deliberata degli organi extra-assembleari di efficacia (preferibilmente, date le premesse) reale nei confronti degli organi sociali e ciò non potrebbe che realizzarsi mediante apposite clausole statutarie, ma anche senza voler prevedere una tale incisività, la giurisprudenza ha ritenuto quantomeno indispensabile che lo statuto disciplini specifici “raccordi” tra detti organi, l’assemblea della società e i singoli soci ([24]).

Atteso che previsioni statutarie nel senso appena riferito parrebbero incompatibili con i citati limiti di cui all’art. 11, d.lgs. n. 175 del 2016 ([25]), si resta in attesa di conoscere la posizione che la giurisprudenza vorrà assumere in argomento, magari fornendo indicazioni sul modo in cui poter trasporre sul piano societario quel “controllo amministrativo di tipo gerarchico” (come qualificato in altre occasioni dai giudici amministrativi) per superare l’empasse ([26]).

Non senza precisare che paiono comunque ipotizzabili alcune soluzioni interpretative ai fini di cui sopra ([27]), per non spingere oltre la trattazione riservata al presente scritto si specifica a mo’ di notazione conclusiva che in seno ai predetti comitati (qualora li si ritenesse tuttora ammissibili) parrebbe necessario vi sieda un rappresentante per ogni consociato ([28]).

Nel solco della giurisprudenza nazionale ed europea delineatasi in materia vorrebbero poi collocarsi le linee guida per l’iscrizione all’elenco di cui all’art. 192, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, adottate dall’ANAC (da ultimo) con delibera n. 951 del 20 settembre 2017 e pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 236 del 9 ottobre 2017 ([29]).

Pur non prevedendo parametri tassativi, né tantomeno precetti integrativi o modificativi dei requisiti (attualmente) codificati dall’art. 5, d.lgs. n. 50 del 2016, e quindi contenendo solamente un’esemplificazione dei presupposti dettati per via normativa ([30]), le predette linee guida fissano le modalità e i criteri per la verifica dei requisiti cui è subordinata l’iscrizione all’elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società [recte organismi] in house di cui all’art. 192, comma 1°, d.lgs. n. 50 del 2016 ([31]) e assumono pertanto notevole rilevanza pratica.

Invero, a decorrere dalla data indicata all’art. 9.2 delle predette linee guida ([32]), la presentazione della domanda di iscrizione all’elenco istituito presso l’ANAC costituirà presupposto legittimante l’affidamento in house ([33]), consentendo all’amministrazione di «effettuare sotto la propria responsabilità affidamenti diretti dei contratti all’organismo in house» ([34]).

Più nel dettaglio, entro trenta giorni dalla richiesta di cui sopra ([35]) l’Autorità avvia un procedimento diretto ad accertare la concreta sussistenza dei “requisiti per l’iscrizione all’elenco”, che potrà alternativamente culminare: con l’iscrizione, nel caso in cui detto riscontro dia esito positivo; in caso contrario, con il diniego dell’iscrizione, a fronte del quale (ferma la possibilità di impugnare un tale provvedimento di accertamento negativo dinanzi al competente giudice amministrativo) sarà vietato al socio pubblico effettuare ulteriori affidamenti diretti a favore dell’organismo oggetto di verifica da parte dell’ANAC ([36]).

A norma dei commi 1-bis e 1-ter, dell’art. 211, d.lgs. n. 50 del 2016, avverso gli atti relativi ad affidamenti precedenti all’iscrizione all’elenco (e dunque pure alla presentazione della domanda, sino al momento in cui questa, come detto, è divenuta presupposto legittimante l’affidamento) o posti in essere fino alla sopravvenuta cancellazione dall’elenco, l’Autorità è inoltre legittimata: (i) ad agire in giudizio per l’annullamento dei medesimi, «qualora ritenga che essi violino le norme in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture»; (ii) a emettere un parere nel quale siano specificate le “gravi violazioni” del codice dei contratti pubblici riscontrate e ad adire il giudice amministrativo qualora la stazione appaltante non si conformi a tali indicazioni entro i termini all’uopo assegnati ([37]).

Attesa l’importanza che tali linee guida rivestono sul piano operativo ([38]), pare quindi opportuno fare riferimento (anche) ai parametri ivi indicati per verificare o, quantomeno, soppesare l’effettiva sussistenza di poteri di controllo in capo alle plurime (nella fattispecie qui presa a riferimento) amministrazioni socie.

In luogo di una sua parafrasi, si ritiene pertanto più utile riportare di seguito il paragrafo qui d’interesse delle linee guida ANAC n. 7 del 2017, commentandone in nota alcuni passaggi che paiono abbisognevoli di precisazioni.

6. LA VERIFICA DEI REQUISITI DI CUI ALL’ART. 5 DEL CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI E AGLI ARTT. 4 E 16 DEL D.LGS. 19 AGOSTO 2016, N. 175

6.1 L’Ufficio competente valuta la sussistenza dei requisiti richiesti dall’art. 5 del Codice dei contratti pubblici ovvero dagli artt. 4 e 16 del D.lgs. 175/2016 ai fini dell’iscrizione nell’Elenco dell’amministrazione aggiudicatrice o dell’ente aggiudicatore richiedente.

6.2 L’Ufficio competente accerta, mediante l’esame dell’atto costitutivo e dello statuto della società partecipata, che la stessa abbia come oggetto sociale esclusivo una o più delle attività di cui all’art. 4, comma 2, lettere a), b) d) ed e) del D.lgs. 175/2016.

6.3 Ai fini della verifica dell’esercizio da parte dell’amministrazione aggiudicatrice o dell’ente aggiudicatore, sulla persona giuridica di cui trattasi, di un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi, l’Autorità accerta la sussistenza in capo agli stessi di poteri di controllo, di ingerenza e di condizionamento superiori a quelli tipici del diritto societario ([39]), previsti in specifiche disposizioni dell’atto costitutivo, dello statuto o di appositi patti parasociali ([40]).

6.3.1 Possono essere individuati tre diverse modalità temporali di controllo da considerarsi cumulative ([41]):

a) un «controllo ex ante», esercitabile, ad esempio, attraverso:

- la previsione, nel documento di programmazione dell’amministrazione aggiudicatrice ([42]), degli obiettivi da perseguire con l’in house providing, anche mediante l’utilizzo di indicatori qualitativi e quantitativi;

- la preventiva approvazione, da parte dell’amministrazione aggiudicatrice o dell’ente aggiudicatore, dei documenti di programmazione, delle deliberazioni societarie di amministrazione straordinaria, degli atti fondamentali della gestione quali, la relazione programmatica, il piano degli investimenti, il piano di sviluppo, il piano industriale, il piano economico-finanziario, il piano occupazionale, gli acquisti, le alienazioni patrimoniali, e gli impegni di spesa di importi superiori ad un determinato limite, ecc.

b) un «controllo contestuale», esercitabile, ad esempio, attraverso:

- la richiesta di relazioni periodiche sull’andamento della gestione;

- la verifica dello stato di attuazione degli obiettivi, con individuazioni delle azioni correttive in caso di scostamento o squilibrio finanziario;

- la previsione della possibilità di fornire indirizzi vincolanti sulle modalità di gestione economica e finanziaria dell’organismo in house;

- la previsione di controlli ispettivi;

- il potere di modifica degli schemi-tipo degli eventuali contratti di servizio con l’utenza.

c) un «controllo ex post», esercitabile, ad esempio, in fase di approvazione del rendiconto, dando atto dei risultati raggiunti dall’organismo in house e del conseguimento degli obiettivi prefissati e fornendo indicazioni di indirizzo sugli obiettivi per la programmazione successiva.

6.3.2 A titolo esemplificativo, sono considerati idonei a configurare il controllo analogo anche gli elementi di seguito indicati:

a) il divieto di cessione delle quote a privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati prescritte dalla legislazione nazionale ([43]), in conformità dei trattati, che non esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata;

b) l’attribuzione all’amministrazione aggiudicatrice o all’ente aggiudicatore del potere di nomina e revoca quanto meno della maggioranza dei componenti degli organi di gestione, di amministrazione e di controllo;

c) l’attribuzione all’amministrazione aggiudicatrice o all’ente aggiudicatore dei poteri di direttiva e di indirizzo e del potere di veto sulla definizione dell’organigramma dell’organismo partecipato e sulle sue modifiche o di un parere vincolante in merito all’adeguatezza dell’assetto organizzativo adottato dalla società in funzione del perseguimento dell’oggetto sociale;

d) il vincolo per gli amministratori, nella gestione ordinaria e straordinaria, al rispetto delle prescrizioni impartite in sede di controllo analogo e trasfuse in appositi atti formali e vincolanti;

e) la disciplina precisa e puntuale dell’esercizio del controllo da parte del socio pubblico.

6.3.3 La sussistenza del requisito del controllo analogo è accertata dall’Autorità attraverso una valutazione complessiva di tutte le circostanze del caso, mediante l’esame degli atti costituitivi, degli statuti e dei patti parasociali degli organismi coinvolti. L’onere della prova è posto a carico dell’amministrazione aggiudicatrice o dell’ente aggiudicatore che, al momento della presentazione della domanda di iscrizione nell’Elenco o a richiesta dell’Autorità, deve indicare gli elementi da cui si desume la sussistenza del controllo analogo e la relativa documentazione probatoria.

6.3.4 L’Autorità può richiedere ulteriore documentazione utile, quale - a titolo esemplificativo - delibere assembleari, determinazioni dell’organo amministrativo, contratti di affidamento, documenti di programmazione, ecc., laddove ritenuti utili per la completezza dell’istruttoria.

6.3.5 Tenuto conto delle diverse forme di controllo analogo individuate dall’art. 5 del Codice dei contratti pubblici, l’Autorità esegue le seguenti verifiche:

a) in caso di in house «a cascata», (l’amministrazione A controlla un soggetto in house B che a sua volta controlla l’organismo in house C - A concede affidamento diretto a C), l’Autorità verifica la sussistenza del controllo analogo di A su B e di B su C al fine di consentire l’iscrizione nell’Elenco di A come amministrazione che concede affidamenti diretti a C;

b) in caso di in house «verticale invertito» o «capovolto» (A controlla B che è un’amministrazione aggiudicatrice - B concede un affidamento diretto ad A), le verifiche da svolgere ai fini dell’iscrizione nell’Elenco sono le medesime previste per l’in house classico;

c) in caso di in house «orizzontale» (A controlla sia B che C - B concede un affidamento diretto a C), i requisiti dell’in house sono controllati sia con riferimento al rapporto tra A e B che al rapporto tra A e C.

d) in caso di controllo congiunto, è verificata la sussistenza delle condizioni previste dall’art. 5, comma 5, del Codice dei contratti pubblici.

6.4 L’Ufficio competente accerta, mediante l’esame dell’atto costitutivo dell’organismo partecipato, l’assenza di partecipazione di capitali privati, ad eccezione di quella prescritta da norme di legge. In tali casi eccezionali, l’Autorità accerta che la partecipazione di soggetti privati prescritta da norme di legge non comporti controllo, poteri di veto, né l’esercizio di un’influenza determinante sull’organismo in house ([44]), compiendo le medesime verifiche descritte per la valutazione della sussistenza del controllo analogo.

6.5 L’Ufficio competente accerta che lo statuto dell’organismo partecipato preveda che oltre l’80% del proprio fatturato sia effettuato nello svolgimento dei compiti ad esso affidati dall’ente pubblico o dagli enti pubblici soci e che la produzione ulteriore rispetto al suddetto limite di fatturato sia consentita solo a condizione che la stessa permetta di conseguire economie di scala o altri recuperi di efficienza sul complesso dell’attività principale dell’organismo in house ([45]).

6.6 Con riferimento ai servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica, l’accertamento in merito alla sussistenza dei requisiti per l’iscrizione nell’Elenco è effettuato tenuto conto delle particolari disposizioni normative applicabili al caso concreto ([46]).

A chiusura della presente esposizione, rimane da sottolineare che alla luce della sopra tratteggiata molteplicità e incisività dei poteri da attribuire ai soci al fine di realizzare l’assetto in house, quantomeno questa peculiare tipologia di società a partecipazione pubblica[47] non parrebbe più potersi sottrarre dall’ambito d’applicazione della disciplina codicistica sull’attività di direzione e coordinamento di società ([48]).

Risulta invero difficilmente contestabile ([49]) che quell’«esercizio di una pluralità sistematica e costante di atti di indirizzo idonei ad incidere sulle decisioni gestorie dell’impresa, sulle scelte strategiche ed operative di carattere finanziario, industriale, commerciale che attengono alla conduzione degli affari sociali» in cui si sostanzia l’attività di eterodirezione ([50]) non possa ritenersi insito nella stessa natura del controllo analogo e nelle modalità in cui questo deve concretarsi ([51]).

 

Giacomo Zaccaria

Abilitato all’esercizio della professione d’avvocato

Istruttore direttivo amministrativo



([1]) L’oggetto del presente (breve) contributo viene delimitato agli enti aventi natura societaria, con riferimento ai quali si specifica che l’art. 2, lett. c), d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175 (“Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica”) ha ripreso la medesima formulazione sopra richiamata. Si rammenta, per completezza espositiva, che l’ambito oggettivo di applicazione dell’art. 5, d.lgs. n. 50 del 2016, si estende alle «person[e] giuridic[he] di diritto pubblico o di diritto privato», ovvero anche organismi diversi dalle società (sebbene queste rappresentino la forma giuridica più ricorrente, quantomeno nel nostro ordinamento, con cui vengono costituiti enti in house).

([2]) La trascritta disposizione recepisce (con alcune variazioni) la disciplina contenuta nell’art. 17 della Dir. 2014/23/UE, nell’art. 12 della Dir. 2014/24/UE e nell’art. 28 della Dir. 2014/25/UE.

([3]) In tal senso, cfr. A. Maltoni, Le società in house nel T.U. sulle partecipate pubbliche, in Urbanistica e appalti, 1-2017, p. 13 s., che cita a supporto (spec. alle note 29 e 30) Corte Giust. CE, 13 ottobre 2005, causa C-458/03; Corte Giust. UE, 10 settembre 2009, causa C-573/07; Cons. Stato, Ad plen., 3 marzo 2008, n. 1; Cons. Stato, 24 settembre 2010, n. 7092. La conclusione è esposta in senso rafforzativo da E. Codazzi, Società in house providing, in Giur. Comm., 2016, II, p. 959, la quale premette che «ai fini del controllo analogo è necessario un quid pluris rispetto al mero controllo societario (anche fosse totalitario)». Non senza sottolineare che ogni dubbio circa la correttezza degli assunti qui ribaditi perde di rilievo pratico alla luce di quanto stabilito dall’ANAC nelle proprie linee guida n. 7 del 2017 (su cui infra), si veda inoltre sul punto TAR Toscana, 1 marzo 2011, n. 377, ove è chiarito che il controllo congiunto sussiste qualora gli enti affidatari «eserciti[no], pur se con moduli societari su base statutaria, poteri di ingerenza e di condizionamento superiori a quelli tipici del diritto societario, caratterizzati da un margine di rilevante autonomia della governance rispetto alla maggioranza azionaria, sicché risulta indispensabile, che le decisioni più importanti siano sottoposte al vaglio preventivo dell’ente affidante o, in caso di in house frazionato, della totalità degli enti pubblici soci (Consiglio Stato, sez. V, 24 settembre 2010, n. 7092)». Ancor più netta, sebbene sia forse da relegare a al rango di statuizione di principio, è infine Cons. Stato, 13 marzo 2014, n. 1181: «il controllo analogo è un controllo non di matrice civilistica, assimilabile al controllo esercitato da una maggioranza assembleare, bensì è un controllo di tipo amministrativo, paragonabile ad un controllo di tipo gerarchico».

([4]) Tale insegnamento è agevolmente ricavabile da Cons. Stato, 27 aprile 2015, n. 2154. Oltre a precisare che «una previsione statutaria con cui si riservasse agli amministratori la “facoltà di adottare tutti gli atti ritenuti necessari per il conseguimento dell’oggetto sociale” escluderebbe la presenza di tale fattispecie» (cfr. E. Codazzi, Società in house providing, cit., p. 957 s., che opportunamente cita sul punto Corte Giust. CE, 13 ottobre 2005, causa C-458/03), si rammenta che il requisito in disamina è stato declinato (cfr. Cons. Stato, 13 marzo 2014, n. 1181, da cui sono tratte le espressioni fra virgolette che seguono) nel senso che «(i) controlli devono essere al tempo stesso sugli organi, e quindi strutturali, e sugli atti, ovvero sulle azioni e sui comportamenti (cfr. già la sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, 6 maggio 2002, n. 2418)».

([5]) Cfr. Cons. Stato, 10 settembre 2014, n. 4599, di cui si riporta il passaggio in motivazione: «(i)n ordine alla sussistenza del requisito del “controllo analogo”, va rilevato che, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, tale requisito deve intendersi sussistente anche se svolto non individualmente, ma congiuntamente dagli enti associati, deliberando se del caso anche a maggioranza, ma a condizione che il controllo sia effettivo, dovendo tale requisito essere verificato secondo un criterio sintetico e non atomistico, sicché è sufficiente che il controllo della mano pubblica sull’ente affidatario, purché effettivo e reale, sia esercitato dagli enti partecipanti nella loro totalità, senza che necessiti una verifica della posizione di ogni singolo ente; occorre, in particolare, verificare che il consiglio di amministrazione del soggetto affidatario in house non abbia rilevanti poteri gestionali e che l’ente pubblico affidante (rispettivamente la totalità dei soci pubblici) eserciti(no), pur se con moduli su base statutaria, concreti ed effettivi poteri di ingerenza e di condizionamento, sicché risulta indispensabile che le decisioni più importanti siano sottoposte al vaglio preventivo dell’ente affidante o, in caso di in house frazionato, della totalità degli enti pubblici soci (Cons. St., sez. V, 8 marzo 2011, n. 1447; 24 settembre 2010, n. 7092; 29 dicembre 2009, n. 8970)». Tali conclusioni non hanno certo perso di attualità, atteso che di recente sono state ribadite pure da Cons. Stato, 18 luglio 2017, n. 3554 e da Cons. Stato, 24 ottobre 2017, n. 4902.

([6]) Espressamente in tal senso TAR Liguria, 8 febbraio 2016, n. 120 (che cita a supporto della conclusione sopra riportata i precedenti di Corte Giust. UE, 29 novembre 2012, causa C-182/11; TAR Lombardia-Brescia, 23 settembre 2013, n. 780). Nel caso scrutinato dalla citata sentenza, un requisito siffatto è stato ritenuto sussistente in ipotesi di «indirizzi “vincolanti”, da esercitarsi in forma scritta, sulle modalità di erogazione del servizio affidato, con facoltà di risolvere anticipatamente ed unilateralmente il contratto in difetto di tempestivo adeguamento alle direttive impartite, o di dolosa sottrazione alle previste forme di controllo».

([7]) Così Corte Conti, sez. contr. Lombardia, 13 maggio 2015, n. 195, la quale richiama sul punto Cons. Stato, 27 aprile 2015, n. 2154. Circa tale caratteristica, occorre nondimeno tener conto dell’insegnamento di Corte Giust. UE, 10 settembre 2009, causa C-573/07, ove è precisato che «allorché varie autorità pubbliche scelgono di svolgere alcune delle loro missioni di servizio pubblico facendo ricorso ad una società che esse detengono in comune, è di norma escluso che una di tali autorità che possiede soltanto una partecipazione minoritaria in tale società eserciti da sola un controllo determinante sulle decisioni di quest’ultima. Richiedere che il controllo esercitato da un’autorità pubblica in un caso del genere sia individuale avrebbe la conseguenza d’imporre una gara di appalto nella maggior parte dei casi in cui un’autorità siffatta intendesse associarsi ad una società detenuta da altre autorità pubbliche al fine di attribuirle la gestione di un servizio pubblico». Quanto tratteggiato dalla giurisprudenza in argomento è portato a sintesi da E. Codazzi, Società in house providing, cit., 2016, II, p. 961 s., la quale sottolinea (con il conforto di TAR Abruzzo, 10 luglio 2014, n. 596, da cui sono tratte le espressioni fra virgolette che seguono) che «il requisito del controllo analogo non sottende una logica “dominicale”, rivelando piuttosto una dimensione “funzionale”».

([8]) Così espressamente, da ultimo, Cass., 11 gennaio 2018, n. 456, ma più diffusamente sul punto cfr. Cass., sez. un., 25 novembre 2013, n. 26283, che recita: «(l)’espressione “controllo” non allude perciò, in questo caso, all’influenza dominante che il titolare della partecipazione maggioritaria (o totalitaria) è di regola in grado di esercitare sull’assemblea della società e, di riflesso, sulla scelta degli organi sociali; si tratta, invece, di un potere di comando direttamente esercitato sulla gestione dell’ente con modalità e con un’intensità non riconducibili ai diritti ed alle facoltà che normalmente spettano al socio (fosse pure un socio unico) in base alle regole dettate dal codice civile, e sino a punto che agli organi della società non resta affidata nessuna autonoma rilevante autonomia gestionale (si vedano, in tal senso, le chiare indicazioni di Cons. Stato, Ad. plen., 3 marzo 2008, n. 1, e della conforme giurisprudenza amministrativa che ne è seguita)».

([9]) Si precisa pertanto che non verranno passate in rassegna, né tantomeno pese a riferimento, quelle pronunce che, nell’ormai immenso panorama formatosi in materia, hanno trattato in maniera solamente generica l’assetto di cui si discorre; così come, nella vigenza di una codificazione interna di derivazione europea, si privilegeranno le pronunce dei giudici e delle autorità amministrative nazionali.

([10]) Così Cons. Stato, 26 maggio 2015, n. 2602, parafrasando l’insegnamento di Corte Giust. UE, 9 novembre 2012, cause C-182/11 e C-183/11.

([11]) Cfr. Cons. giust. amm. reg. sic., 4 settembre 2007, n. 719, espressamente richiamata alla p. 6 s. della relazione AIR allegata alle Linee Guida ANAC n. 7 del 2017. Non meno pregnante pare il ventaglio di poteri sancito da Cons. Stato, 13 marzo 2014, n. 1181, ove è specificato che i controlli devono essere: «sugli organi nel senso che l’ente locale deve avere il potere di nomina e revoca quanto meno della maggioranza dei componenti degli organi di gestione, di amministrazione e di controllo; sulla gestione nella misura in cui l’ente affidante, oltre al potere di direttiva e di indirizzo, deve avere anche il potere di autorizzare o di annullare quantomeno tutti gli atti più significativi della società, come il bilancio, i contratti che superino una certa soglia ed in generale gli atti più qualificanti della gestione che non si risolvano in meri atti ordinari e burocratici (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 762)».

([12]) La magistratura contabile ha precisato che il controllo analogo «presuppone che il Consiglio Comunale controlli l’organismo partecipato in termini di preventiva definizione degli obiettivi gestionali (a cui deve tendere la partecipata, secondo standard qualitativi e quantitativi), di organizzazione di un idoneo sistema informativo relativo  alla situazione contabile, gestionale e organizzativa delle partecipate, ai contratti di servizio, alla qualità dei servizi erogati ed al rispetto delle norme di legge sui vincoli di finanza pubblica. È, pertanto, necessario che si realizzi quello che è definito un “controllo strutturale”, non limitato agli aspetti formali relativi alla nomina degli organi societari ed al possesso della totalità del capitale azionario, talché l’ingerenza dell’ente controllante si realizzi non sotto un profilo formale, bensì sostanziale, di direzione strategica e gestionale» (cfr. Corte Conti, sez. contr. Lazio, 27 giugno 2012, n. 37; Id. 20 gennaio 2015, n. 2); sulla coerenza, o meglio sulla realizzabilità in concreto, di un requisito così declinato in caso di in house frazionato, cfr. nota 42.

([13]) Cfr. TAR Lombardia, 23 dicembre 2016, n. 2474, resa in fattispecie in cui specifiche clausole statutarie prevedevano: (i) «la subordinazione sul piano strategico e funzionale degli interessi dei singoli comuni all’interesse proprio della società pubblica»; (ii) «una ripartizione delle azioni societarie tale da escludere una posizione di parità tra i vari enti soci», atteso che era imposta la partecipazione maggioritaria di uno di questi. Le conclusioni raggiunte nella sentenza appena richiamata poggiano sul consolidato orientamento ribadito (fra le altre) da Cons. Stato, 26 maggio 2015, n. 2660, ove per l’appunto è affermato che il controllo analogo esercitato su una società pluripartecipata «non può fondarsi soltanto sul potere di controllo dell’autorità pubblica che detiene una partecipazione di maggioranza nel capitale dell’entità in questione, e ciò perché, in caso contrario, verrebbe svuotata di significato la nozione stessa di controllo congiunto». Sempre sulla scorta di tale arresto giurisprudenziale, l’Autorità garante per la concorrenza e il mercato ha inoltre stabilito in alcuni recenti pareri (nn. AS1346, AS1347 e AS1348, pubblicati nel bollettino n. 5 del 2017) che la previsione di quorum semplici (nella specie, maggioranza assoluta) per l’assunzione delle decisioni in seno all’assemblea dei soci e del comitato per il controllo analogo, (vieppiù) qualora questo si componga di rappresentanti comuni a più amministrazioni partecipanti, non può ritenersi sufficiente a integrare il requisito del controllo analogo congiunto; addirittura più perentoria parrebbe l’ANAC, che con propria delibera n. 976 del 27 settembre 2017 ha sancito l’impossibilità di ricondurre al modello in house una società in cui «la partecipazione azionaria regionale, peraltro in misura straordinariamente maggioritaria, rende l’azionariato dei Comuni […] del tutto irrilevante in sede assembleare per ciò che concerne il concreto esercizio del controllo analogo da parte degli stessi».

([14]) Cfr. sempre TAR Lombardia, 23 dicembre 2016, n. 2474; si noti però che la conclusione appena esposta parrebbe porsi in contrasto con quanto enunciato da TAR Liguria, 8 febbraio 2016, n. 120, sopra citata.

([15]) Cfr., anche per quanto esposto al punto v nel corpo del testo, Cons. Stato, 18 luglio 2017, n. 3554. Alla previsione di competenze assembleari dovrebbe poi fare da pendant una più estesa facoltà di convocazione da parte dei soci, con quorum inferiori a quelli previsti dalle norme codicistiche o eventualmente attribuendola singolarmente agli stessi, come agevolmente si desume dal parere dell’AGCM n. AS1388 del 23 marzo 2017.

([16]) Come stabilito da TAR Lombardia, 23 dicembre 2016, n. 2474, che nel caso scrutinato ha ritenuto che il socio di maggioranza avesse un «ruolo egemone» in quanto a esso lo statuto della società riservava, ai sensi dell’art. 2449 c.c., la nomina del presidente del consiglio di amministrazione e comunque la nomina della maggioranza dei membri.

([17]) Così Cons. Stato, 18 luglio 2017, n. 3554.

([18]) Come ritenuto da parte della dottrina, il legislatore avrebbe così accordato una sorta di “preferenza” per tali meccanismi a scapito della creazione di organi diversi da quelli previsti dalle norme generali in materia di società (su cui si veda più innanzi nel testo), oltre a fugare i precedenti dubbi interpretativi circa la possibilità di derogare (anche limitatamente alla peculiare tipologia di società in questione) alla tradizionale ripartizione di competenze e poteri fra gli organi degli enti di tipo societario (per una sintetica ed efficace ricostruzione del tema, cfr. V. Donativi, Le società a partecipazione pubblica, Milanofiori-Assago, 2016, p. 1073).

([19]) La disposizione richiamata consente infatti di derogare alle disposizioni di cui agli artt. 2380-bis e 2409-novies c.c., per le s.p.a., e prevede la possibilità di attribuire diritti particolari al socio pubblico a norma dell’art. 2468, comma 3°, c.c., per le s.r.l.. Come opportunamente sottolineato da F. Fimmanò-V. Occorsio, Atti e statuti delle società pubbliche alla luce della riforma “corretta”, in Notariato, 4/2017, p. 387 s., mediante l’autonomia statutaria concessa dall’art. 16, comma 2°, d.lgs. n. 175 del 2016 è invero possibile investire l’assemblea della decisione su determinate materie e superare così gli stretti confini dell’autorizzazione assembleare ex art. 2364, comma 5°, c.c., eliminando quell’ampio margine di discrezionalità (incompatibile con la suddivisione di poteri necessaria per l’in house) che permarrebbe in capo agli amministratori qualora fosse unicamente attribuito ai soci un semplice potere di autorizzazione. Giunge a conclusioni analoghe, sebbene partendo dalla premessa che non sussisterebbe esenzione al peculiare regime di responsabilità delineato dall’art. 2364, comma 1°, n. 5, c.c., E. Codazzi, Le “nuove” società in house: controllo cd. analogo e assetti organizzativi tra specialità della disciplina e “proporzionalità delle deroghe”, relazione al convegno Orizzonti del diritto commerciale, 17-18 febbraio 2017, p. 22 s., la quale precisa che attraverso la deroga in argomento «l’assemblea potrebbe, non solo deliberare, ai sensi dell’art. 2364, comma 1, n. 5, sulle “autorizzazioni eventualmente richieste dallo statuto per il compimento degli atti degli amministratori”, ma anche essere investita della decisione su specifiche materie determinate a livello statutario o sottoposte al suo esame dagli amministratori (come, del resto, prevedeva la stessa norma prima della riforma societaria)». In tali termini, sia consentito aggiungere, la facoltà di deroga prevista della citata disposizione contenuta nel d.lgs. n. 175 del 2016 parrebbe avvicinare il modello s.p.a. alle s.r.l., concedendo anche in relazione alle prime un’autonomia analoga a quella prevista dagli artt. 2475 e 2479 c.c..

([20]) In tal caso, l’esercizio del controllo congiunto avviene mediante i meccanismi decisionali previsti da detti accordi (eventualmente, come di prassi, nell’ambito dei consessi istituiti dagli stessi). In tema, cfr. E. Codazzi, op. cit., p. 24 s., la quale sottolinea che al fine della creazione dell’assetto in house pluripartecipato sono a pieno titolo utilizzabili i c.d. sindacati di gestione «ovvero quegli accordi tra soci appunto finalizzati ad orientare in vario modo l’operato degli amministratori [,] la cui ammissibilità, posta in dubbio da taluni per il possibile contrasto con l’art. 2380-bis, pare indirettamente confermata dallo stesso art 16, comma 2 (lett a))», d.lgs. n. 175 del 2016.

([21]) Sul divieto di istituzione di organi atipici cui delegare il controllo analogo nella vigenza delle disposizioni sopra richiamate, cfr. F. Guerrera, Considerazioni in tema di controllo, controllo congiunto e controllo analogo nella disciplina del TUSP, Studio n. 228-2017/I approvato dal Consiglio nazionale del notariato, ivi alla p. 5, F. Fimmanò-V. Occorsio, op. cit., spec. alla nota 72, nonché E. Codazzi, op. cit., p. 25; risultano invece di diverso avviso V. Donativi, Le società a partecipazione pubblica, Milanofiori-Assago, 2016, p. 1073, nonché A. Maltoni, op. cit., p. 14.

([22]) Cfr. Cons. Stato, 24 ottobre 2017, n. 4902; Cons. Stato, 18 luglio 2017, n. 3554, nelle quali non si rinviene un solo passaggio teso a confutare (beninteso, incidentalmente) l’ipotetico contrasto fra l’esistenza di organi siffatti e le disposizioni di cui all’art. 11, comma 9°, lett. d), e comma 13°, d.lgs. n. 175 del 2016. Giova inoltre precisare che nella seconda delle sentenze appena citate è ritenuto idoneo a configurare l’assetto in house «l’utilizzo dello strumento convenzionale, sia a livello orizzontale (apposita convenzione “quadro” tra gli enti soci), sia a livello verticale (tra i soci e [la società])», in presenza di un apposito riconoscimento statutario dei poteri assegnati ai soci da tali convenzioni.

([23]) Per un ulteriore richiamo, cfr. Corte Cost., 28 marzo 2013, n. 50 (le cui conclusioni sul punto sono ribadite pure da Cons. Stato, 16 aprile 2016, parere n. 968), ove è specificato che «(c)iò non significa che siano annullati tutti i poteri gestionali dell’affidatario in house, ma che la “possibilità di influenza determinante” è incompatibile con il rispetto dell’autonomia gestionale, senza distinguere - in coerenza con la giurisprudenza comunitaria - tra decisioni importanti e ordinaria amministrazione» e che, per quanto d’immediato interesse in appresso, l’assetto in house «non può essere assicurato da pareri obbligatori, ma non vincolanti».

([24]) In questi termini si esprime TAR Abruzzo, 14 agosto 2015, n. 349, da cui è ricavabile l’insegnamento (si direbbe scontato) che la mera menzione di poteri di impulso e di verifica senza la previsione di puntuali disposizioni «che specifichino tali poteri, ne disciplinino l’esercizio ed individuino i corrispondenti doveri degli organi societari», si traducono in “mere previsioni programmatiche”, come tali del tutto inidonee a delineare un controllo analogo.

([25]) In applicazione delle norme generali in materia contrattuale e societaria, si specifica che qualora si assegnasse carattere imperativo alle norme sopra menzionate, dovrebbero ritenersi invalide le clausole dello statuto in contrasto con detti limiti e conseguentemente inefficaci le deliberazioni assunte dagli organi istituiti per il tramite di tali previsioni statutarie. Cfr. inoltre F. Guerrera, op. cit., p. 9, piuttosto perentorio nel ritenere che, «esclusa […] l’istituzione per statuto di un organo di coordinamento “atipico”», le uniche vie per la realizzazione dell’assetto che qui interessa rimangono i patti parasociali (con le facoltà concesse dal d.lgs. n. 175 del 2016) o contratti di coordinamento gerarchico e la previsione in statuto di clausole valevoli ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2497- septies c.c..

([26]) Cfr. Cons. Stato, 13 marzo 2014, n. 1181. Si auspica altresì che con l’occasione vengano definiti, nettamente, i confini della commistione fra diritto societario e amministrativo che si verrebbe a perpetrare per tale via.

([27]) Per esempio: (i) ritenendo i comitati di controllo collocati a latere della struttura organizzativa della società qualora lo statuto preveda clausole che richiamano solamente i deliberata dei primi senza disciplinarne composizione e modalità di funzionamento; (ii) accontentandosi del vincolo fiduciario che lega amministratori e soggetti nominanti e che imporrebbe ai primi un generale rispetto delle direttive dei secondi pena la revoca del mandato (in tale ipotesi ermeneutica, diverrebbe però opportuno tipizzare in statuto adeguate ipotesi di “giusta causa” di revoca degli amministratori, onde rendere sufficientemente cogenti gli indirizzi dei soci); (iii) considerando adeguato allo scopo assegnare efficacia obbligatoria alle deliberazioni dei comitati di controllo (così parificandoli alle assemblee dei sindacati), ma quest’ultima ricostruzione sconta le perplessità manifestate dal Consiglio di Stato, nel parere n. 968 del 21 aprile 2016, in merito all’idoneità dei patti parasociali con efficacia meramente obbligatoria contemplati dal d.lgs. n. 175 del 2016 ad assicurare forme di controllo coerenti con le imposizioni europee.

([28]) Cfr. ancora TAR Abruzzo, 14 agosto 2015, n. 349. Senza riproporre le argomentazioni sviluppate nella citata decisione, cui si rinvia integralmente, a supporto dell’affermazione sopra esposta basti unicamente notare che la nomina di rappresentanti comuni nell’ambito dei consessi deputati all’esercizio del controllo analogo diluisce (se non addirittura azzera) l’incisività dei poteri dei soci sulla gestione della società (peraltro, travalicando senza apparente giustificazione la possibilità di rappresentanza comune concessa dall’art. 5, comma 5°, lett. a), d.lgs. n. 50 del 2016, che rimane confinata agli organi decisionali della società).

([29]) Alle p. 4 s. della relazione AIR che accompagna le linee guida in argomento, l’Autorità ha infatti riportato «i principali passi dell’evoluzione giurisprudenziale» dell’istituto dell’in house providing, così lasciando intendere (nemmeno troppo implicitamente) di aver agito nella propria opera di “normazione” recependo gli insegnamenti provenienti dalla giurisprudenza (o, quantomeno, da quella richiamata nella medesima relazione).

([30]) Come precisato dal Consiglio di Stato nel parere n. 282 del 1° febbraio 2017, «i parametri fissati [nelle linee guida in commento: n.d.r.], con particolare riferimento al cd. “controllo analogo”, sono esemplificativi e non fissano una griglia esaustiva, che si tradurrebbe in non consentiti precetti integrativi o modificativi delle elastiche regole fissate dalla legge». Sempre sulla scorta di quanto affermato dall’organo supremo della giustizia amministrativa in tale provvedimento (sebbene reso in sede consultiva), si deve dunque continuare a ritenere che «(l)e linee guida non possono integrare, alla stregua dei rilievi che precedono, i presupposti legittimanti l’in house providing, come definiti dall’art. 12 della direttiva 24/2014/UE e recepiti nell’art. 5 del codice e dall’art. 16 del d.lgs. n. 175 del 2016, ma devono limitarsi a una loro prudente esemplificazione».

([31]) Per comodità di lettura, si riporta il testo della disposizione citata (come modificata dall’art. 113, comma 1°, d.lgs. 19 aprile 2017, n. 56): «(è) istituito presso l’ANAC, anche al fine di garantire adeguati livelli di pubblicità e trasparenza nei contratti pubblici, l’elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house di cui all’articolo 5. L’iscrizione nell’elenco avviene a domanda, dopo che sia stata riscontrata l’esistenza dei requisiti, secondo le modalità e i criteri che l’Autorità definisce con proprio atto. L’Autorità per la raccolta delle informazioni e la verifica dei predetti requisiti opera mediante procedure informatiche, anche attraverso il collegamento, sulla base di apposite convenzioni, con i relativi sistemi in uso presso altre Amministrazioni pubbliche ed altri soggetti operanti nel settore dei contratti pubblici. La domanda di iscrizione consente alle amministrazioni aggiudicatrici e agli enti aggiudicatori sotto la propria responsabilità, di effettuare affidamenti diretti dei contratti all’ente strumentale. Resta fermo l’obbligo di pubblicazione degli atti connessi all’affidamento diretto medesimo secondo quanto previsto al comma 3». Quanto all’estensione dell’ambito d’applicazione della disposizione anche agli enti aventi forma giuridica diversa da quella societaria, nonostante il richiamo testuale alle sole «società in house», si veda il parere del Consiglio di Stato, 1° aprile 2016, n. 855, ove a p. 187 si legge che: «la figura soggettiva di diritto pubblico dell’in house, ha uno schema organizzativo aperto, duttile, multiforme, che consiglia di sostituire alla parola “proprie società”, usata nell’art. 192, l’espressione “propri soggetti in house di cui all’articolo 5”, conformemente, del resto, alla generale previsione dell’art. 5, che appunto prevede e disciplina detti soggetti. Questa dizione appare preferibile perché non ingenera dubbi sul fatto che i soggetti, presi in considerazione dall’art. 192, siano i medesimi dell’art. 5 e non altri, restituendo maggior coerenza e chiarezza, in questo modo, al dettato normativo». Una tale ampiezza oggettiva è confermata nelle menzionate linee guida ANAC pubblicate da ultimo, che si rivolgono (per l’appunto, correttamente) anche a organismi aventi natura giuridica diversa da quella societaria.

([32]) Ovvero il 30 ottobre 2017, ma il termine è stato dapprima prorogato al 30 novembre 2017, come da Comunicato del Presidente dell’ANAC del 25 ottobre 2017, e quindi fissato al 15 gennaio 2018 con comunicato approvato dal Consiglio dell’Autorità in data 29 novembre 2017.

([33]) L’efficacia meramente dichiarativa dell’iscrizione de qua, già chiaramente desumibile dalla lettera dell’art. 192, d.lgs. n. 50 del 2016, è stata ribadita dal parere del Consiglio di Stato n. 282 del 1° febbraio 2017, che con riferimento alla versione delle linee guida pubblicate sul sito dell’ANAC in data 28 dicembre 2016 (nelle quali a detta iscrizione veniva sostanzialmente assegnata un’efficacia costitutiva) ha specificato che «(l)a domanda di iscrizione nell’elenco - doverosa e presidiata dalle sanzioni di cui all’art. 213 del codice - non costituisce un atto di iniziativa procedimentale diretto ad assegnare all’amministrazione aggiudicatrice o all’ente aggiudicatore un “titolo” abilitativo necessario per procedere ad affidamenti diretti», ma «consente ex se di procedere all’affidamento senza gara, rendendo operativa in termini di attualità concreta, senza bisogno dell’intermediazione di un’attività provvedimentale preventiva, la legittimazione astratta riconosciuta dal legislatore».

([34]) Così l’art. 5.3, 2° cpv. delle linee guida; dispone analogamente (e, verrebbe da dire, ovviamente) l’art. 9.3 per gli affidamenti effettuati sino al termine (iniziale) di efficacia delle linee guida sopra indicato.

([35]) Che dovrà essere presentata, tramite apposito applicativo reso disponibile dall’Autorità, dal Responsabile dell’Anagrafe della Stazione Appaltante (RASA), come prescritto all’art. 4.1 delle Linee Guida ANAC n. 7 del 2017. Al fine di evitare la duplicazione di iscrizioni riferite al medesimo organismo, nel caso di in house “frazionato” (o “pluripartecipato” che dir si voglia) dovrà essere inoltrata «una sola domanda riferita a tutti i soggetti interessati all’iscrizione». Onde impedire la possibile alternativa, nella relazione AIR che accompagna le predette linee guida l’Autorità ha inoltre precisato che «(l)’opzione di porre a carico dell’organismo in house, anziché dell’ente controllante, gli oneri relativi alla richiesta di iscrizione nell’elenco, alla comunicazione delle variazione e alle azioni avverso la cancellazione dall’Elenco non può essere accolta in quanto l’art. 192 del codice prevede espressamente che siano assoggettate all’iscrizione le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti a società in house».

([36]) Cfr. Cons. Stato, 1° febbraio 2017, parere n. 282: «(l)a verifica dell’ANAC si traduce in un provvedimento solo se si conclude con un esito negativo (diniego di iscrizione nell’elenco o cancellazione dallo stesso). In tal caso, l’Autorità non adotta un provvedimento di rigetto di un’istanza, bensì un atto di accertamento negativo, assimilabile a un provvedimento di esercizio del potere inibitorio analogo a quello del citato art. 19 della legge n. 241 del 1990. Tale determinazione rende le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori incapaci (rebus sic stantibus) di procedere (per il futuro) ad affidamenti diretti a quella specifica società».

([37]) Cfr. Cons. Stato, 5 settembre 2017, parere n. 1940: «(c)oerentemente con le nuove previsioni normative, i punti 5.7 e 8.8 delle Linee guida ? riferiti, rispettivamente, ai casi in cui l’ANAC accerta l’assenza dei requisiti di legge che devono essere posseduti per l’iscrizione nell’Elenco e quelli in cui ne dispone la cancellazione per la sopravvenuta carenza di tali requisiti ? sono stati adeguati prevedendo, in luogo dell’esercizio del potere di raccomandazione vincolante (oramai abrogato), l’esercizio dei poteri di cui all’art. 211, commi 1-bis e 1-ter, del Codice dei contratti pubblici». Per un’efficace sintesi sul potere di raccomandazione vincolante inserita (nell’auge della disposizione codicistica antecedente alle modifiche di cui al d.lgs. n. 56 del 2017) nella precedente versione delle linee guida approvate con deliberazione del Consiglio dell’ANAC n. 235 del 15 febbraio 2017, oltreché sulla natura della domanda d’iscrizione e del relativo provvedimento di diniego, cfr. A. Caroselli, L’iscrizione delle amministrazioni ed enti che operano mediante affidamenti in house nell’elenco Anac: brevi riflessioni a margine dell’attività consultiva del Consiglio di Stato, in www.dirittodeiservizipubblici.it, 8 marzo 2017.

([38]) Giusto per completezza della presente esposizione, si rammenta che le linee guida in questione «non sono regolamenti in senso proprio (art. 213, comma 2, del codice [dei contratti pubblici: n.d.r.]), ma atti di regolazione flessibile, di portata generale e con efficacia vincolante, come tali sottoposti alle garanzie procedimentali e giustiziabili dinanzi agli organi della giustizia amministrativa ai sensi dell’art. 12 del codice del processo amministrativo» (cfr. Cons. Stato, 1° febbraio 2017, parere n. 282).

([39]) Si rimanda sul punto a quanto riportato alla nota 3 e alla relativa esposizione nel corpo del testo.

([40]) Le locuzioni impiegate dall’Autorità non paiono casuali e sembrano invero avvalorare quella sorta di tipicità degli strumenti atti a realizzare il controllo analogo che è stata introdotta per il tramite del d.lgs. n. 175 del 2016. Fra l’altro, e occorre sottolinearne il merito, la medesima ANAC pare più accorta dello stesso legislatore del citato testo unico laddove menziona anche l’atto costitutivo ai richiamati fini.

([41]) Con riferimento alla formulazione delle linee guida attualmente vigente, il Consiglio di Stato (nel parere n. 1940 del 5 settembre 2017) ha ribadito che «al punto 6.3.1, è stato chiarito che i parametri ivi indicati per il riscontro del “controllo analogo” sono meramente esemplificativi e non fissano una griglia esaustiva, mentre le ”modalità temporali” del controllo analogo sono cumulative». Si confida dunque che l’Autorità darà piena attuazione a un tale insegnamento non assegnando tassatività ai requisiti di cui alle linee guida nemmeno, per via surrettizia, all’interno dell’applicativo di cui all’art. 4.4 delle medesime (quanto ai contenuti e al funzionamento di tale software si veda il “manuale utente 1.0”pubblicato sul sito dell’ANAC in data 15 gennaio 2018).

([42]) Nonostante le censure di “indeterminatezza” e di “eccesso di esemplificazione” mosse da Cons. Stato, 1° febbraio 2017, parere n. 282 con riferimento al requisito riportato nel corpo della presente nota, l’ANAC ha preferito mantenere il richiamo al «documento di programmazione dell’amministrazione aggiudicatrice». Per ciò che concerne gli enti locali, ai fini di rendere effettivo il controllo “analogo” diverrebbe in tal modo necessario assoggettare tutti gli organismi in house (ancorché se ne detengano partecipazioni minoritarie) nel perimetro dei controlli ex art. 147-quater, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, ovvero includerli nel documento unico di programmazione di cui all’art. 170 del medesimo decreto legislativo. Sennonché, un sistema che preveda l’assegnazione di obiettivi a carattere generale da parte di ciascun singolo socio (soprattutto in caso di elevato numero di questi) parrebbe alquanto incoerente, oltreché potenzialmente in contrasto con i sopra riportati precetti di matrice giurisprudenziale che impongono unicamente un controllo «esercitato dagli enti partecipanti nella loro totalità, senza che necessiti una verifica della posizione di ogni singolo ente» (cfr. Cons. Stato, 10 settembre 2014, n. 4599).

([43]) Il parametro ricalca il disposto dell’art. 5, comma 1°, lett. c), d.lgs. n. 50 del 2016. Circa le differenze (e le conseguenti ricadute sul piano applicativo) fra il campo semantico sotteso alla locuzione “previste” (impiegata nella citata disposizione nazionale) e “prescritte”, nella relazione AIR relativa alle linee guida in commento (ivi alla p. 11), l’ANAC ha precisato che «(l)e direttive […] fanno riferimento a partecipazione di capitali privati «prescritte» dalle disposizioni legislative nazionali in conformità dei trattati. La differenza non è solo testuale: il riferimento alla «prescrizione» contenuto nelle direttive comporta che la partecipazione da parte di privati nelle società in house è ammessa solo se imposta (e non anche soltanto consentita) dalle disposizioni di legge nazionale (così come chiarito nel considerando 32 della dir. 2014/24/UE, sopra richiamato). Il dubbio interpretativo è ad ogni modo fugato dalla previsione del decreto legislativo 175/2016 che, all’art. 16, consente affidamenti diretti alle società in house soltanto se non vi sia partecipazione di privati, riproponendo l’eccezione riferita alle ipotesi di partecipazioni «prescritte» da disposizioni di legge. […] Pertanto, si ritiene che anche la previsione di cui al comma 1, dell’art. 5, debba essere interpretata nel senso indicato dalle direttive, non apparendo giustificata una diversa disciplina delle due tipologie di affidamento in house e viste le previsioni del T.U. sulle società partecipate». Di diverso avviso pare invece A. Maltoni, Le società in house nel T.U. sulle società partecipate pubbliche, cit., p. 12 s., il quale sostiene che «nonostante le diferenze rilevabili tra le due previsioni normative, non sembra che possa darsi una diversa interpretazione delle medesime, atteso che la partecipazione di soggetti privati al capitale di un ente societario, in ossequio all’autonomia che li caratterizza, se deve essere prevista non può mai essere imposta da una norma di legge». Sul punto, cfr. pure A. Bartolini, Società in house providing - Prime pronunce sull’in house nella dir. 2014/24/UE: il caso Cineca, in Giur. It., 2015, 8-9, p. 1976 ss., che precisa: «(l)a scelta dell’ingresso dei privati è, dunque, rimessa agli ordinamenti nazionali: sotto questo profilo la direttiva, in particolare, pare rimettere tale scelta solamente al legislatore nazionale, escludendo, a contrariis, la possibilità che la deroga (diretta a prescrivere l’ingresso dei privati) sia concessa da altre fonti, quali quelle regionali od addirittura regolamenti».

([44]) Si specifica che in occasione della consultazione on-line della bozza di linee guida in commento è pervenuta la proposta di consentire l’attribuzione della qualifica di organismo in house anche agli enti nella cui compagine vi siano «soggetti “privati” partecipanti [che] non hanno finalità lucrative e/o i capitali privati presenti al loro interno hanno vincolo di destinazione a fini di pubblica utilità, come avviene nel caso di fondazioni, enti morali e più in generale soggetti giuridici la cui esistenza è riconosciuta e approvata con riferimento a specifiche finalità pubbliche». A tal riguardo, nella relazione AIR che accompagna le menzionate linee guida (ivi alla p. 18), l’ANAC ha però precisato che «in assenza di prescrizioni legislative sulla partecipazione di privati al capitale di organismi in house, la partecipazione di privati al capitale dell’organismo controllato impedisca la configurabilità della fattispecie prevista dall’art. 5 del codice». Sempre con riferimento all’inammissibilità della partecipazione di enti privati aventi finalità lato sensu pubblicistiche in organismi in house, cfr. Corte Giust. UE, 19 giugno 2014, causa C-574/12. Più in generale sul vantaggio concorrenziale che conseguirebbero i soci privati allorché li si ammettesse in compagini sociali di enti che ricevono affidamenti diretti dalle pubbliche amministrazioni, cfr. E. Codazzi, Le “nuove” società in house: controllo cd. analogo e assetti organizzativi tra specialità della disciplina e “proporzionalità delle deroghe”, cit., p. 6 s. (spec. alla nota 15, anche per i richiami di giurisprudenza).

([45]) Sebbene non strettamente attinente alle tematiche affrontate in questo scritto, preme rimarcare l’importanza di questo requisito, che riprende i precetti di cui all’art. 16, commi 3° e 3-bis, d.lgs. n. 175 del 2016, e al cui mancato rispetto (a norma dei commi da 4 a 6 della disposizione appena citata) si ricollegano rilevanti conseguenze: (i) sul piano gestorio, posto che il superamento del limite sopra riferito costituisce “grave irregolarità” ai sensi dell’art. 2409 c.c. e dell’art. 15 del medesimo d.lgs. n. 175 del 2016; (ii) sui rapporti contrattuali in essere, atteso che alla società è data facoltà di sanare l’irregolarità sciogliendo i contratti con i terzi o rinunciando agli affidamenti ottenuti dai soci (in quest’ultimo caso, la società potrà continuare la propria attività solamente se questa risulti coerente rispetto ai vincoli previsti dall’art. 4 del richiamato d.lgs., mentre perdono efficacia le clausole statutarie e i patti parasociali diretti a realizzare l’assetto in house). Per una preliminare trattazione su questi temi, cfr. F. Fimmanò-V. Occorsio, Atti e statuti delle società pubbliche alla luce della riforma “corretta”, cit., p. 386 s..

([46]) In primis, la normativa emanata nel quadro dell’art. 3-bis, d.l. 13 agosto 2011, n. 138.

([47]) Il riferimento va ovviamente alla definizione di cui all’art. 2, lett. n), d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175.

([48]) In tal senso, da ultimo, cfr. F. Guerrera, Considerazioni in tema di controllo, controllo congiunto e controllo analogo nella disciplina del TUSP, cit., p. 4 s.; nonché F. Fimmanò-V. Occorsio, op. cit., p. 388.

([49]) Se non sulla scorta di argomenti diversi dall’incidenza dei poteri dei soci sulla gestione della società, per una cui lucida trattazione si rinvia a M. Carlizzi, La direzione unitaria e le società partecipate dagli enti pubblici territoriali, in Riv. dir. comm., 2010, I, p. 1203 s.s., e per una loro sintesi a P. Dal Soglio, sub art. 2497-septies c.c., in Comm. breve al diritto delle società, diretto da A. Maffei Alberti, Milanofiori-Assago, 2017, p. 1676.

([50]) Così, fra le altre, Trib. Torino, 16 febbraio 2015, in ilcaso.it, I, 12218; conformemente in dottrina cfr. P. Montalenti, L’attività di direzione e coordinamento: dottrina, prassi, giurisprudenza, in Giur. Comm., 2016, I, p. 113.

([51]) Cfr. E. Codazzi, Enti pubblici e direzione e coordinamento di società: considerazioni alla luce dell’art. 2497 comma 1, c.c., in Giur. Comm., 2015, I, p. 1046: «il controllo c.d. analogo, pertanto, parrebbe rappresentare una delle molteplici manifestazioni della direzione e coordinamento, che si caratterizza appunto per la particolare intensità dell’ingerenza esercitata dal socio pubblico sulla società c.d. in house». Per un richiamo alle pronunce della magistratura contabile in cui è pressoché data per presupposta la coincidenza fra controllo analogo e attività di direzione e coordinamento, cfr., fra le altre, Corte Conti, sez. contr. Piemonte, 19 gennaio 2012, n. 3.

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