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La tariffa idrica non può conguagliare le “partite pregresse”
di Massimo Greco 21 settembre 2021
Materia: acqua / servizio idrico integrato

La tariffa idrica non può conguagliare le “partite pregresse”

di Massimo Greco

 

 

Della legittimità delle “partite pregresse”, contemplate dagli enti gestori del servizio idrico nelle tariffe richieste all’utenza di riferimento, ci siamo già occupati commentando una sentenza del Giudice di Pace di Enna del 2016. La questione è ritornata d’attualità con la recente ordinanza della Corte di Cassazione n. 17959 del 23/06/2021. Il problema è diffuso come diffusi sono i contenziosi promossi dagli utenti per contestare l’inserimento unilaterale di tali voci di costo in tariffa ad opera degli enti gestori del servizio idrico integrato.

 

Da parte loro, gli enti gestori continuano a sostenere che le “partite pregresse” rappresentano degli scostamenti che trovano copertura nella normativa vigente, nella disciplina dettata nello specifico dall’Autority statale e, spesso, dai deliberati delle rispettive Autorità d’ambito che ne hanno autorizzato il recupero attraverso la tariffa richiesta all’utenza. Alcuni enti gestori, sostenendo che le determinazioni dell’Autority statale costituiscono modifica o integrazione dei singoli regolamenti di servizio, si sono spinte altresì ad affermare che “...gli atti di regolamentazione emanati dall’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico, (AEEGSI) concorrono ad integrare il contratto di utenza”. Ora, mentre non si obietta sul potere d’ingerenza dell’Autority sui singoli regolamenti di servizio, che rimane comunque circoscritta al rapporto pubblicistico tra Autority statale, Autorità d’ambito ed ente gestore, non può non essere contestata la seconda parte, allorquando si pretende d’integrare unilateralmente anche il singolo contratto sottoscritto dagli utenti. Va qui infatti ricordato l’orientamento in materia della giurisprudenza amministrativa secondo cui “E’ vero che la quantificazione di tale tariffa condiziona anche la remunerazione del servizio prestato dal concessionario, ma sarebbe riduttivo ricondurre la contestazione dei criteri individuati ad una controversia sul corrispettivo, involgendo anche posizioni – prima di tutto dei privati utenti del servizio – che nulla hanno a che vedere con gli aspetti di composizione economica tra concedente e concessionario e che sono comunque frutto dell’esercizio di un potere pubblicistico” (TAR Palermo, sent. n. 2835/2016).

 

Peraltro, la posizione di monopolista privato che riveste l’ente gestore del servizio idrico non preclude all’utente di recedere dal contratto per sopravvenuta eccessiva onerosità e ciò a dimostrazione del fatto che la “vincolatività” a cui fanno spesso riferimento gli enti gestori non si può estendere all’utente che liberamente ha sottoscritto un contratto di somministrazione della risorsa idrica di natura corrispettiva e sinallagmatica.

 

Ma facciamo un passo indietro. In generale, il legislatore statale, nel disciplinare la provvista di un servizio pubblico, può escludere o, all’opposto, prevedere una relazione sinallagmatica con il servizio, seppur non in termini di stretta corrispettività, conformando una prestazione patrimoniale obbligatoria come tributo piuttosto che come canone o tariffa, conseguendo da ciò – “indipendentemente dalla qualificazione” della stessa (Corte Cost ex plurimis, sentenza n. 167/2018) – non solo la giurisdizione del giudice tributario, ma anche l’applicazione della disciplina dei tributi a partire dal canone della capacità contributiva previsto dall’art. 53, comma 1 della Costituzione. Al contrario, non può il legislatore qualificare come tributo ciò che in concreto, in ragione della sua regolamentazione, è conformato come canone o tariffa, perché da ciò conseguirebbe un’illegittima deroga al canone generale della giurisdizione del giudice ordinario di cui all’art. 102, primo comma, Cost. (la Corte costituzionale con sentenza n. 64 del 2008 ha infatti affermato che “l’attribuzione alla giurisdizione tributaria di controversie non aventi natura tributaria comporta la violazione del divieto costituzionale di istituire giudici speciali”). E pertanto il legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità in materia di politica economica e fiscale, può anche passare da un sistema basato sulla fiscalità di un contributo ad uno fondato sulla corrispettività di una tariffa o di un canone, com’è avvenuto nell’ipotesi della tariffa idrica disciplinata dalla legge Galli n. 36/94. Quest’ultimo approdo del legislatore si fonda sull’analisi della disciplina della prestazione e mira a discriminare ciò che non risulta inquadrabile nella sua struttura non sinallagmatica, costituendo un mero contributo di scopo. Questo essendo ormai il punto d’arrivo del diritto vivente, deve conseguentemente identificarsi un vero e proprio potere del legislatore nei confronti dei consociati sul presupposto della legittima inclusione dell’utilità che deriva da detta prestazione imposta e del “beneficio” che l’utente finale riceve da tale attività.

 

In ragione di tale qualificazione, applicata al caso che ci occupa, il necessario “beneficio” non è espressione di un rapporto sinallagmatico, ma di una debenza paratributaria che può definirsi “di scopo”, almeno in senso lato, perché destinata ad assicurare il preteso equilibrio economico-gestionale del servizio idrico e la relativa copertura integrale dei costi. E tuttavia, il beneficio che giustifica l’assoggettamento a tale contribuzione non è legato, con nesso sinallagmatico di corrispettività, all’erogazione del servizio idrico, come sarebbe se si trattasse di un canone o di una tariffa, che invece tale nesso sinallagmatico presuppongono; con riferimento proprio ad una prestazione patrimoniale di natura non tributaria la Corte costituzionale con sentenza n. 335 del 2008 ha dichiarato incostituzionale la previsione di debenza della tariffa riferita al servizio di depurazione “anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi”.

 

Ora, ammesso – e comunque non dimostrato dalla maggior parte degli enti gestori del servizio idrico - che la voce di costo riferita alla “partite pregresse” quale conguaglio ex post finalizzato a ripianare le proprie perdite senza operare alcuna valutazione specifica circa l'efficienza e l'efficacia della gestione sia legittimo (atteso che ciò si configurerebbe come una sorta di copertura dei costi a piè di lista, contraria alle normative vigenti ed ai principi di miglioramento dell'efficienza cui si fa riferimento sia nella citata legge Galli - l. n. 36/94 - sia nel Codice Ambientale - d.lgs. n. 152/2006 - verrebbe infatti riconosciuto al gestore un importo senza un chiaro istituto giuridico che ne garantisca la legittimità), il beneficio per l’utente (rectius contribuente?) deve necessariamente sussistere per legittimare la pretesa; esso consiste non solo nella fruizione, ma anche nella fruibilità, comunque concreta e non già meramente astratta, del servizio idrico, che, in ragione del miglioramento che deriva in quota parte del medesimo servizio, assicura la capacità contributiva che giustifica l’imposizione di una prestazione obbligatoria di natura tributaria.

 

Invero, mentre la tariffa è un compenso per un servizio reso a favore di una collettività indeterminata di soggetti considerati uti singuli, la tassa è invece richiesta per un servizio reso ad una collettività indeterminata di soggetti uti cives. In sostanza, la differenza è tra utente e contribuente. Nella tariffa idrica richiesta dal gestore AcquaEnna vi sono voci di costo vicine al sistema di remunerazione su base corrispettiva (consumo acqua ecc...) e voci di costo (come i pretesi conguagli a titolo di “partite pregresse”) più vicine al sistema di remunerazione su base tributaria. La diversa configurazione giuridica della pretesa “a valle” comporta una diversa tipologia di remunerazione del servizio “a monte”. Infatti, mentre la tariffa viene richiesta direttamente all’utente sulla base del rapporto sinallagmatico sotteso al sottoscritto contratto d’utenza, il contributo va invece richiesto alla collettività attraverso la fiscalità generale. La conferma di ciò è arrivata dal legislatore siciliano che, con mirata legge n. 9/2004, rubricata “Equilibrio economico-gestionale piani di ambito delle province di Agrigento e Caltanissetta” si è fatto carico di finanziare “nella fase di prima applicazione del sistema tariffario e per un periodo massimo di 6 anni, a decorrere dalla data di affidamento della gestione dei relativi servizi idrici integrati, la differenza tra la tariffa che consente l’equilibrio economico del piano d’ambito e la tariffa derivante dall’applicazione del metodo normalizzato di cui al decreto ministeriale 1 agosto 1996, entrambe previste nei rispettivi piani d’ambito…...”. Altre Autorità d’ambito, non solo siciliane, hanno invece ritenuto di far ricadere sulla tariffa il finanziamento del citato squilibrio sotto forma di pseudo conguagli, così alimentando la patologica dipendenza del consumatore dall’ente gestore (pubblico o privato) monopolista.

 

Orbene, se appaiono netti i limiti dettati al legislatore dalla citata giurisprudenza costituzionale, a fortiori i medesimi limiti valgono per le Autorità amministrative, a nulla rilevando, pertanto, i periodici tentativi degli enti gestori del servizio di ribaltare sull’Autorità d’ambito e sull’Autority AEEGSI la responsabilità di siffatte pretese. 

 

Ancora, le qui illustrate argomentazioni finiscono inevitabilmente per irrobustire anche un’altra questione, poiché il contratto di somministrazione del servizio idrico, inquadrabile nella previsione di cui all’art. 1559 del c.c., presenta indubbie peculiarità connesse alla natura del bene somministrato (essendo l’acqua un bene pubblico di prima necessità), sia al regime di monopolio in cui la prestazione viene normalmente erogata. Dette peculiarità, peraltro, non possono ritenersi ostative all’applicabilità delle disposizioni di rango primario (in primis quelle del c.c.) che disciplinano, in generale, i contratti a prestazioni corrispettive e dei più generali parametri della buona fede e correttezza che presiedono la disciplina delle obbligazioni (artt. 1175, 1337, 1375 c.c.). Considerato, poi, che le clausole contrattuali costituiscono diretta esecuzione delle norme di rango secondario con cui l’Amministrazione disciplina la materia, è ovvio che anche tali regolamentazioni devono uniformarsi ai principi sopra citati ed al più generale principio di buon andamento dell’azione amministrativa che si traduce, nella specie, nella ragionevolezza e congruità della regolamentazione di settore che promana da parte dell’Autorità d’ambito.

 

In questo contesto argomentativo si colloca la citata Ordinanza della Corte di Cassazione che, sulla questione della legittimità delle pretese “partite pregresse” si è così espressa: “la spettanza delle cd. partite pregresse è definita dall'Autorità ma tale determinazione, adottata nell'esercizio del potere regolatorio in relazione al servizio idrico integrato non può porsi in contrasto con il principio di irretroattività sancito dall'art. 11 dis ). prel. c.c.”. Viene affermato altresì che “Non entrano in gioco criteri contabili di determinazione e d’imputazione della quota annuale dei costi di investimento e dei costi di esercizio né criteri matematici di quantificazione delle componenti tariffarie ma l'attribuzione delle perdite accumulate negli esercizi precedenti al mutamento della disciplina, finalizzato al recupero dei deficit di bilancio pregresso e posta a carico degli utenti in dipendenza di una disposizione di carattere univocamente retroattivo ed a prescindere dalla fruizione del servizio e dal nesso sinallagmatico con alcuna prestazione, sulla base della sola titolarità di utenze attive alla data di entrata in vigore della nuova disciplina in materia tariffaria”. Infine, la Corte, nel fare emergere, ancorchè implicitamente, la natura extra-contrattuale delle “partite pregresse” così conclude: “E' stata allora correttamente esclusa la retroattività della innovazione per contrasto con l'art. 11 disp. prel. .c. rispetto ai periodi in cui i rapporti individuali di utenza avevano già avuto esecuzione, in assenza di accordo delle parti ed in carenza di un potere impositivo perché disposta in palese violazione del principio di autonomia contrattuale di cui all'art. 1322 c.c. secondo cui le parti concorrono a determinare il contenuto del contratto nei soli limiti imposti dalla legge, nonché in evidente violazione del principio di buona fede”.    

 

 

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