HomeSentenzeArticoliLegislazionePrivacyRicercaChi siamo
Gli incentivi al fotovoltaico, il legittimo affidamento e la certezza del diritto. La Corte di Giustizia mette la parola “fine”
di Sandro Manica e Maria del Carmen Jiménez Plaza 8 marzo 2022
Materia: energia / disciplina

Gli incentivi al fotovoltaico, il legittimo affidamento e la certezza del diritto.

La Corte di Giustizia mette la parola “fine”

 

di

Sandro Manica e Maria del Carmen Jiménez Plaza*

 

 

1. La definizione dei confini nell’applicazione dei princìpi del legittimo affidamento e della certezza del diritto ha impegnato, in plurime occasioni, la Corte di Giustizia dell’Unione europea, che sembra ora aver delineato un orientamento consolidato, pervenendo ad approdi chiari, anche se non del tutto condivisibili, come si dirà.

            Il settore, nel quale, di recente, la Corte è stata principalmente chiamata a svolgere la propria attività ermeneutica con riferimento a detti princìpi, è stato quello degli incentivi per il settore fotovoltaico, in particolare con la sentenza resa il 15 aprile 2021, nelle cause riunite C-798/18 e C-799/18[1]. 

Con la predetta pronunzia, la Corte ha sostanzialmente apposto l’ultimo tassello al mosaico del vasto contenzioso, scaturito all’esito della decisione del Legislatore italiano di rimodulare (in peius) gli incentivi riconosciuti (pur se non ancora erogati), ai gestori dei relativi impianti.

In merito, alla Corte era stata sottoposta, dal Giudice amministrativo nazionale di primo grado (TAR del Lazio)[2], un’articolata questione pregiudiziale diretta a dipanare il quesito relativo alla compatibilità della normativa nazionale che ha disposto “la riduzione o il rinvio del pagamento degli incentivi per l’energia prodotta dagli impianti solari fotovoltaici, incentivi precedentemente concessi mediante decisioni amministrative e confermati da apposite convenzioni concluse tra gli operatori di tali impianti e una società pubblica”, con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, con la Carta dell’energia, nonché con la direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, “letta alla luce dei principi della certezza del diritto, della tutela del legittimo affidamento, della leale cooperazione e dell’effetto utile”.

Ora, all’esito del giudizio, la Corte ha innanzitutto confermato il proprio orientamento, secondo il quale le eventuali modifiche, anche penetranti, apportate dal Legislatore ai regimi di incentivazione non si pongono in contrasto con i sopra richiamati princìpi, qualora risulti che un operatore economico prudente ed avveduto avrebbe potuto prevedere che la relativa disciplina ben avrebbe potuto essere adeguata, alla luce dell’evoluzione del quadro di riferimento; sicché, non vi poteva essere alcuna “certezza”, né un qualificato “affidamento” circa il mantenimento, per un determinato periodo, delle medesime misure di agevolazione.

Si intravede quindi un file rouge che lega le precedenti pronunzie in materia[3] e la sentenza de qua, che si incentra sul presupposto dell’indiscussa flessibilità strutturale dei meccanismi incentivanti alla produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile, i quali non sono obbligatori in forza del diritto euro-unitario[4], né tantomeno, allorquando vengano introdotti dal Legislatore nazionale, debbono restare necessariamente immutati[5].

Nell’ottica della Corte, infatti, detti meccanismi costituiscono null’altro che uno (ma non certo l’unico) tra i possibili strumenti attivabili dagli Stati membri per il conseguimento degli obiettivi di promozione delle fonti rinnovabili, perseguiti dall’ordinamento europeo, in quanto tali meramente opzionali e facoltativi[6], la cui istituzione (e modifica) è pertanto rimessa alle determinazioni discrezionali dei Legislatori dei medesimi Stati membri[7]. Sicché, il riconoscimento di un siffatto potere discrezionale comporta la potestà, sia di adottare, sia di modificare o finanche sopprimere, i regimi di sostegno, “purché, in particolare, tali obiettivi siano raggiunti[8].

Ciò posto, la pronunzia, pur muovendosi nel solco di un orientamento già delineato, soggiunge alcune, ulteriori considerazioni, che, pur se calibrate sull’esame della disciplina di settore, presentano interesse ai fini più generali della ricognizione del rapporto tra il potere d’intervento dei pubblici poteri, da una parte, e le tutele del privato (imprenditore), dall’altra, di cui si darà conto di seguito. 

 

2. Per quanto attiene alla disciplina di settore che qui interessa, va tenuto presente che, nel nostro Paese, il sistema di incentivazione degli impianti fotovoltaici è stato oggetto della penetrante ridefinizione, disposta in base all’art. 26 del D.L. 24 giugno 2014, n. 91 (c.d. “decreto Competitività”)[9], con il quale sono state modificate le modalità di erogazione delle tariffe incentivanti, sostituendo il criterio della “produzione effettiva” con quello della “producibilità media annua”, e rimodulando la tariffa incentivante per l’energia prodotta dagli impianti con potenza nominale superiore a 200 kW, “la cui erogazione era prevista, ma non ancora dovuta” in base alle pertinenti convenzioni, stipulate tra gli operatori economici ed il Gestore dei servizi energetici[10].

In sostanza, la citata disposizione ha imposto agli operatori il paesaggio ad un sistema tariffario diverso, imperniato su tre opzioni - tutte svantaggiose per questi ultimi - prima della scadenza delle predette convenzioni[11].

Pertanto, la novella legislativa ha sicuramente determinato “un effetto novativo sugli elementi della durata o dell’importo delle tariffe incentivanti o su entrambi”[12].

Ne è inevitabilmente conseguito un complesso contenzioso, avviato dinanzi al Giudice Amministrativo dagli operatori del settore, dal quale sono poi scaturiti i successivi giudizi, dapprima dinanzi alla Corte costituzionale, e, appunto, in seguito, dinanzi alla Corte di Giustizia; giudizi, questi, in gran parte incentrati sulle medesime questioni giuridiche rilevanti, afferenti essenzialmente il ventilato contrasto della disciplina di rimodulazione dell’incentivo con i princìpi del legittimo affidamento e di certezza del diritto, i quali, come è noto, integrano parametri di legittimità in riferimento sia alla nostra Carta fondamentale, sia al diritto euro-unitario.

Ebbene, non si può non evidenziare che le due Corti sono giunte sostanzialmente ai medesimi esiti, rilevando, entrambe, l’insussistenza di qualsivoglia violazione dei predetti princìpi.

 Da una parte, la Consulta, chiamata a pronunziarsi a seguito dell’ordinanza di rimessione adottata dal TAR Lazio, Sezione III-ter, non ha condiviso i dubbi di costituzionalità formulati dal Tribunale territoriale[13].

Dall’altra - dopo che il medesimo TAR, a seguito della decisione della Corte costituzionale, ha rimesso la questione pregiudiziale di cui sopra all’esame della Corte di Giustizia, ipotizzando un potenziale contrasto “dell’art. 26 d.l. n. 91/2014 con i principi generali del legittimo affidamento e della certezza del diritto, in quanto l’intervento normativo nazionale ha modificato unilateralmente le condizioni giuridiche sulle cui basi le imprese ricorrenti avevano impostato la propria attività economica” - l’iniziativa in sede europea non ha conosciuto miglior sorte, posto che la Corte, come detto, con la richiamata sentenza del 15 aprile 2021, non ha rilevato alcuna violazione del diritto sovranazionale.

In merito, va anzitutto evidenziato che la Corte europea ha in primo luogo confermato l’orientamento, già inaugurato con la precedente sentenza Agrenergy e Fusignano Due (C-180/18, C-286/18 e C-287/18), laddove aveva ritenuto che la modifica in peius, ed eventualmente anche la soppressione, dei regimi di sostegno alla produzione da fonte rinnovabile, in ipotesi disposte dagli Stati membri, non risultano di per sé incompatibili con i principi generali del diritto dell’Unione.

 

In secondo luogo, nel caso di specie, come anticipato, la Corte ha specificamente affrontato il tema della compatibilità della disciplina statale di rimodulazione dell’incentivo con gli artt. 16[14] (Libertà d’impresa) e 17[15] (Diritto di proprietà) della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, nonché con l’art. 10[16] (Promozione, tutela e disciplina degli investimenti) della Carta dell’energia.

 

3. Innanzitutto, in sede di scrutinio circa la conformità della disciplina nazionale con il primo parametro, sopra richiamato (diritto di proprietà ex art. 17 della Carta dei diritti fondamentali), la Corte ha premesso, richiamando la propria, precedente giurisprudenza, che la tutela, riconosciuta da detta previsione, non ha ad oggetto meri “interessi od opportunità di carattere commerciale”, i quali presentano carattere aleatorio – come tale “inerente alla natura stessa delle attività economiche”.

Al contrario, detta tutela concerne i “diritti aventi valore patrimoniale”, intesi quali posizioni giuridiche soggettive acquisite e consolidate, che consentono “l’esercizio autonomo di tali diritti da parte e a favore del suo titolare[17].

Parimenti, si evidenzia che alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, la nozione di «beni» contenuta nell’articolo 1 del protocollo n. 1 della Convenzione europea, “non si limita alla proprietà di beni tangibili”; sicché, “anche taluni altri diritti e interessi che costituiscono elementi patrimoniali possono ritenersi «diritti patrimoniali»”[18], e a determinate condizioni, la nozione di «beni» può coprire i valori patrimoniali, compresi i crediti (v., in tal senso, Corte EDU, 28 settembre 2004, Kopecký c. Slovacchia)”[19].

 

Pertanto, in detta ottica, anche il reddito futuro, secondo la Corte, “può essere considerato come un «bene» che possa beneficiare della tutela di tale articolo”; ciò, peraltro solo a determinate condizioni, ossia: a) “se è stato già percepito”; b) se è stato “oggetto di un credito certo”; c) in presenza di circostanze specifiche che possono fondare, in capo all’interessato, il legittimo affidamento di conseguirne il valore patrimoniale”[20].

Sulla base di dette premesse, nel percorso logico-argomentativo della Corte occorre quindi valutare se gli incentivi alla produzione dell’energia fotovoltaica - assegnati, ma non ancora percepiti[21] - costituiscano o meno un “diritto avente valore patrimoniale”, da cui derivi “una posizione giuridica acquisita[22], tale quindi da poter effettivamente fruire della tutela al diritto di proprietà, offerta dal citato art. 17.  

Ora, dovendo applicare le predette coordinate al caso di specie, la Corte rileva che gli incentivi, confermati dalle convenzioni, stipulate tra il GSE ed i gestori degli impianti fotovoltaici, concluse ad hoc ed individualmente, con la connessa indicazione delle tariffe incentivanti e della durata della loro erogazione, non costituiscono “semplici interessi o opportunità di carattere commerciale”, bensì presentano senz’altro natura patrimoniale.

Peraltro - e qui sta il primo snodo interpretativo dirimente - il riconoscimento degli incentivi in convenzione non integra, secondo la Corte, una posizione giuridica soggettiva sufficientemente consolidata, né un reddito futuro, oggetto di credito certo, come tale “protetto”, nell’alveo del diritto di proprietà, dalla tutela del legittimo affidamento al mantenimento di una posizione giuridica acquisita.

 

Ed in vero, nel caso di specie, l’erogazione (futura) dell’incentivo, pur già prevista negli atti convenzionali, non era ancora maturata, né dovuta. Inoltre, l’intervento legislativo non aveva affatto inciso sulle erogazioni già effettuate, con la conseguenza che la riduzione degli importi, e la modifica delle modalità di erogazione, non avrebbero integrato l’ablazione di un diritto “definitivo”, né l’“espropriazione” di un “bene” già acquisito al patrimonio dei gestori[23].

 

A fronte di una siffatta qualificazione degli incentivi previsti, ma non ancora dovuti, e della posizione dei loro titolari - quale posizione sostanzialmente non “piena” né consolidata - il “legittimo affidamento” al mantenimento di una siffatta situazione (consistente, nel caso, nell’erogazione del sostegno), non potrebbe quindi essere invocato, vieppiù nei confronti di un intervento legislativo che la Corte ritiene “prevedibile” per un operatore economico prudente e avveduto, che avrebbe dovuto essere perfettamente in grado di prevedere, appunto, la possibile evoluzione del settore, con la conseguente, potenziale adozione di provvedimenti idonei a ledere i propri interessi.

 

Pertanto, gli operatori economici non potevano riporre l’affidamento sul mantenimento di uno status quo, che, come detto, può essere modificato nell’esercizio del potere discrezionale, che spetta alle Autorità nazionali. Evento questo, che si è esattamente verificato nel caso di specie, mediante la novella adottata dal Legislatore italiano in punto di incentivi al fotovoltaico; il tutto in una disciplina che, sembra trasparire dall’ampio spazio che la Corte dedica alla ricognizione della disciplina di settore, anche previgente, conteneva già in nuce i presupposti per un’eventuale revisione “peggiorativa” per gli operatori.  

 

Ed in vero, già i decreti ministeriali di attuazione del decreto legislativo n. 387/2003 avevano istituito una tariffa incentivante specifica di importo decrescente, con una durata che consentiva di garantire un equo compenso dei costi d’investimento, fissando contestualmente il limite massimo della potenza elettrica cumulativa di tutti gli impianti, che avrebbero potuto beneficiare dell’incentivo.

 

Parimenti, le disposizioni adottate “a titolo” del successivo decreto legislativo n. 28/2011 erano tali da rendere palese, sin dall’inizio, ad ogni operatore economico prudente ed avveduto che il regime degli incentivi applicabile agli impianti fotovoltaici avrebbe potuto essere “adattato, o addirittura soppresso, dalle autorità nazionali, per tener conto dell’evoluzione di determinate circostanze.

 

4. Con riferimento, poi, alle convenzioni stipulate con il GSE, nemmeno queste ultime sono idonee a far sorgere situazioni giuridiche consolidate, tali da assicurare il mantenimento, in favore degli operatori, di uno status quo ventennale, del tutto immutabile.

 

Difatti, vieppiù nel complessivo quadro, sopra richiamato, in base al quale la modifica del regime delle agevolazioni integrava un’ipotesi ampiamente prevedibile, le convenzioni concluse con riferimento agli impianti entrati in esercizio prima del 31 dicembre 2012 - qualificate dalla Corte costituzionale come “contratti di diritto pubblico facenti seguito a un atto amministrativo” - si limitavano a “prevedere le condizioni pratiche dell’erogazione degli incentivi, assegnati sotto forma di una precedente decisione amministrativa adottata dal GSE”. Mentre per gli incentivi relativi agli impianti entrati in esercizio dopo detta data, essi erano meramente «assegnati», mediante contratti di diritto privato stipulati tra il GSE e i proprietari degli impianti interessati[24]; ed in detti atti era stato espressamente previsto che il GSE si riservava il diritto di modificarne unilateralmente le condizioni, al fine di tener conto dell’evoluzione del quadro normativo di riferimento.

 

Sicché, sembra doversi intendere che detti elementi costituivano un’indicazione sufficientemente chiara per gli operatori economici, nel senso che gli incentivi in questione potevano essere modificati o soppressi. In altre parole, le convenzioni non prevedevano, e nemmeno facevano presumere, alcun diritto all’invariabilità degli incentivi, a favore dei gestori degli impianti.

 

Alla luce di quanto sopra, e venendo alla disposizione indubbiata (art. 26 del decreto-legge n. 91/2014), secondo la Corte essa non ha affatto inciso sugli incentivi già erogati, essendo applicabile unicamente a decorrere dall’entrata in vigore del decreto-legge, e unicamente agli “incentivi previsti, ma non ancora dovuti”, non integrando così una misura retroattiva.

 

Ma se così è, non sussiste, appunto, alcuna posizione giuridica acquisita, consistente nell’invocato “diritto” dei gestori degli impianti di beneficiare degli incentivi in modo immutato per l’intera durata delle convenzioni, con la conseguente insussistenza della tutela garantita dall’articolo 17 della Carta; sicché, la riduzione dell’importo degli incentivi, ovvero la modifica delle modalità di erogazione, disposta dall’articolo 26 del citato decreto-legge, non possono essere assimilate ad un illegittimo pregiudizio del diritto di proprietà, così come riconosciuto dal medesimo articolo 17. E tutto ciò, a prescindere che la sopravvenienza normativa di segno sfavorevole incida su un contratto ad efficacia durevole.

 

5. Per quanto concerne, poi, la presunta violazione della libertà d’impresa sancita dall’art. 16 della Carta dei diritti fondamentali - sub specie di “libertà di esercitare un’attività economica o commerciale… libertà contrattuale e…liberta concorrenza” - la Corte la ritiene parimenti insussistente, rilevando che la disposizione indubbiata non realizza alcuna ingerenza nella libertà contrattuale dei gestori degli impianti, beneficiari degli incentivi.

Nel caso, si tratterebbe di un “contratto-tipo redatto dalla controparte contrattuale” (convenzione con il GSE), con riferimento al quale “la libertà contrattuale consiste, in sostanza, nel decidere se si accettano o meno le condizioni contrattuali[25].

 

Sicché, se si pone mente che detti contratti-tipo contengono un’espressa clausola, che consente al GSE di “tener conto dell’evoluzione del quadro normativo vigente”, sembra di potersi evincere che la Corte abbia in toto aderito, sul punto, alle conclusioni dell’Avvocato generale. Quest’ultimo aveva rilevato che gli operatori si erano vincolati all’osservanza delle “condizioni contrattuali che essi hanno liberamente deciso di accettare al momento della loro adesione a dette condizioni[26], tra le quali il diritto potestativo del GSE di introdurre unilateralmente modifiche alle condizioni contrattuali (ius variandi), in deroga al noto principio, secondo il quale il contratto ha forza di legge tra le parti[27]. Con la conseguenza che, essendo conosciuta, o conoscibile osservando l’ordinaria diligenza, la predetta circostanza - ovvero che il Gestore ben avrebbe potuto modificare le condizioni contrattuali, a seguito di una normativa nazionale di rimodulazione dell’incentivo - risulterebbe confermata l’insussistenza di qualsivoglia vulnus del principio di legittimo affidamento.

 

A quanto risulta, con dette considerazioni la Corte sembra voler ricondurre la fattispecie de qua al fenomeno della c.d. “contrattazione disuguale” o “asimmetrica”, che, come è noto, contraddistingue alcuni tipi di contratti.

 

Sul punto, peraltro, non possono essere sottaciute alcune perplessità, posto che non sembra che le “convenzioni” con il GSE, pur se stipulate sulla base di un “contratto-tipo”, integrino effettivamente atipici contratti di “adesione”; così come appare incontestabile che, nel caso, il Legislatore sia intervenuto direttamente sul regime degli incentivi, esplicando effetti novativi su alcuni elementi essenziali del contratto (durata, importo), che era stato stipulato dagli Operatori economici a condizioni differenti, sulla base delle quali essi avevano impostato e programmato la propria attività economica, per un periodo che sarebbe dovuto restare stabile per un lungo periodo di tempo.

 

Sicché, non pare del tutto esente da rilievi critici la considerazione, che parimenti si rinviene nella pronunzia, secondo la quale la normativa nazionale indubbiata non costituirebbe alcuna restrizione o limitazione della libertà d’impresa.

 

In merito - pur dopo aver evidenziato che detta libertà “comprende anche il diritto di ogni impresa di poter liberamente utilizzare, nei limiti della responsabilità per le proprie azioni, le risorse economiche e finanziarie di cui dispone”, e che “Una restrizione di tale diritto è costituita, in particolare, dall’obbligo di adottare misure che possono rappresentare, per un operatore economico, un costo notevole, avere un impatto considerevole sull’organizzazione delle sue attività o richiedere soluzioni tecniche difficili e complesse (v., in tal senso, sentenza del 27 marzo 2014, UPC Telekabel Wien, C-314/12, EU:C:2014:192, punto 50)” - la Corte soggiunge peraltro che “Tuttavia, nel caso di specie, non risulta che l’articolo 26 del decreto-legge n. 91/2014 abbia ristretto (…)il diritto dei gestori degli impianti fotovoltaici interessati di utilizzare liberamente risorse di cui dispongono, dal momento che le tariffe incentivanti, quali assegnate dagli atti amministrativi e fissate nelle convenzioni concluse tra i gestori stessi e il GSE, non possono essere considerate risorse di tal genere, in quanto, come risulta sostanzialmente(…) si tratta solo di incentivi previsti ma non ancora dovuti, e tali gestori non possono far valere un legittimo affidamento sul fatto che essi beneficeranno di tali incentivi in modo invariato”[28].

 

Sennonché, appare difficilmente contestabile - al di là della “prevedibilità” o meno di eventuali modifiche in peius della disciplina in punto di incentivi - che le misure adottate abbiano prodotto un impatto considerevole sull’esercizio dell’attività d’impresa, la quale, ovviamente, non può che risentire del cambiamento “in corsa” delle regole del gioco, soprattutto se si considera la necessità di adeguata programmazione a lungo termine, che non può prescindere dal previsto flusso di risorse finanziarie, già sostanzialmente “contrattualizzate”.  

 

6. In fine, la Corte ha dedicato alcune, in vero sintetiche, considerazioni alla questione, parimenti sollevata dal Giudice del rinvio, relativa alla compatibilità della disposizione nazionale indubbiata con l’articolo 10 della Carta dell’energia.

 

In merito, il Giudice europeo ha rilevato, innanzitutto, che alla luce dell’articolo 216, paragrafo 2, TFUE, la predetta Carta costituisce un “accordo misto”, che vincola le istituzioni dell’Unione europea e gli Stati membri. Ha quindi soggiunto che, ai sensi dell’art. 10 della medesima Carta, “ciascuna parte contraente incoraggia e crea, conformemente alle disposizioni di tale Carta, condizioni stabili, eque, favorevoli e trasparenti per gli investitori «di altre [p]arti contraenti» che effettuano investimenti nella sua area”.

Sennonché, nel caso di specie, non risulta che uno o più investitori interessati siano “investitori di altre parti contraenti” ai sensi della citata disposizione, ovvero che abbiano dedotto una violazione di tale articolo in tale qualità di “investitore”. Essa, pertanto, non risulta nemmeno applicabile ai procedimenti principali, con la conseguenza che la Corte non è tenuta ad esaminare, nel merito, l’eventuale compatibilità della normativa nazionale con la citata disposizione.

In conclusione, pertanto, il Giudice europeo ha definitivamente statuito che - pur “fatte salve le verifiche che spetta al giudice del rinvio effettuare tenendo conto di tutti gli elementi rilevanti” - “l’articolo 3, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2009/28 e gli articoli 16 e 17 della Carta, letti alla luce dei principi della certezza del diritto e della tutela del legittimo affidamento, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale che prevede la riduzione o il rinvio del pagamento degli incentivi per l’energia prodotta dagli impianti solari fotovoltaici, incentivi precedentemente concessi mediante decisioni amministrative e confermati da apposite convenzioni concluse tra gli operatori di tali impianti e una società pubblica, qualora tale normativa riguardi gli incentivi già previsti, ma non ancora dovuti”.

 

7. Alla luce della decisione assunta dalla Corte di Giustizia, la quale, in sostanza, mette la parola “fine” a questa, articolata, vicenda contenziosa, preme illustrare alcune considerazioni conclusive.  

 

In primo luogo, va premesso che ben si comprendono le esigenze di contenimento della spesa pubblica, che hanno spinto il Legislatore italiano, nel 2014, ad intervenire, estendendo la novella “calmieratrice” anche ai rapporti in corso, una volta raggiunti gli obiettivi nazionali di produzione da fonte rinnovabile, imposti dall’ordinamento europeo. Intervento che, per il vero, risulta ancor più comprensibile, se si pone mente che le politiche incentivanti, sino ad allora realizzate in Italia, si erano rivelate assai “generose”, anche a livello internazionale.

Forse più sorprendente è risultato l’atteggiamento per così dire “condiscendente” serbato dalla Corte di Giustizia nei confronti di una siffatta disciplina, che si è incentrato, sostanzialmente, su due caposaldi argomentativi: la natura in ipotesi “non consolidata” delle posizioni dei gestori, che pure avevano stipulato appositi atti convenzionali, corredati di specifiche pattuizioni circa tempi ed importi dell’incentivo, con la conseguente insussistenza delle lamentate violazioni dei princìpi del legittimo affidamento e certezza del diritto; la natura non “retroattiva” delle previsioni nazionali che sono intervenute in materia, incidendo sulle predette posizioni.

Ora, con riferimento ad entrambe le predette assunzioni qualche perplessità potrebbe essere avanzata. 

In primo luogo, non sembra scontato che una pattuizione, dedotta in specifici atti convenzionali, non sia idonea a radicare “in capo al privato un legittimo affidamento in ordine alla sua conservazione e, quindi, alla sua intangibilità da parti di leggi”[29]; ciò, soprattutto se si pone mente che, nel caso, il regime di sostegno era esattamente diretto a soddisfare aspettative di stabilità, considerato che la durata dell’incentivazione risultava fissata in vent’anni, decorrenti dalla data di entrata in esercizio dell’impianto. Sicché, potrebbe essere sostenuto che l’aspettativa dell’operatore economico si era consolidata proprio al momento dell’entrata in esercizio dell’impianto, rilevante per individuare il fatto costitutivo del diritto alla percezione dei benefici, con la conseguente emersione di una consistenza giuridica che non appare trascurabile, tamquam non esset[30].

 

Inoltre, non pare nemmeno revocabile in dubbio che il Legislatore statale sia intervenuto, dettando norme non solo pro futuro, bensì abbia rimodulato incentivi già contrattualizzati, e non esauriti, incidendo così su di un rapporto negoziale di durata in corso, e condizionando così non solo gli interventi futuri[31], bensì incidendo anche sulle aspettative in essere, nonché sul valore degli investimenti già realizzati.

A fronte di quanto sopra, appare difficile negare che l’intervento abbia presentato caratteri quantomeno riconducibili a quella che la giurisprudenza costituzionale tedesca definisce come “retroattività impropria”; circostanza, questa, che d’altra parte sembra confermata dal diverso tenore che caratterizza, sul punto, la sentenza della Corte, laddove si nega tout court che la norma statale presenti efficacia retroattiva, rispetto alle conclusioni dell’Avvocato generale. Quest’ultimo, sia pure en passant, aveva invece rilevato, con notazione raffinata, che l’intervento legislativo non presenta “efficacia retroattiva in senso proprio, dato che riguarda solo le erogazioni future, e non quelle già effettuate[32]; notazione che, quindi, sembrava riconoscere, appunto, la possibile efficacia retroattiva “impropria” - sub specie di riqualificazione di eventi passati con soli effetti ex nunc - del decreto-legge in parola.

Alcune ulteriori considerazioni possono altresì essere soggiunte con riferimento allo strumento legislativo utilizzato, ossia la decretazione d’urgenza, che non sembra integrare istituto idoneo a tutelare al meglio, con adeguata ponderazione (pur al netto della necessaria, successiva conversione in sede parlamentare), la certezza e la prevedibilità del diritto e, in particolare, la tutela degli “investitori da repentini e inattesi cambiamenti delle condizioni sulla base delle quali gli investimenti sono stati effettuati”[33]. D’altra parte, l’immediata entrata in vigore delle disposizioni così approvate non pare aver consentito agli operatori economici di reimpostare, in tempi certi, le scelte imprenditoriali precedentemente effettuate, in un momento nel quale le stesse si sarebbero rivelate foriere di flussi reddituali positivi[34], né sembra aver apprestato garanzie economiche realmente adeguate a mitigare o bilanciare gli effetti, che la modifica unilaterale e autoritativa dei rapporti contrattuali in essere, disposta dal provvedimento d’urgenza.

In merito, non si può non rilevare che, in altre occasioni - in particolare, in sede di scrutinio di atti normativi europei, immediatamente efficaci - la Corte di Giustizia abbia palesato un atteggiamento assai meno “comprensivo”. Come è stato puntualmente rilevato, “la Corte ha annullato per la violazione del legittimo affidamento e della certezza del diritto dei regolamenti comunitari che, producendo effetti retroattivi, non consentivano agli interessati, per la loro immediata efficacia alla data di pubblicazione, di prendere le opportune scelte organizzative per adeguarsi tempestivamente, considerando, inoltre, che quelle dell’anno di riferimento erano già state realizzate, tenendo conto dell’affidamento nella previgente normativa[35].

Ma tant’è.

In conclusione, quel che rileva è che i dubbi sollevati circa la presunta non conformità della disciplina de qua, tanto alla Costituzione, quanto all’ordinamento euro-unitario, sono stati definitivamente fugati, rispettivamente dalla Consulta e dalla Corte di Giustizia.

La conseguenza è che, indubbiamente, d’ora in poi gli operatori del settore non potranno riporre particolare “affidamento” su qualsivoglia “definitività” e stabilità nel tempo di quanto disposto, di volta in volta, dai rispettivi regimi d’incentivazione, pur se ex lege previsti.

 

*

Sandro Manica, Avvocato, PhD, docente di Diritto dell'Energia presso l'Università degli Studi di Trento

 

Maria del Carmen Jiménez Plaza: Doctora en Derecho Administrativo

 

Il presente contributo, frutto della collaborazione tra i due autori, è da attribuirsi, nello specifico, quanto ai paragrafi 1-3 a Maria del Carmen Jiménez Plaza, e quanto ai paragrafi 4-7 a Sandro Manica.

 



 

[1] Corte di Giustizia europea, Sez. V, 15 aprile 2021, cause riunite C-798/18 (Federazione nazionale delle imprese elettrotecniche ed elettroniche (Anie) e a. contro Ministero dello Sviluppo Economico e Gestore dei servizi energetici (GSE) S.p.A.) e C-799/18 (Athesia Energy e.a.).

[2] TAR Lazio, Sez. III-ter, ordinanza n. 11206 del 28 settembre 2018. Per l’esattezza, con l’ordinanza è stato sottoposto alla Corte il seguente quesito: “Se il diritto dell’Unione europea osti all’applicazione di una disposizione nazionale, come quella di cui all’art. 26, commi 2 e 3, del d.l. n. 91/2014, come convertito dalla legge 116/2014, che riduce ovvero ritarda in modo significativo la corresponsione degli incentivi già concessi per legge e definiti in base ad apposite convenzioni sottoscritte dai produttori di energia elettrica da conversione fotovoltaica con il Gestore dei servizi energetici s.p.a., società pubblica a tal funzione preposta; in particolare se tale disposizione nazionale sia compatibile con i principi generali del diritto dell’Unione europea di legittimo affidamento, di certezza del diritto, di leale collaborazione ed effetto utile; con gli artt. 16 e 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea; con la direttiva n. 2009/28/CE e con la disciplina dei regimi di sostegno ivi prevista; con l’art. 216, par. 2, TFUE, in particolare in rapporto al Trattato sulla Carta europea dell’energia”. Sia consentito rinviare, in merito, a S. Manica, e Maria del Carmen Jiménez Plaza, I principi di certezza del diritto e di legittimo affidamento tra Corte Costituzionale, Giudice amministrativo e Corte di giustizia: Il caso degli incentivi al fotovoltaico, in www.dirittodeiservizipubblici.it.

[3] Sentenza CGUE 11 luglio 2019 (C-180/18, C-286/18 e C- 287/19), Agrenergy/Fusignano Due, p. 47.

[4] La formulazione dell’art. 3.3 della direttiva 2009/28 sul punto è inequivocabile, laddove stabilisce che “gli Stati membri possono, tra l’altro, applicare le seguenti misure: a) regime di sostegno (…)”.

[5] Sentenza CGUE 11 luglio 2019 cit., p. 47. 

[6] Sentenza CGUE 11 luglio 2019 cit., p. 27.

[7] La flessibilità dei meccanismi di sostegno si giustifica agevolmente alla luce del considerando 25 della direttiva 2009/28, laddove si prevede che “Per il corretto funzionamento dei regimi di sostegno nazionali è essenziale che gli Stati membri possano controllare gli effetti e i costi dei rispettivi regimi in funzione dei loro diversi potenziali. Uno strumento importante per raggiungere l’obiettivo fissato dalla presente direttiva consiste nel garantire il corretto funzionamento dei regimi di sostegno nazionali, come previsto dalla direttiva 2001/77/CE, al fine di mantenere la fiducia degli investitori e permettere agli Stati membri di elaborare misure nazionali efficaci per conformarsi al suddetto obiettivo (…)”.

[8] Sentenza CGUE 11 luglio 2019 cit., p. 27.

[9] L’articolo de quo è precisamente rubricato Interventi sulle tariffe incentivanti dell’elettricità prodotta da impianti fotovoltaici.

[10] Cfr. p. 5 delle “Conclusioni” dell’Avvocato Generale Henrik Saugmandsgaard Øe, presentate il 29 ottobre 2020 nelle medesime “cause riunite C-798/18 e C-799/18. Federazione nazionale delle imprese elettrotecniche ed elettroniche (Anie) e a. (C-798/18), Athesia Energy Srl e a. (C-799/18) contro Ministero dello Sviluppo Economico, Gestore dei servizi energetici (GSE) SpA, nei confronti di Elettricità Futura – Unione delle Imprese Elettriche italiane, Confederazione Generale dell’Agricoltura Italina – Confagricoltura”.

[11] Cfr. p. 15, delle citate “Conclusioni” dell’Avvocato Generale.

[12] TAR Lazio, Sez. III-ter, ordinanza n. 11206/2018 cit.

[13] Corte Costituzionale, sentenza 16/2017.  In particolare, la Consulta ha rilevato che “(…) la tutela dell’affidamento non comporta che, nel nostro sistema costituzionale, sia assolutamente interdetto al legislatore di emanare disposizioni le quali modifichino sfavorevolmente la disciplina dei rapporti di durata…Il legislatore del 2014 è intervenuto, infatti, in un contesto congiunturale nel quale – a fronte della remuneratività delle tariffe incentivanti (…) era venuto specularmente in rilievo il crescente peso economico di tali incentivi sui consumatori finali di energia elettrica (…). Ed ha operato, con logica perequativa, al dichiarato fine di «favorire una migliore sostenibilità nella politica di supporto alle energie rinnovabili». Per tanto, la norma “risponde ad un interesse pubblico (…) volto a coniugare la politica di supporto alla produzione di energia da fonte rinnovabile con la maggiore sostenibilità dei costi correlativi a carico degli utenti finali dell’energia elettrica”. Peraltro, le specifiche modalità di attuazione della rimodulazione delle tariffe sono tali da garantire agli operatori l’equa remunerazione dell’investimento”.

Con particolare riferimento alla prospettata violazione del principio di legittimo affidamento, la Corte ha evidenziato che, se è pur “vero che, nel contesto di tale complessivo quadro normativo, l’introduzione del regime di sostegno delle energie rinnovabili si presenta assistito da caratteristiche di stabilità a lungo termine per rispondere all’esigenza di creare certezza per gli investitori (…)”, è altrettanto vero che “La garanzia di costanza dell’incentivo per tutto il periodo di diritto non implica però (…) che la correlativa misura debba rimanere, per venti anni, immutata e del tutto impermeabile alle variazioni proprie dei rapporti di durata…nella sequenza evolutiva della normativa di settore non mancano, del resto, indicazioni di segno contrario alla pretesa consolidazione di un “diritto quesito” dei fruitori dell’incentivo a conservarne immutata la misura originaria per l’intero ventennio di convenuta durata del rapporto”. Di conseguenza, un operatore economico prudente e accorto “avrebbe potuto tener conto della possibile evoluzione normativa, considerate le caratteristiche di temporaneità e mutevolezza dei regimi di sostegno”.

[14] È riconosciuta la libertà d’impresa, conformemente al diritto dell’Unione e alle legislazioni e prassi nazionali” (art. 16, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea).

[15]“Ogni persona ha il diritto di godere della proprietà dei beni che ha acquisito legalmente, di usarli, di disporne e di lasciarli in eredità. Nessuna persona può essere privata della proprietà se non per causa di pubblico interesse, nei casi e nei modi previsti dalla legge e contro il pagamento in tempo utile di una giusta indennità per la perdita della stessa. L’uso dei beni può essere regolato dalla legge nei limiti imposti dall’interesse generale” (art. 17, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea).

[16] “Ciascuna Parte contraente, in conformità al disposto del presente trattato, incoraggia e crea condizioni stabili, eque, favorevoli e trasparenti per gli investitori di altre Parti contraenti che effettuano investimenti nella sua area. Queste condizioni comprendono l’impegno ad accordare in ogni occasione agli investimenti di investitori di altre Parti contraenti un trattamento giusto ed equo. Gli investimenti godono inoltre di una piena tutela e sicurezza e nessuna Parte contraente può in alcun modo pregiudicare con misure ingiustificate e discriminatorie la gestione, il mantenimento, l’impiego, il godimento o l’alienazione degli stessi (...)”(art. 10, Carta dell’energia).

[17] Sentenza CGUE 15 aprile 2021 cit., p. 33; cfr. sentenze del 22 gennaio 2013, Sky Österreich, e del 21 maggio 2019, Commissione/Ungheria (Usufrutti su terreni agricoli).

[18] Sentenza CGUE 15 aprile 2021 cit., p. 35 (C-798/18 e C-799/18).

[19] Sentenza CGUE 15 aprile 2021 cit. p. 36. D’altra parte, come parimenti rilevato dall’Avvocato generale nelle proprie “conclusioni”, “in taluni casi, anche legittime aspettative alla futura concretizzazione di pretese di ordine patrimoniale possono ricadere nella tutela di cui all’articolo 1 del protocollo addizionale n. 1 alla CEDU”.

[20] Sentenza CGUE 15 settembre 2015, Causa C-398/13 P Inuit Tapiriit Kanatami e a./Commissione, p. 61.

[21] Sentenza CGUE 15 aprile 2021 (C-798/18 e C-799/18), p. 34.

[22] Sentenza CGUE 15 aprile 2021, p. 33.

[23] Cfr. le Conclusioni dell’Avvocato Generale cit., p. 48, laddove si rileva che “Nella fattispecie, mi sembra che il diritto all’erogazione futura degli incentivi previsti dalle convenzioni stipulate tra i gestori di impianti fotovoltaici e il GSE non possa essere considerato sufficientemente definitivo…al punto che la riduzione degli importi di tali incentivi e la modifica delle relative modalità di erogazione corrispondano all’espropriazione di un “bene” che sia già acquisito al patrimonio di tali gestori”.

[24] Sentenza CGUE 15 aprile 2021, p. 50.

[25] Cfr. p. 70, Conclusioni dell’Avvocato Generale cit.

[26] Cfr. p. 73. Conclusioni dell’Avvocato Generale, cit.

[27] F. DI MARZIO, Ius variandi e nuovo diritto dei contratti, in www.rivistadga.it, n° 1 -2016.

[28] Sentenza CGUE 15 aprile 2021 cit., p. 64.

[29]F.F. PAGANO, Disposizioni di natura incentivante e meritevolezza dell’affidamento ingenerato dal legislatore (Osservazioni a margine di Corte Costituzionale n. 108 del 2016), in Rivista AIC, n° 2/2017, p. 3

[30] Ordinanza TAR Lazio, Sez. III-ter, n. 14002/2014. Con riferimento alla fondamentale rilevanza, nel nostro ordinamento giuridico, della sicurezza e certezza del diritto, cfr. R. BIN., Il diritto alla sicurezza giuridica come diritto fondamentale, in Federalismi.it., n. 17/2028, p. 2, laddove è stato rilevato che sicurezza e certezza del diritto sono “almeno nelle nostre coordinate storico-culturali, sinonimo di diritto -o per dirla con Bobbio (…) sono “un elemento intrinseco del diritto”. Il diritto o è certo e prevedibile o non è”.

[31] G. GRASSO, L’affidamento quale principio generale del diritto, in https://www.altalex.com.

[32] Conclusioni dell’Avvocato Generale cit., p. 24.

[33] Spalma-incentivi, il Wall Street Journal bacchetta Renzi…e gli avvocati si fregano le mani, in https://www.qualenergia.it/articoli/20140620-spalma-incentivi-il-wall-street-journal-bacchetta-renzi-e-gli-avvocati-si-fregano-le-mani.

[34] Ordinanza TAR Lazio, Sez. Terza-Ter, n. 14002/2014.

[35] G. GRASSO, L’affidamento quale principio generale del diritto, cit.

HomeSentenzeArticoliLegislazioneLinksRicercaScrivici