HomeSentenzeArticoliLegislazionePrivacyRicercaChi siamo
Nota alla sentenza della Corte Costituzionale del 1 febbraio 2006, n. 29.
di Adriana Caroselli 3 febbraio 2006
 

Nota alla sentenza della Corte Costituzionale del 1 febbraio 2006.

 

La Consulta torna nuovamente sull’impianto normativo in tema di gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica contenuto nell’art. 113 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n.267 (1), seppure, questa volta, in via indiretta, tramite lo scrutinio delle norme contenute nella legge della Regione Abruzzo n.23 del 5 agosto 2004 (Norme sui servizi pubblici locali a rilevanza economica).

La sentenza è particolarmente interessante, in quanto chiarisce l’ampiezza della competenza legislativa di Stato e Regioni in materia, alla luce delle previsioni dell’art.117 della Costituzione, così come modificato dalla L.Cost. 18 ottobre 2001, n.3.

Nell’agosto del 2004 la Regione Abruzzo approvava una legge contenente norme sui servizi pubblici locali, regolante, in particolare, il servizio di gestione dei rifiuti urbani, il servizio idrico integrato, nonché i servizi di trasporto pubblico locale, servizi tutti qualificati di “rilevanza economica”.

Il successivo 21 ottobre il Governo adiva la Corte Costituzionale lamentando l’illegittimità costituzionale della citata legge regionale. In particolare, il Governo ne impugnava gli artt.4, co.4, e 7, co.1, lett.b) e comma 4, lettere b), d), f) e g), per violazione degli artt.3 e 117, comma primo – anche in relazione agli artt. 52 e 66 del Trattato (ora articoli da 43 a 55) -, secondo comma, lettere e), l), p), nonché terzo comma, della Costituzione.

Si costituiva in giudizio la Regione Abruzzo, di cui la Consulta dichiarava, però, l’inammissibilità a causa dell’erronea riproduzione, nella procura alle liti, dell’esatta indicazione del numero della legge regionale impugnata.

All’esito del giudizio, sono dichiarate incostituzionali le lettere b) e g) dell’art. 7, comma 4, della medesima legge regionale.

Nel procedere allo scrutinio delle varie norme regionali impugnate, la Consulta effettua una ricostruzione del quadro normativo interessante la gestione dei servizi pubblici locali, così come risulta a seguito dei molteplici interventi nomativi succedutisi negli ultimi anni (2), nonché dell’incidenza della sentenza della Corte Costituzionale del luglio del 2004 (3).

Dall’esame dell’art.113 D.Lgs. 267/2000 vengono tratti alcuni principi generali :

- la proprietà pubblica delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali funzionali all’esercizio del servizio pubblico (art. 113, comma 13),

- il rinvio alle discipline di settore, a cui è rimessa l’individuazione dei casi in cui l’attività di gestione dei suddetti beni può essere separata dall’erogazione del servizio (art. 113, comma 3); nel qual caso, per la relativa gestione gli enti locali si avvalgono, con affidamento diretto, di società proprietarie delle reti, a capitale interamente pubblico costituite allo scopo, oppure, mediante procedure di evidenza pubblica, di imprese idonee (art. 113, commi 13 e 4),

- l’affidamento dell’erogazione del servizio e del conferimento della relativa titolarità secondo le forme gestionali indicate nell’art.113, co.5,

- il divieto per le società che in Italia o all'estero gestiscono a qualsiasi titolo servizi pubblici locali in virtù di un affidamento diretto, di una procedura non ad evidenza pubblica o a seguito dei relativi rinnovi, nonché per le società controllate o collegate alle medesime, ovvero per i soggetti titolari della gestione delle reti (quando sia disgiunta dall'erogazione del servizio) di partecipare alle gare ad evidenza pubblica per l'affidamento della gestione del servizio pubblico (art. 113, comma 6);

- l’entrata in vigore del suindicato divieto, fissato a partire dal 1° gennaio 2007, a meno che non si tratti «dell'espletamento delle prime gare aventi ad oggetto i servizi forniti dalle società partecipanti alla gara stessa» (comma 15-quater, aggiunto all'art. 113 dall'art. 4, co. 234, della legge n. 350/2003).

Secondo la Corte, tali principi costituiscono dei limiti per l’esercizio della potestà legislativa regionale.

Infatti, come chiarito nella sentenza n.272/2004, l’art.113 costituisce “una norma-principio della materia, alla cui luce è possibile interpretare il complesso delle disposizioni in esame, nonché il rapporto con le altre normative di settore, nel senso cioè che il titolo di legittimazione dell'intervento statale in oggetto è fondato sulla tutela della concorrenza, di cui all'art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, e che la disciplina stessa contiene un quadro di principi nei confronti di regolazioni settoriali di fonte regionale. L'accoglimento di questa interpretazione comporta, da un lato, che l'indicato titolo di legittimazione statale è riferibile solo alle disposizioni di carattere generale che disciplinano le modalità di gestione e l'affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica e dall'altro lato che solo le predette disposizioni non possono essere derogate da norme regionali”.

Quindi, “alla potestà legislativa esclusiva dello Stato nella materia <tutela della concorrenza>, devono essere ricondotte le sole disposizioni statali di principio contenute nell'art. 113 del D.Lgs. n. 267 del 2000, in quanto, in via generale, la materia dei servizi pubblici locali appartiene alla competenza residuale delle Regioni.

Con il primo motivo di censura, il Governo richiede che venga dichiarata l’illegittimità costituzionale della norma regionale che stabilisce che le società a capitale interamente pubblico – a cui gli enti locali abbiano conferito la proprietà dei beni funzionali all’esercizio del servizio - non sono ammesse a partecipare alle gare per la scelta del gestore del servizio, ovvero per la scelta del socio privato delle società a capitale misto.

La questione viene giudicata non fondata, in quanto, nel silenzio dell’art.113, si deve ritenere rimessa alla discrezionalità della regione la scelta di introdurre nel proprio ordinamento tale divieto, che, peraltro, costituisce un’espressione del principio di separazione tra soggetti erogatori e soggetti titolari dei beni.

Con il secondo motivo, la Corte esamina l'art. 7, comma 4, lettera b), della legge regionale, a mente del quale viene interdetto alle società a capitale interamente pubblico, già affidatarie dirette della gestione, di partecipare alle gare per la scelta del soggetto cui conferire la stessa. La norma riproduce quanto già disposto nell’art.113, co.6, ma omette la previsione introdotta dal co.15 quater, secondo cui il divieto decorre dal 1° gennaio 2007.

Secondo la Corte, l’omessa introduzione di un analogo regime transitorio nella legge regionale, che definisca le modalità temporali di efficacia del divieto in esame, è idonea a violare il parametro costituzionale dell’art.117, co.2, lett.e), della Costituzione.

Infatti, come già osservato nella sentenza del luglio 2004, la previsione di un regime transitorio persegue lo scopo di salvaguardare le esigenze della concorrenza, in quanto consente un complessivo riequilibro ed un progressivo adeguamento del mercato.

La norma è, quindi, dichiarata incostituzionale. L’ulteriore profilo d’illegittimità costituzionale prospettato dal Governo e relativo all’art.3 della Costituzione è, quindi, dichiarato assorbito.

Con il terzo motivo, il Presidente del Consiglio lamenta l’illegittimità costituzionale dell’art.7, co.1, lett.b), della legge regionale, laddove è previsto che il socio privato della società mista, affidataria della gestione del servizio,  debba possedere una partecipazione azionaria di almeno il 40%.

Secondo la Consulta, la norma è legittima e non viola la competenza statale riguardo alla determinazione dei principi fondamentali per il coordinamento della finanza pubblica (di cui all’art.117, co.3, Cost.), né la competenza esclusiva statale in materia della “tutela della concorrenza”.

Infatti, anche in tal caso, la mancata previsione nell’art.113 della consistenza del capitale privato “consente al legislatore regionale, nell’esercizio della sua discrezionalità, di stabilire quote minimali di partecipazione”. Peraltro, osserva la Corte, la previsione del limite evita l’esistenza di partecipazioni minime o simboliche nella società, che possano risolversi in un’elusione delle modalità di conferimento della gestione del servizio.

Ulteriore questione di legittimità costituzionale sollevata dal Governo attiene all’art.7, co.4, lett.d), della legge regionale, a mente della quale è vietato alle società a capitale interamente pubblico, affidatarie dirette della gestione del servizio pubblico, di conferire incarichi di qualsiasi genere a persone e/società legate a vario titolo con l’ente/enti titolari del capitale sociale. Secondo il Governo, la norma integra un’invasione della competenza esclusiva statale nella materia “ordinamento civile” e, vieppiù, contrasta con i principi di libertà di stabilimento e libera prestazione dei servizi previsti dal Trattato, con conseguente violazione dell’art.117, co.1, della Costituzione.

Anche tale questione è giudicata non fondata dalla Corte.

Si ritiene in proposito che la paventata nullità del contratto d’opera professionale per trasgressione del divieto costituisce una mera eventualità, il cui accertamento è rimesso alla competente autorità giudiziaria, mentre la previsione non riguarda il professionista, ma la società su cui sono destinate a ricadere le conseguenze del divieto. Il profilo relativo al contrasto con i principi del Trattato è ritenuto, invece, sguarnito di elementi minimi argomentativi.

La norma regionale, in realtà, osserva la Consulta, mira ad evitare potenziali situazioni di conflitto d’interessi tra controllore e controllato.

Con successiva censura la Corte è chiamata a pronunciarsi sulla norma regionale (art.7, co.4, lett.f) che impone alle società interamente pubbliche, affidatarie dirette del servizio, il rispetto delle procedure di evidenza pubblica imposte agli enti locali per l’instaurazione dei rapporti di lavoro. Secondo il giudice costituzionale la norma è legittima e non invade la competenza esclusiva statale nella materia dell’ordinamento civile.

La motivazione della Corte è interessante in quanto rivela la particolare natura delle società a totale partecipazione pubblica.

Osserva, infatti, il giudice che la norma regionale non deve intendersi quale illegittima apposizione di un limite alla capacità giuridica delle persone giuridiche private, ma applicazione del principio costituzionale  di imparzialità e buon andamento (di cui all’art.97 Cost.) “rispetto ad una società che, per essere a capitale interamente pubblico, ancorché formalmente privata, può essere assimilata, in relazione al regime giuridico, ad enti pubblici”. Nel merito la Corte richiama la propria giurisprudenza (4) sulla legittimità della soggezione al controllo della Corte dei conti degli enti pubblici trasformati in società per azioni a totale capitale pubblico.

Infine, la Consulta dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art.7, co.4, lett.g), della legge regionale che prevede l’ineleggibilità a sindaco, presidente della Provincia, consigliere comunale, provinciale e circoscrizionale dei Comuni e delle Province titolari del capitale sociale delle società affidatarie della gestione del servizio pubblico, per i legali rappresentanti ed i componenti degli organi esecutivi delle società medesime.

La norma, sebbene in parte coincidente con la disciplina statale (5), è ritenuta un’indebita invasione della competenza legislativa esclusiva dello Stato, riconosciuta dall’art.117, co.2, lett.p), della Costituzione (6).

 

Note:

 

( 1) Il riferimento è alla sentenza della Corte Costituzionale n.272 del 27 luglio 2004.

(2) In particolare, la Corte richiama: l’art.35 L. 28 dicembre 2001, n.448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2002), l’art.4, co.1, D.L. 30 settembre 2003, n.269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2003, n. 326, nonché l'art. 4, comma 234, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004).

(3) Corte Costituzionale,  sent. 27 luglio 2004, n.272.

(4) Corte Costituzionale, sentenza 466/1993.

(5) Cfr. artt.60, 61 e 63 D.Lgs. 267/2000.

(6) In materia di “organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane”.

 

Sentenza: Corte Costituzionale, 1/2/2006 n. 29
Sull'illegittimità costituzionale dell'art. 4, c. 4, lettere b) e g) della l.R. Abruzzo n. 23/2004 sui servizi pubblici a rilevanza economica.
 Nota alla sentenza della Corte Costituzionale del 1 febbraio 2006, n. 29. di Adriana Caroselli

HomeSentenzeArticoliLegislazioneLinksRicercaScrivici