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IL REQUISITO DEL CONTROLLO ANALOGO NEGLI AFFIDAMENTI IN HOUSE. RILEVANZA O INDIFFERENZA DEL TIPO SOCIETARIO? (1)
(Commento alla sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, 30/8/2006, n. 5072)
1. La nozione di servizio a rilevanza economica.
La prima parte della decisione in commento conferma un orientamento che appare oramai consolidato in giurisprudenza in ordine alla qualificazione del servizio a rilevanza economica e alla differenza con quello che può essere ritenuto privo di tale caratteristica. In particolare, il Consiglio di Stato boccia la delibera del Comune di Arzachena, la quale aveva fondato un affidamento in house di servizi alla persona (gestione comunità alloggio, assistenza domiciliare, centro gestione anziani) sulla base dell’art. 113 bis del d. lgs 18 agosto 2000, n. 267, dichiarato costituzionalmente illegittimo con la nota sentenza n. 272 del 2004 (2).
Rileva il Supremo Giudice della Giustizia amministrativa: a) il Comune avrebbe dovuto verificare la permanenza dei presupposti, in fatto e in diritto, della delibera di costituzione della società pubblica cui affidare direttamente tali servizi, alla luce dell’intervento della Giudice delle leggi; b) il servizio pubblico locale oggetto dell’affidamento in house appariva, comunque, sfornito delle caratteristiche proprie dei servizi privi di rilevanza economica, chiaramente individuati dalla Corte costituzionale nella decisione citata n. 272 del 2004; c) nella fattispecie, l’affidamento diretto non era conforme con i principi che consentono la deroga alla concorrenza, in quanto l’ente locale non esercitava sulla società partecipata un controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi.
In merito alla parte della motivazione relativa alla qualificazione del servizio a rilevanza economica, il Giudice amministrativo conferma che occorre procedere di volta in volta ad una verifica in astratto fondata su una valutazione di potenziale redditività del servizio, al fine di accertare la presenza o meno di aspetti lucrativi nell’attività da affidare, i quali possono essere dedotti anche dalle modalità di selezione del contraente già adottate dall’ente locale per affidare il medesimo servizio prima della scelta di gestirlo in house, in quanto rappresenta un indice inequivocabile della vocazione economica di un servizio il fatto che il medesimo può essere messo in gara e che la scelta dei contraenti avvenga sulla scorta di meccanismi concorrenziali.
A nulla rileva, come più volte confermato dalla giurisprudenza, il fatto che l’ente locale decida di accollarsi, in parte o in toto, i costi del servizio mediante finanziamento pubblico, in quanto ciò che conta ai nostri fini è che la gestione del servizio possa generare un profitto e, quindi, attrarre soggetti pubblici e privati posti in posizione di competizione (3). Appare, pertanto, superato l’indirizzo dottrinario che fonda tale qualificazione sulla base della scelta organizzativa effettuata dal Comune di coprire con fondi pubblici i costi del servizio (4).
D’altronde, la Commissione Europea, nel “Libro Verde sui servizi di interesse generale”, richiamato dalla giurisprudenza costituzionale e amministrativa, evidenzia che la nozione in esame “ha carattere dinamico ed evolutivo”, per cui essa va ricostruita dall’interprete senza che sia possibile stilare un elenco di servizi in possesso dei requisiti suddetti.
La decisione in commento evidenzia, altresì, un elemento di valutazione della rilevanza economica fondato sulla “considerazione globale dell’attività posta in essere dalla società affidataria”. In sostanza, secondo il Consiglio di Stato, l’interprete deve tener conto “dell’interesse economico globalmente perseguito a livello societario” attraverso l’esame delle attività complessivamente realizzate dalla società pubblica, senza limitare la propria indagine sulla natura del singolo servizio oggetto di impugnativa (5).
Pur senza ignorare gli aspetti positivi dell’argomentazione appena riportata, consistenti nell’opportunità di considerare la società pubblica nel complesso delle sue attività, che dovrebbe condurre a conseguenti coerenti anche in ordine ai problemi di pubblicizzazione dell’attività e di applicazione della normativa pubblicistica relativamente a singoli servizi con residuali profili di interesse pubblico, ma svolti da soggetti imprenditoriali che nel complesso perseguono il fine di lucro, non appare felice in ordine alla questione controversa. Infatti, non si comprende agevolmente come un elemento interno al soggetto affidatario possa condizionare la qualificazione del servizio gestito in termini di economicità e meno, qualificazione che, sulla scorta di quanto sopra riportato, dipende prevalentemente dall’esistenza di un mercato concorrenziale, il quale è, a sua volta, legato alla capacità e alle caratteristiche del servizio di produrre un profitto.
2.1 L’affidamento in house dei servizi pubblici e degli appalti alle società partecipate dagli enti locali .Il requisito del controllo analogo.
La questione degli affidamenti diretti di servizi pubblici da parte delle pubbliche amministrazione alle società da essi partecipate – cd. in house providing - è stata sottoposta più volte all’attenzione della Corte di Giustizia della Comunità Europea, la quale, con la nota sentenza “Teckal” (6), ha tracciato i confini della compatibilità degli affidamenti diretti con il rispetto del principio della concorrenza, individuati nella necessità che la società pubblica affidataria non possa configurarsi come soggetto “terzo” e faccia parte dell’organizzazione dell’Amministrazione aggiudicatrice, mancando in questa ipotesi i presupposti per l’applicabilità della normativa a tutela della concorrenza.
Secondo l’impostazione della Corte Ce, pertanto, non si può parlare di appalto se il rapporto giuridico intercorre tra due soggetti (ente pubblico socio affidante e società pubblica partecipata affidataria del servizio ) solo formalmente distinti e configurabili come “un’unica persona giuridica in senso sostanziale” (7), con conseguente inapplicabilità della normativa comunitaria e nazionale sull’evidenza pubblica.
Nella citata decisione “Teckal” la Corte ritiene potersi parlare di “stessa” Amministrazione “solo nel caso in cui, nel contempo, l’ente locale eserciti sulla persona di cui trattasi un controllo analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi e questa persona realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o con gli enti locali che la controllano”, definizione, com’è noto, recepita dal legislatore nazionale nell’art. 113 del d. lgs 18 agosto 2000, n. 267.
L’elemento centrale della fattispecie è, pertanto, rappresentato dal requisito del “controllo analogo”, individuato tradizionalmente nel “rapporto equivalente, ai fini degli effetti pratici, ad una relazione di subordinazione gerarchica”, che si verifica “quando sussiste un controllo gestionale e finanziario stringente dell’ente pubblico sull’ente societario” (8).
La giurisprudenza amministrativa, da parte sua, sulla scia di quella comunitaria, ha nel passato tollerato il fenomeno in esame (9) ed ha definito il rapporto tra società ed ente pubblico in termini di “ordinaria ripartizione interna ad uno stesso sistema amministrativo di funzioni e di servizi” (10), di “rapporto riconducibile alla delegazione interorganica”, di “soggetti di un unico plesso amministrativo” (11), di “prolungamento amministrativo”, di “proiezione amministrativa” o di “gestione diretta” (12), definendo la società in house “ente strumentale del Comune”.
Il Giudice amministrativo ha, talvolta, legittimato l’affidamento diretto a favore di società pubbliche nelle quali l’ente pubblico affidante era proprietario di una partecipazione esigua (13) ed è, comunque, dell’opinione che il capitale pubblico vada riferito all’insieme dei soggetti pubblici proprietari e non al singolo ente (14).
In altri casi il Giudice degli interessi legittimi ha ritenuto soddisfatto il requisito in esame nelle ipotesi in cui nello statuto societario fosse prevista la nomina di un consigliere di amministrazione da parte degli enti (anche con partecipazione minoritaria) e la istituzione di un “comitato di gestione” che consenta la piena partecipazione alla vita sociale (15) o attraverso la previsione di una “Assemblea di coordinamento intercomunale” costituita dai legali rappresentanti degli enti locali proprietari, con diritto di voto pari alla quota di partecipazione (16).
Infine i Giudici di palazzo Spada hanno vagliato positivamente un caso in cui un ente locale possedeva, per statuto, il 51% del capitale sociale, la prevalenza del capitale pubblico doveva permanere per tutta la durata della società e l’ente locale rivestiva una effettiva posizione dominante per l’assenso riservatogli in caso di trasferimento di azioni da parte di altri soci – con il conseguente controllo sull’assemblea -, nonché per la maggioranza riservatagli in sede di nomina e reintegrazione degli amministratori (17).
La dottrina ha evidenziato i punti critici del fenomeno, rilevando la tendenza ad un abuso dello strumento degli affidamenti in house (in particolare in ordine ai casi di partecipazioni minime) ed ha richiesto la previsione nello statuto o nei patti parasociali di effettivi poteri decisionali, mediante forme di approvazione da parte degli enti proprietari degli atti più importanti della vita societaria, nonché attraverso la presenza di propri rappresentanti nel consiglio di amministrazione o nel collegio sindacale e l’inserimento nello statuto di forme di consultazione periodica tra gli enti locali e gli organi societari o poteri ispettivi (18) .
2.2 Il superamento della società mista nella giurisprudenza della Corte di Giustizia della Comunità Europea e nella giurisprudenza nazionale successiva. Profili critici.
Negli ultimi tempi, il Giudice comunitario ha messo in crisi l’utilizzo della società mista, partecipata da soggetti pubblici e privati.
Con una prima decisione, infatti, la Corte di Giustizia CE ha escluso la possibilità di derogare alla normativa a tutela della concorrenza nelle ipotesi di affidamenti di servizi a società miste, caratterizzate dalla presenza di un socio privato (19), giungendo a questa discutibile conclusione in virtù della convinzione che “qualunque investimento di capitale privato in un’impresa obbedisce a considerazioni proprie degli interessi privati”, ritenuti incompatibili con l’interesse pubblico, che rappresenta la guida per i soggetti pubblici e deve caratterizzare il rapporto tra la p.a. e i suoi servizi (20).
La Corte Ce ritiene, in sostanza, che la partecipazione, anche minoritaria, al capitale della società di un soggetto privato impedisca all’ente di esercitare sulla società quel controllo stringente e penetrante che consente la deroga al principio dell’evidenza pubblica nella scelta del contraente, posto anche a tutela della concorrenza, in quanto la presenza di soggetti di diritto privato impedirebbe alla società pubblica di essere considerata “una struttura di gestione <<interna>> di un servizio pubblico nell’ambito dell’ente pubblico che la detiene" (21) .
A ben vedere, tuttavia, le argomentazioni sulle quali si fonda il nuovo orientamento del Giudice comunitario appaiono quantomeno “opinabili” (22), anche se la dottrina sembra aver accolto favorevolmente questa impostazione restrittiva (23) .
In particolare, suscita qualche perplessità che l’interesse del privato debba essere considerato aprioristicamente e necessariamente incompatibile con l’interesse pubblico che guida l’ente locale, il quale può utilizzare lo strumento in esame anche per perseguire finalità di lucro, assolutamente coerenti con lo scopo finale dell’azione amministrativa, in un contesto di scarsità di risorse e di riduzione progressiva dei trasferimenti nazionali e regionali (24).
D’altronde questo orientamento contrario all’utilizzo della società mista non appare affatto consolidato nella giurisprudenza amministrativa e tra gli interpreti comunitari (25), in quanto, anche di recente, affidamenti diretti a società miste hanno superato agevolmente il vaglio di legittimità, almeno sotto questo profilo(26) .
Non sembra, pertanto, che possano realmente concretizzarsi i pericoli paventati dall’orientamento citato, almeno nell’ipotesi in cui il privato si trovi in una posizione di minoranza e l’ente pubblico si salvaguardi, con gli strumenti societari, dai pericoli di perdita della posizione di controllo e di direzione derivante dal possesso del pacchetto di maggioranza.
Per quanto attiene all’argomentazione della Corte Ce fondata sul pregiudizio all’obiettivo di una concorrenza libera e non falsata, può obiettarsi che il socio privato deve essere scelto con procedure di evidenza pubblica e, comunque, la procedura deve essere rinnovata alla scadenza del periodo di affidamento del servizio (27).
La conseguenza dell’orientamento oggetto di critica, evidenziata efficacemente dalla dottrina (28), sarà la fine dell’utilizzo dello strumento societario, con la conseguente perdita dell’apporto del know how e delle capacità imprenditoriali dei soggetti privati, caratteristiche che avevano ispirato la scelta legislativa favorevole alla diffusione del modello di partenariato pubblico/privato, in quanto l’ente pubblico non potrà più aprirsi ai privati a causa della conseguente perdita della possibilità di affidare direttamente il servizio (senza considerare i rischi di fallimento di una operazione di costituzione di una società mista, con i conseguenti riflessi in termini di responsabilità contabile) ed il privato non avrà alcun interesse a partecipare ad una società pubblica, dominata dalle logiche politiche.
Con una successiva sentenza, citata espressamente nella decisione in commento, la Corte di Giustizia CE ha affermato che la società pubblica che volesse godere di affidamenti in house deve essere soggetta “ad un controllo che consente all’autorità pubblica concedente di influenzarne le decisioni (...) sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti” ed ha ritenuto preclusive le previsioni statutarie: a) di apertura all’ingresso di altri capitali; b) di estensione dell’ambito di attività al di fuori del territorio degli enti soci; c) di ampi poteri di gestione in capo al Consiglio di amministrazione, esercitabili autonomamente (29), rilevando, in conclusione, che nella fattispecie la società pubblica “ha acquisito una vocazione commerciale che rende precario il controllo del comune”.
Questa opinione ha fatto ancora breccia nella giurisprudenza amministrativa (compresa la decisione in commento, nella quale la previsione statutaria sulla possibilità per i privati di entrare nella compagine societaria appare ostativa al riconoscimento del controllo analogo), ma non sembra così inattaccabile se si prova a superare l’impostazione del fenomeno dell’in house providing in termini di organo indiretto e la configurazione del rapporto tra p.a. e società quale rapporto di subordinazione gerarchica.
Una lettura diversa dei rapporti tra il soggetto pubblico e la società partecipata dal medesimo, che attribuisca il giusto rilievo logico-giuridico alla differenza strutturale tra l’azienda speciale (ente pubblico economico) e la società pubblica (soggetto giuridico di diritto privato) e ne tragga le naturali conseguenze in ordine al regime giuridico privatistico nell’ambito del quale devono essere inquadrati i rapporti tra socio e società (30), non sembra incompatibile con quanto tradizionalmente affermato dalla giurisprudenza comunitaria. La Corte Ce non nega, infatti, la compatibilità con l’ordinamento comunitario delle ipotesi di affidamenti “quasi in house” (31), in cui il soggetto affidatario è una persona giuridicamente distinta, ma richiede esclusivamente che il soggetto pubblico socio eserciti, “nel contempo”, sulla persona di cui trattasi un controllo soltanto “analogo” a quello esercitato sui propri servizi (32). Non si parla, nella citata decisione “Teckal”, di rapporto di subordinazione gerarchica, ma il Giudice comunitario fonda il sistema esclusivamente sul controllo della società affidataria e sulla possibilità di indirizzarne l’attività.
Si tenga, altresì, conto del fatto che, in virtù del principio della distinzione di funzioni tra organi di governo e dirigenza, il rapporto tra politici e funzionari non è di subordinazione gerarchica, ma di direzione, per cui è normale che gli atti dei dirigenti non siano modificabili da parte di altri organi di gestione dell’ente e sicuramente non possono essere intaccati dagli organi di governo, i quali devono limitarsi (senza con ciò voler sminuire l’importanza delle funzioni di indirizzo e controllo) ad attribuire gli obiettivi e le risorse ed a controllare i risultati raggiunti. A ben vedere non vi è una sostanziale differenza rispetto alle ipotesi in cui l’organo di governo dell’ente pubblico nomina gli amministratori e i componenti del collegio dei revisori e controlla l’operato della società attraverso i poteri che la legge gli attribuisce in qualità di socio (soprattutto, come si vedrà, nella s.r.l.) (33).
L’ente locale, pertanto, può ben controllare la società con gli ordinari strumenti del diritto societario, senza che rilevi la presenza minoritaria di un socio privato, in quanto non si tratta di intervenire direttamente nella gestione, equivoco nel quale spesso cade anche la giurisprudenza (34), ma di esercitare un controllo che deve essere solo “analogo” a quello esercitato sui propri servizi, che consenta di correggere, in corso di attività, eventuali deviazioni dagli obiettivi prefissati, eventualmente, come si vedrà, attraverso direttive da parte dell’assemblea dei soci (35) .
Altre perplessità suscita, altresì, la sanzione di illegittimità dell’affidamento diretto in presenza di una semplice previsione statutaria di apertura ai privati, in concreto non verificata, in quanto l’eventuale lesione dell’interesse pubblico non appare attuale (36).
Per questi motivi appare meritevole di attenzione una recente decisione del Giudice amministrativo, la quale, interpretando nel senso più logico il complesso fenomeno in esame alla luce della giurisprudenza comunitaria, ha riconosciuto che il rapporto tra ente locale e società partecipata non può essere assimilabile a quello che si realizza tra gli uffici all’interno dell’ente pubblico ed ha chiarito che non può essere negata la sussistenza del requisito del “controllo analogo” nell’ipotesi di società posseduta per intero o in maggioranza dalla pubblica amministrazione, in quanto tale condizione consente all’ente pubblico di esercitare “la funzione di direzione e controllo della gestione” ritenuta “sostanzialmente equivalente a quella svolta sulle unità operative direttamente dipendenti” (37), mentre anche in ambito comunitario l’impostazione restrittiva non appare affatto consolidata e unanime (38).
La giurisprudenza amministrativa più recente, tuttavia, ha evidenziato che la decisione della Corte Ce “Parking Brixen” fornisce una vera e propria interpretazione autentica della decisione “Teckal” e si è orientata, pertanto, verso la insufficienza dei poteri spettanti all’ente pubblico in qualità di socio ai fini della dimostrazione del requisito del “controllo analogo”, negando tutela, in particolare, alle ipotesi in cui il Consiglio di amministrazione della società pubblica goda di poteri ritenuti eccessivamente ampi e non bilanciati da altrettanto penetranti poteri di controllo ed influenza da parte dell’ente socio (39).
I Giudici amministrativi (soprattutto di primo grado), consapevoli del fatto che una lettura eccessivamente restrittiva del fenomeno renderebbe superflua e senza alcuna utilità pratica la costituzione delle società pubbliche (40), hanno valutato positivamente l’utilizzo di “uno strumento di carattere sociale ovvero anche parasociale”, che preveda poteri per gli enti soci che vadano oltre quelli già riconosciuti dal diritto commerciale ai soci (41), precisando anche le ipotesi che si possono considerare rispettose dei principi comunitari in materia di controllo analogo, nelle quali è presente: a) la previsione di forme di consultazione tra gli enti pubblici soci in ordine alla gestione dei servizi affidati alla società, “circa il suo andamento generale, e, soprattutto, circa le concrete scelte operative”; b) l’adozione delle opportune modifiche statutarie; c) l’istituzione di una “commissione”, che abbia il compito di verificare lo stato di attuazione degli obiettivi; d) la previsione e adozione di ispezioni da parte dei soci (42).
Anche nella decisione in commento si parla di poteri del Consiglio di amministrazione eccessivamente ampi, i quali lasciano “aperta la porta a scelte dell’organo amministrativo sottratte al diretto controllo comunale” e si ritiene insufficiente la previsione statutaria relativa al comitato di controllo cui fa riferimento la giurisprudenza, in quanto mancante di puntuali modalità di intervento tali da consentire di influenzare le decisioni.
Non si comprende, tuttavia, la funzione di questo comitato di controllo, in quanto i soci hanno già il potere di impartire direttive agli amministratori (43) e di effettuare i necessari controlli, in particolare nella s.r.l., la quale appare, come si vedrà a breve, il tipo societario più idoneo per esercitare il controllo stringente che la giurisprudenza comunitaria e nazionale richiedono.
La più recente delle decisioni della Corte CE nella materia oggetto di questo commento (44) sembra meno rigida in ordine ai presupposti del controllo analogo, in quanto, pur confermando che l’ente pubblico deve poter influenzare le decisioni della società partecipata in modo determinante “sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti”, riconosce una presunzione di controllo nell’ipotesi in cui la società sia posseduta per intero dall’amministrazione aggiudicatrice, anche se tale requisito non viene ritenuto determinante.
Il Giudice comunitario, altresì, conferma il suo recente orientamento contrario nel ritenere insufficiente ai nostri fini l’esercizio dei poteri privatistici spettanti all’ente pubblico in qualità di socio, anche se sembra riconoscere allo statuto societario (e quindi al diritto commerciale) il ruolo di strumento naturale per “limitare la libertà d’azione” degli amministratori delle società pubbliche.
3. Indifferenza o rilevanza del tipo societario?
La decisione in commento accenna ad un profilo della materia dell’in house providing poco esplorato, ma che presenta interessanti riflessi sulla questione controversa del controllo analogo. Il Giudice amministrativo, infatti, nega che la scelta del tipo della società a responsabilità limitata possa garantire il rispetto dei requisiti degli affidamenti in house, in considerazione del fatto che i “più marcati poteri che il socio è in grado di assumere in una società a responsabilità limitata (…) rilevano in sede di assemblea”, nonché in quanto non emergerebbe, secondo la Corte, “una diretta potestà di intervento dei soci stessi e, in particolare, del Comune, nella gestione societaria.
Questa conclusione, tuttavia, non sembra tenere in adeguato conto la differenza strutturale e di disciplina tra i modelli della s.r.l. e della s.p.a., in particolare a seguito della riforma del diritto societario.
Prendendo spunto dalle origini della s.r.l., è noto come questo tipo societario sia stato introdotto nell’ordinamento con il codice civile del 1942, anche al fine di consentire al socio di conservare un ruolo centrale, incompatibile con la struttura aperta della s.p.a. (45). La dottrina ha, altresì, evidenziato come l’opinione tradizionale che vede tale strumento adatto esclusivamente per le imprese medio-piccole non corrisponde alla scelta codicistica di non fissare un limite massimo al capitale ed ha rilevato che ciò che realmente caratterizza la s.r.l. (e che può attrarre anche le imprese di maggiori dimensioni): la “maggiore intimità della struttura, la più facile vincolabilità delle partecipazioni, la più agevole convocazione e riunione dell’assemblea, il più diretto contatto dei soci tra loro e coi terzi”(46) .
Ma ciò che più interessa ai nostri fini è “l’accentuazione dell’elemento personale e quindi la connessa maggior possibilità di controllo sulla gestione dell’ente” (47) che caratterizzerebbe la s.r.l., come rilevato dalla dottrina più recente, per la quale l’elemento tipizzante di questo tipo societario è proprio “la possibilità di una più snella articolazione e di una più attiva e diretta partecipazione dei soci alla vita della società”, nonché la sua particolare idoneità ad essere utilizzata da società “con compagine societaria ristretta ed attiva” (48), impostazione condivisa anche dal Giudice delle leggi (49).
Non senza importanza appare, altresì, il ruolo dell’autonomia privata riconosciuto dalla riforma del diritto societario del 2003 alla s.r.l., la quale si presta meglio della s.p.a. a venire incontro alle esigenze dei soci, anche in virtù della previsione della disposizione di riserva di amministrazione della società agli amministrazione esclusivamente per le s.p.a. (art. 2380 bis, comma 1, c.c.).
Alla luce di quanto evidenziato e sulla scorta del ridimensionato ruolo locale che il legislatore sembra voler attribuire da ultimo alle società pubbliche (50), il tipo della s.r.l. appare più adatto per le società in house, in quanto consente, come si è visto, al socio pubblico di conservare un ruolo centrale di controllo nella compagine societaria (51).
Al contrario di quanto affermato nella sentenza in commento, il codice civile attribuisce ampi poteri al socio della s.r.l., il quale, ex art. 2479 c.c., se rappresenta almeno un terzo del capitale sociale, può richiedere che la decisione di un particolare argomento sia sottoposta all’approvazione dei soci o, ai sensi dell’art. 2476 c. 2 c.c., può consultare in ogni momento, anche tramite professionisti di sua fiducia, i libri sociali e tutti i documenti relativi all’amministrazione, mentre nella s.p.a. i poteri delle minoranze sono limitati, nonostante i tentativi normativi di rafforzarne il ruolo, soprattutto nelle società cd. “aperte” (52).
Da quanto scritto emerge la particolare idoneità della s.r.l. al fine di soddisfare il requisito del controllo penetrante da parte dell’ente pubblico, in particolare in considerazione della possibilità riconosciuta dal nuovo diritto societario di prevedere in sede di atto costitutivo: 1) “l’attribuzione a singoli soci di particolari diritti riguardanti l’amministrazione della società o la distribuzione degli utili” (art. 2468 c.c., comma 3 c.c.); 2) una partecipazione sociale (e i relativi diritti) “non necessariamente proporzionale al conferimento” (comma 2 del citato art. 2468 c.c.); 3) l’intrasferibilità della partecipazione o il suo assoggettamento al gradimento di organi sociali, di soci o di terzi, garantendo il diritto di recesso nel caso di limitazione incondizionata, con possibilità “a tutela della buona fede contrattuale, (di) porre limiti temporali per l’esercizio di tale diritto ed impedire così comportamenti che pregiudichino l’interesse delle altre parti” (art. 2469 c.c.), nonché in virtù dell’autonomia riconosciuta alla s.r.l. in materia di competenze dell’assemblea dei soci, cui possono liberamente rivolgersi gli amministratori o un terzo dei soci per far esprimere l’assemblea su un argomento (art. 2479 c.c.) (53).
La possibilità attribuita all’ente locale di congegnare lo statuto in modo tale da attribuire ampi poteri all’assemblea e, quindi, ai soci, se da un lato consente di rispettare il requisito del controllo analogo, garantendo al soggetto pubblico-socio un ruolo penetrante, dall’altro lato incrementa i rischi cd. di politicità indotta, già di per sé fisiologici in una soggetto di proprietà pubblica, mentre nella s.p.a. questo rischio di eccessiva ingerenza degli organi politici appare più limitato in virtù della maggiore autonomia del Consiglio di amministrazione, ex art. 2380 bis citato, rischi che potrebbero essere attenuati mediante l’inserimento nello statuto societario del principio della distinzione di funzione, di stampo pubblicistico, coerentemente con la volontà del legislatore di superare i problemi di politicità indotta che l’azienda–organo e l’ente pubblico economico ancora creavano.
Da quanto scritto emerge l’importanza strategica dello statuto (anche in materia di controlli) e dei patti parasociali (54) nella progettazione di una governance che tenga conto, in particolare, dell’esigenza di dimostrare il controllo da parte dell’ente pubblico sulla società in house (55) (attraverso, tra l’altro, la previsione della riserva della nomina degli amministratori, avvalendosi del disposto degli artt. 2449 e 2450 c.c. (56)).
In conclusione i soci pubblici potranno esercitare ampi poteri previsti dalla legge o dallo statuto, i quali vanno, tuttavia, coordinati con l’esigenza di evitare eccessive ed inopportune ingerenze sulla gestione ordinaria della società, che va riservata agli amministratori e ai dirigenti, a maggior ragione alla luce dei recenti orientamenti della giurisprudenza comunitaria (57).
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NOTE
(1) La presente nota a sentenza è stata pubblicata sulla rivista “Urbanistica e appalti” n. 12/2006.
(2) Corte cost. 27 luglio 2004, n. 272, Foro Amministrativo CDS 2004, 1971, per la quale: “Secondo la costante giurisprudenza comunitaria spetta infatti al giudice nazionale valutare circostante e condizioni in cui il servizio viene prestato, tenendo conto, in particolare, dell’assenza di uno scopo precipuamente lucrativo, della mancata assunzione dei rischi connessi a tale attività ed anche dell’eventuale finanziamento pubblico dell’attività in questione (C. giust. Ce 22 maggio 2003, causa 1C-8/2001)”.
(3) Cfr., da ultimo, l’interessante decisione del T.A.R. Puglia, Bari, I, 12 aprile 2006, n. 1318, Foro Amministrativo TAR 2006, 1444, la quale chiarisce che: “La distinzione tra servizi di rilevanza economica e servizi privi di tale rilevanza va considerata legata all’impatto che l’attività può avere sull’assetto della concorrenza ed ai suoi caratteri di redditività, con la conseguenza che deve ritenersi di rilevanza economica il servizio che si innesta in un settore per il quale potrebbe esistere – quantomeno potenzialmente – una redditività, e quindi una competizione sul mercato e ciò ancorché siano previste forme di finanziamento pubblico, più o meno ampie, dell’attività in questione”.
(4) Cfr. G. Sciullo, Stato, Regioni e servizi pubblici locali nella pronuncia n. 272/04 della Consulta, Lexitalia n. 7-8/2004.it., che parla di “idea diffusa per la quale la rilevanza economica o meno di un servizio dipende dall’opzione organizzativa operata dall’ente locale (nel caso del servizio ‘senza rilevanza economica’, quella di praticare un prezzo politico per la prestazione resa al cittadino, assicurando la copertura dei costi attraverso la fiscalità generale)”.
(5) Cfr. la decisione oggetto di commento : “La struttura societaria, infatti, è, nella specie, unitaria e profitti e perdite concorrono a formare il bilancio societario in termini parimenti unitari; per cui eventuali aspetti deficitari relativi ad un singolo servizio ritenuto astrattamente privo di rilevanza economica ben possono e debbono essere corretti dagli aspetti compensativi legati all’espletamento di servizi dotati di rilevanza economica”.
(6) Corte di Giustizia delle Comunità europee 18.11.1999, C-197/98, confermata con la decisione “Truley” del 27.02.2003, C-373/2000.
(7) Cfr. M. Mazzamuto, Brevi note su normativa comunitaria e In House Providing, Il Diritto dell’Unione Europea, 2-3/2001.
(8) Circolare del Presidente del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le politiche comunitarie 19.10.2001 n. 12727, G.U.R.I. n. 264 del 13.11.2001. Circolare del Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio, Affidamento in house del servizio idrico integrato del 6.12.2004, G.U.R.I. n. 291 del 13.12.2004.
(9) Anche se non sono mancati i casi in cui il Giudice amministrativo ha mostrato maggiore severità nel timore che l’uso eccessivo degli affidamenti diretti potesse alterare i meccanismi della concorrenza, restringendo i limiti dell’affidamento sulla base di una interpretazione più rigorosa del concetto di servizio pubblico: cfr. T.A.R. Lombardia-Milano, III, 29.06.1999 n. 2523.
(10) Cons. Stato, sez. V, 09.05.2001, n. 2605, Foro Amm. 2001, 1172.
(11) Cfr. TAR Campania, sez, I, 6.11.2003 n. 1494, Foro Amm. T.A.R. 2003.
(12) Cons. Stato, sez. V, 30.06.2003 n. 3864, Il Consiglio di Stato n. 5-6/2003, 1434.
(13) Cons. Stato, sez. V, 25.06.2002 n. 3448; Cons. Stato, sez. V, 19.02.2004, n. 679, Foro Amm. CDS, 2004, 1160.
(14) Cons. Stato, sez. V, 6.5.2002, n. 2418.
(15) TAR Lombardia, sez. III, 16.10.2003 n. 4807, Foro Amm. TAR. 2003, 2855.
(16) T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 15.7.2005, n. 634, Foro Amm. TAR. 2005, 1934.
(17) Cons. Stato, sez. V, 18.09.2003, n. 5361.
(18) Cfr. L. Musselli, Affidamento diretto di servizi a società a prevalente capitale pubblico locale e principi comunitari di concorrenza, Foro Amm. TAR. 2003, 2183; T. Tessaro, Affidamento diretto e compatibilità europea, www.appaltiecontratti.it.
(29) Corte Giust. CE, I, 11.1.2005, n. 2603, C-26/03, in “Urbanistica e Appalti” n. 3/2005, 288; cfr. anche Corte Giust. CE, I, 10.11.2005, n. C-29/04, in “Urbanistica e Appalti” n. 2/2006, 157, la quale conferma l’interpretazione restrittiva.
(20) La Corte Ce fonda l’orientamento restrittivo anche sulla seguente ulteriore argomentazione: “L’attribuzione di un appalto pubblico ad una società mista pubblico-privata senza far appello alla concorrenza pregiudicherebbe l’obiettivo di una concorrenza libera e non falsata ed il principio della parità di trattamento degli interessi contemplato dalla direttiva 92/50, in particolare nella misura in cui una procedura siffatta offrirebbe ad un’impresa privata presente nel capitale della detta società un vantaggio rispetto ai suoi concorrenti”.
(21) Corte Giust. CE, sez. I, 6.4.2006, n. C-410/04, Guida agli enti locali n. 17/2006, 106.
Cfr., altresì, R. De Nictolis, nota di commento alla decisione della Corte Ce n. 2603/2005, in “Urbanistica e Appalti” n. 3/2005, 297.
(22) Si esprime in questi termini, pur senza approfondire il punto, Cons. Stato, V, C.d.S., V, 22.12.2005, n. 7345, Foro Amm. TA, 2005, 3667.
(23) Cfr. la nota a sentenza di C. Guccione, Giornale di diritto amministrativo n. 3/2005, 275, che definisce “lapalissiana” l’affermazione della Corte Ce sulla esclusione del controllo analogo in presenza di capitale privato; R. Ursi, Una svolta nella gestione dei servizi pubblici locali:non c’è <<casa>> per le società a capitale misto, Foro Italiano 2005, IV, 136, riconosce “portata tranchant” all’argomentazione della Corte Ce in base alla quale “la commistione tra interessi diversi – quello pubblico, all’erogazione del servizio, e quello privato, massimizzazione del profitto – escluderebbe l’esistenza di un controllo analogo tra ente e società”.
In senso critico cfr., tuttavia, M. Didonna, Il caso, chiuso, degli affidamenti in house, in “Urbanistica e Appalti” n. 4/2006, 379: “Quel che tuttavia sorprende è l’aver ritenuto, con intenzione generalizzante, l’antagonismo genetico dell’interesse pubblico con quello portato dai privati, atteso che odiernamente numerose funzioni pubblicistiche, com’è noto, i differenti ordinamenti legislativi nazionali le assegnano direttamente proprio alla cura dei privati (ritenendola più efficace)”.
(24) Cfr. V. Ottaviano, Sull’impiego a fini pubblici della società per azioni, Rivista delle società, 1960 e Scritti giuridici, II: “Normalmente il fine pubblico non è in contrasto con una condotta rigorosamente economica, anzi una siffatta condotta permetterà di raggiungerlo nel miglior modo”. Lo stesso Autore, Sulla sottoposizione dell’impresa pubblica alla medesima regolamentazione di quella privata, Scritti Giuridici, II, pag. 100, precisa che : “Il principio di economicità opera non solo nel senso di spingere a ridurre i costi e a ricavare dallo scambio dei prodotti quanto occorra per coprire le spese, ma anche in quello del perseguimento delle occasioni di guadagno in modo da ottenere un’espansione dell’impresa; ben inteso fino a tanto che ciò sia compatibile con i fini pubblici perseguiti. Se altrimenti fosse, l’impresa pubblica si troverebbe in una situazione di inferiorità rispetto a quella privata”. Per l’illustre Autore il fine pubblico rimane, comunque, esterno alla società e va fatto valere con atti di indirizzo, da separare dalla gestione vera e propria, i quali incontrano “i limiti derivanti dalla posizione stessa della società quale entità economica che deve operare in competizione con altri simili entità”.
(25) Cfr. le Conclusioni dell’Avv. Gen. C. Stix-Hackl del 23.9.2004, causa C-26/03, Foro Amm. C.d.S. 2004, 2412: “Poiché anche gli organismi con partecipazione di un socio privato di minoranza possono soddisfare il criterio del controllo, è d’uopo dedurne che l’eccezione Teckal si applica non solo alle società proprie, ma anche alle società miste pubblico-private. Quindi, in linea di principio, il coinvolgimento di imprese private non comporta alcun pregiudizio”. L’Avvocato Generale non sembra, tuttavia, ritenere sufficiente l’influenza dominante esercitata da un ente locale in virtù del diritto societario per poter riconoscere sussistente il controllo previsto dalla giurisprudenza comunitaria.
(26) Da ultimo Cons. Stato, sez. V, 3.2.2005, n. 272, Foro Amm. C.d.S. 2005, 425, che ha riconosciuto la presenza del requisito del controllo analogo in un caso di affidamento del servizio mensa ad una società a capitale misto, soggetta a controllo da parte del Comune sulla base della nomina della maggioranza del consiglio di amministrazione e del Collegio sindacale.
(27) Cfr. l’art. 113, comma 12, del d. lgs. n. 267/2000.
(28) Cfr., da ultimo, M. P. Chiti, Verso la fine del modello di gestione dei servizi pubblici locali tramite società miste, Foro Amm. TAR, 2006, 1161.
(29) Corte di Giustizia Europea 13.10.2005 n. C458/03, Parking Brixen Gmbh, Foro Amm. CDS, 2005, 2804.
(30) Anche se talvolta è stato evidenziato che non è sufficiente l’esercizio dei poteri che il diritto societario attribuisce all’ente locale quale socio di maggioranza, ma occorre un “assoluto potere di direzione, coordinamento e supervisione dell’attività del soggetto partecipato” da parte della p.a : cfr. Commissione Ce, atto di messa in mora del 26.06.2002; Corte Giust. CE “Truley” del 27.02.2003, C-373/2000, la quale precisa che le caratteristiche del controllo sono presenti in una “situazione in cui, da un lato, le pubbliche autorità verificano non solo i conti annuali dell’organismo considerato, ma anche la sua amministrazione corrente sotto il profilo della esattezza, della regolarità, della economicità, della redditività e della razionalità e, dall’altro, le stesse autorità sono autorizzate a visitare i locali e gli impianti aziendali del suddetto organismo”.
(31) Per la differenza tra affidamenti in house e quasi in house cfr. F. Rossi, Gli affidamenti (quasi) in house: la partecipazione pubblica totalitaria come elemento essenziale. Problemi e quesiti, Servizi pubblici e appalti 2005, 456.
(32) Corte Giust. CE “Teckal”, 18.11.1999, C-197/98, punto 50.
(33) Di opinione opposta A. Vigneri, Questioni di attualità nelle modalità di gestione dei servizi pubblici locali, www.astrid.it.
(34) Anche la decisione in commento rileva che “stando alla disciplina statutaria della società in questione, non emerge una diretta potestà di intervento dei soci stessi e, in particolare, del Comune nella gestione societaria”.
(35) In senso contrario cfr. R. Ursi, Le società per la gestione dei servizi pubblici locali a rilevanza economica tra outsourcing e in house providing, Diritto Amministrativo n. 1/2005, 203, per il quale l’art. 2380-bis, comma 1, il quale dispone che “la gestione dell’impresa spetta esclusivamente agli amministratori”, non consentirebbe all’assemblea di indirizzare le decisioni del Consiglio. Si può ribattere, tuttavia, che la distinzione delle funzioni (anche nella p.a.) ha come conseguenza che il potere di direzione debba essere esercitato in sede di nomina e revoca dei dirigenti e degli amministratori e di individuazione degli indirizzi e degli obiettivi da perseguire.
(36) La giurisprudenza ha, d’altronde, spesso evidenziato che: “La legittimità della gestione ‘in house providing’ resta sempre sensibile ad eventuali modifiche dell’assetto societario (operate attraverso una modifica dell’oggetto sociale oppure dei rapporti tra organi societari ed ente pubblico di riferimento) che possano far venir meno le condizioni (…) dell’affidamento”: T.A.R. Campania, sez. I, 30.3.2005, n. 2784, Foro Amm. TAR 2005, 794.
(37) Cfr. la condivisibile decisione del Consiglio di Stato n. 7345/2005 cit.: “Va ritenuto, per esigenze fondamentali di logica interpretativa, che l’adozione nel diritto comunitario della figura societaria, come strumento alternativo alla prestazione diretta dei servizi pubblici, impone di risolvere il problema del ‘controllo analogo’ secondo un criterio coerente con la peculiarità dell’istituto in questione. La giurisprudenza comunitaria si mostra consapevole del fatto che, se si effettua l’affidamento diretto ad una società, il servizio verrà gestito da una persona giuridica separata e distinta dall’Amministrazione aggiudicatrice, un ente, cioè, che determina la propria azione mediante gli organi di cui è dotato. E’, quindi, da escludere, in linea di principio, che il diritto comunitario possa imporre un modulo che riproduca, tra Amministrazione e società affidataria, quella forma di dipendenza che è tipica degli uffici interni all’ente. Per conseguenza si rivela improponibile l’impostazione accolta dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento delle politiche comunitarie, 19 ottobre 2001 n. 12727, nella quale si fa riferimento, addirittura, alla ‘subordinazione gerarchica’”. Il Consiglio di Stato evidenzia, altresì, che la decisione della Corte Ce 11.1.2005 in C-26 va letta nel senso che “il problema della sussistenza del ‘controllo analogo’ si risolve in senso affermativo se la mano pubblica possiede la totalità del pacchetto azionario della società affidataria. (…)L’ente pubblico, o gli enti pubblici, proprietari dell’intero pacchetto delle azioni, sia mediante la nomina degli organi, sia mediante l’approvazione di opportune deliberazioni, sono in condizioni di imporre, o meglio, di svolgere, ogni tipo di verifica e di rendiconto, in modo che sia operante la sostanziale identificazione riscontrabile tra il soggetto societario agente con la mano pubblica che le affida il servizio”.
Cfr., altresì, T.A.R. Campania, Napoli, I, 30.3.2005, n. 2784, Foro Amm. T.A.R. 2005, 794 , il quale ritiene sussistente un penetrante controllo economico e gestionale sulla società in virtù della composizione e della nomina degli organi sociali da parte del soggetto pubblico; T.A.R. Molise 17.11.2005, n. 991.
(38) Cfr. le conclusioni dell’Avvocato Generale J. Kokott, nella causa “Parking Brixen Gmbh”: “Dato che la pubblica amministrazione detiene il 100% delle quote societarie, l’affermazione dell’interesse pubblico all’interno della società è garantita anche senza un potere direttivo in senso tecnico già con gli strumenti del diritto societario e, in particolare, per mezzo della presenza all’interno degli organi societari del rappresentante nominato esclusivamente dalla pubblica amministrazione. Difatti risulterebbe alquanto insolito che tali organi, che, di regola, si caratterizzano anche per lo stretto legame personale con la pubblica amministrazione, si discostassero nella gestione degli affari di ordinaria amministrazione dalle direttive impartite dall’ente locale che li ha nominati in misura tale da poter pregiudicare la realizzazione degli obiettivi stabiliti nell’interesse generale Inoltre i rappresentanti dovrebbero temere per l’avvenire la revoca o, in ogni caso, la non riconferma del loro mandato”. Interessante anche la conclusione in base alla quale una diversa lettura del requisito del controllo analogo comporterebbe l’impossibilità di utilizzare lo strumento societario e spingerebbe le amministrazioni a tornare al modello dell’azienda speciale.
Anche nelle conclusioni dell’Avvocato Generale Stix-Hackl, nella causa C-26/03 cit. si afferma chiaramente che “la Corte richiede solo un controllo <<analogo>>, vale a dire equiparabile, ma non identico”, anche se poi l’Avv. Gen. Sostiene che “ai fini del criterio del controllo elaborato dalla Corte è comunque necessaria più di un’influenza dominante ai sensi del diritto societario (…) occorre piuttosto esigere una possibilità di controllo esaustiva” che “deve comprendere anche singole decisioni di natura gestionale”.
Lo stesso Avv. Gen. Stix-Hackl nelle Conclusioni del 12.1.2006 in C. 340/04, www.dirittodeiservizipubblici.it fornisce un ulteriore chiarimento della questione controversa: “La forma giuridica della società per azioni, ad esempio di quella secondo il diritto italiano, di per sé non crea problemi. Ciò si ricava del resto anche dalla sentenza Parking Brixen, che riguarda proprio una società per azioni di diritto italiano. Già dal fatto che per la Corte tale elemento non sia stato sufficiente per affermare l’autonomia della società, e quindi l’assenza del controllo, si ricava che la forma giuridica della società per azioni di diritto italiano, di per sé, non esclude l’esistenza di un sufficiente controllo. (…)64. Quanto ai mezzi per esercitare il controllo, in genere si tratta di poteri direttivi, ispettivi e di nomina. Sul punto occorre muovere dal principio secondo il quale si guarda alla possibilità di esercitare un’influenza, e non soltanto alle disposizioni normative ”.
(39) Cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. V, 13.7.2006, n. 4440, Guida agli enti locali n. 32-2006, 76.
(40) Cfr. T.A.R. Molise, 17.11.2005, n. 990, Foro Amm. TAR, 2005, 3674, il quale si mostra sensibile nei confronti delle esigenze degli enti locali e riconosce la sussistenza del requisito controverso del controllo analogo nella fattispecie sottoposta al suo esame, nella quale la società era di proprietà pubblica e svolgeva la propria attività in via esclusiva per l’ente locale proprietario; da ultimo cfr. T.A.R. Puglia, bari, n. 1318/2006 cit., che sembra accontentarsi, oltre al possesso della partecipazione azionaria di controllo e alla sottoscrizione di un contratto di servizio (implicitamente ritenuto vincolante per l’ente pubblico), della previsione di obblighi di trasmissione dei verbali delle riunioni del Consiglio di Amministrazione e del Collegio sindacale e di relazioni periodiche relative all’andamento societario “con particolare riferimento alla qualità e quantità dei servizi resi ai cittadini, nonché ai costi di gestione in relazione agli obiettivi fissati”.
(41) Cfr. le decisioni del T.A.R. Brescia, 7.11.2005, n. 1123, Foro Amm. TAR 2005, 3429; 5.12.2005, n. 1250, Foro Amm. TAR 2006, 34; 2.5.2006, n. 433.
(42) Cfr. T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 12.12.2005, n. 986, Foro Amm. TAR 2005, 3862. Nella decisione citata, la quale richiama la precedente e già citata n. 634/2005 (che valutava favorevolmente la costituzione di una “Assemblea di coordinamento intercomunale” costituita dai legali rappresentanti degli enti locali proprietari, con diritto di voto pari alla quota di partecipazione), viene individuato quale strumento operativo la convenzione di cui all’art. 30 del d. lgs, n. 267/2000, il quale, in verità, appare poco adatto a regolamentare i rapporti tra i soci, essendo preferibile lo strumento dei patti parasociali, più congeniale a regolare i rapporti tra i soci di una società di capitali.
(43) Cfr. P. Abbadessa, L’assemblea nella s.p.a.: competenza e procedimento nella legge di riforma, Giurisprudenza commerciale, supplemento al n. 3/04 Contributi alla riforma delle società di capitali, 544: “La nuova disciplina, pur non facendone menzione, sicuramente non vieta all’assemblea di indirizzare agli amministratori raccomandazioni ed agli amministratori di richiedere all’assemblea pareri, beninteso non vincolanti”; anche F. Galgano, Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, vol. 29, Il nuovo diritto societario, 449, ritiene che: “Le direttive rivolte (…) dall’ente pubblico agli amministratori, per quanto basate su un interno rapporto fiduciario, siano traducibili in formali atti di indirizzo, con i quali vengono indicati i pubblici interessi da realizzare ed i comportamenti idonei per realizzarli. (..) Questi atti di indirizzo non sono, tuttavia, in alcun modo vincolanti”.
Di opinione opposta R. Ursi, Le società per la gestione dei servizi pubblici locali cit., pag. 203, il quale ritiene che “l’assemblea non può impartire direttive generali, né dare specifici compiti agli amministratori circa il compimento di atti di impresa”.
(44) Corte di giustizia delle Comunità europee, sez. I, 11.5.2006 in causa C340/04, Guida agli enti locali n. 22/2006, 102.
(45) Cfr. Gian Carlo M. Rivolta, La società a responsabilità limitata, Trattato di diritto civile e commerciale Cicu – Messineo, 26, il quale fa riferimento al progetto Vivante del 1922, che individuava la funzione economica della società in esame (allora definita <<società a garanzia limitata>>) nell’esigenza di un ristretto numero di soci di avere una più o meno larga ingerenza nell’amministrazione della società senza esporsi al rischio della responsabilità illimitata e senza porsi nelle mani di un gerente, che può diventare il padrone della società, nonché il progetto Asquini del 1940.
(46) E. Soprano, citato nella nota 114 dello scritto di G.C.M. Rivolta, La società cit.
In senso contrario F. Galgano, Il nuovo diritto societario cit., 474, per il quale la chiusura al capitale di rischio limita, per forza di cose, la capacità espansiva dell’impresa organizzata secondo il tipo della s.r.l.
(47) F. Cavazzuti, citato nella nota 114 dello scritto di G.C.M. Rivolta, La società cit.
(48) G. F. Campobasso, Manuale di diritto commerciale, 325.
Cfr., altresì, la Relazione governativa al d. lgs. 17.1.2003 n. 6, per la quale la s.r.l. appare “uno strumento caratterizzato da una significativa ed accentuata elasticità e che, imperniato fondamentalmente su una considerazione delle persone dei soci e dei loro rapporti personali, si volge a soddisfare esigenze particolarmente presenti nell’ambito del settore delle piccole e medie imprese”.
(49) Corte costituzionale, 29.12.2005, n. 481, Foro Italiano 2006, 1293, per la quale dal modello della s.r.l. emergono “spontaneamente” le caratteristiche della <<ristretta compagine sociale>> e <<la rilevanza centrale del socio e dei rapporti contrattuali tra i soci>>, nonostante la legge delega non facesse più riferimento alla prima delle caratteristica citate.
(50) Cfr. l’art. 13 del cd. decreto Bersani, d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito con legge 4 agosto 2006, n. 248, G.U.R.I. n. 186 dell’11.8.2006, con il quale il legislatore ha sancito il divieto della cd. extraterritorialità, ciò di “svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, né in affidamento diretto né con gara”.
(51) C. Ibba, Società pubbliche e riforma del diritto societario, Rivista delle società n. 1/2005, 11, evidenzia che già qualche anno fa si era diffusa l’opinione in base alla quale il <<tipo>> s.r.l. “poteva risultare preferibile in considerazione, ad esempio, della maggiore <<controllabilità>> della compagine sociale o del maggiore coinvolgimento del socio nella funzione di controllo che esso consentiva rispetto al <<tipo>> s.p.a.”.
(52) Cfr. P. Abbadessa, L’assemblea cit., 553.
(53) Relazione governativa al d. lgs. n. 6/2003.
(54) G. Gruner, Considerazioni intorno alle società pubbliche dello Stato, Servizi pubblici e appalti, n. 4/2004, 718, evidenzia, tuttavia, l’incompatibilità dei patti parasociali con i principi derivanti dalla legge n. 474 del 1994.
(55) Cfr. F. Fracchia, La costituzione delle società pubbliche e i modelli societari, Il diritto dell’economia, ¾-2004, 607: “Il diritto societario potrebbe offrire strumenti – al limite affiancabili a quelli pubblicistici, come il contratto di servizio – atti a garantire il controllo richiesto dalla giurisprudenza comunitaria onde evitare l’applicazione della normativa sugli appalti. In particolare, si pensi alla modulazione dei poteri gestionali e delle loro forme di esercizio atti a garantire un ‘controllo interno’ sull’operato della società analogo a quello che l’amministrazione realizza sui propri servizi: spetterà all’atto costitutivo e allo statuto prefigurare modelli analoghi a quelli esistenti, ad esempio, nel diritto pubblico in forza del d.lgs. 30 luglio 1999, n. 286”. L’Autore richiama l’art. 2497 septies del cod. civ., introdotto dal d.lgs. n. 37 del 2004, che riconosce il ruolo degli statuti nella creazione di ipotesi di direzione e coordinamento.
(56) L. De Angelis, Amministrazione e controllo nella società a responsabilità limitata, Rivista delle società, n. 2-3/2003, 475, ritiene che, anche se la disciplina della s.r.l. non richiama esplicitamente le norme sulla riserva di nomina degli amministratori agli enti pubblici, l’inserimento di tali disposizioni nell’atto costitutivo sarebbe da considerare “pienamente legittimo”.
Di contrario avviso R. Rordorf, Le società <<pubbliche>> nel codice civile, Le società n. 4/2005, pag. 425 : “E’ ora assai meno ovvio – anzi è probabilmente del tutto da escludere – che le citate disposizioni in tema di società per azioni a partecipazione pubblica siano suscettibili di applicazione analogica nel caso in cui sia una società a responsabilità limitata ad essere partecipata dallo Stato o da altro ente pubblico. Ad una simile possibilità è infatti di ostacolo la maggior distanza tipologica che il legislatore ha frapposto adesso tra i due suindicati modelli societari”.
(57) Cfr. R. Ursi, La Corte di giustizia stabilisce i requisiti del controllo sulle società <<in house>>, Foro Italiano 2006, 79: “Sembra corretto ritenere che le affermazioni della corte nel caso Parking Brixen conducano verso il necessario abbandono del modello della società per azioni per le società titolari di affidamenti in house”. All’Autore il modello della società a responsabilità limitata appare, pertanto, “una strada obbligata”in considerazione dell’assenza di separazione tra proprietà e controllo.
E’ possibile rilevare, tuttavia come, al di là dell’impossibilità o meno di utilizzare la s.p.a. ai fini della dimostrazione del controllo analogo (questione tutt’altro che scontata: cfr. B. Giliberti, In house providing: questioni vecchie e nuove, Foro Am. TAR 2006, 55), si è ampiamente dimostrato che la s.r.l. appare da tempo lo strumento più adatto per rispettare i requisiti che la giurisprudenza comunitaria richiede per le società in house. |