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Vietati gli affidamenti in house alle società strumentali? Note alla sentenza 7 maggio 2015, n. 2291, della III Sezione del Consiglio di Stato
di Luca Manassero 5 giugno 2015
 

Vietati gli affidamenti in house alle società strumentali ?

Note critiche alla sentenza  7 maggio 2015, n. 2291, della III Sezione del Consiglio di Stato

di Luca Manassero

 

La sentenza del Consiglio di Stato, Sez. III, 7/5/2015 n. 2291, di cui, stranamente, si è avuta poca eco, ha sostanzialmente affermato che L'art. 4, c. 7, del d.l. 95/2012, convertito nella l. 135/2012, ha dettato una serie di disposizioni volte a limitare e razionalizzare il ricorso da parte delle pubbliche amministrazioni all'attività di società controllate. Il cit. c. 7, infatti, al dichiarato fine di "evitare distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori nel territorio nazionale", ha disposto che, a decorrere dal 1° gennaio 2014, le pubbliche amministrazioni, "nel rispetto dell'articolo 2 , comma 1 del citato decreto acquisiscono sul mercato i beni e servizi strumentali alla propria attività mediante le procedure concorrenziali  previste dal citato decreto legislativo". Il tenore del summenzionato c.7, prosegue il Consiglio di Stato, sembra univoco nell'individuare le procedure concorrenziali come modalità necessaria di acquisizione dei beni e servizi strumentali.

Né varrebbe invocare il generale principio di discrezionalità tra il ricorso al mercato e l’affidamento in house, giacché, secondo i giudici di Palazzo Spada, l’in  house providing ha carattere spiccatamente derogatorio; pertanto, l'esistenza di una sua disciplina normativa a livello comunitario (oggi contenuta nell'art. 12 della direttiva 24/2014/UE, da recepire entro il 18 aprile 2016), consente tale forma di affidamento, ma non obbliga i legislatori nazionali a disciplinarla, né impedisce loro di limitarla o escluderla in determinati ambiti.

Già sul punto, una osservazione: pur se riformata dalla sentenza in commento, la sentenza del TAR Puglia, Lecce, sez. II, 1/12/2014 n. 2986 ha in realtà espresso quello che rappresenta, al contrario di quanto sostenuto da magistrati del Consiglio di Stato  e cioè che L'istituto dell'in house, più che un'eccezione al diritto comunitario degli appalti e delle concessioni, è a sua volta espressione di un principio generale riconosciuto sia dal diritto dell'Unione che dall'ordinamento nazionale: trattasi, segnatamente, del principio di auto-organizzazione amministrativa o di autonomia istituzionale, in forza del quale gli enti pubblici possono organizzarsi nel modo ritenuto più opportuno per offrire i loro servizi o per reperire le prestazioni necessarie alle loro finalità istituzionali. Come precisato dalla giurisprudenza l'affidamento diretto, in house - lungi dal configurarsi come un'ipotesi eccezionale e residuale di gestione dei servizi pubblici locali costituisce invece una delle (tre) normali forme organizzative delle stesse, con la conseguenza che la decisione di un ente in ordine alla concreta gestione dei servizi pubblici locali, ivi compresa quella di avvalersi dell'affidamento diretto, in house (sempre che ne ricorrano tutti i requisiti), costituisce frutto di una scelta ampiamente discrezionale, che deve essere adeguatamente motivata circa le ragioni di fatto e di convenienza che la giustificano e che, come tale, sfugge al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, salvo che non sia manifestamente inficiata da illogicità, irragionevolezza, irrazionalità ed arbitrarietà ovvero non sia fondata su di un altrettanto macroscopico travisamento dei fatti.

Significativa, al riguardo, l’affermazione di TAR Lombardia, Sez. Brescia sez. II, 23/9/2013 n. 780, per cui : Dal confronto tra i principi comunitari e la (ancora frammentaria) normativa interna, si possono desumere le seguenti indicazioni:

(a) l'affidamento in house nel rispetto dello schema comunitario è sempre legittimo;

(b) anche la partecipazione alle gare da parte di soggetti in house è legittima, come pure lo svolgimento di attività a favore di terzi, ma espone al rischio di fuoriuscire dallo schema comunitario (se la parte più importante dell'attività non è più svolta con gli enti che detengono il controllo)".

Si deve quindi ribadire, una volta di più che lo schema dell’affidamento in house providing non costituisce affatto un principio derogatorio  al sistema degli appalti fondato sulla concorrenza, ma un sistema, appunto, alternativo, basato sull’altrettanto generale principio di auto organizzazione dei pubblici poteri, in quanto ci si trova in presenza di una  fattispecie non contrattuale, e quindi sottratta alla disciplina sugli appalti pubblici (“Un Comune non viola gli artt. 43 CE, 49 CE e 86 CE affidando la gestione di un parcheggio pubblico a pagamento ad una società per azioni di cui costituisca l'unico azionista, senza previo espletamento di una procedura ad evidenza pubblica, purché eserciti su tale società per azioni un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e la suddetta società svolga la maggior parte della sua attività per il Comune. - Avvocato Generale Juliane Kokott, 1/3/2005 n. C-458/03-)

E, passando all’analisi del merito della norma su cui il Consiglio di  Stato fonda il proprio giudizio, si trova espressa conferma di quanto or  ora affermato.

L‘ 4 del D.L. 6/07/2012 n. 95 convertito con modificazioni nella Legge7/08/2012 n. 135, conteneva una serie articolata di disposizioni relative a:

·         scioglimento o privatizzazione di società che svolgono servizi nei confronti della pubblica amministrazione (in house);

·         composizione dei consigli di amministrazione di tali società;

·         applicazione del principio della selezione competitiva per l’individuazione di beni e servizi strumentali all’attività della

·         pubblica amministrazione;

·         limiti di assunzioni nelle società pubbliche;

·         divieto di arbitrati nei contratti di servizio tra lo Stato e le società partecipate.

Il primo comma, dell’art 4, norma centrale del provvedimento recitava : << Nei confronti delle società controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, che abbiano conseguito nell'anno 2011 un fatturato da prestazione di servizi a favore di pubbliche amministrazioni superiore al 90 per cento dell'intero fatturato, si procede, alternativamente: a) allo scioglimento della società entro il 31 dicembre 2013. Gli atti e le operazioni posti in essere in favore delle pubbliche amministrazioni di cui al presente comma in seguito allo scioglimento della società sono esenti da imposizione fiscale, fatta salva l'applicazione dell'imposta sul valore aggiunto, e assoggettati in misura fissa alle imposte di registro, ipotecarie e catastali; b) all'alienazione, con procedure di evidenza pubblica, delle partecipazioni detenute alla data di entrata in vigore del presente decreto entro il 30 giugno 2013 ed alla contestuale assegnazione del servizio per cinque anni, non rinnovabili, a decorrere dal 1° gennaio 2014.

La norma è stata dapprima posta nel nulla , nei confronti  delle Regioni a Statuto Ordinario dalla Sentenza della Corte Costituzionale sentenza 16 -23 luglio 2013, n. 229 e successivamente definitivamente  abrogata dell’art. 1, comma 562, lett. a), L. 27 dicembre 2013, n. 147, a decorrere dal 1° gennaio 2014, unitamente agli articoli  i commi  2, 3, 3-sexies, 9, 10 e 11.

E’  stato, però, fatto salvo dall’abrogazione del legislatore il comma 8, il quale prevede “. A decorrere dal 1° gennaio 2014 l'affidamento diretto può avvenire solo a favore di società a capitale interamente pubblico, nel rispetto dei requisiti richiesti dalla normativa e dalla giurisprudenza comunitaria per la gestione in house. Sono fatti salvi gli affidamenti in essere fino alla scadenza naturale e comunque fino al 31 dicembre 2014.

E’ stato esattamente osservato, che (Di  Russo, Il Sole 24 Ore 26 maggio 205) che la “Corte costituzionale ha censurato l'articolo 4, comma 8 del Dl 95/2012 (pacificamente non riferito alle Regioni a statuto speciale) solo «nella parte in cui si riferisce anche alle Regioni ad autonomia ordinaria» si può affermare, proprio sulla scorta della sentenza della Corte Costituzionale, che il comma 8 è tutt'altro che espunto dall'ordinamento, continuando a operare per le società strumentali non regionali, rispetto alle quali, per l'effetto, potrà ammettersi un affidamento diretto purché la società sia a totale capitale pubblico.”

A tali conclusioni, peraltro, si perviene anche per altra via.

L’art. 4 del d.l. 95/2012 si poneva chiaramente come norma eccezionale di salvaguardia della finanza pubblica, tesa a ridurre il novero delle società strumentali in house; con l’abrogazione della norma di eliminazione delle società strumentali, oltre che il principio generale di auto-organizzazione sopra cennato, riprende pieno vigore la norma primaria legittimatrice (e limitatrice) delle società strumentali, ossia l’art. 13 del d.l. n. 223/2006 (Bersani) che circoscrive il campo d’azione (ma nello stesso tempo legittima) le medesime società strumentali.

Da ultimo, un inciso: se è vero, come è vero, che per il diritto comunitario la gara per la scelta del socio di una società mista equivale alla gara per l’affidamento del servizio, e dato che l’art  13 del  decreto Bersani contempla anche la fattispecie  della società strumentale mista, tale soluzione finirebbe per conciliarsi anche con la visione proposta dalla sentenza del Consiglio di Stato qui in commento, in quanto la gara a doppio oggetto per la costituzione della società mista soddisferebbe (anche) le esigenze di concorrenzialità alla base del pluricitato coma 7 dell’art.  4 del d.l. n. 95/2012

 

Sentenza: Consiglio di Stato, Sez. III, 7/5/2015 n. 2291
Le procedure concorrenziali costituiscono la modalità necessaria di acquisizione dei beni e servizi strumentali.
 Vietati gli affidamenti in house alle società strumentali? Note alla sentenza 7 maggio 2015, n. 2291, della III Sezione del Consiglio di Stato di Luca Manassero

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