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Consiglio di Stato, Sez. V, 28/5/2004 n. 3472
Sull'impossibilità di disapplicare il bando di gara.

La giurisprudenza ritiene che il bando di concorso non è suscettibile di disapplicazione, perché tale potere è riconosciuto al giudice nei confronti di norme a contenuto propriamente normativo, dotate di generalità ed astrattezza, come i regolamenti, mentre il bando di una gara di appalto ha natura di provvedimento concreto (Cons. St. Sez. V, 15 giugno 2001, n. 3187).
Si ammette, inoltre, che la norma regolamentare possa essere disapplicata quando, ponendosi in conflitto con una disposizione di legge, sacrifichi una posizione di diritto o di interesse legittimo (Sez. IV, 29 febbraio 1996 n. 222; Sez. VI. 12 aprile 2000, n. 2183; Sez. V, 30 ottobre 2002 n. 5972; Sez. VI, 5 dicembre 2002, n. 6657).
Né può essere invocato il principio del favor partecipationis che impone di optare per una interpretazione delle clausole del bando che consenta la più ampia partecipazione alla gara, quando non si sia in presenza di clausole ambigue o di dubbio significato.

Materia: appalti / bando di gara

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

IL CONSIGLIO DI STATO IN SEDE GIURISDIZIONALE Sezione Quinta

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

sul ricorso n. 8905 del 2003, proposto dal Comune di Norma, rappresentato e difeso dagli avv.ti Fabrizio Pietrosanti e Alessandro Pucci, elettivamente domiciliato presso il primo in Roma, Largo Fochetti 28

 

contro

Staccone s.r.l. rappresentata e difesa dall’avv. Pieluigi Piselli ed elettivamente domiciliata presso l’avv. Paolo Borioni in Roma, Viale B. Buozzi 53, e

 

nei confronti

di A.P.L. Impianti Elettrici civili industriali di Giannolla Angelo, n.c.;

 

per l'annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Staccata di Latina, 16 giugno 2003 n. 616 resa tra le parti.

 

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Staccone s.r.l.;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore alla pubblica udienza del 24 febbraio 2004 il consigliere Marzio Branca, e uditi gli avvocati Sasso su delega di Pietrosanti e Piselli.

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

 

FATTO

Con la sentenza in epigrafe è stato accolto il ricorso proposto dalla s.r.l. Staccone avverso l’aggiudicazione alla A.P.L. Impianti dell’appalto bandito dal Comune di Norma per i lavori di ampliamento del complesso “Villa del Cardinale”.

Il TAR ha ritenuto che il provvedimento fosse affetto da violazione del disciplinare di gara, il quale prescriveva, a pena di esclusione, che la domanda di partecipazione doveva essere sottoscritta da tutti i soggetti che si sarebbero riuniti in a.t.i., mentre nella specie una delle imprese confluite nell’a.t.i. aggiudicataria non aveva osservato la norma.

Aveva quindi annullato l’aggiudicazione e condannato il Comune al risarcimento del danno nella misura del 10% dell’importo del contratto.

Avverso la decisione ha proposto appello il Comune di Norma che ne ha sostenuto l’erroneità e chiesto la riforma.

Si è costituita in giudizio per resistere al gravame l’Impresa Staccone.

Alla pubblica udienza del 24 febbraio 2004 la causa veniva trattenuta in decisione.

 

DIRITTO

L’appellate censura la decisione, in primo luogo, nella parte in cui ha accertato la violazione della prescrizione del disciplinare, disponente, a pena di esclusione, che le domande di partecipazione alla gara dovessero essere sottoscritte da tutte le imprese che avrebbero dato vita ad un raggruppamento temporaneo.

Si sostiene che la clausola era illegittima perché l’art. 13, comma 5, della legge n. 109 del 1994 non fa menzione della domanda di partecipazione alla gara, ma soltanto dell’offerta e solo per l’offerta impone la sottoscrizione da parte di tutte le imprese partecipanti al raggruppamento. Il giudice, pertanto, avrebbe dovuto avrebbe dovuto disapplicare la norma del disciplinare.

La tesi non può essere condivisa.

In disparte la circostanza che la pretesa illegittimità della disposizione del capitolato, relativa alla presentazione della domanda, non risulta affatto dimostrata, va osservato che nella specie non potrebbe farsi ricorso al potere di disapplicazione per contrasto con l’art. 13, comma 5, della legge n. 109 del 1994.

La giurisprudenza ha affermato, innanzi tutto, che il bando di concorso non è suscettibile di disapplicazione, perché tale potere è riconosciuto al giudice nei confronti di norme a contenuto propriamente normativo, dotate di generalità ed astrattezza, come i regolamenti, mentre il bando di una gara di appalto ha natura di provvedimento concreto (Cons. St. Sez. V, 15 giugno 2001, n. 3187).

Si ammette, inoltre, che la norma regolamentare possa essere disapplicata quando, ponendosi in conflitto con una disposizione di legge, sacrifichi una posizione di diritto o di interesse legittimo (Sez. IV, 29 febbraio 1996 n. 222; Sez. VI. 12 aprile 2000, n. 2183; Sez. V, 30 ottobre 2002 n. 5972; Sez. VI, 5 dicembre 2002, n. 6657).

Nella specie, non è stato impugnato un provvedimento lesivo  dell’interesse legittimo alla partecipazione alla gara, in quanto la ricorrente in primo grado è stata lesa da un atto adottato in difformità dalla norme del bando, che l’Amministrazione non poteva disapplicare, ma soltanto annullare in via di autotutela o impugnare con ricorso incidentale in primo grado.

Ne consegue che il motivo di appello di risolve nell’introduzione nel giudizio di una questione nuova, non esaminata nel giudizio di primo grado, ed è, per tale motivo, inammissibile.

Senza fondamento si rivela il motivo che fa leva sul principio del favor partecipationis, che dovrebbe guidare l’interpretazione delle clausole del bando. Il principio è applicabile allorché le disposizioni risultano di  dubbio significato, ma tale ipotesi nella specie non ricorre.

Per la stessa ragione non può aderirsi alla contestazione della condanna al risarcimento del danno, avanzata sotto il profilo dell’inesistenza del profilo della colpa. Non è plausibile che l’Amministrazione possa essere caduta in errore, sembrando piuttosto che l’aggiudicazione sia stata conferita forzando la lettera del disciplinare.

Si deduce poi che i primi giudici abbiano quantificato il danno nella misura del 10% dell’importo dell’appalto, mentre, secondo l’assunto, si sarebbero dovuti limitare  a “stabilire i criteri” per la determinazione del risarcimento, senza effettuare un  riferimento cogente all’art. 345, della legge 20 marzo 1865 n. 2248.

La giurisprudenza riconosce pacificamente peraltro che il riferimento alla norma testé citata costituisca un modalità corretta di applicazione dell’art. 35 comma 2,del d.lgs n. 80 del 1998 (TAR Lazio, III 13 febbraio 2003 n. 962).

Né alcun “demoltiplicatore” andava applicato nella specie, in cui, l’impresa appellata avrebbe immancabilmente beneficiato dell’aggiudicazione, se l’Amministrazione avesse applicato la normativa del disciplinare escludendo la prima classificata.

In conclusione l’appello va respinto.

La spese possono essere compensate.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, rigetta l’appello in epigrafe;

dispone la compensazione delle spese;

ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso in Roma, nella  camera di consiglio del 24 febbraio 2004 con l'intervento dei magistrati:

Emidio Frascione Presidente

Chiarenza Millemaggi Cogliani Consigliere  

Paolo Buonvino Consigliere

Cesare Lamberti Consigliere

Marzio Branca Consigliere est.

 

L'ESTENSORE                      IL PRESIDENTE

F.to Marzio Branca                 F.to Emidio Frascione

IL SEGRETARIO

F.to Gaetano Navarra 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 28 maggio 2004

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

p. IL DIRIGENTE

F.to Livia Patroni Griffi

 

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