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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia,-Lecce- sez. II, nelle persone dei Signori:
ANTONIO CAVALLARI, Presidente
GIUSEPPINA ADAMO, Consigliere
TOMMASO CAPITANIO, Referendario - relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
a) sul ricorso n. 348/2004 proposto da:
HERA S.p.A., in proprio e quale mandataria della costituenda A.T.I. con GEMMO IMPIANTI S.p.A., COIMI S.r.l. e I.T. - Innovazioni e Tecnologie S.r.l.in persona del legale rappresentante p.t.
rappresentate e difese da:
GIOVANNI PELLEGRINO, LORENZO LENTINI, FELICIANA FERRENTINO con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Lecce VIA AUGUSTO IMPERATORE, 16
contro
COMUNE DI TARANTO in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso da: PIERO G. RELLEVA con domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. Vantaggiato, in Lecce VIA ZANARDELLI, 7
e nei confronti di
CITELUM S.A., in proprio e quale mandataria della costituenda A.T.I. con CO.GEI. S.r.l. e SIRAM S.p.A. in persona del legale rappresentante p.t.,
rappresentate e difese da: ERNESTO STICCHI DAMIANI, LUIGI NILO con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Lecce VIA S. FRANCESCO D’ASSISI, 33
e di
– ENEL SO.L.E. S.p.A., in proprio e quale mandataria della costituenda ATI con Emilio Alfano S.p.A., S.I.R.E.T. S.r.l., Elettrovit S.r.l.
– SME Impianti S.p.A.
–. ACEA LUCE S.p.A., in proprio e quale mandataria della costituenda ATI con UTILITAS S.r.l.
– ARISTEA SERVICE S.c.a.r.l. in persona dei legali rappresentanti p.t., non costituite,
e con intervento ad adiuvandum di:
ENEL SO.L.E. S.p.A. in persona del legale rappresentante p.t. rappresentata e difesa da: FRANCESCO FLASCASSOVITTI
con domicilio eletto presso lo studio del medesimo, in Lecce VIA 95° REGGIMENTO FANTERIA, 1
per l’annullamento, previa sospensione:
dei verbali di gara per l’affidamento dell’appalto misto per la gestione tecnologica integrata e la manutenzione degli impianti di pubblica illuminazione del Comune di Taranto n. 1 del 12/05/2003; n. 2 del 19/05/2003; n. 3 del 29/05/2003; n. 4 del 16/06/2003; n. 5 del 24/06/2003; n. 6 del 27/06/2003; n. 7 del 07/07/2003; n. 8 del 21/07/2003; n. 9 del 29/07/2003; n. 10 del 17/09/2003; n. 11 del 22/09/2003; n. 12 del 29/09/2003; n. 13 del 06/10/2003; n. 14 del 16/10/2003; n. 15 del 21/10/2003; n. 16 del 06/11/2003; n. 17 del 28/11/2003; n. 18 del 04/12/2003; n. 19 del 10/12/2003; n. 20 del 16/12/2003;
del provvedimento, non conosciuto, di aggiudicazione della gara e del contratto di appalto, ove stipulato;
di tutti gli atti presupposti, collegati, connessi e consequenziali, ivi compresi:
· la determinazione del dirigente Settore LL.PP. del Comune di Taranto n. 89 del 15/07/2002, con la quale sono stati approvati gli atti di gara per l’appalto misto per la gestione tecnologica integrata e la manutenzione degli impianti di pubblica illuminazione del Comune di Taranto (relazione tecnica – Capitolato Speciale di Appalto – bando di gara – avviso di gara – lettera d’invito);
· ove occorra, la relazione tecnica, il Capitolato Speciale di Appalto, il bando di gara, l’avviso di gara, la lettera d’invito, approvati con la determinazione dirigenziale n. 89/02;
· la determinazione del dirigente del Settore Gestione del Patrimonio e LL.PP. n. 182 del 25/10/2002 di integrazione e riapprovazione dell’avviso di gara;
la determinazione del dirigente Studi Pianificazione Controllo Servizio Appalti – Contratti del Comune di Taranto n. 8 del 02/05/2003 di nomina della Commissione giudicatrice dell’esame delle offerte della gara d’appalto in questione;
· ove occorra, la deliberazione di G.M. n. 141 del 31/01/2003 di istituzione del Servizio Appalti – Contratti;
- con ricorso per motivi aggiunti, notificato il 13/03/2004 e depositato il 16/03/2004, sono stati impugnati altresì:
· la determinazione dirigenziale n. 25 del 02/03/2004, con cui il dirigente responsabile ha preso atto del contenuto dei verbali della Commissione di gara e delle sue determinazioni, ha approvato la graduatoria ed ha aggiudicato definitivamente il servizio all’ATI con capogruppo Citélum S.A.;
· per quanto occorra, la delibera di Giunta n. 50 del 10/01/2003, non conosciuta;
b) sul ricorso incidentale proposto da:
CITELUM S.A., in proprio e quale mandataria della costituenda A.T.I. con CO.GEI. S.r.l. e SIRAM S.p.A.
rappresentate e difese come sopra,
contro
HERA S.p.A., in proprio e quale mandataria della costituenda A.T.I. con GEMMO IMPIANTI S.p.A., COIMI S.r.l. e I.T. Innovazioni e Tecnologie S.r.l., rappresentate e difese come sopra,
e nei confronti di
COMUNE DI TARANTO rappresentato e difeso come sopra,
per l’annullamento, previa sospensiva:
- della determinazione dirigenziale n. 65 del 19/03/2003 - Direzione Risanamento Città Vecchia e Progetti Speciali - con la quale è stato approvato l’elenco delle imprese da invitare alla gara in argomento, nella parte in cui è stata disposta l’ammissione dell’ATI H.e.r.a. S.p.A. con Gemmo Impianti S.p.A., I.T. S.r.l. e Co.I.MI. S.r.l.;
- della nota del 23/03/2003 con cui è stato inoltrato l’invito a partecipare alla gara alla suddetta ATI;
- del provvedimento di ammissione alla gara dell’ATI ricorrente ed in particolare del verbale di gara n. 1 del 12/05/2003 nella parte in cui la suddetta ATI è stata ammessa con riserva e del verbale di gara n. 20 del 16/12/2003, nella parte in cui, sciolta la riserva in senso favorevole all’ATI ricorrente, quest’ultima è stata ammessa in via definitiva alla gara;
- nonché, ove occorra, dell’avviso di gara del 25/10/2002, nella parte in cui, relativamente all’esecuzione dei lavori, tutte le categorie sono state definite scorporabili ed è stato omesso di indicare la categoria OG10, classifica V, come categoria prevalente, illegittimamente annoverandola tra i lavori scorporabili.
Visto il ricorso, i relativi allegati e tutti gli atti di causa;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’amministrazione intimata e delle imprese controinteressate;
Visto il ricorso incidentale proposto dalla costituenda ATI con mandataria CITELUM S.A.;
Visto l’atto di intervento ad adiuvandum della ENEL - SO.L.E. S.p.A.;
Visto il ricorso per motivi aggiunti;
Visto il dispositivo n. 10/2004 del 29/05/2004;
Uditi nell’udienza pubblica del 13/05/2004 il relatore, Ref. Tommaso Capitanio, e, per le parti costituite, gli Avv. Lentini, Gianluigi Pellegrino, in sostituzione dell’Avv. Giovanni Pellegrino, Flascassovitti, Relleva, Sticchi Damiani e Nilo.
FATTO
1.Il Comune di Taranto, con determinazione dirigenziale n. 89 del 15/07/2002, ha indetto una procedura di gara per l’affidamento del servizio di gestione integrata degli impianti di pubblica illuminazione (importo a base d’asta € 30.212.729,56, IVA esclusa), per un periodo di nove anni. Il bando di gara prevedeva in particolare:
– che alla gara fossero ammesse persone fisiche e/o giuridiche, associazioni o raggruppamenti temporanei di imprese che svolgono attività di gestione integrata e manutenzione di impianti di pubblica illuminazione;
– che l’attività prevalente, ai fini dell’individuazione della disciplina applicabile, fosse quella dei servizi gestionali, regolati quindi dalla Direttiva n. 92/50/CEE e dal D. Lgs. n. 157/95;
– quale ulteriore elemento dell’appalto, la realizzazione di lavori scorporabili, ricompresi nelle seguenti categorie (ai sensi del DPR n. 34 del 2000): CAT. OG10 classifica V; CAT. OG11 classifica IV e CAT. OG1 classifica III;
– l’aggiudicazione con il metodo dell’offerta economicamente più vantaggiosa (art. 23 D. Lgs. n. 157/95), previa attribuzione dei seguenti punteggi massimi: valutazione economica, 40 punti; valutazione tecnica, 60 punti.
Per l’assegnazione del punteggio relativo all’offerta economica, era stata prevista l’applicazione della seguente formula aritmetica:
Pc = 40 – 10 x (Ctx – Ct min)
Ct max – Ct min
(dove Pc è il punteggio da attribuire all’offerta del concorrente da valutare; Ct min è il valore dell’offerta più economica; Ct max è il valore dell’offerta più alta e Ctx il valore dell’offerta del concorrente da valutare);
per l’offerta tecnica erano stati invece individuati i seguenti elementi di valutazione:
? progetto dell’attività di gestione globale: massimo 30 punti;
? progetto tecnico degli interventi di manutenzione straordinaria e messa in sicurezza degli impianti: massimo 25 punti;
? descrizione dell’organizzazione aziendale: massimo 5 punti.
2. Alla gara sono stati invitati sette raggruppamenti temporanei di imprese, dei quali solo cinque hanno inviato offerta nei termini previsti. In sede di verifica della documentazione allegata all’offerta, è stata esclusa l’ATI con capogruppo SME Impianti. Le quattro ATI ammesse alla fase successiva hanno conseguito i seguenti punteggi relativi all’offerta tecnica:
– ATI con capogruppo Citélum: punti 60;
– ATI con capogruppo ENEL SO.L.E.: punti 42,6;
– ATI con capogruppo Hera: punti 40,8;
–ATI con capogruppo ACEA Luce: punti 25,65.
Successivamente, applicando la formula suindicata, la Commissione di gara ha assegnato i seguenti punteggi relativi alle offerte economiche:
– ATI Citélum: punti 30;
– ATI SO.L.E.: punti 35,5;
– ATI Hera: punti 35,9;
– ATI ACEA Luce: punti 40,
per cui la graduatoria finale ha visto primeggiare l’ATI capeggiata da Citélum, con un punteggio totale di 90, seguita da ENEL SO.L.E. con 78,13.
3. L’esito della gara e i provvedimenti che ne hanno scandito le varie fasi sono impugnati dall’ATI con mandataria Hera (terza classificata con 76,7 punti), sulla base dei seguenti motivi:
– violazione di legge (art. 23, comma 1, let. b) del D.Lgs. n. 157/95). Eccesso di potere (illogicità, contraddittorietà, arbitrarietà, sviamento, iniquità). Violazione dei principi di imparzialità, par condicio e trasparenza.
La ricorrente sostiene che la formula applicata dalla Commissione per valutare l’offerta economica è illegittima, perché provoca un effetto di “schiacciamento” nell’attribuzione del relativo punteggio: infatti, qualunque sia il prezzo offerto da un concorrente, la differenza massima fra l’offerta più conveniente e quella più alta è comunque pari a 10 punti, il che, a giudizio di Hera, è contro la ratio del sistema di aggiudicazione con il metodo dell’offerta economicamente più vantaggiosa, perché finisce con il privilegiare in modo quasi assoluto il merito tecnico (per il quale, invece, il range valutativo è compreso fra 0 e 60 punti).
In secondo luogo, la ricorrente afferma che anche la fase di valutazione delle offerte tecniche è stata viziata, in quanto, da un lato, il bando di gara prevedeva fra le voci da considerare alcuni elementi attinenti più propriamente alla fase di prequalificazione (quindi non utilizzabili nella fase di valutazione delle offerte, come ritenuto dalla giurisprudenza prevalente), dall’altro, la Commissione di gara ha enucleato un sub-criterio di valutazione che non era indicato nel bando (in particolare si tratta della voce “Analisi dello stato dell’impianto esistente”, di cui al verbale di gara n. 6 in data 27/06/2003), attribuendogli per di più un “peso” notevole (8 punti su 25, relativi alla voce “Progetto tecnico degli interventi di manutenzione straordinaria e messa in sicurezza degli impianti”);
– violazione di legge (art. 15 Regolamento Comunale per la disciplina dei contratti, anche in relazione all’art. 8 dello Statuto del Comune di Taranto ed all’art. 45 della L.R. n. 27/85). Incompetenza. Eccesso di potere per difetto del presupposto e arbitrarietà.
La procedura sarebbe viziata anche in relazione alle modalità di nomina della Commissione ed ai requisiti soggettivi di alcuni suoi membri. Sotto il primo profilo, si asserisce che il vigente Regolamento comunale dei contratti riserva la nomina delle commissioni di gara al Sindaco (mentre nel caso di specie la Commissione è stata nominata dal dirigente del Servizio Appalti e Contratti), mentre sotto il secondo profilo viene rilevata la violazione delle disposizioni (in particolare, l’art. 45 della L.R. n. 27/85) che stabiliscono che le Commissioni di gara debbono essere composte da tecnici della materia oggetto della gara (nel caso in esame, tale requisito sussisterebbe solo riguardo a due membri). Da ciò discenderebbe l’illegittimità di tutti gli atti formati da un organo così illegittimamente nominato e composto.
4. Si sono costituiti il Comune di Taranto (che sostiene la piena legittimità del suo operato, ed in particolare della formula utilizzata per la valutazione delle offerte, che sarebbe funzionale ad una maggiore valorizzazione del merito tecnico dei singoli progetti rispetto all’offerta economica, secondo una valutazione rimessa alla discrezionalità della stazione appaltante e non sindacabile dal giudice) e l’ATI aggiudicataria, la quale, oltre a chiedere il rigetto del ricorso principale, ha proposto ricorso incidentale, teso a contestare l’ammissione alla gara dell’ATI ricorrente ed affidato ai seguenti motivi:
- violazione degli artt. 3, 4, 43, 49, 81, 82 e 86 del Trattato CE. Violazione dei principi di non discriminazione, imparzialità, libera concorrenza. Violazione art. 35, comma 2, della L. n. 448/01. Violazione degli artt. 3, 41, 117 e 118 Cost. Violazione degli artt. 2 e ss. e dell’art. 8 della L. 10/10/1990 n. 287 e s.m.i.
L’ATI ricorrente non doveva essere ammessa alla gara in quanto la sua capogruppo (Hera S.p.A.) è una società multiservizi a capitale pubblico-privato con sede a Bologna, nata dall’aggregazione di alcune società miste locali operanti in Emilia Romagna. In questo senso, essa ha conseguito il suo fatturato e la capacità tecnico-finanziaria in virtù di affidamenti diretti dei servizi pubblici locali che le varie amministrazioni locali emiliano-romagnole hanno attribuito alle società miste locali poi confluite in Hera nel corso degli anni. Pertanto, godendo di privilegi definiti “genetici”, essa non può concorrere alle gare che si svolgono extra moenia, perchè la sua presenza falsa il gioco della concorrenza; in ogni caso, la sua ammissione alla gara viola il disposto dell’art. 35 della L. n. 448/01, che, nel riformulare l’art. 113 del T.U. n. 267 del 2000, ha stabilito che le società di capitali nelle quali la partecipazione pubblica è superiore al 50% (nel caso di Hera il capitale pubblico è pari al 55,5%), se sono ancora affidatarie dirette di servizi pubblici locali, non possono partecipare ad attività imprenditoriali al di fuori del proprio territorio. Poiché però il Legislatore del 2001 aveva previsto un periodo transitorio, da determinarsi a seguito di specifica disposizione regolamentare (mai emanata dal Governo), nel caso il Tribunale non ritenesse ancora vigente il suddetto divieto, la ricorrente incidentale solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 35 della L. n. 448/01 (abrogato dall’art. 14 del D.L. n. 269 del 2003, ma applicabile ratione temporis alla gara in questione), nella parte in cui differisce l’operatività del divieto alla previa adozione del regolamento.
In subordine, la ricorrente incidentale rileva la violazione dell’art. 8, comma 2-bis, della L. n. 287 del 1990, secondo cui “...Le imprese di cui al comma 2, [ossia le imprese che, per disposizioni di legge, esercitano la gestione di servizi di interesse economico generale ovvero operano in regime di monopolio sul mercato, per tutto quanto strettamente connesso all'adempimento degli specifici compiti loro affidati – N.d.R.] qualora intendano svolgere attività in mercati diversi da quelli in cui agiscono ai sensi del medesimo comma 2, operano mediante società separate...”. Pertanto, la Hera (che è un monopolista legale) poteva partecipare alla gara solo per il tramite di una società controllata o collegata, ma non direttamente;
- violazione degli artt. 8 e 13 della L. n. 109/94 e s.m.i. Violazione degli artt. 73, 74 e 95 del DPR n. 554/99. Violazione del DPR n. 34/00. Violazione del bando di gara e della lettera d’invito. Violazione del principio della par condicio.
L’ATI ricorrente non poteva essere ammessa alla gara anche per carenza del requisito della qualificazione obbligatoria ex DPR n. 34/00 in capo alla mandataria, la quale è dichiaratamente sprovvista di attestazione SOA (tanto che inizialmente la Commissione di gara aveva dubitato circa la possibilità di ammetterla alla licitazione e aveva sciolto la riserva in senso favorevole solo perché l’impresa aveva dichiarato che essa non avrebbe eseguito direttamente i lavori previsti dal bando). Laddove il Collego ritenesse legittima, sotto questo profilo, l’ammissione alla gara della ricorrente, l’ATI Citélum impugna la clausola del bando che non ha indicato la categoria prevalente ai sensi dell’art. 73 del DPR n. 554/99;
- violazione dell’art. 18 della L. n. 55/90. Violazione dell’art. 95 del DPR n. 554/99 sotto altro profilo. Violazione e falsa applicazione dell’art. 11 del D.Lgs. n. 157/95. Violazione del bando di gara e della lettera d’invito.
L’offerta dell’ATI ricorrente doveva essere esclusa anche per violazione delle norme in materia di subappalto e di dichiarazioni da rendere a tale riguardo in sede di gara, visto che la ricorrente ha dichiarato di voler subappaltare la quasi totalità delle lavorazioni oggetto dell’appalto (privando così di qualsiasi compito operativo nell’ambito dell’ATI le mandanti Gemmo Impianti e CO.I.MI., le quali sono però in possesso di attestazione SOA per alcune categorie di lavori previste dal bando);
- violazione della lex specialis di gara. Violazione dell’art. 11 del D.Lgs. n. 157/95 sotto altro profilo.
L’offerta presentata dall’ATI ricorrente non conteneva l’espresso impegno di conformarsi, in caso di aggiudicazione, alle disposizioni di cui all’art. 11 del D. Lgs. n. 157/95 e pertanto essa andava esclusa;
- violazione della lettera d’invito sotto altro profilo.
Infine, l’offerta dell’ATI ricorrente andava esclusa perché la dichiarazione di presa visione degli impianti e delle condizioni locali non è stata sottoscritta dal legale rappresentante della società ricorrente o da un procuratore speciale, ma da un tecnico sprovvisto di potere rappresentativo e ciò in violazione dei punti 1.c. e 3 della lettera d’invito.
5. L’ATI capeggiata da ENEL SO.L.E. S.p.A. (classificata al secondo posto della graduatoria finale) ha spiegato intervento ad adiuvandum, preannunciando peraltro la proposizione di un autonomo ricorso (poi effettivamente proposto ed iscritto al n. 523/2004 del R.G.).
6. All’udienza pubblica del 13/05/2004 la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1. La disamina delle numerose questioni sottoposte all’attenzione del Collegio deve prendere le mosse, per ragioni di economia processuale, dall’esame del ricorso incidentale, poiché l’eventuale accoglimento di quest’ultimo priverebbe di interesse la pronuncia sulla domanda principale. Infatti, l’ATI capeggiata da Citélum sostiene che la ricorrente non aveva titolo a partecipare alla gara per carenza di alcuni requisiti fondamentali previsti dalla vigente legislazione e dal bando di gara, e quindi, se tale asserzione fosse condivisa dal Tribunale, il raggruppamento capeggiato da Hera non avrebbe titolo a censurare le operazioni di gara, alle quali non avrebbe potuto comunque prendere parte o dalle quali avrebbe dovuto essere esclusa in sede di esame della documentazione allegata all’offerta (sull’ordine con cui vanno esaminati il ricorso principale e quello incidentale in casi analoghi a quello in esame, vedasi, ex multis, Cons. Stato, sez. V, sent. n. 2468 del 2002).
Come detto, il ricorso incidentale è affidato ai seguenti motivi:
a) violazione del divieto di partecipazione alle gare extra moenia per le società miste locali (anche in relazione alle norme del Trattato CEE poste a presidio della libera concorrenza fra operatori economici);
b) violazione dell’art. 113 del T.U. n. 267/00, come modificato dall’art. 35 della L. n. 448/01 e, in subordine, incostituzionalità delle citate disposizioni nel caso in cui il Collegio ritenga che il divieto di partecipazione alle gare ivi previsto si applichi solo al termine del periodo transitorio (attualmente fissato nel 31 dicembre 2006, per effetto del disposto dell’art. 14, comma 1, del D.L. n. 269 del 2003 e dall’art. 4, comma 234, della L. n. 350 del 2003);
c) violazione dell’art. 8, comma 2-bis, della L. n. 287/90;
d) violazione delle norme in materia di qualificazione delle imprese partecipanti alle gare per l’affidamento di appalti di lavori pubblici (sotto tre distinti profili: mancato possesso di adeguata attestazione SOA in capo alla mandataria; mancata indicazione nel bando della categoria prevalente; violazione dei principi in materia di suddivisione dei compiti operativi nell’ambito di un’ATI e delle norme in materia di subappalto);
e) violazione dell’art. 11 del D. Lgs. n. 157/95, relativamente alla dichiarazione di impegno a costituirsi in ATI e ad attenersi alle disposizioni di cui alla citata norma;
f) violazione della lettera d’invito (relativamente alle modalità di sottoscrizione della dichiarazione di presa visione degli impianti e delle condizioni locali).
Anticipando le conclusioni che si andranno a rassegnare, tutti i motivi suindicati sono da ritenere infondati.
1.a. Partendo dalle ultime due censure, il Collegio ritiene insussistenti i vizi lamentati, in quanto, da un lato, la dichiarazione rilasciata dall’ATI ricorrente di costituirsi in associazione temporanea di imprese ai sensi dell’art. 11 del D. Lgs. n. 157/95 implica l’impegno ad accettare tutte le clausole contenute nella citata norma (come si desume dal comma 2 dell’art. 11), dall’altro, con riferimento alla ratio della norma, si osserva che la stazione appaltante ha la possibilità di verificare, prima della stipula del contratto, se l’ATI si è effettivamente costituita e se, negli atti di costituzione, sono chiaramente riportati gli impegni di cui ai commi 4 e ss. dell’art. 11, senza di che può decretare la decadenza dell’aggiudicatario.
L’altra censura, invece, è infondata per la semplice ragione che la dichiarazione prevista dal punto 1.c. della lettera d’invito (ossia la dichiarazione di presa visione degli impianti e delle condizioni locali) è una dichiarazione di scienza, ossia, secondo l’insegnamento della dottrina civilistica più avvertita, un atto con il quale si comunica ad un altro soggetto di essere a conoscenza di un certo fatto, per cui esso può provenire solo dal soggetto che quel certo fatto ha verificato essere esistente. Nel caso di specie, tenuto conto della funzione che il bando di gara aveva assegnato a tale dichiarazione (cioè quella di garantire la stazione appaltante che le imprese partecipanti formulassero l’offerta avendo ben presente l’oggetto dell’appalto), essa poteva provenire solo da un dipendente tecnico dell’impresa, non necessariamente da identificare nel legale rappresentante, chiamato a osservare e valutare questioni di natura eminentemente specialistica, sulla base delle quali l’impresa avrebbe poi redatto il progetto tecnico e l’offerta economica. D’altro canto, la lettera d’invito ha previsto specifiche modalità per la compilazione della dichiarazione, dalle quali si desume implicitamente che il regime della stessa era diverso da quello degli altri documenti da allegare all’offerta (vedasi punto 1.c., in cui è detto chiaramente che il sopralluogo tecnico doveva essere compiuto da un rappresentante qualsiasi dell’impresa, munito di delega da esibire al momento della visita, e che la dichiarazione avrebbe dovuto essere vistata dal responsabile del procedimento. Quindi la previsione di cui al successivo punto 3 della lettera d’invito - nella parte in cui si prevede la possibilità che gli atti di gara siano sottoscritti da un procuratore dell’impresa, debitamente autorizzato dal legale rappresentante, oltre che da quest’ultimo - non è chiaramente applicabile alla dichiarazione di avvenuto sopralluogo).
Per cui le previsioni di cui ai punti 1.c. e 3 della lettera d’invito (che sembrano in contrasto fra di loro) vanno correttamente interpretate nel senso che il legale rappresentante dell’impresa concorrente (o il procuratore speciale) fa propria la dichiarazione di avvenuto sopralluogo (compiuto da un qualsiasi dipendente della impresa, opportunamente qualificato) al momento in cui sottoscrive l’offerta e acclude ad essa i documenti richiesti dal bando. Solo in questo momento, infatti, la dichiarazione di scienza viene a confluire in una dichiarazione di volontà dell’impresa (ossia, nell’offerta), quest’ultima certamente sottoscrivibile solo dal legale rappresentante o da un procuratore appositamente delegato.
Ogni altra interpretazione della lettera d’invito (peraltro difficilmente sostenibile) sarebbe da considerare formalistica e contraria al principio del favor partecipationis che presidia immanentemente le gare ad evidenza pubblica.
Per cui, sotto questi profili il ricorso incidentale è infondato.
1.b. Venendo all’esame dei primi due profili, attinenti alla presunte violazione della normativa comunitaria in materia di concorrenza e dell’art. 113 T.U. n. 267/00, il Collegio osserva quanto segue.
L’infondatezza dei motivi suddetti deriva dalla insussistenza della premessa assiomatica da cui muove l’ATI controinteressata, la quale intende accreditare l’idea secondo cui la partecipazione di una società mista locale ad una gara extra moenia produce di per sé stessa un effetto distorsivo della concorrenza, tesi che è invece tutta da dimostrare.
In realtà, la normativa comunitaria richiamata a sostegno dal ricorrente incidentale non viene in evidenza nella vicenda oggetto del presente giudizio, in quanto Hera (in ATI con altre imprese) ha preso parte ad una gara fuori del territorio in cui essa godrebbe ed abuserebbe della posizione dominante, in ciò spendendo la generale capacità di agire che l’ordinamento riconosce ad ogni persona fisica e giuridica; alcune delle norme del Trattato CEE richiamate da Citélum (artt. 43 e 49) sembrano addirittura portare argomenti a favore di Hera, visto che esse prevedono la libertà di stabilimento e il divieto di restrizione alla libera prestazione di servizi.
Premesso che non sembrano applicabili a Hera nemmeno le disposizioni di cui agli artt. 81 e 82 (poiché non è stata affermata e provata una diretta violazione delle norme tipicamente antitrust dettate dai citati articoli), bisogna esaminare le disposizioni dell’art. 86 del Trattato (il quale prevede che: “1. Gli Stati membri non emanano né mantengono, nei confronti delle imprese pubbliche e delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusivi, alcuna misura contraria alle norme del presente trattato, specialmente a quelle contemplate dagli articoli 12 e da 81 a 89 inclusi. 2. Le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme del presente trattato, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata. Lo sviluppo degli scambi non deve essere compromesso in misura contraria agli interessi della Comunità... 3. [...]”), da leggere in stretta correlazione con quanto dispone, sul fronte interno, l’art. 113 del T.U. n. 267/00.
La richiamata disposizione comunitaria, infatti, riconosce la possibilità dell’esistenza di imprese pubbliche o comunque riservatarie di diritti speciali o esclusivi, a condizione che le stesse non godano di privilegi contrari ai principi comunitari; in particolare, poi, le imprese chiamate a gestire servizi di interesse economico generale (quali sono sicuramente le società miste locali) o in regime di monopolio fiscale sono soggette alle norme sulla concorrenza purché ciò non sia di ostacolo allo svolgimento della loro missione.
Considerando però che la gara in epigrafe è stata indetta da un Comune per l’affidamento di un servizio pubblico locale, bisogna verificare se le disposizioni che lo Stato italiano ha emanato nello specifico settore in applicazione dei suindicati precetti comunitari (a partire dalla previsione originaria dell’art. 113 del D. Lgs. n. 267/00) siano affette dai vizi di legittimità costituzionale denunciati in via subordinata nel ricorso incidentale.
L’art. 113, prima delle modifiche introdotte dalla L. n. 448/01, ripeteva in pratica il contenuto dell’art. 22 della L. n. 142/90, con la sola aggiunta della let. f) (ossia, il modulo delle società per azioni senza il vincolo della proprietà pubblica maggioritaria, introdotte nel nostro ordinamento dalla L. n. 498 del 1992) e quindi legittimava gli enti locali ad affidare direttamente alle società miste locali i servizi pubblici, anche a rilevanza industriale e commerciale; la giurisprudenza amministrativa, dal canto suo, aveva interpretato tali norme in modo da garantire che la concorrenzialità che si perdeva nella fase dell’affidamento senza gara del servizio, venisse recuperata al momento iniziale della scelta del partner privato, per la quale è stato sempre riconosciuto l’obbligo di indizione della gara, che invece il DPR n. 533 del 1996 prevede solo per le società miste a capitale pubblico minoritario (sull’obbligo di indizione della gara per la scelta del partner privato vedasi, ex multis, Cons. Stato, sez. V, sent. n. 2297 del 2002).
L’art. 35 della L. n. 448/01 (“legge finanziaria 2002”), adottato sulla spinta del diritto comunitario (come è noto, la Commissione CEE aveva avviato una procedura di infrazione nei confronti dello Stato italiano, a seguito della quale, in attesa dell’intervento del Legislatore, la Presidenza del Consiglio dei Ministri aveva emanato una circolare in cui si affermava l’obbligo di indizione di una gara per l’affidamento del servizio alle società miste locali) ha stravolto il quadro di riferimento, modificando radicalmente l’art. 113 del T.U.E.L. e introducendo l’art. 113-bis: in sostanza, è stata introdotta la summa divisio fra servizi pubblici aventi rilevanza industriale (art. 113) e servizi pubblici privi di tale rilevanza (art. 113-bis). Per quanto riguarda i primi, come è noto, la novità principale è la separazione fra proprietà delle reti, impianti e altre dotazioni patrimoniali, gestione delle reti e affidamento del servizio; tralasciando i primi due aspetti, l’art. 113, comma 5, prevede che per l’affidamento del servizio sia esperita una pubblica gara, vietando quindi l’affidamento diretto, il che significa che, a seguito della riforma del 2001, gli enti locali non sono più titolari del servizio, ma debbono assumere solo il ruolo di regolamentazione del mercato, di indirizzo e vigilanza sui gestori (i quali, in base all’attuale formulazione dell’art. 113, comma 5, debbono essere, alternativamente, società di capitali individuate attraverso l'espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica, oppure società a capitale misto pubblico-privato nelle quali il socio privato venga scelto attraverso l'espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica che abbiano dato garanzia di rispetto delle norme interne e comunitarie in materia di concorrenza o, infine, società a capitale interamente pubblico a condizione che l'ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano – c.d. “in house providing”).
A completamento della riforma, il comma 5-bis prevede che le normative di settore, al fine di superare assetti monopolistici, possono introdurre regole che assicurino concorrenzialità nella gestione dei servizi da esse disciplinati prevedendo, nel rispetto delle disposizioni di cui al comma 5, criteri di gradualità nella scelta della modalità di conferimento del servizio, mentre il comma 6 prevede espressamente che: “... Non sono ammesse a partecipare alle gare di cui al comma 5 le società che, in Italia o all'estero, gestiscono a qualunque titolo servizi pubblici locali in virtù di un affidamento diretto, di una procedura non ad evidenza pubblica, o a seguito dei relativi rinnovi; tale divieto si estende alle società controllate o collegate, alle loro controllanti, nonché alle società controllate o collegate con queste ultime..”; infine, il successivo comma 15-bis subordina la piena operatività del divieto alla scadenza di un periodo transitorio (fissato al 31/12/2006).
L’aspetto più rilevante della riforma, ai fini del presente giudizio, è proprio la regolamentazione del periodo transitorio. Cogliendo le ovvie difficoltà insite in una rivoluzione davvero epocale del settore dei servizi pubblici locali, il Legislatore aveva infatti previsto che l’entrata in vigore delle nuove disposizioni fosse innanzitutto subordinata all’adozione di un regolamento governativo che individuasse i servizi aventi rilevanza industriale (regolamento mai emanato) e poi al decorso di periodi transitori ”...non inferiori a tre anni e non superiori ai cinque anni, di scadenza o di anticipata cessazione della concessione rilasciata con procedure diverse dall'evidenza pubblica. A valere da tale data si applica il divieto di cui al comma 6 del medesimo articolo 113 del citato testo unico, salvo nei casi in cui si tratti dell'espletamento delle prime gare aventi per oggetto i servizi forniti dalle società partecipanti alla gara stessa. Il regolamento definisce altresì le condizioni per l'ammissione alle gare di imprese estere, o di imprese italiane che abbiano avuto all'estero la gestione del servizio senza ricorrere a procedure di evidenza pubblica, a condizione che, nel primo caso, sia fatto salvo il principio di reciprocità e siano garantiti tempi certi per l'effettiva apertura dei relativi mercati. A far data dal termine di cui al primo periodo, è comunque vietato alle società di capitali in cui la partecipazione pubblica è superiore al 50 per cento, se ancora affidatarie dirette, di partecipare ad attività imprenditoriali al di fuori del proprio territorio...” (art. 35, comma 2, della L. n. 448/01). Poiché il fatto di aver subordinato l’entrata in vigore del nuovo sistema all’adozione di un regolamento governativo che definisse i servizi pubblici a rilevanza industriale o commerciale (regolamento mai emanato) ha suscitato numerose critiche, il Legislatore è nuovamente intervenuto nel 2003 - D.L. n. 269 e L. n. 350 - introducendo la nuova definizione di servizio pubblico avente rilevanza economica (la cui definizione non è più rimessa ad un regolamento, ma desunta dall’interprete caso per caso, anche alla luce della giurisprudenza comunitaria) e stabilendo direttamente il termine di scadenza del periodo transitorio.
Tali disposizioni (ove venissero ritenute dal Collegio ostative all’applicazione del divieto di partecipazione alla gara in questione a carico di Hera) vengono censurate (anche nella nuova versione risultante dalle modifiche apportate dal D. L. n. 269/03 e dalla L. n. 350/03) di illegittimità costituzionale da Citélum, sul presupposto che esse, spostando avanti nel tempo il divieto di affidamento diretto dei servizi pubblici locali, perpetuano irragionevolmente il vulnus arrecato al principio di libera concorrenza dalla pratica degli affidamenti diretti dei servizi pubblici locali.
Il Collegio non reputa fondata la predetta questione di legittimità costituzionale, per le seguenti ragioni.
Le riforme introdotte negli ultimi anni nel nostro ordinamento economico, tese all’apertura dei mercati alla concorrenza, hanno imposto la trasformazione delle imprese in mano pubblica (spesso monopoliste legali) in soggetti aventi natura privatistica (si pensi alle Ferrovie dello Stato o all’ENEL) e questo processo ha riguardato da ultimo anche la realtà dei servizi pubblici locali, dei quali era consentito in passato l’affidamento diretto a società appositamente costituite. Avendo ritenuto di aprire anche tali mercati alla concorrenza, il Legislatore ha previsto un processo graduale, scandito da varie tappe, rispetto al quale la fissazione di un periodo transitorio non si appalesa irragionevole, anche in relazione all’estrema varietà delle situazioni locali, desumibile dal comma 15-bis dell’art. 113 (che prevede delle deroghe alla previsione di cessazione automatica degli affidamenti diretti alla data del 31/12/2006. La norma, infatti, fa salvi gli affidamenti a società miste il cui socio privato sia stato scelto con procedura ad evidenza pubblica espletata nel rispetto delle norme interne e comunitarie in materia di concorrenza o quelli c.d. “in house”, e quelli affidati alla data del 1° ottobre 2003 a società già quotate in borsa e a quelle da esse direttamente partecipate a tale data a condizione che siano concessionarie esclusive del servizio, nonché a società originariamente a capitale interamente pubblico che entro la stessa data abbiano provveduto a collocare sul mercato quote di capitale attraverso procedure ad evidenza pubblica. In questi due ultimi casi, le concessioni cessano comunque allo spirare del termine equivalente a quello della durata media delle concessioni aggiudicate nello stesso settore a seguito di procedure di evidenza pubblica, salva la possibilità di determinare caso per caso la cessazione in una data successiva qualora la stessa risulti proporzionata ai tempi di recupero di particolari investimenti effettuati da parte del gestore).
Inoltre (a differenza di quanto sostenuto a pagina 13 del ricorso incidentale), si deve evidenziare che la questione del divieto di attività extra moenia per le società miste locali affidatarie dirette dei servizi non è sorta in relazione alla possibile lesione del principio della libera concorrenza, ma in relazione alla paventata rottura del vincolo funzionale che connota il rapporto fra la società mista e gli enti locali titolari di quote del capitale sociale ed esponenziali delle collettività che dei servizi erogati dalla società mista debbono usufruire (cfr., in tal senso, la sentenza della sez. I del TAR Toscana n. 24 del 2001, annullata dalla sez. V del Consiglio di Stato con la sentenza n. 4586 del 2001, e la sentenza n. 240 del 2002 del TAR Emilia Romagna, sez. di Parma).
Tuttavia, anche sotto questo profilo il ricorso incidentale è infondato, per le seguenti ragioni.
Innanzitutto, perché Hera ha partecipato alla gara indetta dal Comune di Taranto in proprio ed in ATI con altre imprese (fra cui la IT S.r.l., precedente appaltatrice del servizio di gestione di pubblica illuminazione del comune ionico), mentre, a quanto risulta dal ricorso incidentale, in Emilia Romagna i servizi pubblici locali sono gestiti da società controllate da Hera (si parla di circa 30 società operative), la quale non ha quindi distolto risorse a danno dei Comuni aderenti al patto di sindacato. A sommesso avviso del Collegio, poi, si deve presumere che la volontà di prendere parte ad una gara extra moenia venga deliberata dagli organi societari competenti, in seno ai quali gli enti locali titolari di quote societari, sufficientemente rappresentati, hanno la possibilità di valutare se autorizzare o meno tale partecipazione (a similitudine di quanto prevede l’art. 5 del DPR n. 902 del 1986 a proposito dell’attività extra moenia delle aziende speciali comunali).
Inoltre, perché la questione dei limiti all’attività extra moenia delle società miste locali, con specifico riguardo al caso in esame, può essere risolta sotto due profili:
– non è mai entrato in vigore e non vige attualmente alcun divieto legislativamente sancito di svolgere tale attività, in quanto l’originaria previsione dell’art. 35 della L. n. 448/01 non ha avuto applicazione a causa della mancata adozione del regolamento di esecuzione, mentre nella nuova formulazione introdotta dalle modifiche del 2003 il divieto in questione non è più previsto (in quanto l’ultimo periodo del comma 2 dell’art. 35 è stato abrogato dall’art. 14, comma 3, del D.L. n. 269/03 e non è stato riprodotto nel comma 15-bis dell’art. 113 T.U. n. 267/00, che, come detto in precedenza, disciplina attualmente il periodo transitorio);
– dal punto di vista processuale, invece, la controinteressata non ha provato in alcun modo le sue affermazioni, ossia non ha dimostrato che Hera è affidataria diretta di servizi pubblici locali in Emilia Romagna, essendosi limitata ad una semplice enunciazione di tale situazione.
Infine, è noto che la sanzione dell’esclusione dalle gare ad evidenza pubblica o il divieto di parteciparvi debbono essere previsti da specifiche disposizioni di legge o da clausole del bando, poiché esse introducono una limitazione alla capacità di agire che l’ordinamento riconosce in generale a tutte le persone fisiche e giuridiche. Nel caso di specie, poi, Hera non ha approfittato di quelli che Citélum chiama privilegi genetici, visto che ha preso parte alla gara come impresa singola (in costituenda ATI) e non come impresa capogruppo di un’articolata organizzazione di società controllate, ed è risultata terza classificata (a riprova del fatto che anche le imprese ex monopoliste legali o comunque sorte dalla privatizzazione di enti pubblici economici possono essere battute quando partecipano alle gare in posizione di parità con le altre), in base a valutazioni di merito sulla bontà dei progetti tecnici, operate dalla Commissione di gara e non contestate da Hera (se non per particolari profili di cui si dirà esaminando il ricorso principale).
1.c. Non è fondata nemmeno la censura attinente alla presunta violazione della L. n. 287/90. A questo riguardo, il Collegio osserva che l’art. 8, comma 2-quinquies prevede che: “...Nei casi di cui ai commi 2-bis, [ossia, quello che sarebbe applicabile nei confronti di Hera – N.d.R.] 2-ter e 2-quater, l'Autorità esercita i poteri di cui all'articolo 14. Nei casi di accertata infrazione agli articoli 2 e 3, le imprese sono soggette alle disposizioni e alle sanzioni di cui all'articolo 15...”, mentre il successivo art. 14 assegna all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato i relativi poteri istruttori e sanzionatori.
Al riguardo, bisogna dubitare in primo luogo dell’applicabilità della predetta norma al caso di specie, visto che Hera (per stessa ammissione della ricorrente incidentale - vedasi precedente punto 1.b.) non gestisce direttamente i servizi pubblici locali nei comuni emiliano-romagnoli aderenti al patto di sindacato e, pertanto, viene meno il presupposto principale a cui è subordinata l’applicazione dell’art. 8, comma 2-bis, della legge antitrust.
Inoltre, non si comprende nemmeno quale interesse avrebbe l’ATI capeggiata da Citélum al rispetto da parte di Hera di tale norma, visto che anche una eventuale società controllata - che partecipasse alla gara in luogo della capogruppo - si gioverebbe di quei privilegi “genetici” di cui sopra.
In secondo luogo (ed anche questa circostanza è ritenuta decisiva dal Collegio), in tutto il sistema della legislazione antitrust, non si rinviene la sanzione accessoria dell’esclusione dalle gare ad evidenza pubblica per quelle imprese che violino i precetti, di derivazione comunitaria, dettati dalla L. n. 287/90 a tutela della libera concorrenza.
Pertanto, in disparte l’altra questione controversa (ossia, se per mercato diverso ai sensi del citato art. 8 della L. n. 287/90 si possa intendere anche un mercato geograficamente diverso, come sostiene l’ATI controinteressata), la Commissione di gara non avrebbe potuto decretare l’esclusione dell’ATI capeggiata da Hera per violazione della legislazione antitrust in assenza di specifica previsione normativa o di apposita clausola del bando (in questo senso, Cons. Stato, sez. V, sent. n. 4750 del 2003, in cui si afferma che la circostanza che un’impresa partecipante alla gara per un appalto di servizi sia stata in precedenza sanzionata dall’Autorità Antitrust, per avere tenuto condotte anticoncorrenziali, non è di per sé idonea a giustificarne l’esclusione dalla licitazione, in quanto la suddetta condotta non rientra fra quelle che, ai sensi del D. Lgs. n. 157/95, sono impeditive della partecipazione). Tra l’altro, nell’ordinamento nazionale e comunitario, gli unici organismi deputati a garantire l’applicazione dei principi e delle norme sulla concorrenza sono l’Antitrust italiano e la Commissione CEE (oltre al Governo, nei casi previsti dall’art. 25 della L. n. 287/90), per cui non rientra nei poteri delle Commissioni di gara sanzionare con l’esclusione le imprese che abbiano abusato della posizione dominante o abbiano posto in essere, senza parere favorevole preventivo, operazioni di concentrazione oggetto di notifica ai sensi della legislazione antitrust. Al limite potrebbe affermarsi a carico delle stazioni appaltanti un obbligo di segnalazione alle suddette autorità di situazioni in cui si possano ravvisare profili inerenti la violazione delle norme poste a presidio della concorrenza, ma non altro.
1.d. Venendo all’esame delle doglianze relative alla presunta violazione, da parte dell’ATI ricorrente, delle disposizioni in materia di qualificazione ai sensi del DPR n. 34/00 e di quelle in materia di subappalto, il Collegio ritiene che anch’esse siano infondate.
Bisogna rilevare innanzitutto che dalla vigente normativa - art. 3 del D. Lgs. n. 157/95, art. 2, comma 1, e art. 8, comma 11-septies, della L. n. 109/94 - si desume che:
– le norme della L. n. 109/94 si applicano solo agli appalti misti nei quali i lavori abbiano rilievo economico superiore al 50% dell’importo a base d’asta. In questo caso, le norme sui LL.PP. si applicano integralmente, ivi comprese le disposizioni di cui agli artt. 71 e ss. del DPR n. 554/99, che prescrivono l’indicazione nel bando di gara della categoria prevalente, a qualificazione obbligatoria;
– quando invece (come nel caso di specie) i lavori hanno rilevanza inferiore al 50%, le disposizioni relative agli appalti di lavori pubblici si applicano limitatamente alla qualificazione delle imprese chiamate ad eseguire i lavori stessi. Ciò significa che in questi casi le attestazioni SOA per le categorie di opere scorporabili indicate nel bando debbono essere possedute solo dalle imprese esecutrici.
Pertanto, non è condivisibile l’interpretazione di Citélum, secondo la quale le suddette norme impongono in ogni caso l’indicazione della categoria prevalente dei lavori, anche quando la componente “lavori” sia di rilievo economico inferiore al 50% nell’ambito dell’appalto misto (in pratica si dovrebbe individuare sempre la categoria prevalente, anche nell’ambito di prestazioni di per sé non prevalenti, in quanto aventi rilievo inferiore al 50% dell’appalto). Questa tesi è smentita proprio dall’art. 8, comma 11-septies, della L. n. 109/94 (il quale prevede che: “...Nel caso di forniture e servizi, i lavori, ancorché accessori e di rilievo economico inferiore al 50 per cento, devono essere eseguiti esclusivamente da soggetti qualificati ai sensi del presente articolo...”), norma che sarebbe del tutto inutile se dovessero trovare in ogni caso applicazione le disposizioni della L. n. 109/94 e del relativo regolamento di esecuzione. Pertanto, il bando di gara è legittimo nella parte in cui non ha indicato la categoria prevalente (a qualificazione obbligatoria) per la componente “lavori”, non essendovi tenuto ai sensi della legislazione richiamata in precedenza. Altrettanto legittimo è da considerare l’operato della Commissione di gara, che, dopo una iniziale perplessità, ha ammesso alla gara l’ATI capeggiata da Hera nel momento in cui la mandataria ha chiarito che essa non avrebbe eseguito direttamente i lavori e che quindi non aveva necessità di possedere l’attestazione SOA; quali esecutrici dei lavori sono state indicate le altre imprese appartenenti alla costituenda ATI, le quali sono invece in possesso delle attestazioni richieste.
La predetta conclusione introduce l’esame della doglianza relativa all’asserita violazione delle norme e dei principi in materia di subappalto. La censura si riferisce al fatto che l’ATI ricorrente, nell’indicare la suddivisione dei compiti fra le imprese associate, ha dichiarato che in caso di aggiudicazione avrebbe subappaltato, nel rispetto dell’art. 33 del Capitolato speciale, gli interventi di manutenzione straordinaria per la messa in sicurezza e risparmio energetico e quelli di valorizzazione ambientale, ossia quegli interventi che, nell’ambito dell’ATI, dovrebbero essere affidati a Gemmo Impianti e Co.I.MI. (le quali sarebbero quindi prive di qualsiasi ruolo operativo nell’ambito dell’ATI, con conseguente fondato dubbio che Hera abbia utilizzato i loro requisiti di qualificazione SOA solo per poter partecipare alla gara). In questo modo l’ATI avrebbe violato l’art. 18 della L. n. 55/90, che stabilisce il limite massimo (30% dell’importo a base d’asta), che è possibile subappaltare.
La censura è infondata, per le seguenti ragioni.
L’art. 11, comma 2, del D. Lgs. n. 157/95 (testo legislativo applicabile ratione materiae all’appalto in questione) stabilisce che l’offerta presentata da un’ATI deve specificare le parti dell’appalto che saranno eseguite dalle singole imprese (e tale onere è stato assolto dall’ATI capeggiata da Hera), mentre il successivo art. 18 prevede che: “1. Nel capitolato d'oneri l'amministrazione aggiudicatrice richiede al concorrente di indicare nell'offerta la parte dell'appalto che intenda eventualmente subappaltare a terzi. 2. [...]. 3. La disciplina del subappalto nel settore dei lavori pubblici contenuta nell'art. 18 della legge 19 marzo 1990, n. 55, e successive modifiche e integrazioni, si applica anche nelle ipotesi di subappalto nel settore degli appalti pubblici di servizi...”. L’art. 33 del Capitolato speciale di gara, poi, prevedeva che: “ [...] E’ consentito ricorrere a subappalti di qualsiasi tipo essi siano secondo quanto disposto dalle normative vigenti fatta esclusione per i servizi di esercizio, manutenzione ordinaria, reperibilità e pronto intervento. Qualora intendesse procedere con subappalti, l’Appaltatore sarà tenuto a formulare richiesta scritta all’E.A. e ad attendere la conseguente autorizzazione. La richiesta di subappalto e l’autorizzazione allo stesso avverranno secondo i dettami della legislazione vigente...”. Pertanto, alla luce della suesposta normativa, il subappalto può riguardare una parte qualsiasi dell’appalto e quindi anche quelle parti (consistenti in lavori) per cui sono state indicate quali esecutrici imprese in possesso di attestazione SOA. Nel caso di specie, l’ATI ricorrente ha testualmente dichiarato di voler subappaltare le suddette lavorazioni scorporabili nei limiti stabiliti dall’art. 33 del Capitolato, per cui, a fronte di tali chiarissime disposizioni, davvero non si comprende in che modo l’ATI ricorrente abbia violato la vigente legislazione in materia di subappalto, avendo le opere da subappaltare un valore inferiore al 30% di quello posto a base di gara e non essendo state indicate fra le lavorazioni da subappaltare quelle espressamente escluse dall’art. 33 del Capitolato (ossia quelle relative all’esercizio, alla manutenzione ordinaria, alla reperibilità ed al pronto intervento).
Di conseguenza, è infondata anche la censura relativa al fatto che due delle imprese facenti parte dell’ATI non svolgerebbero compiti operativi in caso di aggiudicazione, sia perché la dichiarazione di voler subappaltare una parte dei lavori non implica che poi ciò avvenga effettivamente e sia perché il raggruppamento capeggiato da Hera si è impegnato a rispettare il limite massimo del 30% (superato il quale la stazione appaltante non autorizzerebbe alcun subappalto, con conseguente obbligo di eseguire le lavorazioni da parte di Gemmo Impianti o di Co.I.MI.).
2. Ugualmente infondata è l’eccezione di inammissibilità del ricorso per acquiescenza al bando di gara, formulata dalla difesa del Comune, soprattutto in relazione ai motivi del ricorso principale con cui si contestano la formula utilizzata per la valutazione delle offerte economiche e la procedura di nomina della Commissione di gara (trattandosi di vizi che erano desumibili già al momento della lettura dell’avviso di gara o, quantomeno, al momento in cui la Commissione di gara ha iniziato le proprie operazioni, ossia dal 12/05/2003, data del verbale n. 1).
In disparte la considerazione che la giurisprudenza prevalente - che il Collegio condivide - è molto prudente nell’individuare, in generale, ipotesi di acquiescenza, proprio perché essa implica la perdita della possibilità di agire in giudizio a tutela dell’interesse leso da un provvedimento amministrativo (rispetto al quale l’interessato ha mostrato chiara ed inequivoca volontà di adesione), bisogna sottolineare come in materia di gare d’appalto di acquiescenza al bando si può parlare solo quando il concorrente non impugna tempestivamente una clausola che ha effetto escludente della sua partecipazione alla competizione (in tal senso, vedasi, per tutte, Cons. Stato, Ad. Plen. n. 1 del 2003, in cui il massimo Organo della giustizia amministrativa ha affermato che: “...I bandi di gara, di concorso e le lettere di invito vanno di regola impugnati unitamente agli atti che di essi fanno applicazione, dal momento che sono questi ultimi ad identificare in concreto il soggetto leso dal provvedimento ed a rendere attuale e concreta la lesione della situazione soggettiva dell'interessato; a fronte della clausola illegittima del bando di gara o del concorso, il partecipante alla procedura concorsuale non è ancora titolare di un interesse attuale all'impugnazione, dal momento che egli non sa ancora se l'astratta e potenziale illegittimità della predetta clausola si risolverà in un esito negativo della sua partecipazione alla procedura concorsuale, e quindi in una effettiva lesione della situazione soggettiva, che solo da tale esito può derivare...”), situazione che non sussiste nel caso di specie, visto che le clausole del bando contestate da Hera non hanno avuto tale effetto escludente; la loro lesività, invece, si è manifestata solo all’esito della valutazione delle offerte, per cui l’eccezione è da respingere. In questo senso, il Collegio condivide le conclusioni raggiunte dall’Adunanza Plenaria nella citata decisione n. 1 del 2003, con cui è stato composto un contrasto giurisprudenziale (creatosi in particolare in seno alla Sezione V, che soprattutto in alcune pronunce abbastanza risalenti – sentenze n. 1757 del 1998 e n. 302 del 1999 - aveva affermato l’onere di impugnazione preventiva di qualsiasi clausola del bando avente un contenuto illogico o comunque contra legem, ritenendo che tali clausole siano ex se produttive di effetti lesivi per ogni impresa accorrente e dunque da rimuovere immediatamente, al fine di non pregiudicare il corretto svolgimento della gara), riaffermando in fondo la regola aurea del processo amministrativo, secondo cui è sempre l’interesse ad agire il discrimen in base al quale individuare la sussistenza o meno dell’onere di tempestiva impugnazione e rigettando qualsiasi interpretazione che, spostando all’indietro il momento dell’impugnazione, sembri accreditare una visione “oggettiva” della giurisdizione amministrativa (configurando quasi un interesse alla legalità della procedura, distinto dalla pretesa all’aggiudicazione e predicabile solo in una giurisdizione di tipo oggettivo). Poiché quella amministrativa è una giurisdizione di tipo “soggettivo” (come affermato anche dalla Sezione nella recente sentenza n. 302 del 2004), è solo la lesione concreta ed attuale dell’interesse sostanziale a pretendere la tempestiva impugnazione del provvedimento lesivo.
Pertanto, anche l’eccezione di acquiescenza al bando di gara è da rigettare.
3. Passando quindi all’esame del ricorso principale, il Collegio ritiene fondati i primi due motivi, con cui l’ATI ricorrente ha censurato sia la formula prevista dal Capitolato di gara per la valutazione economica dell’offerta, sia la fissazione di alcuni dei parametri in base ai quali sono state valutate le offerte tecniche.
Si tratta, come evidenziato nel ricorso, di questioni sulle quali la giurisprudenza (ed in particolare la Sezione, con la recente sentenza n. 8903 del 2003) ha ormai elaborato consolidati principi, che il Collegio ritiene di riaffermare anche nella presente controversia:
- per quanto concerne il primo motivo di ricorso, la formula aritmetica prevista dall’art. 40 del Capitolato per la valutazione delle offerte economiche produce quello che viene definito “schiacciamento” della griglia di valutazione teoricamente a disposizione della Commissione di gara; infatti, in base al Capitolato speciale di gara, ma comunque nello spirito del criterio di aggiudicazione con il metodo dell’offerta economicamente più vantaggiosa (art. 23 del D. Lgs. n. 157/95), la stazione appaltante deve valutare, secondo una scala di valori prefissata nel bando o nella lettera d’invito, sia la componente tecnica, sia quella economica delle offerte. A tale scopo, nella presente gara il bando prevedeva che, per la parte tecnica, il range di valutazione fosse compreso fra 0 e 60 punti, mentre, per la parte economica, il punteggio fosse compreso fra 0 e 40 punti. Affinché le operazioni di gara siano legittime, occorre che la Commissione possa disporre interamente di tali punteggi, altrimenti il criterio utilizzato dalla stazione appaltante è illegittimo, perché rende quasi completamente inutile la valutazione dell’offerta economica, il che è contrario al criterio di cui all’art. 23 D. Lgs. n. 157 del 1995, che il Comune di Taranto ha affermato di voler applicare.
Infatti, come dimostrato nel ricorso, il punteggio conseguibile dal concorrente che ha ottenuto il miglior punteggio per l’offerta tecnica (nel caso di specie, l’ATI controinteressata), non viene per nulla influenzato (o meglio, lo è in misura estremamente ridotta) nella successiva fase di valutazione dell’offerta economica; in tal modo, il concorrente che ha ottenuto uno scarto di punti superiore a 10 nella prima fase rispetto al secondo classificato (come è avvenuto nel caso di specie per l’ATI controinteressata) è già sicuro di risultare aggiudicatario, perché, in base alla formula di cui al citato art. 40 del Capitolato, conseguirà non meno di 30 punti (su 40) per l’offerta economica.
A questo proposito il Comune ha osservato che la scelta di privilegiare in modo assolutamente prevalente la componente tecnica del progetto si giustifica alla luce della estrema complessità dell’appalto (che prevede una serie di prestazioni notevolmente diversificate, molte delle quali caratterizzate da notevole contenuto specialistico). Tale giustificazione è priva di fondamento, per due ragioni:
? in primis, perché se avesse voluto dare maggior peso alla componente tecnica delle offerte, la stazione appaltante avrebbe potuto distribuire diversamente i punteggi relativi, rispettivamente, alle offerte tecniche ed a quelle economiche (invece di 60 e 40 punti, avrebbe potuto prevedere, ad esempio, 70 e 30 punti) oppure addirittura bandire un appalto-concorso (lasciando quindi alle concorrenti maggiore libertà nella redazione del progetto tecnico e quindi anche nell’indicazione del corrispettivo dell’appalto);
? in secondo luogo, perché l’asserita complessità dell’appalto non rileva nei confronti di imprese specializzate nel settore, per le quali, anzi, la gestione della pubblica illuminazione di una città di medie dimensioni come Taranto rappresenta “il pane quotidiano” (tanto è vero che i progetti tecnici sono stati redatti in maniera accurata ed esaustiva da tutte le ATI accorrenti).
In realtà, nella gare ad evidenza pubblica (soprattutto in quelle da aggiudicare con il metodo dell’offerta economicamente più vantaggiosa), la stazione appaltante deve elaborare il capitolato di gara e valutare in maniera rigorosa i progetti tecnici (se del caso escludendo quelli che non raggiungono un livello minimo di sufficienza), ma non può sindacare (salvo i casi di verifica dell’anomalia, ai sensi dell’art. 25 del D. Lgs. n. 157/95) il modo con il quale la singola impresa - stabilendo il prezzo al quale è disposta ad eseguire l’appalto - intende conseguire l’utile economico e l’equilibrio fra costi e ricavi. E non è neppure detto che ad un maggior pregio tecnico corrisponda necessariamente un corrispettivo più elevato: ogni impresa, come detto, realizza il proprio equilibrio economico come meglio crede e la stazione appaltante deve valutare la bontà dei progetti e scegliere quello ritenuto migliore, realizzando, altresì, un risparmio di risorse finanziarie pubbliche.
In questo modo, il Collegio ritiene di poter superare anche l’asserzione dell’ATI controinteressata, la quale, mediante perizia di parte, ha cercato di dimostrare che la formula aritmetica prevista dall’art. 40 del Capitolato era comunque rispettosa della realtà concreta dell’appalto, affermando anche (a pagina 16 del controricorso) che la formula era comunque legittima in quanto produce risultati sostanzialmente analoghi a quella di cui all’allegato B del DPR n. 554/99. Il perito di parte, in particolare, asserisce che, stimati in circa € 23.098.131,00 i costi fissi minimi discendenti dalla corretta esecuzione dell’appalto stesso ed essendo tale importo pari a circa il 76% del valore complessivo a base di gara, la formula suddetta riproduce esattamente tale rapporto percentuale fra l’offerta più conveniente e quella più alta (infatti 30 punti rappresentano il 75% di 40 punti). Al riguardo, basta osservare che:
? la formula prevista dal Comune non è uguale a quella di cui al DPR n. 554/99 (che è molto più complessa di quella prevista dall’art. 40 del Capitolato e contiene anche, ma non solo, la c.d. interpolazione lineare);
? in ogni caso, ed in aggiunta a quanto detto in precedenza, non è convincente la valutazione compiuta dal perito di parte, il quale ha in pratica operato, dall’importo complessivo a base d’asta, uno scorporo dei costi fissi dell’appalto, a cui ritiene attribuibile comunque un punteggio minimo di 30 punti. L’operazione non è logicamente corretta, in quanto il punteggio astrattamente previsto dal bando (40 punti) deve essere tutto attribuibile, ovviamente in relazione ai ribassi praticati dai concorrenti, altrimenti si verifica una indebita frammentazione in più segmenti distinti delle offerte, il che è contrario alla logica unitaria con la quale ogni impresa (perseguendo, come detto in precedenza, il proprio utile aziendale), elabora il progetto tecnico e stabilisce l’entità del corrispettivo contrattuale al quale è disposta ad eseguire l’appalto.
Pertanto, il criterio utilizzato dal Comune di Taranto per la valutazione delle offerte economiche è da ritenere illegittimo, con conseguente annullamento dell’art. 40 del Capitolato speciale di gara;
- ugualmente fondato è il secondo motivo di ricorso, relativo sia alla illegittima commistione fra requisiti di prequalificazione e criteri di valutazione dei progetti tecnici, sia alla introduzione, in sede di attribuzione del punteggio tecnico, di un elemento non indicato nel bando.
Per quanto concerne il primo profilo, si tratta, occorre evidenziare, di un vizio che si riscontra spesso nelle gare per l’affidamento degli appalti di servizi, dovuto forse ad una non chiara comprensione delle disposizioni di origine comunitaria che disciplinano la materia, nel caso di specie il D. Lgs. n. 157/95. Il Legislatore italiano, dovendo recepire le direttive comunitarie, ha abolito il precedente sistema basato sugli albi dei fornitori (previsto in particolare nel campo dei lavori pubblici, ma non solo, poiché molte Amministrazioni pubbliche disponevano di elenchi di fornitori più o meno ufficiali da cui attingere i nominativi delle imprese da invitare alle gare per le forniture o i servizi) ed ha previsto un sistema in cui le imprese possono liberamente partecipare alle gare, naturalmente previa dimostrazione del possesso di determinati requisiti di moralità, capacità tecnica, economica e finanziaria (a garanzia della loro affidabilità). Nel caso degli appalti di servizi, tali requisiti sono indicati agli artt. 12, 13 e 14 del D. Lgs. n. 157/95.
Una volta che l’impresa si è “qualificata” e dunque è ammessa a partecipare alla gara, i requisiti suddetti non possono essere nuovamente valutati ai fini dell’aggiudicazione (tranne che per l’affidamento degli incarichi di progettazione, dove, però è proprio la valutazione del curriculum del professionista o della società di professionisti a costituire l’unico criterio di aggiudicazione), perché l’art. 23 del D. Lgs. n. 157/95 prevede che altri siano i parametri attraverso cui determinare l’offerta economicamente più vantaggiosa (in questo senso, ex multis, Cons. Stato, sez. V, sent. n. 1993 del 2003, in cui è stato dichiarato illegittimo l’inserimento, fra i criteri di valutazione dell’offerta economica, del requisito relativo alle esperienze simili maturate nel triennio antecedente alla gara, in quanto esso è un criterio soggettivo che esprime la capacità tecnica dell’impresa). Del resto, se fosse consentito privilegiare, ad esempio, il fatturato conseguito negli ultimi tre anni, le imprese di minori dimensioni o di più recente costituzione non avrebbero modo di entrare nel mercato, risultando quasi sempre superate da quelle di maggiori dimensioni o che hanno maturato una più risalente esperienza nel settore. Ciò però non significa che l’interesse pubblico ad individuare un contraente capace ed affidabile venga in tal modo obliterato, perché la stazione appaltante può e deve valutare approfonditamente la bontà del progetto tecnico, secondo i criteri di cui al citato art. 23 del D. Lgs. n. 157/95. Nel caso di specie, invece, il bando prevedeva, fra i criteri di valutazione dell’offerta tecnica, alcune voci sicuramente riconducibili ai requisiti di prequalificazione: si tratta, in particolare, delle voci “fatturato in servizi”, “numero di punti luce complessivamente in gestione o in manutenzione” e “certificati di buona esecuzione riferiti a servizi identici”.
A questo proposito, il Comune e l’ATI controinteressata hanno cercato di dimostrare che tale commistione non c’è stata, in quanto le suddette voci relative al progetto tecnico, in realtà facevano riferimento non già all’esperienza passata delle imprese, bensì alle modalità di espletamento del servizio posto in gara (cioè erano elementi attraverso cui era possibile valutare meglio la bontà del progetto relativo all’appalto in questione).
Tali affermazioni non sono da condividere, perché non è possibile negare che, ad esempio, il “fatturato in servizi” sia un dato prettamente riferito al passato, in quanto non si capisce in base a quale logica sarebbe da valutare con un punteggio maggiore il concorrente che abbia conseguito un fatturato più alto (o abbia gestito un maggior numero di punti luce) negli anni precedenti, se non ponendo in essere quella commistione fra requisiti di prequalificazione ed elementi dell’offerta tecnica che il Tribunale ritiene illegittima. Tra l’altro è possibile immaginare come tali elementi condizionino inconsciamente la Commissione di gara, la quale è portata a premiare con un punteggio più alto il concorrente in possesso di maggiore esperienza pregressa, il che, come detto in precedenza, danneggia potenzialmente i concorrenti che operano sul mercato da meno tempo, anche se hanno presentato un progetto di pari valore tecnico.
Pertanto, il bando di gara e la lettera d’invito sono illegittimi in parte qua.
Anche per quanto riguarda l’altro profilo del secondo motivo di ricorso, il Collegio ritiene sussistente il vizio lamentato, poiché la Commissione di gara, in sede di specificazione dei sub-elementi relativi al progetto tecnico, ha indicato, fra gli altri, l’“analisi dello stato dell’impianto esistente”, attribuendogli ben 8 punti su un massimo di 25. Tale voce non era però indicata né all’art. 39 del Capitolato, né al punto 2, let. c) della lettera d’invito, per cui è stata violata la par condicio fra i concorrenti, visto che, in assenza di specifico richiamo a tale elemento di valutazione, i concorrenti non erano tenuti a descrivere dettagliatamente l’impianto esistente nella redazione dell’offerta tecnica. Di conseguenza, solo il caso fortuito ha determinato l’attribuzione di un maggior punteggio per tale voce (per la quale la Commissione ha stabilito di assegnare un massimo di ben 8 punti su un totale di 25) a favore dei concorrenti che avevano ritenuto di descrivere in maniera più approfondita l’analisi sullo stato dell’impianto esistente.
Al riguardo, il Comune eccepisce che, in realtà, per analisi dello stato dell’impianto esistente si intende il computo metrico non estimativo, che le imprese dovevano allegare obbligatoriamente all’offerta ai sensi della lettera d’invito, per cui nessun danno le concorrenti hanno subito a causa della individuazione, da parte della Commissione, di tale ulteriore sub-criterio di valutazione. Questa affermazione non può essere condivisa, perché il computo metrico non estimativo era menzionato dal Capitolato e dalla lettera d’invito come documento accessorio all’offerta tecnica, per cui le imprese concorrenti non erano in grado di sapere con assoluta certezza che esso avrebbe costituito oggetto di specifica valutazione (con attribuzione, fra l’altro, di un punteggio numericamente rilevante).
Non è invece fondato il motivo riferito alla voce “Risorse tecniche, strumenti ed attrezzature no out per l’espletamento dell’appalto”, in quanto (come convincentemente spiegato dalla difesa del Comune), la Commissione di gara ha utilizzato per tutte le ATI partecipanti la medesima dizione (“...Le risorse umane e tecniche disponibili nell’organizzazione risultano rispondere alle esigenze dell’appalto...”) per significare che tutte avevano dimostrato adeguate potenzialità in tal senso, mentre poi, essendo il punteggio finale riservato a tale voce la media dei punteggi assegnati da ciascun commissario, si sono avuti lievi scostamenti fra i concorrenti (nell’ordine massimo di 0,8 punti), da considerare irrilevanti nell’economia generale della valutazione.
Pertanto, nei limiti suindicati, anche sotto questo profilo il bando di gara è illegittimo. Trattandosi di vizi che inficiano in maniera radicale i criteri di valutazione stabiliti dalla stazione appaltante, l’accoglimento del ricorso implica la ripetizione della gara, previa fissazione di una nuova griglia di valutazione delle offerte, non essendo sufficiente procedere ad una semplice correzione dei punteggi attribuiti dalla Commissione.
4. In relazione alla necessità di ripetere la gara, a seguito dell’annullamento degli atti impugnati per i suddetti motivi, il Collegio ritiene di esaminare brevemente anche le restanti censure, relative alle modalità di nomina ed alla composizione della Commissione di gara.
Per quanto riguarda il primo aspetto, bisogna osservare che il vigente Regolamento comunale per la disciplina dei contratti del comune di Taranto (art. 15) prevede che le Commissioni di gara siano costituite con provvedimento del Sindaco, ma tale previsione contrasta con il disposto degli artt. 107 e seguenti del D. Lgs. n. 267 del 2000, perché consente una indebita ingerenza dell’Organo di vertice politico nella gestione amministrativa dell’Ente, in contrasto con le linee di tendenza dell’ordinamento giuridico, che, a partire dalla fondamentale riforma operata dal D. Lgs. n. 29 del 1993, impongono la separazione fra le competenze degli organi politici (Consiglio, Giunta e Sindaco) e quelle dell’apparato burocratico (in particolare i dirigenti). Poiché non c’è dubbio che la nomina di una Commissione di gara rientri fra gli atti amministrativi di gestione ordinaria di un Ente, la previsione dell’art. 15 del Regolamento comunale è illegittima e si deve intendere comunque modificata dall’art. 107, comma 5, del D. Lgs. n. 267/00 (e ciò a prescindere dalla questione relativa alla competenza della Giunta a modificare tale Regolamento, modifica che l’Organo esecutivo comunale ha comunque approvato con la delibera n. 141 del 2003).
Per ciò che riguarda, invece, la composizione della Commissione nominata nel caso di specie dal Comune di Taranto, il Collegio premette che l’art. 16 del citato Regolamento comunale rimanda alle disposizioni di cui all’art. 45, comma 2, L.R. n. 27/85, che effettivamente prevede la presenza obbligatoria di almeno tre membri esperti nella materia (anche se la norma è riferita espressamente all’appalto-concorso, essa può essere applicata analogicamente alle gare per le quali è stato prescelto un altro sistema di aggiudicazione, sempre che comporti una valutazione tecnica); tuttavia (a parte che la L.R. n. 27/85 è stata abrogata dalla L.R. n. 13 del 2001, che non contiene un’analoga disposizione), tale requisito non deve essere inteso in senso formalistico e strumentale, di modo che la questione relativa alla maggiore o minore competenza dei membri prescelti possa condizionare in maniera decisiva le sorti delle gare ad evidenza pubblica (salvo il caso, ovviamente, in cui vengano prescelti soggetti che, palesemente, non hanno alcuna competenza nella materia oggetto dell’appalto). Inoltre, nel caso di specie, i vizi che l’ATI ricorrente imputa all’amministrazione in relazione al mancato rispetto dell’obbligo stabilito dall’art. 45 L.R. n. 27/85 esulano completamente da eventuali carenze manifestatesi in sede di giudizio tecnico operato dalla Commissione, visto che sono stati contestati criteri di valutazione previsti dal Capitolato speciale (quindi da norme che la Commissione doveva limitarsi solo ad applicare) o introdotti illegittimamente dalla stessa Commissione in sede di specificazione dei criteri generali fissati anch’essi dal Capitolato.
In ogni caso, tenuto conto della tipologia di prestazioni previste dal Capitolato che disciplina il servizio de quo, non appare fuori luogo la nomina a membro della Commissione del prof. Liberti, Preside della Facoltà di Ingegneria di Taranto, dal cui curriculum vitae si evince che lo stesso (laureato in Chimica Industriale) ha maturato una più che trentennale esperienza nei settori della tecnologia delle acque e della chimica applicata alla tutela dell’ambiente, partecipando altresì a numerosi gruppi di lavoro, finalizzati allo studio di progetti inerenti i settori suindicati; in tal senso (anche in considerazione del fatto che l’appalto contempla interventi di valorizzazione ambientale) il prof. Liberti possiede le nozioni necessarie per valutare con cognizione di causa i progetti tecnici relativi all’appalto de quo. Analogo discorso va fatto per il dr. Di Maso (dottore commercialista, nominato evidentemente per la sua innegabile competenza professionale a valutare nel merito la congruità economica dei progetti, soprattutto nel caso in cui si fosse reso necessario procedere a verifica dell’anomalia). Rilevato che la ricorrente non ha censurato la competenza degli ingegneri Barrotta e Scarlino, resta da verificare la competenza del presidente della Commissione (dr. Santo Barracato, dirigente del Servizio Appalti e Contratti, individuato ex lege dal Regolamento Comunale sui contratti, non impugnato sul punto), che il Collegio ritiene idoneo a svolgere i compiti relativi alla valutazione delle offerte della presente gara in quanto si tratta di un soggetto che svolge quotidianamente attività analoghe a quelle in questione, essendo tra l’altro tenuto ratione muneris a conoscere la normativa in tema di appalti pubblici. Pertanto, fermo restando che il Tribunale non può esprimere giudizi di merito sulla competenza della Commissione (perché in questo modo sovrapporrebbe il proprio punto di vista a quello dell’amministrazione), si deve ritenere che, nel caso di specie, il Comune di Taranto ha designato soggetti in possesso di un bagaglio culturale e professionale adeguato all’incarico; da ciò consegue la reiezione della censura.
5. In conseguenza dell’annullamento degli atti di gara impugnati dall’ATI ricorrente, deve essere dichiarata la nullità del contratto nelle more stipulato fra il Comune e l’ATI capeggiata da Citélum, alla luce di quanto affermato dalla prevalente giurisprudenza amministrativa, soprattutto di primo grado (ex multis, TAR Campania, Napoli, sez. I, sent. n. 3177 del 2002). In particolare, anche la Sezione, con sentenze n. 2857 e n. 6303 del 2003, ha avuto modo di riaffermare il principio secondo cui la violazione delle norme sull’evidenza pubblica implica la nullità, ai sensi dell’art. 1418 c.c., del contratto stipulato a seguito dell’illegittima aggiudicazione.
A questo proposito, il Collegio non ignora che il giudice di appello ha, soprattutto nell’ultimo periodo (Cons. Stato, sez. VI, sent. n. 2992 del 2003; id. sez. IV, sent . 6666 del 2003), sposato la tesi dell’inefficacia relativa del contratto nelle more stipulato fra l’amministrazione e l’aggiudicatario illegittimo, applicando altresì le disposizioni di cui agli artt. 23, comma 2, e 25, comma 2, c.c. a tutela dei terzi di buona fede. Questa tesi (lucidamente esposta nella citata sentenza della sez. IV n. 6666/03) si fa carico di alcuni problemi derivanti dall’applicazione della categoria della nullità (in particolare, per quanto attiene alla legittimazione all’azione, al termine entro cui può essere proposta la domanda ed agli effetti della declaratoria di nullità), a cominciare dal fatto che sarebbe difficilmente configurabile una nullità sopravvenuta.
Peraltro, premesso che sostanzialmente gli effetti non sono troppo diversi a seconda che si accolga l’una o l’altra tesi (visto che anche il Consiglio di Stato è mosso dall’esigenza di privare di effetti un contratto stipulato al termine di una procedura viziata dalla violazione di norme poste a presidio dell’interesse pubblico - vedasi, in tal senso, Cons. Stato, sez. VI, sent. n. 2332 del 2003) e che con la recentissima e articolata ordinanza n. 3355/04 della Sez. IV del Consiglio di Stato è stata rimessa all’Adunanza Plenaria la definizione della questione relativa agli effetti che l’annullamento dell’aggiudicazione produce sul contratto medio tempore stipulato, si deve innanzitutto rilevare il rapporto di specialità che intercorre fra le citate disposizioni degli artt. 23 e 25 c.c. e quelle dell’art. 1418 c.c.; quest’ultima è una norma speciale, dettata espressamente per i contratti e dunque applicabile ratione materiae alla tematica in discorso, mentre le prime due sono norme di portata generale, che riguardano tutti gli atti compiuti da un’associazione o da una fondazione in esecuzione di delibere assembleari successivamente annullate. Pertanto, considerato che la questione oggetto di analisi riguarda gli effetti che l’annullamento della gara ad evidenza pubblica produce sul contratto nelle more stipulato, vanno applicate le disposizioni civilistiche sulla invalidità dei contratti; una volta superata la tesi dell’annullabilità (sostenuta in passato dalla Corte di Cassazione, ma decisamente respinta dalla consolidata giurisprudenza amministrativa), il Collegio ritiene che il contratto sia nullo ai sensi dell’art. 1418 c.c., per violazione delle norme imperative in materia di evidenza pubblica (dettate, come è noto, non solo nell’interesse della P.A., ma soprattutto a tutela della concorrenza fra gli operatori economici). Né si possono desumere argomenti di segno contrario dall’art. 14 del D. Lgs. n. 190 del 2002 (attuativo della legge delega n. 443 del 2001), che prevede, come è noto, che l’annullamento dell’aggiudicazione di gare inerenti le infrastrutture di importanza strategica non determina la risoluzione del contratto eventualmente già stipulato con l’aggiudicatario e che, in questi casi, il risarcimento degli interessi o diritti lesi avviene per equivalente, con esclusione della reintegrazione in forma specifica; infatti, in disparte la formulazione impropria utilizzata dal Legislatore (e sottolineata anche nella recentissima sentenza n. 3465 del 2004 della Sez. V del Consiglio di Stato), la norma ha natura eccezionale, visto che (in ragione dell’importanza che il Legislatore annette alla realizzazione di opere pubbliche di rilevanza strategica) esclude la possibilità per il giudice amministrativo di apprestare un rimedio che, nel nostro ordinamento, ha valenza generale (dal che è lecito anche supporre un possibile contrasto dell’art. 14 D. Lgs. n. 190/02 con l’art. 113 Cost.).
Per quanto riguarda gli aspetti problematici individuati nella sentenza del Consiglio di Stato n. 6666/03, si può replicare alle suesposte obiezioni, facendo riferimento innanzitutto ad alcune note innovazioni introdotte negli ultimi anni in materia di contratti dei consumatori. Il capo XIV-bis del c.c., introdotto dalla L. n. 52 del 1996, infatti, prevede specifiche ipotesi di nullità relativa delle clausole abusive (cioè, nullità operanti solo a favore di una delle parti del contratto, ossia del consumatore - vedasi art. 1469-quinquies, il quale parla testualmente di inefficacia delle clausole abusive, ma la migliore dottrina civilistica è propensa a ritenere che si tratti di inefficacia derivante dalla nullità delle clausole stesse per violazione di norme imperative), la quale rappresenta un’evidente novità rispetto alla categoria storicamente conosciuta dalla dottrina civilistica; si tratta di una nullità che non opera erga omnes, ma solo a favore della parte debole del rapporto negoziale (per cui il professionista non potrebbe eccepire la nullità della clausola per sottrarsi all’obbligo di eseguire il contratto), così come la nullità del contratto che discende dall’annullamento dell’aggiudicazione può essere fatta valere solo dal ricorrente vittorioso nel giudizio impugnatorio e non da chiunque vi abbia interesse, come prevede invece l’art. 1421 c.c.
Inoltre, occorre precisare che, nel caso di specie, non si deve parlare di nullità sopravvenuta (come si afferma nella citata sentenza n. 2992/03 della sez. VI), in quanto la pronuncia del giudice amministrativo si limita a dichiarare la nullità di un negozio che è già nato invalido (a causa del vizio della procedura con cui è stato prescelto il contraente privato, vizio che, afferendo alla legittimità di un provvedimento amministrativo, deve essere accertato nel corso di un giudizio impugnatorio. Tra l’altro, poi, avendo la pronuncia di annullamento dell’aggiudicazione effetto ex tunc, solo impropriamente si può dire che la nullità di cui si discute è una nullità sopravvenuta, sussistendo essa, invece, fin dal momento in cui il contratto viene stipulato).
Per quanto riguarda il termine, poi, la questione va risolta in base alla regola della c.d. pregiudiziale amministrativa (Cons. Stato, Ad. Plen. n. 4 del 2003), per cui di fronte al giudice amministrativo (il distinguo è importante, in quanto non si può escludere che la questione possa venire in evidenza anche di fronte al giudice ordinario, soprattutto in sede di esecuzione del contratto e quando non si è avuto un previo giudizio impugnatorio di fronte al giudice amministrativo. Ciò potrebbe accadere, ad esempio, quando l’amministrazione, ad appalto già avviato, annulli in autotutela l’aggiudicazione e poi chieda al giudice ordinario di dichiarare la nullità del contratto) l’actio nullitatis non può essere proposta separatamente dall’azione impugnatoria degli atti di gara (da esercitare nel breve termine decadenziale), per cui il problema dell’imprescrittibilità dell’azione (che metterebbe a repentaglio l’esigenza di stabilità dei rapporti giuridici nei quali è parte una pubblica amministrazione) di fatto non si pone.
Per quanto riguarda, invece, l’ultimo aspetto, si ritiene che l’applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 23 e 25 c.c. introduca un ingiustificato limite ai poteri ripristinatori del giudice amministrativo, il quale, a seguito delle riforme del 1998-2000, ha la possibilità di assicurare la reintegrazione in forma specifica in favore del ricorrente vittorioso.
Nelle gare ad evidenza pubblica tale possibilità si traduce proprio nella declaratoria di nullità del contratto, di modo che, a seguito dell’esito favorevole della nuova gara, il ricorrente vittorioso possa conseguire l’aggiudicazione dell’appalto; se però si introduce il limite della buona fede del terzo (da individuare ovviamente nell’aggiudicatario illegittimo), questa possibilità di reintegrazione in forma specifica viene svuotata di contenuto, perché è pressoché impossibile provare che il controinteressato fosse a conoscenza dei vizi della procedura e che quindi fosse in mala fede al momento della stipula del contratto (e ciò anche se, al momento della stipula, il ricorso sia stato già notificato al controinteressato, in quanto questi non è tenuto a condividere le doglianze del ricorrente - che potrebbe aver agito anche per fini meramente ostruzionistici o addirittura proposto una lite temeraria - o a rinviare la realizzazione del proprio interesse alla conclusione del processo).
Il limite, invece, va individuato di volta in volta (ai sensi dell’art. 2058 c.c., applicabile analogicamente) nell’avanzato stato di esecuzione dell’appalto, che potrebbe ostare ad una sostituzione dell’aggiudicatario illegittimo con un altro soggetto (aprendo però la possibilità per il ricorrente vittorioso di agire per ottenere il risarcimento per equivalente). Nei contratti di durata, invece, tale limite in generale non opera, in quanto il lungo periodo di durata dell’appalto consente di solito il subentro di un altro soggetto al precedente gestore, salvo l’eventuale obbligo per la stazione appaltante di tenere indenne quest’ultimo delle spese sostenute e delle prestazioni eseguite.
6. Premesso quanto sopra, il ricorso principale va accolto nei limiti di cui in motivazione, e vanno pertanto annullati gli atti di gara in epigrafe, fra cui l’art. 40 del Capitolato di gara, nella parte in cui stabilisce il criterio di valutazione delle offerte economiche, i verbali di gara e le determinazioni dirigenziali con cui è stato approvato l’esito della gara. Va invece respinto il ricorso incidentale.
Il contratto n. 7960 di rep. del 12/03/2004, stipulato fra il Comune di Taranto e l’ATI capeggiata da Citélum deve essere invece dichiarato nullo, ai sensi dell’art. 1418 c.c.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Sezione Seconda di Lecce, accoglie il ricorso principale e respinge il ricorso incidentale.
Sussistono giusti motivi per compensare le spese del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Lecce, nella Camera di Consiglio del 13 maggio 2004.
Dott. Antonio Cavallai Presidente
Dott. Tommaso Capitanio Estensore
Pubblicata il 14 giugno 2004 |