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TAR Campania, Napoli, Sez. III, 15/7/2004 n. 10256
Sulla legittimità dell'esercizio dell'azione risarcitoria di un atto divenuto inoppugnabile.

E' legittimo l'esercizio dell'azione per il risarcimento del danno subito sebbene l'atto sia divenuto inoppugnabile. Infatti, il giudice, dopo aver verificato la sussistenza di tutti i presupposti previsti dalla legge (danno ingiusto, dolo, colpa, nesso causale) deve valutare la domanda di risarcimento del danno nonostante l'annullamento dell'atto non consegua a ricorso giurisdizionale proposto dal medesimo soggetto che introduce la domanda di risarcimento, ed anzi quest'ultimo abbia fatto inutilmente decorrere il termine decadenziale per l'impugnazione dell'atto.

Materia: pubblica amministrazione / responsabilità

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sez. III,

composto dai Signori:

dott. Giovanni De Leo  Presidente

dott. Oberdan Forlenza            Consigliere rel.

dott. Anna Pappalardo Consigliere

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

nella causa di cui al ricorso n. 7843/1999 r.g., proposto da Gialanella Angelo, rappresentato e difeso dall’avv. Giovanni Stendardo, con lo stesso elettivamente domiciliato in Napoli, via Niso, 22 (m. a m.);

 

contro

la Regione Campania, in persona del Presidente p.t. della Giunta Regionale della Campania, rappresentato e difeso dall’avv. Salvatore Colosimo, dell’Avvocatura Regionale, tutti domiciliati in Napoli, via Santa Lucia, 81;

 

per il risarcimento del danno

conseguente alla illegittima mancata attribuzione di incarico dirigenziale e connessa indennità di funzione, per effetto di errata collocazione nella graduatoria del personale di prima qualifica dirigenziale;

visti il ricorso e gli altri atti di causa;

visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Campania;

relatore alla pubblica udienza del 29 gennaio 2004 il Cons. Forlenza;

uditi i difensori delle parti, come da verbale di udienza;

considerato in fatto ed in diritto quanto segue:

 

FATTO

Con ricorso notificato in data 3 settembre 1999, depositato il successivo 6 ottobre, il ricorrente espone di essere stato collocato al 423° posto della graduatoria del personale di I qualifica dirigenziale della Regione Campania, approvata in via definitiva con delibera di Giunta Regionale 24 novembre 1992 n. 6750 (mentre, in un primo tempo, nella graduatoria provvisoria, risultava collocato al 386° posto).

A seguito di numerosi ricorsi giurisdizionali avverso il citato atto di approvazione della graduatoria, la Regione Campania, con deliberazioni 19 giugno 1998 n. 3779 e 29 ottobre 1998 n. 7317, provvedeva a redigere e ad approvare una nuova graduatoria, nella quale il ricorrente risultava collocato al 383° posto.

Tuttavia, il ricorrente era stato medio tempore collocato a riposo per raggiunti limiti di età, a far data dal 1 agosto 1995, e non ha potuto, di conseguenza, beneficiare della nuova e migliore posizione in graduatoria.

Alla luce di ciò, con il presente ricorso il sig. Gialanella chiede che questo Tribunale voglia condannare la Regione Campania al risarcimento “del danno morale e materiale sofferto dall’istante a seguito e per effetto di errata collocazione nella graduatoria, consistente nel mancato affidamento di incarico e funzione dirigenziale”. Il danno da risarcirsi viene determinato, nella domanda, in misura pari all’indennità di funzione dirigenziale per un quadriennio (o la diversa cifra determinata da questo Tribunale), “con obbligo di rideterminare sia il trattamento di fine rapporto e sia quello pensionistico”.

Si è costituta in giudizio la Regione Campania, che ha concluso richiedendo il rigetto del ricorso, e, in subordine, una quantificazione del danno da risarcire limitata al periodo 13 ottobre 1994 (data di prima approvazione della graduatoria) – 31 luglio 1995 (data di collocamento a riposo del ricorrente).

All’odierna udienza, la causa è stata riservata in decisione.

 

DIRITTO

1. Preliminarmente, il Tribunale ritiene opportuno dichiarare espressamente la sussistenza della propria giurisdizione in ordine alla domanda risarcitoria proposta. Ed infatti, benché al momento di proposizione della stessa (il ricorso è stato notificato in data 13 settembre 1999), il giudice amministrativo non avesse giurisdizione in tema di risarcimento del danno derivante da atto illegittimo (si veda, per tutte, Cass. civ., Sez. Un., n. 500/1999), la giurisdizione in materia è tuttavia stata a questo giudice attribuita in corso di giudizio (art. 7, comma terzo,  l. n. 1034/1971, come sostituito dalla l. n. 205/2000).

Ne consegue che, come è stato chiarito anche dalla giurisprudenza (Corte Cost., ord. 8 maggio 2000 n. 132; Cons. Stato, sez. V,  ord. 28 settembre 2000 n. 4829), benché l’art. 5 c.p.c., fissi il principio di determinazione della giurisdizione al momento di proposizione della domanda, senza che abbiano rilievo “i successivi mutamenti della legge”, tuttavia, per evidenti ragioni connesse alla effettività della tutela giurisdizionale, deve ritenersi ben incardinato il processo che, pur non proposto in origine innanzi al giudice dotato di giurisdizione, si trovi effettivamente dinanzi ad un giudice al quale la giurisdizione (per mutamenti legislativi) è sopravvenuta in corso di causa e sussista al momento della pronuncia.

2. Il ricorso è fondato e deve essere, pertanto, accolto, nei limiti di seguito indicati.

Come si evince dalla esposizione in fatto, il ricorrente non risulta essere tra coloro che hanno proposto ricorso avverso la prima approvazione della graduatoria (delibera GR n. 6750/1992), ovvero avverso l’ulteriore approvazione (decreto del Presidente della Giunta Regionale 13 ottobre 1994 n. 9925) o almeno ciò non è dato ricavare dagli atti di causa.

Tuttavia, il Tribunale ritiene che, nel caso di specie, non si ponga il problema, pur affrontato dalla giurisprudenza (Cons. Stato, Ad. Plen., 26 febbraio 2003 n. 4; Cons. Stato, sez. VI, 18 giugno 2002 n. 3378; Cass. civ., sez. II, 27 marzo 2003 n. 4538), della necessità della previa impugnazione, entro il termine decadenziale, dell’atto amministrativo lesivo, come condizione di ammissibilità della domanda risarcitoria.

In primo luogo, nel caso di specie, sia pure in dipendenza di ricorsi proposti da altri concorrenti ed accolti dal giudice amministrativo, è la stessa pubblica amministrazione (con delibera GR 29 ottobre 1998 n. 7317), a rideterminare la graduatoria del personale di I qualifica dirigenziale, e la giurisprudenza, che pure ammette la necessità della cd. pregiudiziale amministrativa, ha comunque già affermato che non occorre la previa impugnazione dell’atto allorchè quest’ultimo risulti annullato in via di autotutela o in sede di ricorso straordinario al Capo dello Stato (si vedano, oltre alla già citata Cons. Stato, sez. VI, n. 3338(/2002, Sez. VI, 15 febbraio 2002 n. 952; TAR Veneto, sez. II, 9 aprile 2001 n. 971).

Semmai, il problema che si pone nel caso di specie (e che questo Tribunale ritiene di risolvere positivamente), consiste nello stabilire se possa essere proposta la domanda risarcitoria, in conseguenza di un esercizio del potere di autotutela da parte della pubblica amministrazione, nel caso in cui avverso l’atto successivamente annullato (in via amministrativa, giustiziale, o anche in sede giurisdizionale, ma a seguito di ricorso proposto da altri), a suo tempo colui che chiede la condanna dell’amministrazione al risarcimento del danno, non abbia proposto impugnazione entro il termine decadenziale. In definitiva, il problema che si pone, in via generale, è se l’annullamento di atto ormai inoppugnabile consenta l’esercizio dell’azione risarcitoria, dalla quale il ricorrente (aderendo alla tesi della cd. pregiudiziale amministrativa), sarebbe decaduto. Ovviamente, la risposta a tale problema non può che essere positiva, nel senso cioè della piena ammissibilità della domanda, qualora non si ritenga di aderire alla tesi, pure ormai autorevolmente affermata, della cd. pregiudiziale amministrativa (in tal senso, TAR Marche, 23 febbraio 2004 n. 67).

Questo Tribunale, tuttavia, ritiene che la domanda sia ammissibile, anche senza riproporre nuovamente, ed affrontare nella presente sede, la già richiamata problematica della pregiudiziale amministrativa. Ed infatti, tra le ragioni sulle quali si è fondata la interpretazione che richiede necessariamente, quale condizione di proponibilità della domanda risarcitoria, la previa impugnazione dell’atto amministrativo illegittimo entro il termine decadenziale, le principali, che qui devono essere richiamate, per la loro portata generale, sono: a) quella che vede nella tutela risarcitoria accordata dall’art. 7, comma terzo, l. n. 1034/1971, una tutela ulteriore, rispetto a quella, di tipo ripristinatorio, offerta dall’annullamento dell’atto amministrativo (in tal senso, Cons. Stato, sez. VI, n. 3338/2002, fatta propria da Ad. Plen. n. 4/2003); b) quella che afferma la sostanziale impossibilità di pervenire ad una valutazione di “ingiustizia” del danno subito, fintantoché permanga un provvedimento amministrativo che, in quanto assistito da presunzione di legittimità, non consente di far definire “ingiusta” la condotta della pubblica amministrazione, concretizzatasi nell’adozione di uno o più atti amministrativi. Se tali sono le ragioni principali sulle quali si fonda la tesi della cd. pregiudiziale amministrativa, occorre osservare, quanto alla seconda di esse, che l’esercizio del potere di autotutela sull’atto amministrativo, con suo conseguente annullamento, risolve in radice il problema della presunzione di legittimità dell’atto stesso, ed elimina ogni ostacolo all’esame della (eventuale) ingiustizia del danno da parte del giudice. E, a tali fini, non assume alcun rilievo il fatto che tale annullamento giunga dopo la scadenza del termine per proporre l’impugnazione, quando l’atto, cioè, è ormai divenuto inoppugnabile.

Quanto alla prima tesi, occorre osservare che il “fatto nuovo”, rappresentato dal sopravenuto annullamento dell’atto in via di autotutela, non può non spiegare effetti sulla posizione del soggetto che, leso dall’atto ab origine illegittimo ed ora annullato dalla stessa pubblica amministrazione, si vede riconosciuta, ora per allora, una diversa posizione giuridica. Ed infatti, ritenendo non ammissibile la proposizione della domanda risarcitoria, si affermerebbe che la decisione di non impugnare il provvedimento amministrativo, facendo decorrere il termine decadenziale, costituisca una rinuncia a qualsiasi forma di tutela, sia ripristinatoria, sia risarcitoria, e ciò anche nel caso in cui sia lo stesso autore del fatto (eventualmente) produttivo di danno a dichiarare la illegittimità dell’atto amministrativo. Peraltro, se l’avere “graduato” le domande, nel senso che la domanda risarcitoria innanzi al giudice amministrativo “dipende” dalla proposizione della domanda di annullamento, in quanto la tutela risarcitoria è aggiuntiva – ove ne residuino margini – a quella ripristinatoria, se ciò in qualche misura pone in ombra il problema dell’applicazione di un termine decadenziale all’esercizio dell’azione a tutela di un diritto, ebbene, nel caso in cui sia la stessa pubblica amministrazione a procedere all’annullamento dell’atto o ad assumere diverse determinazioni, comunque riconducibili all’esercizio di un potere (anche implicito) di autotutela, il non riconoscere la conseguente esperibilità dell’azione di risarcimento significherebbe affermare espressamente che l’esercizio di tale azione è assoggettato a termine decadenziale, in difetto di qualsivoglia indicazione di legge, e quindi in violazione dell’art. 152 c.p.c. e dell’art. 24 Cost.

D’altra parte, come si è già affermato, una volta che viene meno l’ostacolo alla valutazione del danno come ingiusto (ostacolo rappresentato dalla presunzione di legittimità dell’atto amministrativo che si assume lesivo), non sussiste alcun impedimento per il cittadino di proporre e per il giudice di valutare la domanda di risarcimento del danno. E ciò anche laddove l’annullamento dell’atto non consegua a ricorso giurisdizionale proposto dal medesimo soggetto che introduce la domanda di risarcimento, ed anzi quest’ultimo abbia fatto inutilmente decorrere il termine decadenziale per l’impugnazione dell’atto.

3. Nel caso di specie, il Gialanella, per effetto di atti amministrativi adottati dalla Regione Campania, è stato privato del posto nella graduatoria del personale di I qualifica dirigenziale della Regione Campania, che gli sarebbe legittimamente spettato, e che la stessa Regione Campania ha provveduto a riconoscergli, con delibera della Giunta Regionale n. 7317/1998.

In virtù di ciò, il Gialanella chiede ora il risarcimento del danno morale e materiale patito per effetto della illegittima collocazione in graduatoria.

Orbene, come la giurisprudenza ha chiarito, non ogni annullamento di provvedimento amministrativo comporta di per sé il sorgere del diritto al risarcimento del danno. Sulla scorta della sentenza n. 500/1999 della Suprema Corte ( che appunto esclude un diritto al risarcimento “generalizzato”), il Consiglio di Stato ha avuto modo di affermare ( Sez. V, 18 marzo 2002 n. 1562) che “il risarcimento del danno non è una conseguenza automatica dell’annullamento giurisdizionale, seppur da questo non prescinde, ma richiede la positiva verifica della sussistenza di tutti i presupposti previsti dalla legge: oltre alla lesione della situazione soggettiva di interesse tutelata dall’ordinamento (“danno ingiusto”), è necessario che siano accertati la colpa (quanto meno) dell’amministrazione, l’esistenza di un danno causato al patrimonio, il nesso di causalità tra illecito e danno”.

In tal senso, il TAR Lazio (sez. II, 28 febbraio 2003 n. 1666) ha affermato che non basta il mero annullamento dell’atto di aggiudicazione ad un soggetto diverso dal ricorrente a determinare l’accoglimento della domanda risarcitoria, ma occorre la puntuale dimostrazione dell’esistenza del danno patrimoniale, del nesso eziologico col provvedimento annullato e dell’elemento soggettivo (dolo o colpa dell’amministrazione). In senso conforme, TAR Lazio, sez. Ibis, 5 marzo 2003 n. 1719, TAR Basilicata, 24 novembre 2003 n. 1017.

Il Consiglio di Stato (sez. V, 10 febbraio 2004 n. 493), ha precisato che “se è pur vero che, in materia di risarcimento del danno per la lesione di un interesse legittimo, occorre considerare come l’eliminazione dell’atto impugnato, che costituisce la reintegrazione in forma specifica della situazione giuridica tutelata, può lasciare un’area scoperta ascrivibile alla nozione di danno ingiusto, ai sensi dell’art. 2043 c.c., è altrettanto vero che nella liquidazione del risarcimento del danno va applicato il principio sancito dall’art. 1223 c.c., in virtù del quale sono risarcibili i danni che siano conseguenza immediata e diretta della condotta illecita, per cui, affinché il pregiudizio che la vittima dell’illecito allega possa essere addebitato a titolo risarcitorio al suo autore, è necessario che, secondo il principio della regolarità causale, esso rientri nelle conseguenze normali del fatto, le quali consistono e si esauriscono nella diminuzione patrimoniale corrispondente al valore della cosa sottratta al proprietario e nella misura in cui maggiore possa rivelarsi il danno per la qualità del fondo che venga meno a seguito di quell’evento”. Nel caso di specie, il Tribunale ritiene che sussistano tutte le condizioni perché debba riconoscersi il diritto al risarcimento del danno subito dal Gialanella, con conseguente condanna della Regione Campania al pagamento di quanto spettante a tale titolo, nei sensi e limiti di seguito esposti.

Quanto alla sussistenza del nesso di causalità e dell’effettiva esistenza di un danno patrimoniale, appare del tutto evidente che, per effetto della illegittima posizione attribuita al Gialanella nella graduatoria relativa al personale di I qualifica dirigenziale, lo stesso non ha potuto essere destinatario di incarichi dirigenziali conseguenti alla legittima posizione in graduatoria e, quindi, egli non ha potuto beneficiare né del miglior trattamento retributivo connesso all’espletamento dell’incarico, né delle più favorevoli conseguenze che la percezione di una maggiore retribuzione avrebbe avuto sull’indennità di buonuscita e sul trattamento di quiescenza.

Quanto alla sussistenza del cd. elemento soggettivo dell’illecito, questo Tribunale osserva che, nel caso di specie, sussiste la colpa dell’amministrazione, la quale, per un verso, aveva rettamente inquadrato il ricorrente nella posizione cui lo avrebbe sostanzialmente riportato solo con l’ultima delibera del 1998, privandolo poi di tale posizione (ciò è avvenuto, come afferma il ricorrente e la Regione non contrasta, con delibera GR con la graduatoria provvisoria pubblicata il 5 ottobre 1992); per altro verso, l’amministrazione, che pure è ritornata più volte sui propri atti, ha avuto ogni possibilità – anche a fronte degli interposti ricorsi giurisdizionali – di rimeditare gli atti da essa stessa adottati e di giungere, quindi, anche con maggiore celerità, ad un risultato definitivo e legittimo.

Per le ragioni esposte, deve essere, quindi, dichiarato sussistente il diritto del ricorrente al risarcimento del danno, derivante dalla mancata attribuzione dell’incarico dirigenziale con connessa indennità di funzione, per effetto della illegittima posizione in graduatoria.

Quanto alla quantificazione di tale danno, esso deve consistere in una somma corrispondente alla differenza tra il trattamento retributivo percepito e il trattamento retributivo conseguente alla attribuzione di un incarico dirigenziale corrispondente alla qualifica riconosciuta al ricorrente, a decorrere dal 1 gennaio 1993 (data così equitativamente determinata, in conseguenza della delibera 24 novembre 1992 n. 6750, di attribuzione della più deteriore posizione in graduatoria) e fino al 31 luglio 1995, cioè fino al collocamento a riposo del Gialanella. Alla somma così determinata deve essere aggiunta una ulteriore somma corrispondente alla differenza tra quanto percepito a titolo di indennità di buonuscita e quanto avrebbe dovuto essere percepito, in conseguenza di espletamento di incarico dirigenziale e percezione della migliore retribuzione connessa, ed infine, una ulteriore somma corrispondente alla differenza tra  rateo pensionistico mensilmente percepito e quello che avrebbe dovuto essere percepito, sempre in dipendenza dell’incarico dirigenziale ove fosse stato attribuito ed espletato, moltiplicato per 120 mensilità (equitativamente determinando in dieci anni il periodo da tener presente ai fini della quantificazione della somma).

Non può essere accolta integralmente la domanda del ricorrente, laddove ha chiesto la determinazione di una somma a titolo di risarcimento danni corrispondente ad un quadriennio, essendo tale periodo superiore alla sua stessa permanenza in servizio, né laddove essa consiste nella richiesta del risarcimento del danno morale, in quanto la domanda si presenta del tutto generica.

Allo stesso modo, non può essere accolta la richiesta subordinata della Regione Campania, laddove essa ha indicato il periodo da prendere in considerazione, in caso di accoglimento della domanda risarcitoria, in quello dal 13 ottobre 1994 al 31 luglio 1995, non potendo essere posti a carico del ricorrente – relativamente alla determinazione del dies a quo – i tempi occorsi all’amministrazione, per giungere all’emanazione del DPGR 13 ottobre 1994 n. 9925.

Sulla somma determinata secondo i criteri sopra indicati, trattandosi di debito di valore, deve essere calcolata la rivalutazione monetaria e gli interessi al tasso legale, dalla data della domanda (corrispondente alla notificazione del ricorso) e fino al soddisfo.

Trattandosi di somme dovute a titolo di risarcimento del danno, il Tribunale ritiene che non trova applicazione il divieto di cumulo tra interessi legali e rivalutazione monetaria, previsto dall’art. 22, comma 36, l. 23 dicembre 1994 n, 724, che ha esteso il divieto di cumulo già previsto per i crediti di natura previdenziale dall’art. 16, comma 6, l. 30 dicembre 1991 n. 412, anche “agli emolumenti di natura retributiva, pensionistica ed assistenziale, per i quali non sia maturato il diritto alla percezione entro il 31 dicembre 1994, spettanti ai dipendenti pubblici e privati in attività di servizio e in quiescenza”.

Al contempo, il Tribunale ritiene che il dies a quo non possa essere individuato nel momento di maturazione delle singole differenze retributive, in quanto il ricorrente non ha a suo tempo impugnato l’atto illegittimo causativo di danno.

Nei sensi ora riportati, deve essere, pertanto, accolto il ricorso, con conseguente condanna dell’amministrazione al pagamento delle somme come sopra determinate, a titolo di risarcimento del danno.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

 

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sez. III, definitivamente pronunciando sul ricorso proposto da Gialanella Angelo (n. 7843/1999 r.g.), lo accoglie, e, per l’effetto, dichiara il diritto del ricorrente al risarcimento del danno subito, con conseguente condanna della Regione Campania al pagamento di quanto a tale titolo dovuto, nei sensi e limiti indicati in motivazione.

Condanna la Regione Campania al pagamento delle spese, diritti ed onorari di giudizio, che liquida in complessivi Euro 1000/00 (mille).

Così deciso in Napoli, nella Camera di Consiglio del 29 gennaio 2004.

 

Depositata in segreteria il 15 luglio 2004

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