REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
Sezione terza giurisdizionale centrale d’appello
composta dai magistrati:
dott. Gaetano Pellegrino Presidente
dott. Silvio Aulisi Consigliere
dott. Giorgio Capone Consigliere
dott. Eugenio Francesco Schlitzer Consigliere
dott. Salvatore Nicolella Consigliere relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio d’appello iscritto al n° 18703 del registro di segreteria,
a istanza
dei sig.ri Silvano Bottamedi, Lodovico Bottamedi, Sergio Toscana, Arcangelo Zeni, Liberio Zeni e Paolo Catanzaro, rappresentati e difesi dagli avv.ti Flavio Maria Bonazza, Roberta de Pretis e Guido Romanelli, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma alla via Pacuvio n° 34,
contro
• il Procuratore generale presso le Sezioni giurisdizionali centrali del- la Corte dei conti,
• il Procuratore regionale presso la Sezione giurisdizionale della Cor- te dei conti per il Trentino-Alto Adige, con sede in Trento,
avverso
la sentenza 2 luglio 2003 n° 68/2003, della Sezione giurisdizionale per la regione Trentino-Alto Adige, con sede in Trento.
Vista la sentenza impugnata, l’atto di appello e ogni altro atto e documento di causa.
Uditi nella pubblica udienza del 3 marzo 2004, con l’assistenza del segretario sig.ra Lucia Bianco, il relatore consigliere Salvatore Nicolella, l’avv. Guido Romanelli e il Pubblico ministero nella persona del Vice Procuratore generale dott. Francesco D’Amaro.
Ritenuto in
FATTO
La vicenda che costituisce oggetto del presente giudizio d’appello trae origine dalla deliberazione consiliare 14 novembre 1988 n° 82, con la quale il Comune di Andalo aderì alla costituenda “Andalo Gestione Vacanze s.r.l.” [di seguito indicata con la sigla “A.G.V. s.r.l.”], avente per oggetto sociale l’incremento del settore turistico/sportivo della zona, nonché lo sviluppo sociale e culturale della cittadinanza, da attuarsi con l’amministrazione e la gestione di impianti sportivi, turistici e di intrattenimento.
La società fu costituita con atto notarile dell’8 febbraio 1989 e il relativo capitale fu sottoscritto per il 60% dall’ente locale e per la restante quota da due società private operanti nel settore degli impianti sciistici di risalita.
Con contratto stipulato il 27 dicembre 1996 il Comune concesse in affitto alla stessa società, per il periodo 1 ottobre 1996 - 30 settembre 1999, l’azienda commerciale “Centro servizi sociali in località Lago”, costituita da vari impianti sportivi e ricreativi, fissando il canone annuo in £. 1.000.000 e stabilendo, tra l’altro, che ogni violazione delle clausole contrattuali e di capitolato, da parte della “A.G.V. s.r.l.”, avrebbe determinato la risoluzione ipso iure dell’accordo e che l’affittuaria assumeva a proprio carico tutte le spese di gestione [ivi comprese quelle di riscaldamento, energia elettrica, acqua, asporto immondizie e telefoniche], impegnandosi, in ossequio al disposto del- l’art. 12 l.p. 31 agosto 1973 n° 39, a concedere l’uso degli impianti ai gruppi sportivi, scuole e associazioni operanti nel territorio comunale che ne avessero fatto richiesta, secondo una graduatoria di priorità risultante dai relativi programmi di attività.
Venutesi a determinare, nel corso della gestione, posizioni debitorie della “A.G.V. s.r.l.” nei confronti dell’Azienda elettrica per l’importo di £. 133.151.539 e dell’Azienda acquedotto per l’importo di £. 24.100.009, con atto 19 agosto 1998 n° 109 la Giunta comunale ne deliberò l’abbuono a fronte e in contropartita degli oneri sostenuti per i servizi di carattere “pubblico istituzionale”, offerti e garantiti nei termini di cui sopra.
Sulla base della stessa motivazione, con successiva deliberazione giuntale 31 dicembre 1998 n° 206 fu quindi concesso un contributo straordinario di £. 80.000.000 .
Ha fatto seguito l’azione di responsabilità promossa dal Requirente regionale nei confronti degli amministratori che avevano partecipato all’adozione delle due deliberazioni in ultimo citate [sig.ri Lodovico Bottamedi, Sergio Toscana, Arcangelo Zeni, Liberio Zeni e Silvano Bottamedi, il quale ultimo peraltro risulta essere stato assente in occasione della seduta del 31 dicembre 1998, secondo quanto può desumersi dalle indicazioni contenute nel provvedimento n° 206] e del segretario comunale che aveva in merito reso pareri di legittimità [sig. Paolo Catanzaro], con richiesta di condanna in solido dei convenuti, ovvero nei limiti di un sesto per ciascuno di essi.
Il giudizio è stato definito dalla sentenza della Sezione giurisdizionale per la regione Trentino-Alto Adige, avente sede in Trento, 2 luglio 2003 n° 68/2003, con la quale i convenuti sono stati condannati a risarcire l’ente locale nell’importo individuale di €. 20.421/70 comprensivo di rivalutazione monetaria e oltre interessi legali, nonché al pagamento pro quota delle spese processuali.
Avverso tale pronuncia si sono gravati tutti gli interessati con il patrocinio degli avv.ti Flavio Maria Bonazza, Roberta de Pretis e Guido Romanelli, chiedendo di essere riconosciuti non responsabili di danno erariale, in totale riforma delle statuizioni del Giudice di prime cure.
La sentenza viene censurata innanzitutto sotto il profilo della carenza motivazionale e dell’erroneità, con riferimento all’individuazione della natura della “A.G.V. s.r.l.” in termini privatistici e quindi all’omessa valutazione dei suoi connotati sostanzialmente pubblicistici, circostanza quest’ultima che di per sé avrebbe costituito ragione fondante la condanna.
Con il secondo motivo di appello vengono affermate la contraddittorietà e l’erroneità della pronuncia perché intesa a stigmatizzare la gestione della società in quanto non condotta secondo criteri di efficienza, economicità ed efficacia propri dell’azione amministrativa; sul punto si obietta che i provvedimenti in contestazione erano, al contrario, rivolti a garantire il soddisfacimento degli interessi della collettività, avendo lo scopo di assicurare la sopravvivenza di uno struttura societaria idonea a contenere le perdite che normalmente contraddistinguono la gestione di impianti sportivi e, comunque, a distribuire i relativi costi anche su operatori privati.
Con il terzo motivo d’appello si afferma che l’attività provvedimentale, di cui è causa, rivestiva natura discrezionale e quindi non avrebbe dovuto costituire oggetto di censura nell’ambito di un giudizio di responsabilità amministrativa, venendosi in tal modo a invadere la sfera dell’opportunità e del merito delle funzioni pubbliche, insindacabili se non per assoluta illogicità e irrazionalità delle scelte effettuate, non rinvenibili nella fattispecie.
Con ulteriori motivi si eccepiscono infine, in termini sintetici, gli errori in cui sarebbe incorso il Giudice di prime cure nel ritenere che la deliberazione 19 agosto 1998 n° 109 era di per sé idonea a produrre il danno relativo all’abbuono di somme e nel quantificare il pregiudizio senza tener conto dell’effettiva incidenza del medesimo; nonché la carenza di motivazione in ordine all’esercizio del potere riduttivo.
L’Ufficio del Procuratore generale, rassegnando le proprie conclusioni scritte in data 12 gennaio 2004, ha sottoposto a critica le argomentazioni rivolte ad affermare la natura sostanzialmente pubblicistica della “A.G.V. s.r.l.”, sostenendo che l’attività della medesima restava comunque disciplinata dalle disposizioni di diritto comune e avrebbe dovuto pertanto rivolgersi quantomeno al tendenziale pareggio tra costi e ricavi.
Dopo aver precisato che anche l’operato delle società private a [prevalente] capitale pubblico deve rispondere a criteri di economicità ed efficienza, il Requirente ha poi sottolineato che in questa sede non è stata contestata la gestione della “A.G.V. s.r.l.”, bensì l’indebito utilizzo di risorse pubbliche per il ripiano di perdite che ne sono derivate; ha evidenziato che i motivi di appello finiscono per avere una valenza quasi confessoria in ordine alle concrete modalità in cui si è svolta la gestione stessa [politica tariffaria agevolata, perseguimento di scopi “sociali” ], in contraddizione con il modulo imprenditoriale prescelto; ha escluso, alla luce dello statuto societario e del contratto di locazione dell’azienda commerciale, che l’operazione avesse lo scopo di ripartire anche su soggetti privati le perdite di gestione, salvo ritenere un intento simulatorio dei medesimi atti negoziali, comunque privo di rilievo in assenza di atti scritti idonei a contraddire le clausole pattuite; ha sostenuto che la vicenda appare piuttosto caratterizzata dalla realizzazione di un’offerta di attività sportivo/ricreative a prezzi inferiori rispetto ai costi di gestione e tale da favorire principalmente gli imprenditori privati a scapito delle pubbliche finanze, senza che al riguardo sia stata previamente adottata una precisa e motivata scelta amministrativa, che avrebbe costituito oggetto di controllo nelle dovute sedi.
Svolte quindi ampie argomentazioni circa l’insussistenza del- l’asserita violazione del principio di insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali, ha affermato che la condotta degli appellanti è in realtà censurabile sia sotto il profilo della manifesta irragionevolezza che in termini di diretta contrarietà a specifiche disposizioni normative in tema di gestione del patrimonio, di valorizzazione degli immobili e di contenimento dei disavanzi pubblici.
Infine, eccepita la genericità e la conseguente inammissibilità degli ulteriori motivi di appello, in ordine ai medesimi ha comunque osservato che la deliberazione giuntale 19 agosto 1998 n° 109 ha rivestito rilievo causale, avendo cagionato una mancata entrata; che l’entità del danno è stata esattamente determinata; che, non risultando proposta eccezione in primo grado e non essendo la circostanza rilevabile d’ufficio, non si rende possibile procedere alla valutazione di vantaggi derivati all’Amministrazione nella fattispecie, comunque di fatto inesistenti; che l’obbligo di motivazione sussiste solo per l’ipotesi di esercizio del potere riduttivo, peraltro in concreto rinvenibile nella statuizione concernente la sostanziale esclusione della condanna alla rivalutazione monetaria.
L’11 febbraio 2004 la parte appellante ha versato in atti una memoria scritta, nella quale vengono svolte ulteriori argomentazioni intese a ribadire le circostanze di fatto e le esigenze pubbliche in relazione alle quali l’Amministrazione comunale si determinò alla costituzione della “A.G.V. s.r.l.” e che caratterizzarono l’attività della medesima in termini contrapposti a quelli propri di società operanti nel- l’ambito di mercati concorrenziali; a riaffermare che pertanto la scelta operata con i provvedimenti in contestazione è riconducibile alla piena discrezionalità dell’ente locale, in quanto concernente il ripiano di perdite derivanti dalla gestione di un servizio sociale di interesse comunale e collettivo, censurabile solo per macroscopici profili di eccesso di potere; che l’attività in questione doveva fisiologicamente svolgersi in perdita, come dimostrato dai risultati dei successivi esercizi; che il modulo organizzativo prescelto rappresentava la misura più razionale per ripartire anche sugli imprenditori privati i costi di esercizio delle strutture pubbliche, sempre peraltro riservando all’Amministrazione comunale il maggior onere in ragione della funzione trainante svolta dalla medesima nel settore; a ribadire l’insindacabilità delle scelte operate dagli amministratori locali; a sostenere, in particolare, che il danno connesso all’abbuono di cui alla deliberazione 19 agosto 1998 n° 109 trova in realtà origine nell’atto consiliare col quale fu approvato il conto consuntivo per l’esercizio 1998, disponendo l’eliminazione dei relativi residui; che il pregiudizio andrebbe comunque determinato con riferimento alla quota del 40% esorbitante dal limite fissato nell’art. 28 dello statuto societario per la ripartizione delle perdite, ovvero tenendo conto dell’avvenuto impiego delle risorse a favore della collettività e dell’incidenza della decisione assunta dal Consiglio comunale di avallare l’operato della Giunta.
Con l’occasione è stata depositata copia del verbale della seduta del Consiglio di amministrazione della “A.G.V. s.r.l.” tenutasi il 6 febbraio 2004, nella quale si è deciso di pagare all’ente locale l’im- porto oggetto della condanna di primo grado nell’ipotesi in cui l’appello che ne occupa venga respinto.
All’udienza dibattimentale del 3 marzo 2004 l’avv. Romanelli, esibita copia di un contratto stipulato l’8 novembre 1989, con il quale il Comune aveva già concesso in affitto alla “A.G.V. s.r.l.” l’azienda commerciale “Centro servizi sociali in località Lago” per il periodo 1 ottobre 1989 - 30 settembre 1994, ha sottolineato che l’iniziativa ebbe fin dall’origine la finalità di coinvolgere privati in una gestione che si presentava da sempre in perdita e, comunque, senza perseguire scopi di lucro, come dimostrato dalle disposizioni recate dall’art. 28 dello Statuto sociale in tema di destinazione degli eventuali utili.
Il legale quindi, ribaditi alcuni aspetti della vicenda, ha sostenuto che l’esame in questa sede deve essere condotto tenendo conto della reale natura di organismo pubblico rivestita dalla società affittuaria, alla luce dei princìpi di recente affermati anche dalla giurisprudenza della Consulta, della Corte di Cassazione e del Consiglio di Stato; ha sottolineato che l’operato degli appellanti non intendeva perseguire indebiti favoritismi, in quanto le misure in contestazione si ponevano a fronte di spese collegate all’utilizzo degli impianti per le finalità sociali previste dall’art. 9 del Capitolato speciale allegato al contratto d’affitto e quindi, di fatto, estranee all’attività gestoria in senso stretto; ha precisato infine che la “A.G.V. s.r.l.” si è dichiarata disposta a pagare gli importi de quibus onde evitare di sentir attribuire l’esito negativo del giudizio a carenze della propria gestione.
Il Pubblico ministero, negato ogni rilievo all’avvenuta stipula del precedente contratto d’affitto esibito dalla controparte, ha ribadito che la natura privata della “A.G.V. s.r.l.” riveste decisivo significato in quanto tale scelta organizzativa avrebbe dovuto essere accompagnata dalla consapevolezza delle conseguenze che ne derivavano e quindi, a maggior ragione, avrebbe dovuto indurre a non trasferire risorse pubbliche per il ripiano degli oneri in questione, anche perché la particolare destinazione degli eventuali utili non valeva a cambiare l’oggetto e le finalità di lucro della società affittuaria.
Quindi ha affermato che nella vicenda solo stati violati i limiti del corretto esercizio della discrezionalità amministrativa, essendosi disposte liberalità non dovute e che hanno comportato benefici solo per gli altri soci privati; ha osservato che gli appellanti cadono in contraddizione laddove, dopo aver convenuto che l’iniziativa societaria si poneva nell’ambito del processo di “esternalizzazione” dell’azione amministrativa, hanno contestato al Requirente di aver ignorato che la società affittuaria non agiva in regime di libera concorrenza; ha negato che il danno dovuto alle minori entrate possa esser ricollegato al- l’atto consiliare con il quale è stato approvato il conto consuntivo per l’anno 1998, poiché quest’ultimo documento è inteso a rappresentare le risultanze finanziarie delle decisioni assunte con tutte le deliberazioni adottate nel corso dell’esercizio, che hanno quindi conservato il rispettivo rilievo causale; ha sostenuto che solo l’introito degli importi di cui è causa, maggiorati di interessi e rivalutazione monetaria, avrebbe potuto comportare la cessazione della materia del contendere, per cui in merito non può assumere valore la deliberazione con la quale la “A.G.V. s.r.l.” ha in ultimo dichiarato la propria disponibilità al riguardo; ha negato che possa accogliersi la richiesta di limitare la condanna al 40% dell’importo oggetto della pretesa risarcitoria, in ragione del limite di responsabilità a carico dell’ente locale per le perdite di gestione, in quanto l’illegittimità contestata opera a monte del profilo in questione; ha concluso riportandosi agli scritti e chiedendo la conferma della sentenza gravata.
L’avv. Romanelli ha quindi svolto un breve intervento di replica, ribadendo in particolare l’autonomia causale della deliberazione di approvazione del conto consuntivo 1998, la necessità per il Giudice contabile di verificare la rispondenza delle risorse de quibus agli obiettivi perseguiti e la rilevanza dell’impegno in ultimo assunto dalla “A.G.V. s.r.l.”.
In tale stato il giudizio è passato in decisione.
Considerato in
DIRITTO
1. Viene all’esame di questo Giudice di appello la vicenda relativa alla concessione di benefici finanziari, da parte del Comune di Andalo, alla “A.G.V. s.r.l.”, società costituita, con la partecipazione del medesimo ente locale e di due soggetti privati, per l’amministrazione e la gestione di impianti sportivi, turistici e di intrattenimento, al duplice scopo di favorire l’incremento del settore turistico/sportivo della zona e di promuovere lo sviluppo sociale e culturale della cittadinanza.
L’apporto pubblico all’iniziativa è consistito nella sottoscrizione di una quota di maggioranza del capitale sociale; nel conferimento, sotto forma di affitto di azienda, di molteplici impianti comunali, a fronte di un canone annuo di sicuro valore simbolico [£. 1.000.000] e previa assunzione, da parte della predetta società, del carico di tutti gli oneri connessi alla gestione [ivi compresi quelli necessari per favorire le attività di gruppi sportivi, scuole e associazioni locali, in ossequio all’art. 12 l.p. 31 agosto 1973 n° 39]; nell’impegno, infine, di rispondere delle eventuali perdite in proporzione [alla quota di possesso] del capitale sociale.
Riguardo in particolare a quest’ultimo profilo, come si desume dalla documentazione acquisita a cura del Comando di Trento del Nucleo regionale di Polizia tributaria [nota n° 18226/C.C.202 del 25 settembre 2002], l’ente locale ha adottato deliberazioni di liquidazione:
• del 60% del deficit di bilancio risultante dai relativi conti profitti e perdite [esercizi dal 1990 al 1995/1996];
• di contributi straordinari a fronte delle spese connesse all’uso gratuito di cui alla ricordata l.p. n° 39 del 1973 [anni 1997 e 1998];
• di contributi di esercizio a fronte delle spese di cui innanzi, sulla premessa delle perdite risultanti dai relativi bilanci e di una specifica facoltà della quale era stata fatta riserva in occasione della stipula del nuovo contratto quadriennale di affitto di azienda, decorrente dal 1 ottobre 1999 [anni 1999, 2000 e 2001].
Inoltre, con atto giuntale 19 agosto 1998 n° 109, è stato disposto l’abbuono di somme dovute dalla “A.G.V. s.r.l.” per consumi elettrici e idrici, nel totale di £. 157.251.548, quale ulteriore contropartita degli oneri sostenuti per i ricordati servizi di carattere “pubblico istituzionale”.
La misura in ultimo citata [della quale la società ha beneficiato nel corso dell’esercizio 1997/1998] e il contributo per l’anno 1998 [che invece è andato a incidere sui risultati di gestione dell’esercizio 1998/ 1999] hanno costituito oggetto di censura da parte del Requirente contabile, che ha riconosciuto in essi i caratteri del danno erariale, sulla base di un complesso iter argomentativo incentrato:
• sui comportamenti omissivi degli amministratori locali, consistiti nel mancato esercizio del diritto di interrompere il rapporto d’affitto per inadempimento dell’obbligo di pagare gli importi poi oggetto di abbuono e nella mancata adozione, almeno fino all’anno 1999, di misure intese a promuovere una corretta gestione del complesso aziendale;
• sul realizzarsi di una illecita commistione tra i due diversi ruoli rivestiti dall’ente locale -nell’ambito, rispettivamente, del rapporto contrattuale d’affitto e di quello societario- dalla quale è sortito l’effetto, comune a entrambe le misure in discussione, di accollare alle pubbliche finanze oneri che avrebbero dovuto invece gravare sulla “A.G.V. s.r.l.” ;
• sul conseguente realizzarsi di una illecita commistione tra interessi pubblici [facenti capo all’ente locale] e interessi privati [propri della medesima società, date le sue finalità di lucro, sia pure temperate], conseguente all’applicazione di criteri operativi che avrebbero trovato motivo d’essere solo nella diversa ipotesi in cui si fosse addivenuti alla creazione di un ente strumentale.
Le ragioni ora esplicitate hanno trovato accoglimento nella sentenza di condanna pronunciata dalla Sezione territoriale, che nel condividere l’impianto accusatorio, ha posto in particolare rilievo la natura privata della società beneficiaria e ha affermato l’inesistenza di condizioni che escludessero il sindacato del Giudice contabile in ragione del carattere discrezionale delle scelte operate.
Il gravame avanzato avverso tale decisione e le conclusioni rassegnate in merito dall’Ufficio del Procuratore generale sono stati fondati sulla base delle argomentazioni ampiamente riferite in narrativa, alle quali ci si riporta e che comunque rinvengono il loro fondamentale movente in due opposte valutazioni della natura della “A.G.V. s.r.l.” e del ruolo rivestito dalla medesima nella vicenda, essendosi affermata, da parte degli appellanti, la necessità di non attribuire eccessivo rilievo alla veste formale della società, in quanto quest’ultima svolgeva una funzione che aveva diretti riferimenti alle esigenze di natura pubblica di cui è portatore l’ente locale, rinvenibili negli obblighi imposti dalla legislazione provinciale al fine di promuovere l’attività fisica dei componenti di organismi sociali insediati sul territorio [scuole, gruppi sportivi, associazioni], il che rendeva lecito il riconoscimento dei benefici di cui si discute; ritenendo, in contrario, il Requirente contabile che l’aver costituito nell’occasione una società di capitali dà ragione delle finalità speculative cui era fondamentalmente rivolta l’iniziativa, sia pure nei limiti fatti propri dal complesso delle disposizioni che la regolavano, il che impediva ogni commistione di ruoli e interessi, precludendo quindi l’impiego di risorse pubbliche al fine di ovviare a esigenze che trovavano origine in oneri assunti all’atto della stipula del contratto di affitto e pertanto rimanevano comunque confinate nella sfera privatistica.
Il Collegio ritiene che entrambe le tesi colgono significativi aspetti della fattispecie.
Da un lato, infatti, è indubitabile che, tra le varie opzioni rimesse all’ente locale al fine di disegnare l’organizzazione della gestione degli impianti sportivo/ricreativi comunali, è stato scelto uno schema societario al quale non può ritenersi estraneo il fine di lucro [sia pure variamente temperato] e che comunque risultava congruo anche rispetto agli interessi degli operatori privati che hanno partecipato all’operazione, le cui rispettive attività di certo non hanno potuto non trarre beneficio dalla presenza sul territorio di un’offerta così completa di strutture adatte all’esercizio fisico [si ponga mente alla vocazione spiccatamente turistica della zona e all’intento di favorire l’incremento di questo specifico settore, espressamente indicato nell’atto di costituzione del 1989].
Dall’altro lato non possono però disconoscersi le rilevanti esigenze pubbliche cui l’iniziativa era in particolar modo finalizzata, che spaziavano dalla stessa conservazione del complesso di beni alla promozione dello sviluppo fisico, sociale e culturale della popolazione, aspetti questi che hanno trovato evidente espressione nella pattuizione di un modesto canone di fitto e, soprattutto nell’impegno di ripianare le perdite di gestione.
Del resto l’importanza di una scelta di siffatto tenore ha avuto significativo riscontro nella normativa di settore, come si deduce:
• dalla statuizione recata dall’art. 22 legge 8 giugno 1990 n° 142 [poi recepita nel t.u. 18 agosto 2000 n° 267 all’art. 113], che consente appunto la creazione di società per azioni a prevalente capitale pubblico locale, qualora si renda opportuna, in relazione alla natura del servizio da erogare, la partecipazione di altri soggetti pubblici o privati;
• dalla statuizione recata dall’art. 44 legge regionale Trentino Alto-Adige 4 gennaio 1993 n° 1, che tra l’altro, nel recepire la disposizione, ha specificamente riservato il ricorso al diverso strumento della “istituzione” all’esercizio di servizi socio/culturali senza rilevanza imprenditoriale;
• dalla statuizione recata dall’art. 10 legge regionale Trentino Alto-Adige 23 ottobre 1998 n° 10, che, sostituendosi alla precedente disciplina, ha chiarito che i Comuni assumono i servizi pubblici locali al fine di soddisfare le finalità sociali e di promozione dello sviluppo economico e civile delle Comunità locali e di assicurarne la regolarità e continuità, nonché la funzione in condizione di eguaglianza; ha ribadito che tale funzione può essere svolta attraverso la costituzione di [o la partecipazione ad] apposite società per azioni o a responsabilità limitata a influenza dominante pubblica locale [facendo salva la possibilità di ricorrere all’organizzazione societaria anche per lo svolgimento, in regime di concorrenza, di attività imprenditoriali diverse da quelle di cui innanzi]; ha demandato agli enti locali il controllo nei confronti dei soggetti affidatari della gestione dei servizi pubblici, anche ai fini della corretta quantificazione dei costi degli stessi in relazione alla determinazione delle tariffe; ha confermato la facoltà di conferire alle società de quibus complessi aziendali già destinati alla gestione di servizi pubblici, ovvero uno o più rami di essi; ha sostanzialmente riferito la disciplina alle organizzazioni societarie già in essere alla data di entrata in vigore della l.r. n° 1 del 1993.
Né la Sezione ignora che la problematica che emerge al riguardo è stata oggetto di valutazione da parte della giurisprudenza, la quale, come ha ricordato in sede dibattimentale il difensore degli appellanti, ha riconosciuto sotto vari profili il rilievo della vocazione pubblica di organismi societari di diritto comune [si pensi all’ordinanza 22 dicembre 2003 n° 19667/03, nella quale le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno chiarito che l’ambito dell’attività amministrativa va individuato non solo in ragione dell’avvenuto esercizio di pubbliche funzioni e di poteri autoritativi, ma anche laddove, nei limiti consentiti dall’ordinamento, si perseguano finalità pubbliche istituzionali mediante strumenti operativi disciplinati in tutto o in parte dal diritto comune; ovvero alle pronunce del Consiglio di Stato in tema di applicabilità di procedure ad evidenza pubblica in ordine ad attività, inerenti a bisogni di interesse generale, che soggetti di diritto pubblico abbiano conferito a terzi; o ancora al rilievo, offerto nella sentenza della Corte costituzionale 19 dicembre 2003 n° 363, alla circostanza che una società (peraltro, nello specifico, a capitale interamente pubblico), che risulti affidataria di compiti obbligatori legislativamente previsti e che operi nell’ambito delle politiche di un Ministero come strumento organizzativo per il perseguimento di specifiche finalità, presenti tutti i caratteri propri dell’ente strumentale, salvo quello di rivestire appunto la forma societaria].
Orbene, l’analisi delle tesi esposte, che pur presenta l’indubbio pericolo di comportare, per le conclusioni che se ne possono trarre, un’indebita invasione dell’ambito della sfera di discrezionalità amministrativa oggetto della tutela offerta dalla previsione recata dall’art. 1, comma 1, legge 14 gennaio 1994 n° 20 [nel testo recato dall’art. 3, comma 1, decreto legge 23 ottobre 1996 n° 543, convertito in legge 20 dicembre 1996 n° 639], può in concreto essere utilmente incentrata su una circostanza che ha costituito motivo di censura anche in sede di instaurazione del giudizio di primo grado [cfr. pag. 12 dell’atto di citazione, laddove si sottolinea la “costante disattenzione di quanto previsto dall’art. 28 dello Statuto”] e alla quale hanno operato richiamo anche gli appellanti, riguardo alla necessità di una esatta quantificazione del danno da risarcire.
Si intende cioè porre in evidenza che con i loro comportamenti, in ultima analisi, gli amministratori e il segretario dell’ente locale causarono l’accollo di oneri, da parte delle finanze comunali, oltre il limite del 60% delle perdite di gestione desumibile dalla ricordata norma statutaria e dall’entità della quota di partecipazione societaria, operando oltretutto al di fuori della prassi seguita nelle deliberazioni che avevano caratterizzato gli esercizi dal 1990 al 1995/1996 [ripiano a seguito dell’esame del conto dei profitti e delle perdite] e quindi vanificando ogni considerazione riguardo ad analoghi interventi dei soci privati, che per tale motivo non sarebbero neppure valutabili in questa sede sulla scorta della documentazione presente nel fascicolo di primo grado e sui quali del resto anche gli appellanti non hanno insistito nelle difese qui in esame.
L’aspetto in questione costituisce invero elemento di dirimente significato in relazione ai motivi di censura fondanti l’appello de quo, risultando decisivo agli scopi:
• di delimitare l’ambito dei comportamenti de quibus che si pone in termini di assoluta e incontrovertibile estraneità rispetto ai fini pubblici da perseguire individuati all’atto della costituzione dell’organismo societario e che quindi, risultando assolutamente irrazionale, non si sottrae al sindacato di responsabilità;
• di accertare il profilo dei comportamenti stessi che può essere censurato in termini di antigiuridicità e, soprattutto, di riprovevole colpevolezza, stante il chiaro dettato della disposizione violata;
• di quantificare correttamente, infine, il pregiudizio che deve formare oggetto di risarcimento, in riferimento anche alla disposizione recata dall’art. 1, comma 1-bis, legge 14 gennaio 1994 n° 20 [nel testo recato dall’art. 3, comma 1, decreto legge 23 ottobre 1996 n° 543, convertito in legge 20 dicembre 1996 n° 639].
Tali considerazioni inducono quindi la Sezione, nel confermare la responsabilità degli appellanti, a limitare la loro condanna, in parziale accoglimento dell’impugnativa, alla richiamata quota residuale del 40% e, quindi, al complessivo importo di €. 49.012/08 da ripartire in misura eguale, compresa rivalutazione monetaria e salvi interessi legali a far tempo dalla presente pronuncia.
Va solo chiarito:
• che l’argomento relativo alla necessità di riconoscere esclusivo rilievo causale alla delibera di approvazione del conto consuntivo per l’esercizio 1998, in ordine al mancato introito delle somme dovute per consumi elettrici e idrici, non appare pertinente, in quanto il provvedimento de quo, adottato nell’esercizio dei poteri rimessi all’organo consiliare con riguardo ai momenti fondamentali dell’azione amministrativa dell’ente locale, si è limitato a prendere atto delle conseguenze finanziarie delle decisioni assunte in precedenza dalla Giunta comunale nell’ambito della generale competenza attribuitale dalla normativa di riferimento [cfr. artt. 32 e 35 legge 8 giugno 1990 n° 142, artt. 42 e 48 t.u. 18 agosto 2000 n° 267, artt. 13 e 14 legge regionale Trentino Alto-Adige 4 gennaio 1993 n° 1];
• che nei motivi di appello non ha trovato ingresso alcun argomento relativo alla particolarità del ruolo rivestito nella vicenda dal segretario comunale, ovvero alla reale partecipazione di tutti gli amministratori all’adozione dell’atto deliberativo del dicembre 1998 [cfr., a tale ultimo proposito, quanto precisato in narrativa], per cui questi aspetti non possono qui essere esaminati;
• che, come osservato dall’Ufficio del Procuratore generale nelle conclusioni scritte rassegnate, quanto disposto in tema di rivalutazione monetaria costituisce esercizio del potere riduttivo di cui all’art. 83, primo comma, r.d. 18 novembre 1923 n° 2440 e all’art. 52, secondo comma, r.d. 12 luglio 1934 n° 1214, per cui risultano infondate le osservazioni svolte nel gravame a tale proposito;
• che l’atto di impegno assunto dal Consiglio di amministrazione della “A.G.V. s.r.l.”, in ultimo esibito dagli appellanti, potrà rivestire rilievo solo nella fase di esecuzione della condanna e pertanto ogni valutazione in merito viene riservata a quella sede.
2. Sussistono sufficienti ragioni per disporre la compensazione delle spese relative alla presente fase processuale, considerato in particolare il parziale esito favorevole dell’impugnativa.
Non vi è invece luogo a pronuncia in ordine alle spese legali affrontate dagli appellanti, risultando comunque i medesimi soccombenti rispetto all’azione risarcitoria promossa nei loro confronti.
PER QUESTI MOTIVI
l’intestata Sezione terza giurisdizionale centrale d’appello, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, definitivamente pronunciando in parziale riforma della sentenza in epigrafe,
CONDANNA
i sig.ri Silvano Bottamedi, Lodovico Bottamedi, Sergio Toscana, Arcangelo Zeni, Liberio Zeni e Paolo Catanzaro al pagamento per il titolo de quo, in favore del Comune di Andalo, dell’importo individuale di €. 8.168/68 [€. ottomilacentosessantotto/68] comprensivo di rivalutazione monetaria, oltre interessi legali dalla data della presente pronuncia.
Spese del giudizio d’appello compensate.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 3 marzo 2004.
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
f.to Salvatore Nicolella f.to Gaetano Pellegrino
Depositata in Segreteria il giorno 4 giugno 2004
IL DIRETTORE DI CANCELLERIA
Maria Musone |