REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA LOMBARDIA (Sezione III)
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 1782/2004 proposto da AVIP s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Carlo Andena e Fabio Romanenghi nello studio dei quali è elettivamente domiciliata in Milano, via Caminadella n. 2;
contro
il Comune di Pavia, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Francesco Bertone nello studio del quale è elettivamente domiciliato in Milano, via Giotto n. 64;
e nei confronti di
IPAS s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Chiara Berra con la quale è domiciliata “ex lege" presso la Segreteria della Sezione;
per l'annullamento
- della delibera G.C. n. 371 del 29 dicembre 2003 del Comune di Pavia con la quale è stata indetta la trattativa privata per l’affidamento della fornitura, posa in opera e manutenzione di manufatti di arredo urbano nel territorio comunale per un periodo di sei anni, e dei suoi allegati nonché delle operazioni di gara, dei relativi verbali e della delibera e/o determinazione di aggiudicazione, e di tutti gli atti, con la sola eccezione della delibera di indizione, del capitolato tecnico e del facsimile della lettera di invito, con cui è stato negato alla ricorrente l’accesso alla gara nonostante le ripetute istanze;
- degli ulteriori atti preordinati, presupposti, consequenziali e comunque connessi;
nonché per la declaratoria
di nullità, inefficacia e/o per l’annullamento dell’eventuale contratto stipulato tra il Comune di Pavia e la ditta aggiudicataria.
VISTO il ricorso con i relativi allegati;
VISTI gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Pavia e della società IPAS;
VISTI i motivi aggiunti notificati in data 16 e 20 aprile 2004 e depositati il 26 aprile 2004;
VISTI gli ulteriori motivi aggiunti notificati in data 20 e 21 aprile 2004 e depositati il 26 aprile 2004;
VISTE le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
VISTI gli atti tutti della causa;
Nominato relatore alla pubblica udienza del 30 giugno 2004 il Ref. Daniele Dongiovanni;
Uditi, ai preliminari, l'avv. Romanenghi per la ricorrente, l'avv. Bertone per il Comune resistente e l’avv. Berra per la società controinteressata;
Considerato in fatto ed in diritto quanto segue:
FATTO
Con il provvedimento impugnato n. 371 del 29 dicembre 2003, il Comune di Pavia ha deliberato di affidare a trattativa privata la concessione, della durata di sei anni, per la fornitura e la gestione dei manufatti di arredo urbano ed impianti pubblicitari sul territorio comunale.
La ricorrente, in data 16 febbraio 2004, ha indirizzato all’amministrazione comunale una nota con la quale, nel contestare la legittimità della procedura, chiedeva di essere comunque invitata alla trattativa privata.
La società AVIP, oltre a non ricevere alcun favorevole riscontro alle proprie richieste, ha appreso poi che la gara era stata aggiudicata alla IPAS s.p.a..
Avverso tali determinazioni dell’amministrazione comunale, ed ogni altro atto a questi connesso, presupposto e consequenziale, ha proposto impugnativa la società interessata, chiedendone l'annullamento, previa sospensione dell’esecuzione, per i seguenti motivi:
1) violazione dell’art. 42, comma 2, del D.Lgs 18 agosto 2000 n. 267; incompetenza della Giunta comunale all’indizione della gara e alla scelta della procedura.
La delibera della Giunta Comunale n. 371 del 29 dicembre 2003 (qui impugnata) avrebbe dovuto essere adottata, ai sensi dell’art. 42 del D.Lgs n. 267/2000, dal Consiglio Comunale.
Tale procedura di affidamento, infatti, non essendo prevista in alcun atto fondamentale del Consiglio, non avrebbe potuto essere adottato dalla Giunta municipale.
Le competenze previste dal Testo Unico per gli enti locali (D.Lgs n. 267/2000) sono, infatti, tassative ed inderogabili;
2) violazione del principio comunitario e interno della concorrenza in relazione ai canoni di efficienza, efficacia, economicità e trasparenza della P.A.; violazione dell’art. 7 del D.lgs n. 157/95 e dell’art. 24, commi 1 e 5, della legge n. 289/2002; violazione dell’art. 113 del D.Lgs n. 267/2000; eccesso di potere per difetto assoluto di motivazione.
Dalla motivazione del provvedimento impugnato, non molto chiara, sembra evincersi che l’amministrazione comunale non abbia applicato le regole comunitarie in materia di appalti di forniture (D.Lgs n. 157/1995) in quanto il valore dell’affidamento sarebbe sotto la soglia economica stabilita dalle direttive.
Innanzitutto, va contestato che il valore sia sotto la soglia comunitaria in quanto, considerando che si tratta di un affidamento della durata di sei anni che comporta l’installazione di materiale come transenne parapedonali, portabici e quant’altro, l’importo è di gran lunga superiore alla soglia di cui all’art. 1 del D.lgs n. 157/1995 (euro 200.000).
In ragione di ciò, il Comune di Pavia non avrebbe potuto ricorrere alla trattativa privata.
All’epoca dello svolgimento della procedura, poi, era ancora in vigore l’art. 24, commi 1 e 2, della legge n. 289/2002, peraltro richiamato dalla stessa stazione appaltante, che inibiva il ricorso alla trattativa privata per gli affidamenti il cui valore fosse superiore a euro 50.000.
Nel caso in cui l’amministrazione, con la predetta motivazione, abbia inteso escludere l’applicazione delle regole in materia di appalti pubblici in quanto, nel caso di specie, si tratta di una concessione, deve rilevarsi come la giurisprudenza amministrativa ha affermato che, anche in tali casi, la scelta del concessionario avrebbe dovuto avvenire attraverso l’espletamento di procedure ad evidenza pubblica.
Anche l’art. 113 del D.Lgs n. 267/2000 ha previsto, per le concessioni di pubblici servizi, la necessità del rispetto delle regole di evidenza pubblica, senza che rilevi l’importo dell’affidamento.
Ciò è, peraltro, confermato dalla Corte di giustizia C.E. secondo la quale la trattativa privata è un sistema eccezionale di scelta del contraente in quanto deroga ai principi di trasparenza e concorrenza;
3) eccesso di potere per difetto di motivazione e violazione della normativa richiamata nel secondo mezzo di impugnativa sotto un ulteriore profilo.
Nessuna motivazione è stata fornita dal Comune di Pavia circa le ragioni che avrebbero giustificato la deroga all’utilizzo delle normali procedure di evidenza pubblica.
Non sono state, infatti, indicate le particolari e specifiche ragioni impeditive che avrebbero imposto il ricorso alla trattativa privata, come affermato dalla giurisprudenza che ha applicato principi derivanti non solo dal diritto comunitario ma già immanenti nella normativa interna sulla contrattualistica pubblica.
Con atto notificato in data 16 e 20 aprile 2004, la ricorrente ha dedotto i seguenti motivi aggiunti:
4) quanto all’incompetenza della Giunta comunale all’indizione della gara e alla scelta della procedura, violazione dell’art. 4, comma 5, del regolamento per la disciplina dei contratti del Comune di Pavia (C.C. 22 marzo 2000 n. 37); in subordine, violazione dell’art. 36, comma 3, dell’art. 37, comma 3 e dell’art. 7, comma 2, del citato regolamento.
Il regolamento comunale sulla disciplina dei contratti conferma la censura riferita all’incompetenza della Giunta comunale nell’adozione della delibera impugnata.
L’art. 4, comma 5, del citato regolamento prevede la competenza del dirigente nell’indizione delle gare in argomento nel caso in cui “il contratto o la concessione – contratto siano stati previsti nei programmi e nei progetti previamente approvati dall’organo comunale competente e che siano conformi agli indirizzi e agli obiettivi contenuti nella relazione previsionale e programmatica, da redigersi ai sensi dell’art. 170 del D.Lgs n. 267/2000”.
Il Comune di Pavia non ha fornito alcuna prova circa l’inserimento di tale affidamento tra gli obiettivi contenuti nella relazione previsionale e programmatica e, pertanto, deve essere riconosciuta la competenza del Consiglio nell’assunzione di tali determinazioni.
Anche nel caso in cui fosse stata fornita tale prova, la competenze avrebbe dovuto essere comunque riconosciuta in capo al Dirigente e non alla Giunta Comunale.
Risultano, poi, violati gli artt. 7, 36 e 37 del citato regolamento che fissano i compiti attribuiti ai dirigenti anche con riferimento all’indizione della trattativa privata;
5) quanto al valore dell’affidamento, violazione del principio comunitario e interno della concorrenza in relazione ai canoni di efficienza, efficacia, economicità e trasparenza della P.A.; violazione dell’art. 7 del D.Lgs n. 157/1995 e dell’art. 113 del D.Lgs n. 267/2000.
Il fatto che si tratti di un appalto soprasoglia comunitaria è avvalorato dall’importo dell’offerta della società controinteressata e dalla determinazione di aggiudicazione della gara dalla quale risulta che il canone annuo percepito dal Comune sarà di euro 53.200,00 per sei anni, pari a complessivi euro 319.200,00;
6) quanto alla carenza dei presupposti per il ricorso alla trattativa privata e alla carenza di motivazione, violazione dell’art. 4, comma 1, dell’art. 19, comma 2, e dell’art. 36, commi 1 e 3, del regolamento per la disciplina dei contratti del Comune di Pavia.
Le norme citate, oltre a prevedere la necessità di un’adeguata motivazione circa le ragioni del ricorso alla procedura eccezionale della trattativa privata, sancisce che gli affidamenti degli appalti e delle concessioni devono essere espletate, di norma, con il sistema del pubblico incanto;
7) ancora quanto all’illegittimo ricorso alla trattativa privata, violazione dell’art. 34, commi 2, 3, 4, 5 e 7 del regolamento dei contratti; violazione del D.P.R. 18 aprile 1994 n. 573 e del D.P.C.M. 10 gennaio 1991 n. 55; eccesso di potere per difetto assoluto di motivazione.
L’amministrazione comunale, con l’art. 34, comma 2, del regolamento sui contratti, nel richiamare il D.P.R. n. 573/1994, si è vincolata ad applicare le procedure ad evidenza pubblica anche in caso di affidamenti inferiori alla soglia comunitaria.
Il citato art. 34 risulta, altresì, violato nella parte in cui impone la valutazione di congruità dei prezzi e delle forniture dei beni e dei servizi.
Il Comune di Pavia, in sintesi, non ha garantito il rispetto del principio di cui all’art. 34, comma 3, del regolamento comunale sui contratti secondo il quale i beni e servizi devono essere acquistati al miglior prezzo di mercato.
Con atto notificato in data 20 e 21 aprile 2004, la ricorrente ha dedotto un ulteriore motivo aggiunto:
8) violazione del principio comunitario ed interno della concorrenza in relazione ai canoni di efficienza, efficacia, economicità e trasparenza della P.A.; sviamento, irragionevolezza e contraddittorietà; violazione del buon andamento, della trasparenza e dell’imparzialità; violazione dell’art. 37, comma 4, del regolamento sulla disciplina dei contratti del Comune di Pavia.
L’amministrazione comunale ha solo apparentemente creato le condizioni per una concorrenza, sebbene nell’ambito di una procedura negoziata, in quanto ha invitato alla trattativa privata soggetti che non operano nel settore tanto che la gara era già, a suo tempo, circoscritta a due sole ditte.
Si sono costituiti in giudizio il Comune di Pavia e la società controinteressata chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile per difetto di interesse e, comunque, respinto perché infondato nel merito.
Con ordinanza n. 1175/04, è stata accolta la domanda di sospensiva.
In prossimità della trattazione del merito, le parti hanno depositato memorie insistendo nelle rispettive richieste.
Alla pubblica udienza del 30 giugno 2004, la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.
DIRITTO
1. Il Comune di Pavia e la società controinteressata eccepiscono, in via preliminare, l’inammissibilità del gravame in quanto la ricorrente, non avendo presentato la domanda di partecipazione alla gara in argomento, vanterebbe solo un interesse di mero fatto.
Eccepiscono, altresì, l’inammissibilità per mancanza di interesse poichè la società AVIP non ha impugnato la nota del 19 febbraio 2004 con la quale il Comune di Pavia ha negato il differimento del termine di presentazione dell’offerta richiesto dalla ricorrente in data 16 febbraio 2004.
Le obiezioni non sono fondate.
Con i motivi esposti nel gravame, la ricorrente intende censurare la determinazione comunale (qui impugnata) con la quale è stata indetta la trattativa privata per l’affidamento della fornitura, posa in opera e manutenzione di manufatti di arredo urbano per un periodo di sei anni.
Secondo la prospettazione della società deducente, il ricorso alla trattativa privata, nel caso di specie, non è giustificata da valide ragioni di specificità ed urgenza e, pertanto, la stazione appaltante avrebbe dovuto ricorrere per l’affidamento in argomento alle ordinarie procedure di evidenza pubblica.
Così delimitato il thema decidendum, non può disconoscersi in capo alla ricorrente l’interesse concreto ed attuale alla proposizione del presente ricorso.
La giurisprudenza amministrativa, richiamata anche dalla difesa della società AVIP, ha in più occasioni avuto modo di affermare (per tutte, Cons. St., sez. IV, 1° febbraio 2001 n. 399 e, sez. VI, 7 giugno 2001 n. 3090) che le imprese del settore di mercato relativo al contratto da stipularsi con la P.A. (come nel caso in esame) sono portatrici di una specifica posizione differenziata che si riflette sul piano processuale nel riconoscimento in capo alle stesse di un interesse qualificato a ricorrere avverso le procedure che non garantiscono il rispetto delle regole di concorrenza ed imparzialità.
Del resto è orientamento consolidato che la trattativa privata, promossa al di fuori dei casi consentiti, sia potenzialmente lesiva della posizione soggettiva dell’impresa del settore, abilitandola all’impugnazione.
2. Con un’ulteriore eccezione, anch’essa non fondata, la controinteressata chiede che il ricorso venga dichiarato inammissibile per carenza di interesse e di legittimazione ad agire in quanto la ricorrente non avrebbe spiegato come possano “essere oggetto di un appalto di servizi o di una concessione impianti di proprietà di un privato”.
A supporto dell’infondatezza di tale obiezione, va osservato che l’art. 14 del capitolato tecnico prevede che “alla scadenza del contratto tutti gli impianti e le loro componenti strutturali, installati nell’arco contrattuale, esclusi i pannelli relativi ai messaggi pubblicitari, resteranno di proprietà del Comune”, il che è sufficiente ad escludere la supposta connotazione privatistica dei manufatti oggetto dell’affidamento.
3. Passando al merito della controversia, innanzitutto, il Collegio è dell’avviso che possa prescindersi dall’esame delle censure (contenute nel primo e quarto motivo) riguardanti l’incompetenza della Giunta Comunale ad adottare il provvedimento impugnato in quanto le successive doglianze, in ragione della loro fondatezza (come si vedrà nel prosieguo), hanno carattere assorbente rispetto ad esse.
4. Ciò posto, il secondo, terzo, quinto, sesto e settimo motivo possono essere trattati congiuntamente in quanto riguardano profili diversi di un’unica censura.
In particolare, la ricorrente, prescindendo sia dalla qualificazione giuridica del rapporto in esame (appalto di pubblico servizio ovvero concessione di pubblico servizio) che dal valore dello stesso (sopra o sotto la soglia comunitaria), censura la mancata applicazione da parte della stazione appaltante delle ordinarie procedure di evidenza pubblica per l’affidamento della fornitura, posa in opera e manutenzione di manufatti di arredo urbano nel territorio comunale di Pavia per un periodo di sei anni; deduce, poi, che, nel caso di specie, non sussistano i presupposti di specificità tecnica ed urgenza previsti dalla legge per poter ricorrere alla trattativa privata, seppure con gara ufficiosa.
4.1 Il Collegio è dell’avviso che le doglianze siano fondate, confermando quanto già espresso in sede di cognizione sommaria.
4.2 A tal fine, è necessario individuare la natura del rapporto in esame, in ordine alla quale va osservato quanto segue:l’art. 1 del capitolato tecnico specifica che oggetto della trattativa privata è la fornitura e posa in opera di manufatti quali transenne parapedonali, portabiciclette, quadri turistici da installarsi sul territorio comunale, e la manutenzione e gestione degli stessi, per la durata di sei anni;
sempre ai sensi del citato art. 1, tutti i manufatti saranno dotati di idonei spazi pubblicitari;
i concorrenti, per l’affidamento in argomento, dovranno corrispondere al Comune di Pavia, secondo quanto previsto dal successivo art. 2 del disciplinare, un canone annuo non inferiore all’importo posto a base d’asta fissato in euro 20.000,00 (ventimila);
l’art. 5 prevede che “la durata della concessione è stabilita in sei anni dalla data di sottoscrizione del contratto o dalla data di consegna”;
l’art. 14, infine, dispone che al termine della scadenza del contratto tutti gli impianti installati dalla ditta aggiudicataria “resteranno di proprietà del Comune”.
In base a quanto evidenziato nel capitolato tecnico, il rapporto in argomento è inquadrabile nello schema della concessione avente ad oggetto un pubblico servizio.
I manufatti di cui l’amministrazione chiede l’installazione, infatti, sono rivolti a soddisfare gli interessi (transenne parapedonali, portabici, quadri turistici) della collettività insediata nel Comune di Pavia ed, in particolare, a tutelare le c.d. utenze deboli (cfr premesse del provvedimento impugnato).
Valga, al riguardo, considerare quanto segue, mutuando sul punto interpretazioni rese dalla Commissione europea (comunicazione interpretativa CE del 29 aprile 2000) e condivise dalla giurisprudenza amministrativa:il tratto distintivo delle concessioni di servizi pubblici rispetto agli appalti di servizi consiste nel conferimento di un diritto di gestione del servizio che permette al concessionario di percepire proventi per un determinato periodo di tempo;
da quanto precede si deduce che, in una concessione di servizi, l'alea relativa alla gestione viene trasferita al concessionario che si assume il "rischio economico", nel senso che la sua remunerazione dipende strettamente dai proventi che può trarre dalla fruizione del servizio stesso;
al contrario, si è in presenza di un appalto pubblico di servizi quando il costo dell'opera grava sostanzialmente sull'autorità aggiudicatrice e quando il contraente non si remunera attraverso i proventi derivanti dalla gestione;
si può aggiungere, ai fini del diritto interno, che mentre negli appalti pubblici di servizi l'appaltatore presta il servizio in favore della pubblica amministrazione, la quale utilizza tale prestazione ai fini dell'eventuale erogazione del servizio pubblico a vantaggio della collettività, nella concessione di pubblico servizio il concessionario sostituisce la pubblica amministrazione nell'erogazione del servizio, ossia nello svolgimento dell'attività diretta al soddisfacimento dell'interesse collettivo;
il criterio distintivo più convincente è, quindi, quello relativo all'oggetto dei due contrapposti istituti, che si riflette anche sulla fisionomia dei rapporti considerati: mentre, infatti, l'appalto di servizi concerne prestazioni rese in favore dell'amministrazione, la concessione di servizi riguarda sempre un articolato rapporto trilaterale che interessa l'amministrazione, il concessionario e gli utenti del servizio. Normalmente, nella concessione di pubblici servizi il costo del servizio grava sui privati/utenti, mentre nell'appalto di servizi spetta all'amministrazione l'onere di compensare l'attività svolta dal privato;
in linea di continuità con la giurisprudenza comunitaria, si pone poi l'indirizzo di recente seguito dalla giurisprudenza amministrativa interna (Cons. St., sez. IV, 17 gennaio 2002 n. 253), la quale ha osservato che le concessioni di pubblici servizi, pur se non regolate da direttive specifiche o da specifiche norme interne, soggiacciono ai principi generali dettati in materia dal trattato costitutivo, come esplicitati dalla citata comunicazione interpretativa CE del 29 aprile 2000;
il ricorso all'istituto concessorio, infatti, non incontra limiti puntuali ma non rende libera la scelta del soggetto a cui affidare la concessione. A prescindere infatti dall'applicabilità di specifici regimi, tutte le concessioni ricadono nel campo di applicazione delle disposizioni degli articoli da 28 a 30 (ex articoli da 30 a 36), da 43 a 55 (ex articoli da 52 a 66) del trattato o dei principi sanciti dalla giurisprudenza della Corte. Si tratta, in particolare, dei principi di non discriminazione, di parità di trattamento, di trasparenza, di mutuo riconoscimento e proporzionalità così come risultano dalla costante tradizione giurisprudenziale della Corte europea;
va, infatti, precisato che, anche nell'eventualità di concessioni non assoggettate alle prescrizioni dettate da specifiche direttive o norme interne, la scelta del concessionario deve essere conseguente ad una procedura competitiva e concorrenziale ispirata ai principi dettati dal trattato istitutivo, in modo da consentire la possibilità da parte delle imprese interessate di esplicare le proprie chances partecipative;
si consideri, poi, che anche nel sistema comunitario il ricorso alla scelta diretta del concessionario, in deroga ai predetti principi, costituisce evenienza eccezionale, giustificabile solo in caso di specifiche ragioni tecniche ed economiche che rendano impossibile in termini di razionalità l'individuazione di un soggetto diverso da quello prescelto;
tali principi valgono anche nel caso in cui il valore dell’affidamento sia sotto la soglia comunitaria mutuando sul punto, oltre a quanto sopra riportato, le precisazioni formulate dal Consiglio di Stato (cfr, sez. VI, n. 1247/2001), sebbene in tema di appalti di forniture ma comunque espressive di un principio comune.
4.3 Ciò posto, nel caso di specie, sembrano sussistere tutti i caratteri distintivi della concessione di pubblico servizio in quanto:
l’oggetto dell’affidamento riguarda, oltre la fornitura e posa in opera, la gestione e manutenzione di impianti utili per la collettività;
la stazione appaltante non è tenuta a corrispondere alcun importo per tale attività, ma al contrario riceve dalla ditta aggiudicatrice un canone annuo non inferiore a euro 20.000,00;
i proventi di tale attività derivano all’affidataria dalla gestione degli spazi pubblicitari annessi ai manufatti dalla stessa installati;
il concessionario assume, quindi, il "rischio economico", nel senso che la sua remunerazione dipende strettamente dai proventi che può trarre dalla gestione delle predette insegne pubblicitarie;
a riprova del fatto che si tratti di un pubblico servizio, basti osservare che, in mancanza di una tale concessione, la presenza degli impianti oggetto dell’affidamento (come le transenne parapedonali, necessarie per assicurare la sicurezza dei cittadini, e gli altri manufatti installati per tutelare le c.d. “utenze deboli”) avrebbe dovuto comunque essere garantita direttamente dall’amministrazione comunale.
4.4 In ragione di quanto sopra esposto, le osservazioni svolte dalle controparti non sembrano cogliere nel segno:
non il fatto che il valore dell’affidamento sia sotto la soglia comunitaria in quanto, a parte la difficoltà di individuare nel caso di specie l’esatta entità economica del servizio, tali limiti sono posti con espresso riferimento agli appalti pubblici, il che non sembra sufficiente per ritenerli direttamente applicabili ai rapporti concessori proprio perché è il concessionario a corrispondere un canone all’amministrazione e non viceversa;
non la circostanza che, trattandosi di “contratto gratuito” (rectius: senza oneri per l’amministrazione comunale), non era necessario ricorrere alle procedure ordinarie di evidenza pubblica. Bastano, al riguardo, le osservazioni già svolte al precedente punto 4.2.;
non l’ulteriore controdeduzione con la quale l’amministrazione comunale ritiene che, nel caso di specie, sussistano i motivi per ricorrere alla trattativa privata, in quanto, dalle premesse del provvedimento, non si evincono le ragioni di specificità tecnica ed urgenza che giustificano l’utilizzazione di tale procedura eccezionale né esse possono ritenersi presenti in re ipsa in quanto i manufatti sono posti a tutela delle c.d. “utenze deboli”. La giurisprudenza amministrativa è, peraltro, uniforme nel ritenere che le circostanze addotte per giustificare tale impellente urgenza non devono in alcun modo essere imputabili alle amministrazioni aggiudicatrici in quanto le norme che prevedono tale istituto sono chiare nell'escludere il ricorso alla trattativa privata nel caso in cui sia stata l'Amministrazione stessa a dar causa all’urgenza del provvedere;
non, infine, il fatto che non può trattarsi di una concessione in quanto manca, nella fattispecie in esame, la traslazione di pubblici poteri in capo al soggetto privato da parte dell’amministrazione. Anche qui, basta richiamare quanto espresso al precedente punto 4.2 circa i caratteri distintivi della concessione di pubblico servizio.
4.4 Il secondo, terzo, quinto, sesto e settimo motivo vanno, pertanto, accolti in quanto:
la procedura di selezione del concessionario, anche nel caso in cui l’entità economica del rapporto non superi la soglia comunitaria, non risulta sottratta, anche sulla base dei principi comunitari diretti a garantire la trasparenza e la concorrenza tra le imprese del settore, alle procedure ordinarie di evidenza pubblica;
la deliberazione impugnata con la quale il Comune di Pavia ha indetto la trattativa privata non reca le ragioni di particolarità ed urgenza necessarie per poter ricorrere a tale procedura eccezionale di scelta del contraente.
5. L’accoglimento delle predette censure, oltre a quanto già evidenziato al precedente punto 3., comporta l’assorbimento dell’ottavo motivo (aggiunto), proposto con atto notificato in data 20 e 21 aprile 2004.
6. In conclusione, il ricorso deve essere accolto con conseguente annullamento degli atti impugnati.
7. Le spese seguono la soccombenza nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sez. III, accoglie il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati.
Condanna il Comune di Pavia e la società controinteressata al pagamento delle spese processuali che si liquidano in complessivi euro 2.000,00 (duemila) da corrispondere, in parti uguali (euro 1.000,00 - mille - ciascuno), in favore della ricorrente.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Milano, nella Camera di Consiglio del 30 giugno 2004, con l'intervento dei magistrati:
Italo Raggio Presidente
Domenico Giordano Consigliere
Daniele Dongiovanni Referendario est.
Depositata in segretreria
il 4 agosto 2004 |