REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 11773/2003, proposto da ENEL SOLE s.p.a., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall’avv. Diego Corapi e dall’avv. Vittorio Cappuccilli, ed elettivamente domiciliata presso lo studio dei medesimi, in Roma, via Flaminia, n. 318;
contro
EUROSOA – Organismo di attestazione s.p.a., in persona del legale rappresentante in carica, non costituita in appello;
e nei confronti di
Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, in persona del Presidente in carica, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, e per legge domiciliata presso gli uffici di quest’ultima, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, cointeressata all’accoglimento dell’appello principale e appellante incidentale;
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, in persona del legale rappresentante in carica, non costituito in giudizio;
ACEA s.p.a., in persona del legale rappresentante in carica, non costituita in appello;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per il Lazio – Roma, sez. III, 30 giugno 2003, n. 5717, resa tra le parti.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, cointeressata all’accoglimento dell’appello principale;
visto l’appello incidentale dell’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici;
viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
visti tutti gli atti della causa;
relatore alla pubblica udienza dell’11 giugno 2004 il consigliere Rosanna De Nictolis e uditi l'avvocato V. Cappuccilli per l’appellante, e l'avvocato dello Stato M. L. Spina per l’appellante incidentale;
ritenuto e considerato quanto segue.
FATTO E DIRITTO
1. ACEA s.p.a. (società mista a partecipazione maggioritaria del Comune di Roma) conseguiva, su sua richiesta ai sensi del d.p.r. n. 34/2000, attestazione di qualificazione n. 837/1/00 in data 31 luglio 2002, rilasciata da EUROSOA – organismo di attestazione, per una serie di categorie e classifiche.
1.1. L’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, riscontrato l’avvenuto inserimento di tale attestazione nel casellario informatico delle imprese qualificate, comunicava sia ad EUROSOA che ad ACEA, che della questione della regolarità o meno del rilascio di detta attestazione si sarebbe occupato il Consiglio dell’Autorità nella riunione del 14 novembre 2002, tenuto conto del contenuto del comunicato della medesima Autorità 28 settembre 2001, n. 14.
Con delibera 20 novembre 2002, n. 325/02, l’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici disponeva che in calce all’attestazione n. 837/1/00 conseguita da ACEA s.p.a. venisse aggiunta la seguente annotazione: <<l’attestazione non è utilizzabile in quanto rilasciata in contrasto con le indicazioni interpretative dell’Autorità comunicate alla SOA>>.
In particolare, secondo la tesi dell’Autorità:
- le società miste costituite da Comuni e Province per la gestione dei servizi pubblici locali non possono conseguire l’attestazione di qualificazione di cui all’art. 8, l. n. 109/1994 (comunicato dell’Autorità 28 settembre 2001, n. 14);
- atteso che l’art. 2, co. 5 bis, l. n. 109/1994, nel testo introdotto dalla Merloni ter, e vigente all’epoca del rilascio dell’attestazione ad ACEA da parte di EUROSOA, sanciva il principio dell’obbligo di esternalizzazione dei lavori pubblici degli enti aggiudicatori, sicché le stazioni appaltanti potevano eseguirli solo mediante appalto o concessione, ne deriverebbe che le stazioni appaltanti, non potendo eseguire direttamente lavori pubblici, non potrebbero conseguire l’attestato di qualificazione.
Sebbene alla data di adozione del provvedimento impugnato (20 novembre 2002), tali considerazioni dovevano ritenersi superate per effetto dell’abrogazione dell’art. 2, co. 5 bis, l. n. 109/1994, ad opera della l. n. 166/2002 (c.d. Merloni quater), e per effetto della modifica dell’art. 113, t.u. enti locali, ad opera dell’art. 35, l. n. 448/2001, tuttavia, osservava l’Autorità, essendo stata l’attestazione SOA rilasciata prima dell’entrata in vigore della l. n. 166/2002, la stessa deve ritenersi non utilizzabile perché rilasciata in contrasto con le norme vigenti alla data del rilascio.
1.2. Con ricorso al T.a.r. per il Lazio – Roma, EUROSOA s.p.a. ha impugnato la delibera dell’Autorità 20 novembre 2002, n. 325/02 e gli atti presupposti tra cui, in particolare, il comunicato 28 settembre 2001, n. 14.
1.3. Il T.a.r. adito, con la sentenza in epigrafe, ha respinto talune eccezioni preliminari e ha accolto il ricorso, osservando che:
- le determinazioni di carattere generale adottate dall’Autorità, siano esse interpretative di norme o prescrittive di comportamenti per i destinatari, assumono rilevanza autonoma, anche a fini processuali, solo se collegate a effettivi poteri provvedimentali spettanti all’Autorità: in particolare, il comunicato alle SOA del 28 settembre 2001, n. 14, sarebbe privo di autonoma portata lesiva e correttamente sarebbe stato impugnato solo unitamente all’atto puntuale applicativo; stesso ragionamento varrebbe per la delibera dell’Autorità 2 ottobre 2002, consistente solo in un parere;
- l’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici non avrebbe il potere di incidere direttamente sulle attestazioni rilasciate dalle SOA, e di annullarle in tutto o in parte: sicché sarebbe illegittimo il provvedimento impugnato, con cui l’Autorità ha direttamente invalidato una attestazione SOA;
- nel merito, poi, sarebbe erronea la interpretazione accolta dall’Autorità in relazione all’art. 2, co 5 bis, l. n. 109/1994, e la conclusione, che l’Autorità ne trae, della impossibilità, per gli enti aggiudicatori, di conseguire l’attestazione SOA;
- in particolare: le società costituite da enti locali potrebbero partecipare a gare di appalto indette da soggetti terzi; l’art. 2, co. 5 bis, l. n. 109/1994, nel testo introdotto dalla l. n. 415/1998 (c.d. Merloni ter) andrebbe interpretato nel senso che è vietato ad un ente aggiudicatore di eseguire direttamente i propri lavori pubblici, dovendovi provvedere con appalto o concessione, ma non anche nel senso che un soggetto (rientrante nelle categorie di enti aggiudicatori) non possa essere esecutore di lavori pubblici di pertinenza di altri enti.
2. Contro tale sentenza hanno proposto, rispettivamente, appello principale e appello incidentale ENEL SOLE s.p.a. (interveniente in primo grado, quale controinteressata in relazione ad una gara di appalto cui ha partecipato ACEA) e l’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici.
2.1. L’appello principale e quello incidentale possono essere esaminati congiuntamente, in quanto propongono medesime questioni.
3. Si lamenta, anzitutto, che il ricorso di primo grado avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile per mancata tempestiva impugnazione del comunicato dell’Autorità 28 settembre 2001, n. 14, e della delibera 2 ottobre 2002 (primo motivo dell’appello principale).
3.1. Tale mezzo è infondato.
Il comunicato 28 settembre 2001, n. 14, è destinato alle SOA, al fine di fornire ad esse indicazioni sull’attività di attestazione; tra le altre molteplici questioni, tale comunicato contiene la posizione dell’Autorità circa la impossibilità, per le società miste degli enti locali, di conseguire l’attestazione SOA.
Si tratta, all’evidenza, di un atto a contenuto generale, diretto alle SOA, e come tale, privo di autonoma portata lesiva.
L’interesse ad impugnare tale comunicato è sorto, per l’organismo di attestazione, solo quando l’Autorità ha fatto concreta applicazione della propria precedente opzione interpretativa, invalidando, in applicazione della stessa, l’attestazione rilasciata ad ACEA.
3.2. Lo stesso ragionamento deve essere esteso al parere dell’Autorità 2 ottobre 2002, che è atto endoprocedimentale.
4. Si lamenta, poi, che erroneamente il T.a.r. ha negato la sussistenza del potere, in capo all’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, di invalidare le attestazioni rilasciate dalle SOA. Si assume che, al contrario, dal tessuto normativo vigente si desumerebbe la sussistenza di tale potere (primo motivo dell’appello principale).
4.1. La censura è fondata.
Questa Sezione, con svariate decisioni (tra cui Cons. Stato, VI, 2 marzo 2004, nn. 991 e 993), che il Collegio condivide e da cui non c’è ragione di discostarsi nel caso di specie, ha ritenuto sussistente il potere dell’Autorità di vigilanza sui lavori pubblici di intervenire in via diretta sulle attestazioni SOA, invalidandole in tutto o in parte, dopo aver segnalato la illegittimità alla SOA, e nell’inerzia di quest’ultima.
Hanno osservato le citate decisioni:
<<Posto che, in base alla l. n. 109/1994 e al d.p.r. n. 34/2000:
- le SOA esercitano una pubblica funzione di certificazione;
- le attestazioni sono atti pubblici di certificazione;
- l’Autorità esercita un controllo sia sulle SOA che sulle attestazioni che esse rilasciano;
- l’Autorità può indicare in modo vincolante il contenuto delle attestazioni;
- l’Autorità può escludere dal mercato le SOA inadempienti;
- l’Autorità vigila sull’intero sistema di qualificazione, e dunque ne garantisce l’efficienza e l’efficacia, a tutela della concorrenza e della pubblica fiducia;
da tale complesso di poteri attribuiti all’Autorità si evince anche quello, strettamente strumentale, di intervento diretto sulle attestazioni, mediante annullamento delle stesse>>.
<< In chiave ricostruttiva, va evidenziato che il potere di annullamento delle attestazioni va esercitato dall’Autorità solo in caso di inerzia della SOA:
- sicché, in prima battuta, l’Autorità dovrà indicare alla SOA il contenuto dell’atto che questa deve adottare (rilascio, modifica, ritiro, dell’attestazione);
- in caso di inerzia della SOA, l’Autorità interverrà in via diretta ad adottare l’atto omesso dalla SOA;
- la necessità che il sistema di qualificazione sia efficiente ed efficace, comporta che vi sia una urgenza in re ipsa nell’adozione degli interventi prescritti, per cui l’Autorità, nell’indicare alle SOA il contenuto degli atti, potrà assegnare un termine molto breve, decorso il quale potrà intervenire in via diretta.
E’ appena il caso di aggiungere che l’atto con cui l’Autorità <<indica>> alla SOA il contenuto dell’atto da adottare, deve rispettare le garanzie di partecipazione, sicché contestualmente l’Autorità darà avviso di avvio del procedimento, ai sensi dell’art. 7, l. n. 241/1990, all’impresa interessata>>.
4.2. Il che è quanto si è verificato nel caso di specie, perché l’Autorità è intervenuta di ufficio a dichiarare la non utilizzabilità dell’attestazione dopo aver previamente informato la EUROSOA dei vizi riscontrati, e nella perdurante inerzia di quest’ultima.
5. Ritenuto, in astratto, sussistente il potere dell’Autorità di invalidare in via diretta le attestazioni di qualità rilasciate dalle SOA, occorre verificare se tale potere sia stato, nel caso concreto, correttamente esercitato.
5.1. Occorre pertanto passare all’esame degli ulteriori motivi di gravame.
Sia l’appellante principale che l’appellante incidentale censurano la sentenza del T.a.r., nella parte in cui ritiene erronea l’interpretazione dell’art. 2, co. 5 bis, l. n. 109/1994, seguita dall’Autorità (secondo motivo dell’appello principale; unico motivo dell’appello incidentale).
5.2. Assumono le appellanti che:
- l’art. 2, co. 5 bis, l. n. 109/1994 (nel testo introdotto dalla c.d. Merloni ter) imponeva ai soggetti di cui all’art. 2, co. 2, l. n. 109/1994, l’obbligo di esternalizzazione dei propri lavori, e dunque il divieto di eseguire in proprio lavori pubblici; tale norma non farebbe alcuna distinzione, al contrario di quanto affermato dal T.a.r., tra lavori pubblici di pertinenza della stazione appaltante, e lavori pubblici di pertinenza di altre stazioni appaltanti;
- il divieto di cui all’art. 2, co. 5 bis, sarebbe di per sé impeditivo dell’iscrizione delle stazioni appaltanti all’albo nazionale costruttori, ancora vigente alla data di introduzione dell’art. 2, co. 5 bis;
- le società miste costituite dagli enti locali, in considerazione degli interessi territoriali per cui sono costituite, non potrebbero svolgere attività estranee agli scopi per cui sono create; tali limitazioni non sarebbero venute meno a seguito della modifica dell’art. 113, d.lgs. n. 267/2000, ad opera, dapprima, della l. n. 448/2001, e successivamente del d.l. n. 269/2003;
- il regime della qualificazione riguarderebbe le <<imprese>> ossia i soggetti di cui all’art. 10, l. n. 109/1994, e non i soggetti aggiudicatori di cui all’art. 2, medesima legge (così l’appello incidentale).
5.3. Le censure sono infondate.
5.3.1. La questione di diritto è se ACEA s.p.a., società mista a prevalente partecipazione del Comune di Roma, potesse o meno conseguire, all’epoca dei fatti (luglio 2002) l’attestazione di qualità di cui all’art. 8, l. n. 109/1994.
5.3.2. La soluzione negativa accolta dall’Autorità si basa su due ordini di considerazioni:
- le società miste costituite dagli enti locali, ai sensi del relativo t.u. (d.lgs. n. 267/2000), non potrebbero svolgere attività economico – imprenditoriali al di fuori del servizio per la cui gestione sono state costituite;
- l’art. 2, co. 5 bis, l. n. 109/1994, nel testo introdotto dalla l. n. 415/1998, vieterebbe agli enti aggiudicatori di eseguire in via diretta lavori pubblici, imponendo ad essi un obbligo di esternalizzazione.
5.3.4. Entrambe gli argomenti non possono essere condivisi.
Va anzitutto premesso che la questione oggetto del presente giudizio è superata, per stessa ammissione degli appellanti, a far data dalla entrata in vigore della l. n. 166/2002 (c.d. Merloni quater) che ha abrogato il testo dell’art. 2, co. 5 bis, introdotto dalla l. n. 415/1998.
Ciò posto, anche nel sistema normativo anteriore alla l. n. 166/2002 (c.d. Merloni quater) (che ha abrogato l’art. 2, co. 5 bis, l. n. 109/1994), si doveva ritenere che né il t.u. enti locali (d.lgs. n. 267/2000), né l’art. 2, co. 5 bis, l. n. 109/1994, nel testo introdotto dalla l. n. 415/1998 (cd. Merloni ter), precludessero agli enti aggiudicatori, e, segnatamente, alle società miste costituite dagli enti locali, di operare sul mercato in veste di esecutori di lavori pubblici per conto di stazioni appaltanti terze. Conseguentemente, non era precluso a detti soggetti il conseguimento dell’attestazione di qualità di cui all’art. 8, l. n. 109/1994.
5.3.5. Per quanto riguarda la questione della possibilità, per le società miste costituite da enti locali, di svolgere attività imprenditoriali c.d. extraterritoriali, assumendo il ruolo di esecutori di appalti pubblici indetti da altre stazioni appaltanti pubbliche (diverse dagli enti locali che hanno dato vita alle società miste), tale questione era stata risolta in senso affermativo dalla giurisprudenza, sia pure con paletti e limitazioni volti a non snaturare il ruolo istituzionale delle società miste.
Questo Consesso ha infatti ritenuto, già nel vigore dell’art. 113, d.lgs. n. 267/2000, nel testo anteriore alle innovazioni introdotte con la l. n. 448/2001, con il d.l. n. 269/2003, e con la l. n. 350/2003, che
<<l’attività extraterritoriale, per tutte le figure per le quali esiste un vincolo teleologico al soddisfacimento dei bisogni della collettività locale, si appalesa subordinata alla dimostrazione che in tal guisa viene soddisfatta una specifica esigenza della medesima collettività, che non si traduca in un mero ritorno di carattere imprenditoriale, e va ritenuta non ammissibile se vi sia una concreta incompatibilità con gli interessi della collettività di riferimento, determinata da una distrazione di risorse e mezzi effettivamente apprezzabile e realisticamente in grado di arrecare pregiudizio allo svolgimento del servizio pubblico locale>> (C. Stato, V, 3 settembre 2001, n. 4586).
Tale soluzione il Collegio ritiene pienamente condivisibile, in quanto, partendo dal principio basilare secondo cui la società mista costituita da enti locali è strumentale al perseguimento degli interessi della collettività locale, non si può a priori escludere la possibilità di svolgimento di attività c.d. extraterritoriali, ma occorre, caso per caso, verificare, con specifiche indagini e studi, che l’espletamento di tali attività, da un lato contribuisca al migliore perseguimento dell’interesse della collettività locale, e, dall’altro lato, non si traduca in un aumento di costi per tale collettività, in termini di aumento di tasse o tariffe, o peggioramento del servizio.
Solo a tali condizioni, infatti, si soddisfa la duplice esigenza che, da un lato, le attività extraterritoriali della società mista non si traducano in pregiudizio e aumento di costi della collettività territoriale, in contrasto con i principi di efficienza e di equa misura di tasse e tariffe, e che, dall’altro lato, la società mista, una volta immessa sul mercato, vi operi in condizioni di effettiva concorrenza e parità con gli imprenditori privati, senza costituzione di una posizione di privilegio derivante dalla possibilità di usufruire, in violazione delle norme comunitarie e nazionali sugli aiuti pubblici alle imprese, di una dote economico – finanziaria costituita da denaro pubblico e, dunque, in definitiva, a carico della collettività.
Le innovazioni introdotte con l’art. 35, l. n. 448/2001 e con il d.l. n. 269/2003, militano, del pari, nel senso della possibilità, entro certi limiti, che la società mista assuma appalti pubblici anche affidati da soggetti terzi rispetto a quelli che le hanno dato vita.
In particolare:
- l’art. 35, l. n. 448/2001, aveva vietato la c.d. extraterritorialità, ma solo al termine di un periodo transitorio (così statuendo: <<A far data dal termine di cui al primo periodo, è comunque vietato alle società di capitali in cui la partecipazione pubblica è superiore al 50 per cento, se ancora affidatarie dirette, di partecipare ad attività imprenditoriali al di fuori del proprio territorio>>);
- tale divieto è stato abrogato dall’art. 14, l. n. 326/2003 (recante conversione del d.l. n. 269/2003);
- la l. n. 350/2003 ha introdotto il divieto di extraterritorialità solo alla fine di un periodo transitorio (art. 113, commi 6 e 15 quater, d.lgs. n. 267/2000).
5.3.6. Per quanto attiene alla corretta interpretazione dell’art. 2, co. 5 bis, l. n. 109/1994, giova ricordare che tale norma, nel testo introdotto dalla c.d. Merloni ter (l. n. 415/1998), così disponeva:
<<I soggetti di cui al comma 2 provvedono all'esecuzione dei lavori di cui alla presente legge, esclusivamente mediante contratti di appalto o di concessione di lavori pubblici ovvero in economia nei limiti di cui all'articolo 24 (...)>>.
La norma è stata letta dall’Autorità nel senso di un divieto assoluto di esecuzione diretta dei lavori pubblici da parte dei soggetti di cui all’art. 2, co. 2, l. n. 109/1994, che hanno veste di amministrazioni e enti aggiudicatori.
Tuttavia, tale interpretazione non può essere condivisa alla luce di molteplici considerazioni.
Anzitutto, nell’ambito del medesimo articolo 2, il comma 4, sempre nel testo introdotto dalla l. n. 415/1998, così dispone:
<<I concessionari di lavori pubblici di cui al comma 2, lettera b), sono obbligati ad appaltare a terzi attraverso pubblico incanto o licitazione privata i lavori pubblici non realizzati direttamente o tramite imprese controllate che devono essere espressamente indicate in sede di candidatura, con la specificazione anche delle rispettive quote dei lavori da eseguire; l'elenco delle imprese controllate viene successivamente aggiornato secondo le modifiche che intervengono nei rapporti tra le imprese. I requisiti di qualificazione previsti dalla presente legge per gli esecutori sono richiesti al concessionario ed alle imprese controllate, nei limiti dei lavori oggetto della concessione eseguiti direttamente. Le amministrazioni aggiudicatrici devono prevedere nel bando l'obbligo per il concessionario di appaltare a terzi una percentuale minima del 40 per cento dei lavori oggetto della concessione. (...)>>.
Se ne desume che, tra i soggetti di cui all’art. 2, co. 2, per i concessionari già la stessa l. n. 415/1998 consentiva una deroga al divieto assoluto di in – house construction. Infatti i concessionari possono eseguire in via diretta una percentuale dei lavori, e dunque non hanno un obbligo assoluto di esternalizzazione.
Quando i concessionari eseguono i lavori direttamente, devono possedere i requisiti di qualificazione, e dunque hanno titolo a conseguire l’attestazione di qualità.
La coesistenza, nell’articolo 2, del comma 4 e del comma 5 bis, induce a ritenere che il comma 5 bis non sancisca affatto un divieto assoluto, per i soggetti aggiudicatori, di assumere anche la veste di soggetti esecutori di lavori pubblici.
Invero, l’obbligo di eseguire i lavori di propria competenza mediante appalto, concessione, ovvero lavori in economia, non è un obbligo inderogabile, perché, si è visto, i concessionari potevano, già prima della Merloni quater, eseguire in parte, i lavori, in via diretta.
In secondo luogo, l’obbligo di esternalizzazione sancito dal citato art. 2, co. 5 bis, assume il significato di impedire il cumulo in uno stesso soggetto, del ruolo di stazione appaltante e di soggetto esecutore dei lavori, ma tale divieto di cumulo non può che riferirsi ai lavori di pertinenza del soggetto di cui si tratta.
Solo per specifici lavori di competenza di un dato soggetto (rientrante nel novero di quelli di cui all’art. 2, co. 2, l. n. 109/1994) ha un significato logico l’obbligo di esternalizzazione e il divieto di in house construction.
La norma di cui all’art. 2, co. 5 bis, non impediva, invece, che un soggetto fosse ente aggiudicatore per un dato appalto e soggetto affidatario in un altro appalto.
E, invero, nel caso in cui un soggetto di cui all’art. 2, co. 2, operi, non già in veste di stazione appaltante, bensì in veste di esecutore dei lavori pubblici appaltati da altro soggetto (sempre rientrante nell’art. 2, co. 2), non si ricade nel divieto di in house construction.
La opposta lettura, propugnata dalle parti appellanti, conduce all’illogico risultato che un soggetto che rientra nel novero dei soggetti aggiudicatori non potrebbe mai essere esecutore di un appalto indetto da altri soggetti aggiudicatori.
Il che si traduce in una incapacità giuridica a contrarre, in contrasto con la generale capacità di diritto privato, che va riconosciuta sia ai soggetti privati, sia ai soggetti solo formalmente privati (società a capitale pubblico), sia alle pubbliche amministrazioni.
6. In conclusione, l’appello principale e quello incidentale vanno respinti, nei sensi suesposti.
E, invero, pur dovendosi riconoscere, in astratto, la sussistenza del potere dell’Autorità di intervenire in via diretta, con effetti invalidanti, sulle attestazioni SOA, tuttavia, nel caso di specie, tale potere di invalidazione, di cui l’Autorità è titolare, è stato mal esercitato, sicché rimane fermo l’annullamento, disposto dal T.a.r., della delibera dell’Autorità 20 novembre 2002, n. 325/02.
7. La novità delle questioni giustifica la compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione sesta), definitivamente pronunciando sull’appello principale e sull’appello incidentale in epigrafe, li respinge, nei sensi di cui in motivazione.
Spese compensate.
Ordina che la pubblica amministrazione dia esecuzione alla presente decisione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del con la partecipazione di:
Mario Egidio Schinaia - Presidente
Carmine Volpe - Consigliere
Francesco D’Ottavi - Consigliere
Lanfranco Balucani - Consigliere
Rosanna De Nictolis - Cons. rel. ed est.
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il 7 settembre 2004
(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)
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