REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta
ha pronunciato la seguente
DECISIONE
Sul ricorso n. 7715/03 R.G. proposto da Comune di Pizzo, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Proff.ri Luisa Torchia e Piero Sandulli, ed elettivamente domiciliato in Roma, presso lo studio “Prof. Avv. Luisa Torchia ed altri s.t.p.”, Via Sannio n. 65,
CONTRO
- SAI.GE.SE. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Piero D’Amelio e Giovanni Tortorici, ed elettivamente domiciliata presso lo studio del primo, in Roma, Via delle Vite n. 7, appellante incidentale;
nonché contro
NAPITIA s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Francesco Mirigliani, ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, Via della Frezza n. 59;
e nei confronti di
Esazioni Tributi s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., non costituita in giudizio;
PER L'ANNULLAMENTO
Della sentenza resa dal T.A.R. per la Calabria, Sez. I, n. 2139/03, pubblicata in data 24 giugno 2003.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della SAI.GE.SE. s.p.a., e l’appello incidentale proposto da quest’ultima;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della NAPITIA s.r.l.;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Nominato relatore il Consigliere Michele Corradino;
Uditi alla pubblica udienza del 23.3.2004 i difensori delle parti come da verbale d’udienza;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
Con sentenza n. 2139 del 24 giugno 2003, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, Sez. I, accoglieva il ricorso con il quale la SAI.GE.SE. s.p.a., in qualità di socio di minoranza della società NAPITIA s.r.l., costituita con il Comune di Pizzo per la gestione dei servizi di liquidazione e riscossione dei tributi locali, chiedeva l’annullamento della delibera del Consiglio Comunale di Pizzo n. 50 dell’11 novembre 2002 di revoca del precedente provvedimento n. 16 del 7 giugno 2001 avente ad oggetto la costituzione della stessa società mista, nonché del consequenziale atto di affidamento alla Esazione Tributi s.p.a. del servizio della riscossione dei tributi.
Avverso la predetta decisione proponeva rituale appello il Comune di Pizzo, deducendo l’erroneità della sentenza.
Si è costituita, per resistere all’appello, la SAI.GE.SE. s.p.a., che ha pure proposto appello incidentale.
Si è altresì costituita, per contrastare le ragioni dell’appellante, la NAPITIA s.r.l.
Non si è costituita la Esazioni Tributi s.p.a.
Con memorie depositate in vista dell'udienza le parti hanno insistito nelle proprie conclusioni.
Alla pubblica udienza del 23.3.2004 la causa è stata chiamata e trattenuta per la decisione, come da verbale.
DIRITTO
1. Il Comune di Pizzo, mediante l’appello in esame, intende censurare la conclusione del T.A.R. secondo cui l’ente locale, una volta costituita, con altri soggetti, una società mista per lo svolgimento di un servizio pubblico con gli strumenti privatistici, non può più recedere dal contratto costitutivo della società se non nei limiti in cui tale potere è consentito dalle norme di diritto comune. A tal fine l’appellante lamenta, anzitutto, il travisamento, ad opera del giudice di primo grado, del thema decidendum, giacchè il T.A.R. avrebbe valutato gli effetti del provvedimento di revoca sul contratto di società, e non invece sulla convenzione stipulata con la Napitia s.r.l., intesa come autonoma fonte di affidamento del servizio.
La censura è infondata.
La deliberazione del Comune di Pizzo n. 50 dell’11 novembre 2002 è inequivoca nell’individuare, come oggetto della revoca, la precedente deliberazione consiliare n. 16 del 7 giugno 2001, mediante la quale veniva disposta la costituzione di una società mista a maggioranza pubblica cui affidare la gestione delle entrate comunali.
In ogni caso, comunque, l’affidamento del servizio pubblico in questione rientra nell’oggetto sociale della società mista, costituita proprio a tale scopo, e rappresenta una mera conseguenza della scelta gestionale operata, dovendosi ritenere superfluo un autonomo provvedimento in tal senso. Ne consegue che anche ammettendo, in ipotesi, che la revoca incida solo sul rapporto negoziale, e non sul patto societario, verrebbe comunque sostanzialmente vanificata la sussistenza della stessa società, che non potrebbe più perseguire lo scopo per cui era venuta ad esistenza. Del resto, a conferma di ciò, può notarsi come la stessa Amministrazione comunale ha tratto la conclusione che dall’esercizio del suindicato potere di revoca sarebbero derivate inevitabili conseguenze sulla vita della società mista costituita, proponendo l’azione per la liquidazione della società davanti al giudice ordinario.
Con il secondo motivo di ricorso Il Comune di Pizzo sostiene, poi, che il giudice di primo grado non ha rilevato che la delibera n. 50/02 costituisce il necessario provvedimento finale, assunto nelle forme di un contrarius actus, di un nuovo procedimento amministrativo con cui l’ente locale intende esercitare il proprio potere di autotutela rispetto alla determinazione di gestire il servizio in questione mediante il modulo organizzatorio della società mista. Dichiarare l’illegittimità di suddetta revoca equivarrebbe, a parere dell’appellante, a voler negare la possibilità dell’esercizio del generale potere di autotutela in capo all’Amministrazione.
La doglianza non merita accoglimento.
Il T.A.R. ha correttamente rilevato che, una volta intervenuta la costituzione della compagine societaria, l’Amministrazione non può più sciogliersi dal vincolo sociale esercitando un potere di recesso unilaterale, anche se nelle forme di un atto di ritiro della precedente manifestazione di volontà di gestire il servizio pubblico mediante lo strumento societario. Dal momento della costituzione della società, e quindi dalla nascita di tale nuovo soggetto giuridico, quest’ultimo è assoggettato al particolare regime disciplinare che lo governa, ed in particolare alle norme di diritto comune, non potendosi più ammettere che l’ente locale intervenga autoritativamente ad incidere sull’esistenza dello stesso mediante un contrarius actus frutto dell’esercizio del potere di autotutela. D’altra parte, la stessa giurisprudenza di questa Sezione ha già avuto modo di rilevare che il Comune mantiene un’amplia discrezionalità di revocare la propria precedente decisione di provvedere alla gestione di un servizio pubblico mediante costituzione di una società mista solo non avendo ancora dato seguito alla stessa determinazione (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 4 maggio 2004, n. 2714), a differenza di quanto si riscontra nel caso di specie, dove invece la società si è già costituita, iniziando anche a svolgere le attività previste dallo statuto.
Con la terza censura l’appellante, nel ribadire che la delibera di revoca non incide sul contratto sociale, ma solo sul provvedimento di scelta dell’esercizio del servizio pubblico in questione attraverso la società mista, con le inevitabili ripercussioni sull’efficacia del rapporto negoziale intervenuto con la Napitia s.r.l., sostiene che il T.A.R. non ha tenuto conto che tale meccanismo è analogo a quello che si verifica con riguardo agli effetti dell’annullamento del provvedimento di aggiudicazione rispetto al contratto di appalto.
Anche tale profilo di ricorso risulta infondato.
Infatti, oltre a richiamarsi quanto già argomentato nell’esame del primo motivo di appello in ordine alla diretta inerenza del provvedimento di revoca sul contratto sociale, vale notare come non risulta pertinente il richiamo compiuto dall’appellante alla ipotesi in cui dall’illegittimità dell’aggiudicazione di una gara di appalto derivi la caducazione degli effetti del contratto successivamente stipulato. Queste ultime ipotesi trovano il proprio presupposto nell’intervenuto annullamento per vizi di legittimità, o d’ufficio, in via di autotutela, o in sede giudiziale degli atti di gara, mentre nel caso di specie questi ultimi, sfociati nella scelta del socio privato dell’ente locale nella costituenda s.p.a., non hanno subito alcun annullamento, ma si è assistito all’esercizio unilaterale da parte del Comune appellante di un potere di recesso per motivi di opportunità, che non può ritenersi sussistente. Una volta intervenuta la costituzione della società, ciascuno dei soci ha facoltà di recesso solo nei casi in cui la legge o le previsioni statutarie gli conferiscano il relativo diritto.
Né può sostenersi, come avanzato dal Comune di Pizzo con il quarto motivo di ricorso, che il giudice di primo grado, nel ricollegare alla delibera n. 50/2002 effetti solutori sul contratto sociale, abbia travalicato i limiti della propria giurisdizione, atteso che l’art. 33, comma 2, lett. a) del d.lgs. 80/98 è stato interpretato nel senso che la cognizione del giudice amministrativo vada limitata alle sole procedure pubblicistiche di istituzione, modificazione ed estinzione di soggetti gestori di pubblici servizi, con esclusione delle questioni prettamente privatistiche inerenti il contratto sociale.
In proposito basta osservare che il sindacato del giudice amministrativo è rivolto proprio avverso un atto dell’Amministrazione compiuto nell’esercizio di poteri autoritativi, estrinsecazione di potestà pubblicistiche, e non in qualità di socio privato di una s.p.a., rientrando, quindi nell’ambito di operatività dell’art. 33, comma 2, del d. lgs. 80/98. In tal senso, la giurisprudenza di questa Sezione ha già rilevato come rientrano nell’ambito della giurisdizione del giudice amministrativo le determinazioni che incidono immediatamente sulla relazione tra l’ente ed il soggetto gestore, condizionandone l’operatività e modificandone il presupposto rapporto convenzionale (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 13 giugno 2003, n. 3346).
Anche l’ultimo profilo di ricorso, con il quale il Comune appellante sostiene che la sentenza impugnata si manifesta carente da un punto di vista motivazionale in quanto non ha considerato adeguatamente i presupposti di fatto e le risultanze istruttorie che hanno portato al provvedimento di revoca, è privo di pregio.
Si è già rilevato, invero, che la questione assorbente del giudizio investe la insussistenza del potere, da parte dell’ente locale, di recedere dal contratto costitutivo di una società mista se non nei limiti in cui tale potere è consentito dagli strumenti di diritto comune.
L’appello va, pertanto, rigettato.
Il Collegio, a questo punto, passa all’esame dell’appello incidentale proposto dalla SAI.GE.SE. s.p.a. Quest’ultima sostiene che il T.A.R. ha rigettato la domanda di risarcimento del danno per equivalente dalla stessa avanzata in primo grado sulla base del presupposto che tale forma di risarcimento spetti soltanto in via subordinata rispetto alla reintegrazione in forma specifica, che è invece stata ottenuta dall’odierna resistente per effetto della sentenza impugnata. L’appellante incidentale lamenta, invece, che il ritardo nella reintegrazione in forma specifica comporta dei danni derivanti dalla perdita degli utili per il mancato svolgimento del servizio, e dal mantenimento dei costi di gestione della struttura societaria.
La censura è fondata.
Occorre precisare, infatti, che il risarcimento in forma specifica mediante l’annullamento dell’atto lesivo ed il consequenziale ripristino della situazione quo ante opera per il futuro, ma non ristora il danno subìto nel passato e, in particolare, per il periodo durante il quale il servizio in questione non è stato espletato dalla società mista, rispetto a cui occorre quantificare l’eventuale danno per equivalente. La domanda risarcitoria nel caso di specie può trovare quindi accoglimento pur nei limiti dell’art. 35, secondo comma del decreto legislativo n. 80/98. L’Amministrazione pertanto nel termine di giorni sessanta dalla comunicazione o notificazione della presente sentenza quantificherà la somma dovuta a titolo di risarcimento, procedendo all’offerta nei confronti della Sai.Ge.Se. s.p.a. Nella quantificazione di detta somma, l’Amministrazione terrà conto dei costi di gestione sostenuti dalla struttura societaria nonché dei presumibili utili che sarebbero derivati dalla gestione del servizio.Nella determinazione del presumibile utile si terrà conto di quanto percepito da imprese che svolgono il medesimo servizio in contesti dimensionali o socio-ambientali paragonabili a quelli per cui è causa.
2. Alla luce delle suesposte considerazioni, ed assorbito quant’altro, il ricorso in appello va rigettato; l’appello incidentale va accolto con la condanna dell’amministrazione al risarcimento dei danni, ai sensi dell’art. 35, comma 2, del d. lgs. n. 80/98, secondo i criteri indicati in parte motiva.
3. Sussistono, comunque, giusti motivi per compensare tra le parti le spese del secondo grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione V) rigetta l’appello in epigrafe; accoglie l’appello incidentale nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza di primo grado, condanna il Comune di Pizzo al risarcimento dei danni a favore della SAI.GE.SE. s.p.a.
Compensa le spese di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, palazzo Spada, sede del Consiglio di Stato, nella camera di consiglio del 23.3.2004 con l'intervento dei sigg.ri:
Rosalia Maria Pietronilla Bellavia Presidente f.f.,
Giuseppe Farina Consigliere,
Goffredo Zaccardi Consigliere,
Marzio Branca Consigliere,
Michele Corradino Consigliere estensore.
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE f.f.
f.to Michele Corradino f.to Rosalia Maria Pietronilla Bellavia
IL SEGRETARIO
f.to Antonietta Fancello
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 20 ottobre 2004
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL DIRIGENTE
f.to Antonio Natale |