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Consiglio di Stato, Sez. V, 10/1/2005 n. 32
Nel corso di una gara la p.a deve dare puntuale esecuzione alle prescrizioni contenute nel bando, senza che in capo all’organo amministrativo residui alcun margine di discrezionalità in ordine al rispetto della discipina del procedimento.

Qualora il bando di gara o la lettera di invito comminino espressamente l'esclusione obbligatoria in conseguenza di determinate violazioni, anche soltanto formali, l'Amministrazione è tenuta a dare precisa ed incondizionata esecuzione a tali previsioni, senza alcuna possibilità di valutazione discrezionale circa la rilevanza dell'inadempimento, l'incidenza di questo sulla regolarità della procedura selettiva e la congruità della sanzione contemplata nella lex specialis, alla cui osservanza la stessa Amministrazione si è autovincolata al momento dell'adozione del bando (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 25 gennaio 2003, n. 357).

L'accertamento del requisito della colpa della pubblica amministrazione necessario per il risarcimento dei danni derivanti da lesione di interessi legittimi è soddisfatto restando all'interno dei più sicuri confini dello schema e della disciplina della responsabilità aquiliana, che rivelano una maggiore coerenza della struttura e delle regole di accertamento dell'illecito extracontrattuale con i caratteri oggettivi della lesione di interessi legittimi e con le connesse esigenze di tutela, ma utilizzando, per la verifica dell'elemento soggettivo, le presunzioni semplici di cui agli artt. 2727 e 2729 c.c.

Materia: appalti / bando di gara

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta ha pronunciato la seguente

 

DECISIONE

Sul ricorso n. 9470/2003 R.G. proposto da Azienda Ospedaliera Sant’Andrea, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Vincenzo Sigillò e Giuseppe Sigillò Massara, ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, Via Po n. 25/B;

 

CONTRO

- Conti s.p.a., ora Fallimento “Conti s.p.a.”, in persona del curatore del fallimento, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Bruno Barel e Luigi Manzi, ed elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo, in Roma, Via Confalonieri n. 5, appellante incidentale;

 

e nei confronti di

- Industrie Guido Malvestio s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita;

nonché

Nuova CLA s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita;

 

PER LA RIFORMA

Della sentenza resa dal T.A.R. per il Lazio, sezione III, n. 7058/03, pubblicata in data 12 agosto 2003.

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Conti S.p.a., ora Fallimento Conti s.p.a., che ha pure proposto appello incidentale;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Nominato relatore il Consigliere Michele Corradino;

Uditi alla pubblica udienza del 4.5.2004 i difensori delle parti M. Lioi, per delega dell’avvocato V. Sigillò e L. Manzi, per sé e per delega dell’avvocato B. Barel, come da verbale d’udienza;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

 

FATTO

Con sentenza n. 7058 del 12 agosto 2003, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sezione III, accolse il ricorso con il quale la Conti s.p.a. aveva chiesto l’annullamento degli atti di gara della procedura per l’affidamento di una fornitura di mobili ed arredi ospedalieri indetta dall’Azienda Ospedaliera Sant’Andrea, che aveva provveduto all’aggiudicazione nei confronti della Nuova CLA s.p.a., e la conseguente condanna dell’Amministrazione al risarcimento del danno.

Avverso la predetta decisione ha proposto rituale appello l’Azienda Ospedaliera Sant’Andrea, deducendo l’erroneità della sentenza.

Si è costituita la Conti s.p.a. per resistere all’appello.

Non si sono costituite la Industrie Guido Malvestio s.p.a e la Nuova CLA s.p.a.

Con memorie depositate in vista dell'udienza le parti hanno insistito nelle proprie conclusioni.

Alla pubblica udienza del 4.5.2004 la causa è stata chiamata e trattenuta per la decisione, come da verbale.

 

DIRITTO

1. L’appello è infondato.

Con la prima doglianza l’Amministrazione appellante lamenta l’erroneità della sentenza appellata sotto un duplice profilo. Da un lato l’Azienda Ospedaliera Sant’Andrea sostiene che la documentazione, che la ditta Nuova CLA s.p.a. ha omesso di presentare, e che ha indotto il T.A.R. a statuire in ordine all’illegittimità della mancata esclusione di quest’ultima, poteva in qualche modo essere supplita dalla dichiarazione resa in data 26/8/2002 dal Presidente della stessa società. Per altro verso l’appellante ritiene che, in ogni caso, l’Amministrazione avrebbe avuto la facoltà di invitare l’impresa a sanare l’irregolarità nella presentazione del certificato mancante, per cui il giudice di primo grado, previa verifica istruttoria circa il possesso sostanziale dei requisiti richiesti dal bando di gara, avrebbe comunque errato nel ritenere doverosa l’esclusione dalla procedura della ditta poi risultata aggiudicataria.

Il motivo non merita accoglimento.

Va osservato, anzitutto, che la dichiarazione resa in data 26/8/2002 dal Presidente di Nuova CLA s.p.a. non può in alcun modo ritenersi sostitutiva di quella che avrebbero dovuto rendere i singoli amministratori della società in ordine alla propria posizione personale. Infatti, la lettera di invito alla gara era chiarissima nel richiedere, tra la documentazione amministrativa da presentare, nel caso di società per azioni, che l’autocertificazione con cui occorreva attestare di non aver riportato condanna penali per reati che incidono sull’affidabilità morale e professionale, di non avere pendenti procedimenti per l’applicazione delle misure di prevenzione indicate dall’art. 3 della legge 27 dicembre 1956 n. 1423 e di non avere violato il divieto d’intestazione fiduciaria posto all’art. 17 della l. 10 marzo 1990 n. 55, doveva essere resa, oltre che dal titolare o legale rappresentante, anche dagli amministratori. E non è contestato che tale dichiarazione non sia stata resa dal sig. Antonio Boni, amministratore delegato della società.

Tale documentazione, per espressa previsione della lettera di invito, veniva richiesta a pena di esclusione e/o non ammissione alla gara. Ne consegue che l’Amministrazione non avrebbe potuto considerare tale omissione come mera irregolarità formale, con conseguente invito, semmai, all’impresa a completare la documentazione di gara, giacchè, nella specie, si tratta della mancata produzione di un documento richiesto a pena di esclusione. In tal senso, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, la portata vincolante delle prescrizioni contenute nel regolamento di gara esige che alle stesse sia data puntuale esecuzione nel corso della procedura, senza che in capo all’organo amministrativo cui compete l’attuazione delle regole stabilite nel bando residui alcun margine di discrezionalità in ordine al rispetto della disciplina del procedimento. Da tale principio discende che, qualora il bando o la lettera di invito comminino espressamente l’esclusione obbligatoria in conseguenza di determinate violazioni, anche soltanto formali, l’Amministrazione è tenuta a dare precisa ed incondizionata esecuzione a tali previsioni, senza alcuna possibilità di valutazione discrezionale circa la rilevanza dell’inadempimento, l’incidenza di questo sulla regolarità della procedura selettiva e la congruità della sanzione contemplata nella lex specialis, alla cui osservanza la stessa Amministrazione si è autovincolata al momento dell’adozione del bando (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 25 gennaio 2003, n. 357). Il formalismo che caratterizza la disciplina delle procedure per l’aggiudicazione dei contratti della pubblica amministrazione risponde, infatti, da un lato ad esigenze pratiche di certezza e celerità, dall’altro, e soprattutto, alla necessità di garantire l’imparzialità dell’azione amministrativa e la parità di condizioni tra i concorrenti. Soltanto nel varco aperto da un’equivoca formulazione della lettera di invito o del bando di gara, che nella fattispecie è da escludere in virtù del chiarissimo e perentorio disposto della lettera di invito, può esservi spazio per un’interpretazione che consenta la più ampia ammissione degli aspiranti (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 17 dicembre 2001, n. 6250).

Né può essere invocata, nella fattispecie, in applicazione degli artt. 15, comma 1, del d.lgs. 358/92, e 16 del d.lgs. 157/95, la facoltà dell’Amministrazione appaltante di invitare le imprese a completare o a chiarire certificati, documenti o dichiarazioni presentate.

Infatti, al di là della circostanza che la possibilità in questione viene prevista dall’art. 15 del d.lgs. 358/92 solo nei limiti della documentazione prevista dai precedenti artt. 11, 12, 13 e 14, inerenti, almeno in parte, a fattispecie diverse da quella in esame, in ogni caso dal tenore di detta disposizione si evince che essa può valere a far completare il contenuto di certificazioni comunque presentate, e non certo a consentire ex post la presentazione di una dichiarazione mancante, come quella, sopra richiamata, riguardante il sig. Boni.

Con il secondo motivo di appello l’Azienda Ospedaliera Sant’Andrea censura la sentenza impugnata anche nel capo in cui ha accolto la richiesta, da parte della Conti s.p.a., di risarcimento dei danni, riconosciuti per equivalente atteso che la procedura di appalto si era già conclusa, non consentendo, quindi, un risarcimento in forma specifica. Sostiene la ricorrente da un lato che la riedizione virtuale della procedura concorsuale porterebbe comunque all’aggiudicazione a favore della Nuova CLA s.p.a., che ha presentato l’offerta migliore, in quanto, secondo un corretto espletamento della gara, quest’ultima impresa sarebbe stata in ogni caso titolare di un diritto all’integrazione dei documenti incompleti. Per altro verso, l’appellante ritiene che la mancata aggiudicazione dell’appalto in capo alla Conti s.p.a. non sarebbe imputabile a colpa dell’Amministrazione, per cui non sussisterebbe un requisito necessario per la condanna dell’Azienda Ospedaliera Sant’Andrea al risarcimento del danno.

La censura è priva di pregio.

Con riguardo al primo profilo, si è già argomentato in ordine alla correttezza della pronuncia di primo grado che ha rilevato l’illegittimità del comportamento della Commissione di gara, che non ha escluso la Nuova CLA s.p.a., poi risultata aggiudicataria (come pure, per motivi analoghi, la seconda classificata, Industrie Guido Malvestio s.p.a.). Ne consegue che il T.A.R. ha giustamente riconosciuto alla Conti s.p.a., terza graduata, il risarcimento del danno per equivalente per la lesione dell’interesse legittimo al conseguimento dell’aggiudicazione della fornitura in questione, che era già stata interamente eseguita.

Sulla pretesa mancanza di colpa dell’Amministrazione nella violazione delle regole che sovrintendono allo svolgimento dell’appalto, giova premettere alcune considerazioni di sistema in merito all’accertamento del requisito dell’elemento soggettivo nella fattispecie di responsabilità dell’amministrazione per attività provvedimentale illegittima, dando conto, in particolare, del tormentato percorso evolutivo seguìto dalla giurisprudenza nell’individuazione dei caratteri della colpa dell’apparato pubblico. Il Collegio, rifacendosi ad una recente ricostruzione in materia operata da questo Consiglio (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 6 luglio 2004, n. 5012), rileva che, com’è noto, l’impostazione giurisprudenziale tradizionale (cfr. ex multis Cass. Civ., sez. III, 9 giugno 1995, n.6542) formatasi prima della sentenza delle Sezioni Unite n. 500 del 22 luglio 1999 risolveva la questione ritenendo la colpa dell’amministrazione insita nell’esecuzione di un provvedimento amministrativo illegittimo. Secondo tale ricostruzione, quindi, l’illegittimità dell’atto amministrativo portato ad esecuzione integrava, di per sé, gli estremi della colpevolezza postulata dall’art. 2043 c.c. per la costituzione dell’obbligazione risarcitoria.

La nozione di culpa in re ipsa si fondava, in particolare, sul rilievo che la semplice adozione ed esecuzione di un provvedimento illegittimo da parte di un soggetto dotato di capacità istituzionale e di competenza funzionale ad operare nel settore di riferimento concretasse quella consapevole violazione di leggi, regolamenti o norme di condotta non scritte nella quale si risolve la colpa, secondo la definizione del suo contenuto essenziale fornita dall’art. 43 c.p.

La categoria concettuale della presunzione assoluta di colpa, concepita dalla giurisprudenza anche per semplificare l’accertamento dell’illecito e per favorire la tutela risarcitoria del privato danneggiato (altrimenti onerato di una prova complessa e priva di parametri certi), è parsa, comunque, incompatibile con i principi generali della natura personale della responsabilità civile e del carattere eccezionale di quella oggettiva, risolvendosi nell’ingiusta assegnazione all’amministrazione di un trattamento deteriore rispetto a quello degli altri soggetti di diritto. Tali dubbi di coerenza sistematica della presunzione assoluta di colpa sono stati risolti dalla Suprema Corte, con la nota sentenza a Sezioni Unite n. 500/99, mediante il superamento della teoria della culpa in re ipsa e la contestuale definizione di indici identificativi della colpa, indicati nell’ascrizione all’amministrazione, intesa come apparato, e non al funzionario agente, della “violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle quali l’esercizio della funzione amministrativa deve ispirarsi e che si pongono come limiti esterni alla discrezionalità”.

Va, tuttavia, rilevato che la scarna descrizione degli elementi essenziali della colpa rinvenibile nel passaggio della motivazione della sentenza n. 500/99 dedicato alla questione si rivela carente ed inidonea a fornire agli operatori paradigmi valutativi certi ed al sistema una catalogazione concettuale definita.

La Suprema Corte chiarisce, innanzitutto, che l’indagine riservata al giudice deve riferirsi alla pubblica amministrazione come apparato impersonale e non al funzionario che ha adottato l’atto illegittimo. Tale prima indicazione, se vale a svincolare l’accertamento giudiziale dai canoni d’indagine utilizzati ordinariamente per la verifica della sussistenza della colpevolezza in capo alle persone fisiche, non serve, tuttavia, in positivo, ad orientare l’indagine verso un centro d’imputazione della responsabilità agevolmente individuabile e, soprattutto, non offre sicuri criteri di giudizio nel compimento della disamina contestualmente suggerita.

Le ragioni di tali difficoltà si risolvono, a ben vedere, sull’improprio riferimento dello stato psicologico di colpevolezza all’organizzazione dell’ente, anziché alla persona fisica legittimata ad esprimerne la volontà o ad esso legata da un vincolo di subordinazione come accade per le ipotesi di responsabilità, diretta e indiretta, degli enti privati. La colpa d’apparato sembra, quindi, coincidere con la verifica di una disfunzione della funzione amministrativa, determinata dalla disorganizzazione nella gestione del personale, dei mezzi e delle risorse degli uffici cui è imputabile l’adozione o l’esecuzione dell’atto illegittimo.

Sennonchè, se tale è il carattere essenziale della colpa d’apparato la stessa si rivela impropriamente introdotta nella struttura dell’illecito, sia perché l’eventuale disorganizzazione amministrativa e gestionale non è necessariamente causa dell’illegittimità dell’atto, sia perché la stessa risulta essenzialmente estranea al profilo psicologico dell’azione amministrativa immediatamente produttiva del danno e, quindi, al campo d’indagine riservato al giudice chiamato a pronunciarsi sulla pretesa risarcitoria. Non solo, ma la descrizione appena riferita dei requisiti della colpa omette qualsiasi considerazione e valorizzazione di circostanze esimenti, con ciò precludendo, di fatto, proprio quella penetrante indagine della riferibilità soggettiva del danno alla colpevole azione amministrativa che si raccomanda contestualmente al giudice del risarcimento.

Le ricostruzioni più recenti si sono, invece, basate, in antitesi all’indirizzo della Suprema Corte, sul rilievo critico che il criterio della “…violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle quali l’esercizio della funzione amministrativa deve ispirarsi…”, indicato nella sentenza n. 500/99, si risolve, se non attenuato da uno spazio di non colpevolezza, tuttavia non evidenziato dalla Cassazione, nella tautologica affermazione della coincidenza della colpa con l’illegittimità del provvedimento, con surrettizia reintroduzione della tesi che si è dichiarato di voler abbandonare.

In una delle prime e più importanti pronunce che si sono occupate della questione (Cons. St., sez. IV, 14 giugno 2001, n. 3169) è stata condivisa la concezione oggettiva della colpa suggerita dalla Cassazione, che si basa cioè sull’apprezzamento dei vizi che inficiano il provvedimento, ma sono stati mutuati dalla giurisprudenza comunitaria diversi indici valutativi quali “…la gravità della violazione commessa dall’amministrazione, anche alla luce dell’ampiezza delle valutazioni discrezionali rimesse all’organo, dei precedenti della giurisprudenza, delle condizioni concrete e dell’apporto eventualmente dato dai privati nel procedimento”.

In applicazione di tali canoni di valutazione, il giudice deve, quindi, formulare il giudizio sulla “colpevolezza” dell’amministrazione, affermandola quando la violazione risulta grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimenti normativi e giuridici tale da palesare la negligenza e l’imperizia dell’organo nell’assunzione del provvedimento viziato e, viceversa, negandola quando l’indagine presupposta conduce al riconoscimento di un errore scusabile (per la sussistenza di contrasti giurisprudenziali, per l’incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto).

In una successiva pronuncia (Cons. St., sez. V, 6 agosto 2001, n. 4239), sono stati ulteriormente chiariti i caratteri della responsabilità della pubblica amministrazione da attività provvedimentale e, accedendo ad una ricostruzione dogmatica della stessa in termini di responsabilità da contatto sociale qualificato, si è precisato che, in analogia alle forme di accertamento giudiziale dell’illecito contrattuale o precontrattuale e, in particolare, del criterio di imputazione del danno definito dall’art. 1218 c.c., la responsabilità dell’amministrazione per l’adozione di un atto illegittimo può presumersi, sotto il profilo dell’ascrivibilità del pregiudizio, ad una condotta colposa dell’apparato.

In esito alla presupposta catalogazione concettuale della natura della responsabilità dell’amministrazione, svincolata dalla struttura e dalla disciplina dell’illecito aquiliano, è stato, quindi, ammesso il privato alla mera allegazione del danno patito e della sua riconducibilità eziologia all’adozione od all’esecuzione di un provvedimento viziato, ed imposto all’amministrazione l’onere di dimostrare la propria incolpevolezza per mezzo della deduzione di elementi di fatto e di diritto idonei a documentare la ricorrenza di un errore scusabile e, quindi, a dimostrare l’assenza di colpa nel proprio operato.

Tale semplificazione probatoria viene, in particolare, giustificata e legittimata non tanto con il ricorso a presunzioni semplici, pure limitatamente invocabili nell’accertamento dell’elemento soggettivo, ma con una distribuzione dell’onere della prova che, sotto un profilo sostanziale, appare rispondere ad esigenze di garanzia e di favore per la posizione processuale del privato e, sotto un profilo di coerenza logico-sistematica dell’ordinamento processuale, si fonda su una lettura dell’illecito dell’amministrazione in termini analoghi a quelli propri dell’inadempimento di un’obbligazione contrattuale o dei doveri di correttezza ravvisabili nella fase delle trattative e, quindi, tipici della responsabilità precontrattuale.

In tale ottica, viene superata l’equivalenza, precedentemente riconosciuta dalla stessa giurisprudenza amministrativa, colpa-violazione grave, ritenendosi, di contro, che quella enunciazione teorica si risolva in un’inammissibile limitazione della responsabilità dell’amministrazione ai soli casi di colpa grave, ma in difetto di una previsione positiva in tal senso, e che, quindi, anche la sussistenza di un vizio non macroscopico possa implicare responsabilità dell’amministrazione nella colpevole inosservanza dei pertinenti canoni d’azione.

Siffatta ricostruzione teorica è stata, poi, confermata sia dalla giurisprudenza amministrativa (Cons. St., sez. VI, 20 gennaio 2003, n. 204), sia da quella ordinaria (Cass. Civ., sez. I, 10 gennaio 2003, n. 157) che, in conformità alla riferita elaborazione concettuale, hanno condiviso l’assimilazione della responsabilità dell’amministrazione per attività provvedimentale, segnatamente per lesione degli interessi c.d. pretensivi, a quella contrattuale per violazione di diritti relativi, con le implicazioni già evidenziate in tema di accertamento della colpa.

Il Collegio dissente, tuttavia, dalla ricostruzione che ha fatto applicazione dei principi che presiedono alla responsabilità contrattuale per inadempimento al fine di giustificare l’affermazione della presunzione relativa di colpa e l’ascrizione all’amministrazione dell’onere di dimostrare la propria incolpevolezza e reputa, di contro, che le condivisibili esigenze di semplificazione probatoria sottese all’impostazione criticata possono essere parimenti soddisfatte restando all’interno dei più sicuri confini dello schema e della disciplina della responsabilità aquiliana, che rivelano una maggiore coerenza della struttura e delle regole di accertamento dell’illecito extracontrattuale con i caratteri oggettivi della lesione di interessi legittimi e con le connesse esigenze di tutela, ma utilizzando, per la verifica dell’elemento soggettivo, le presunzioni semplici di cui agli artt. 2727 e 2729 c.c.

In tale ottica, il privato danneggiato, ancorchè onerato della dimostrazione della “colpa” dell’amministrazione, risulta agevolato dalla possibilità di offrire al giudice elementi indiziari – acquisibili, sia pure con i connotati normativamente previsti, con maggior facilità delle prove dirette - quali la gravità della violazione, qui valorizzata quale presunzione semplice di colpa e non come criterio di valutazione assoluto, il carattere vincolato dell’azione amministrativa giudicata, l’univocità della normativa di riferimento ed il proprio apporto partecipativo al procedimento.

Così che, acquisiti gli indici rivelatori della colpa, spetta poi all’amministrazione l’allegazione degli elementi, pure indiziari, ascrivibili allo schema dell’errore scusabile e, in definitiva, al giudice, così come, in sostanza, voluto dalla Cassazione con la sentenza n. 500/99, apprezzarne e valutarne liberamente l’idoneità ad attestare o ad escludere la colpevolezza dell’amministrazione.

La rilevata semplificazione dell’onere probatorio, a carico e a discarico, appena descritta impone, quindi, di definire i caratteri che devono possedere gli elementi addotti a propria discolpa dalla pubblica amministrazione, a fronte della produzione degli indizi a suo carico, perché la situazione allegata integri gli estremi dell’errore scusabile e consenta, perciò, di escludere la “colpa” dell’apparato amministrativo.

Appare utile, al riguardo, riferirsi alla giurisprudenza comunitaria (Corte Giustizia C.E., 5 marzo 1996, cause riunite nn.46 e 48 del 1993; 23 maggio 1996, causa C5 del 1994) che, pur assegnando valenza pressoché decisiva alla gravità della violazione, indica, quali parametri valutativi di quel carattere, il grado di chiarezza e precisione della norma violata e la presenza di una giurisprudenza consolidata sulla questione esaminata e definita dall’amministrazione, nonché la novità di quest’ultima, riconoscendo così portata esimente all’errore di diritto, in analogia all’elaborazione della giurisprudenza penale in tema di buona fede nelle contravvenzioni.

Esclusa la correttezza di ogni riferimento, pure in astratto invocabile, al livello culturale ed alle condizioni psicologiche soggettive del funzionario che ha adottato l’atto, risulta, in proposito, accettabile il criterio della comprensibilità della portata precettiva della disposizione inosservata e della univocità e chiarezza della sua interpretazione, potendosi ammettere l’esenzione da colpa solo in presenza di un quadro normativo confuso e privo di chiarezza; restando, altrimenti, l’amministrazione soggetta all’inevitabile giudizio di colpevolezza nella violazione di un canone di condotta agevolmente percepibile nella sua portata vincolante.

Così come appaiono condivisibili i riferimenti, da più parti suggeriti, al criterio di imputazione soggettiva della responsabilità del professionista di cui all’art. 2236 c.c. che, riconnettendo il grado di colpevolezza richiesto per la costituzione dell’obbligazione risarcitoria alla difficoltà dei problemi tecnici affrontati nell’esecuzione dell’opera, introduce un parametro di ascrizione del danno che tiene conto del grado di complessità delle questioni implicate dall’esecuzione della prestazione e che attenua la responsabilità del prestatore d’opera quando il livello di difficoltà risulti rilevante.

La medesima ratio sottesa alla richiamata disposizione civilistica può, infatti, ravvisarsi nelle fattispecie nelle quali la situazione di fatto esaminata dal funzionario comporta la risoluzione di problemi tecnici particolarmente rilevanti ed in cui, in definitiva, l’accertamento dei presupposti di fatto dell’azione amministrativa implica valutazioni scientifiche complesse o verifiche difficoltose della realtà fattuale.

A fronte, infatti, di una situazione connotata da apprezzabili profili di complessità, può, in particolare, ritenersi giustificata, in analogia con la disciplina della responsabilità del prestatore d’opera intellettuale, un’attenuazione di quella dell’amministrazione che la circoscriva alle sole ipotesi di colpa grave.

La ricostruzione appena esposta soddisfa, in particolare, al contempo, le esigenze di superare l’inaccettabile equazione illegittimità dell’atto-“colpa” dell’apparato pubblico, surrettiziamente reintrodotta con la sentenza n. 500/99, di valorizzare gli aspetti obiettivi della condotta antigiuridica dell’amministrazione, di restituire coerenza sistematica alla regola di riparto dell’onere della prova da applicarsi nello schema di responsabilità in questione e, in definitiva, di agevolare le parti nell’adempimento del dovere di dimostrare la colpa, in prima battuta, o la sua mancanza, negli estremi dell’esimente dell’errore scusabile.

Così definiti i caratteri costitutivi della colpa della pubblica amministrazione, risulta agevole rilevare, in ordine alla fattispecie in esame, che sussiste la responsabilità dell’Azienda Ospedaliera appellante, in quanto l’evento dannoso in capo alla Conti s.p.a., e cioè la mancata aggiudicazione dell’appalto, può dirsi imputabile al comportamento “negligente”, e, pertanto, “colposo” della stessa Amministrazione appaltante, poiché quest’ultima ha agito in violazione delle regole di imparzialità e correttezza che essa stessa si era data in sede di gara nella lex specialis a pena di esclusione.

A fronte della violazione del dovere di garantire la par condicio, non risulta, di contro, apprezzabile alcun elemento, allegato dall’amministrazione, riconducibile ad una delle situazioni sopra descritte che autorizzano la configurabilità dell’errore scusabile. Va, quindi, confermata la correttezza della statuizione appellata, là dove ha riconosciuto gli estremi dell’elemento psicologico della condotta lesiva esaminata.

La reiezione dell’appello principale esime il Collegio dall’esame di quello incidentale, proposto dalla Conti s.p.a. condizionatamente all’eventuale accoglimento delle censure avanzate dall’Azienda Ospedaliera Sant’Andrea.

2. Alla luce delle suesposte considerazioni, ed assorbito quant’altro, il ricorso in appello va rigettato.

3. Sussistono, comunque, giusti motivi per compensare tra le parti le spese del secondo grado di giudizio.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione V) rigetta l’appello in epigrafe.

Compensa le spese di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, palazzo Spada, sede del Consiglio di Stato, nella camera di consiglio del 4.5.2004 con l'intervento dei sigg.ri

Raffaele Iannotta                                 Presidente,

Corrado Allegretta                              Consigliere,

Chiarenza Millemaggi Cogliani  Consigliere,

Marzio Branca                         Consigliere,

Michele Corradino                              Consigliere estensore.

 

L'ESTENSORE                                  IL PRESIDENTE

f.to Michele Corradino             f.to Raffaele Iannotta

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 10 gennaio 2005

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

 

IL DIRIGENTE

f.to Antonio Natale

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